Migrazione di un simbolo

A cura di Eleonora Del Riccio
Sapienza Università di Roma
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Domenico Ghirlandaio (1449-1494) fu considerato da Giorgio Vasari, il celebre autore delle
Vite, uno dei principali pittori della propria epoca data l’alta qualità e la moltitudine delle opere che concepì e realizzò. Oggi, nonostante il suo stile non corrisponda più alle aspettative del gusto, è impossibile negare quanto il maestro di Michelangelo abbia influito sulla maturazione dell’arte rinascimentale fiorentina e romana. Basti citare tre cicli pittorici che ne portano la firma: la Resurrezione e la Vocazione dei primi Apostoli affrescate sulle pareti della Cappella Sistina, la Sala dei Gigli di Palazzo Vecchio e, infine, le Storie di San Francesco nella Cappella Sassetti in Santa Trinita.
Nonostante questi successi, la vera consacrazione dell’artista avvenne nel 1485, quando ricevette la richiesta per gli affreschi della cappella maggiore in Santa Maria Novella da parte di Giovanni Tornabuoni.
I lavori d’affrescatura delle storie di Maria e del Battista durarono poco più di quattro anni e furono interamente diretti ed eseguiti da Ghirlandaio con numerosi aiuti. Tra tutte le scene che ricoprono le pareti abbiamo scelto di analizzare quella che rappresenta la Nascita del Battista. Ecco la descrizione proposta dal Vasari e riportata nella Vita di Ghirlandaio:

Nella terza storia sopra alla prima è la nascita di S. Giovanni, nella quale è una avvertenza bellissima: che mentre S. Elisabetta è in letto, e che certe vicine la vengono a vedere e la balia stando a sedere allatta il bambino, una femmina con allegrezza gliene chiede, per mostrare a quelle donne la novità che in sua vechiezza aveva fatto la padrona di casa; e finalmente vi è una femmina che porta a l’usanza fiorentina frutte e fiaschi da la villa, la quale è molto bella.

L’anziana Elisabetta è stesa sul letto e tutt’intorno una corte di ancelle si sta occupando chi dell’allattamento del bambino, chi di riceverlo tra le braccia, chi della cura della neo-madre; chi arriva con frutti e primizie, chi semplicemente per fare visita. Le due donne stanti con le mani accoccolate in grembo sono, probabilmente, due membri della famiglia Tornabuoni: la più anziana delle due è stata identificata come la sorella di Giovanni, mentre la più giovane ha una certa somiglianza con Giovanna Tornabuoni, il cui ritratto realizzato da Ghirlandaio nel 1488 è ora a Lugano. Anche se l’individuazione dei due personaggi non è certa, salta lo stesso all’occhio la ricchezza delle stoffe che le distingue da tutte le altre donne e l’atteggiamento della giovane che guarda in direzione dello spettatore, come se volesse farsi riconoscere e, soprattutto, testimoniare la sua presenza terrena in una scena biblica.
L’ambiente presenta il fasto morigerato di colonne e paraste con grottesche in rilievo su fondo oro e capitello corinzio, ma, a ben vedere, questa ripresa dei motivi antichi riguarda sia le forme sia il contenuto. Prendiamo in considerazione, a questo proposito, l’ancella con la cesta di frutti sull’estrema destra del quadro. Questa fanciulla fu, in un certo senso, il punto di partenza degli studi sul Pathosformel (“formula di pathos”) dello studioso amburghese Aby Warburg (1866-1929), studi che condussero all’identificazione di quell’immagine topica definita dallo studioso come “Ninfa”.
Osservando l’affresco, Warburg si chiese come mai le vesti dell’ancella, a differenza di quelle di tutti gli altri, fossero mosse da un vento che sembrava non avere alcuna provenienza reale. La finestra alle spalle di Elisabetta è infatti troppo piccola e troppo distante perché un soffio anche lontanamente verosimile possa agitare così tanto i vestiti e la chioma di una sola tra tutte le donne che compongono la scena. Era quindi chiaro a Warburg che i vestiti non fossero agitati per via di un agente atmosferico reale. Il confronto con altri dipinti italiani del Rinascimento, come per esempio la Nascita di Venere o la Primavera di Botticelli, testimoniava che questo vento era comune a molti artisti e aveva la sua primitiva origine nella statuaria e nel rilievo classico.
La scoperta di Warburg fu la presa di coscienza di quanto, a partire dalla seconda metà del Quattrocento, gli artisti italiani avessero reimpiegato i modelli antichi non solo per riprenderne gli aspetti formali, ma soprattutto per dimostrare attraverso tali elementi due tipi di atteggiamento opposti: una mimica intensificata e una serenità idealizzante, ovvero un atteggiamento dionisiaco e uno apollineo, per dirla con Nietzsche.
Alla fanciulla di Ghirlandaio potrebbe essere accostata la Gradiva di Wilhelm Jensen, ripresa come oggetto di studio anche da Sigmund Freud, che nel 1907 pubblicò un saggio dal titolo Delirio e sogni nella “Gradiva” di W. Jensen.
Inoltre, l’immagine della Ninfa che entra nella camera dove ha appena avuto luogo il parto di Elisabetta si pone come segno distintivo della cultura rinascimentale che fa rivivere l’Antico e per questo è in perfetta contrapposizione con la cultura tardomedievale del primo Quattrocento. Così, la Ninfa divenne il simbolo dell’emancipazione femminile rispetto all’oscurantismo del Medioevo. Dalle rappresentazioni classiche a quelle rinascimentali, passando per quelle bibliche, questo simbolo ha attraversato il tempo, diventando il discrimine tra la civiltà nordica e quella mediterranea, nonché il simbolo della Società Psicoanalitica Italiana.
bibliografia di riferimento
• De Vecchi P, Cerchiari E. Arte nel tempo (vol. 2 - tomo I: Dal Gotico Internazionale alla Maniera Moderna). Milano: Bompiani, 2010.
• Dizionario biografico degli Italiani. Istituto dell’Enciclopedia Italiana Giovanni Treccani
• Cieri Via C. Introduzione a Aby Warburg. Roma-Bari: Editori Laterza, 2011.
• Vasari G. Le Vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori. Firenze: Edizione Giuntina, 1568.