Trattamento con litio e potenziali effetti collaterali a lungo termine:
una revisione sistematica della letteratura

Lithium treatment and potential long-term side effects: a systematic review of the literature
UMBERTO ALBERT, DAVID DE CORI, GIOVANNI BLENGINO, FILIPPO BOGETTO,
GIUSEPPE MAINA
E-mail: umberto.albert@unito.it

Servizio per i Disturbi Depressivi e d’Ansia, Dipartimento di Neuroscienze, Università di Torino

RIASSUNTO. Introduzione e scopo. Il trattamento con litio è la prima scelta nel trattamento del disturbo bipolare (DB). Esistono però problematicità di gestione e collateralità che ne limitano l’impiego. Scopo del presente lavoro è revisionare la letteratura circa potenziali collateralità associate al trattamento a lungo termine con litio. Materiali e metodi. Abbiamo effettuato una ricerca computerizzata attraverso PubMed/Medline da gennaio 1980 a febbraio 2013 per identificare tutti gli studi che avessero analizzato la relazione fra trattamento a lungo termine con litio e potenziali collateralità. Risultati. Il trattamento a lungo termine con litio è associato a una riduzione della capacità di concentrazione urinaria, con poliuria, polidipsia e diabete insipido nefrogenico (che si sviluppa precocemente nel 10-40% dei pazienti); comporta inoltre una riduzione della capacità di filtrazione renale, che può esitare in insufficienza renale nello 0,5% dei pazienti. A livello tiroideo determina un aumento del TSH, con rischio di ipotiroidismo che appare incrementato di circa sei volte rispetto ai controlli. Meno noto è l’aumento di PTH e calcio, che si verifica in una proporzione significativa di pazienti. Infine, può determinare una riacutizzazione di psoriasi, verosimilmente in soggetti geneticamente predisposti. Conclusioni. Il litio è un presidio fondamentale per il trattamento del DB. Per la corretta gestione del paziente bipolare bisogna conoscerne i potenziali effetti a lungo termine per poterli gestire al meglio, spesso in collaborazione con altri specialisti. Il consulto di uno specialista deve, nella maggior parte dei casi, avere l’obiettivo di gestire gli effetti a lungo termine, mentre la decisione se continuare o sospendere il trattamento deve rimanere di competenza dello psichiatra.

PAROLE CHIAVE: litio, disturbo bipolare, lungo termine, effetti collaterali.


SUMMARY. Introduction and aim. Lithium is recommended by all treatment guidelines for bipolar disorder (BD) as a first-line maintenance treatment. However, the potential side effects and risks associated with long-term lithium use may at times make the implementation of these recommendations in daily practice challenging. The aim of the study is to review available literature on potential long-term side effects of lithium. Materials and methods. A PubMed/Medline search was performed on papers dealing with long-term treatment with lithium and side effects. Articles published from January 1980 to February 2013 were selected. Results. Long-term lithium treatment is associated with a reduced urinary concentrating ability, with subsequent polyuria and polidypsia and nephrogenic diabetes insipidus (in 10-40% of patients). Lithium also reduces glomerular filtration rate, and increases risk of renal failure, although the absolute risk is small (0.5% of patients). Lithium treatment is associated with significant higher TSH levels, with a 6-fold greater risk of hypothyroidism in lithium-treated than in control subjects. Less known is the increase of PTH and calcium levels induced by lithium. An exacerbation of psoriasis is also frequently associated with lithium treatment. Conclusions. Lithium remains a fundamental tool for the treatment of BD. Clinicians should know potential side effects (renal, endocrine and dermatological) associated with long-term treatment with lithium, for a correct management of the patient. A specialist referral is often necessary; the question is how to deal with long-term side effects more than whether or not withdrawing lithium. This decision should remain a psychiatrist’s competence.

KEY WORDS: lithium, bipolar disorder, long-term, side effects.

INTRODUZIONE
Da quando, nel 1949, i sali di litio sono stati casualmente scoperti da Cade per il trattamento della mania, essi sono diventati una pietra miliare nel trattamento del disturbo bipolare (BD)1. Attualmente il litio è considerato la prima scelta nel trattamento di tutte le fasi del DB da varie linee-guida internazionali2-7 ed è sicuramente uno dei farmaci di impiego nel DB che maggiormente risponde ai criteri per la definizione più stretta di “stabilizzatore dell’umore”, avendo dimostrata efficacia nel trattamento in acuto (senza capacità di induzione dell’episodio di polarità opposta) e altrettanto dimostrata efficacia nella prevenzione delle ricorrenze di entrambe le polarità8.
Ricordiamo, infine, che il litio è l’unico stabilizzatore dell’umore ad aver dimostrato un effetto anti-suicidario in studi randomizzati e controllati9,10. A fronte dell’efficacia indiscutibile dei sali di litio nel trattamento del DB, esistono tuttavia alcune problematicità di gestione e diverse potenziali collateralità che potrebbero limitarne l’impiego nella pratica clinica. In primo luogo si segnala la necessità di controllarne regolarmente il dosaggio plasmatico a causa del ristretto indice terapeutico; in secondo luogo è consigliato da numerose linee-guida internazionali il controllo regolare delle funzionalità renale e tiroidea in quanto è segnalato un potenziale effetto del trattamento a lungo termine con litio su tali organi. Per quanto riguarda la funzionalità paratiroidea non c’è totale consenso da parte degli autori riguardo ai parametri da valutare; alcune linee-guida raccomandano di controllare regolarmente i valori di calcemia prima e durante il trattamento con sali di litio, mentre altre non menzionano tale valore tra i parametri da valutare. Oltre alle già citate collateralità di tipo renale, tiroidea e paratiroidea viene posta attenzione circa i possibili effetti dermatologici, in particolare alopecia e insorgenza/riesacerbazione di psoriasi.
Lo studio dei potenziali effetti collaterali o avversi di un trattamento a lungo termine con sali di litio è argomento negletto in letteratura, anche perché non vi sono aziende farmaceutiche che sponsorizzino (come per altri farmaci stabilizzatori dell’umore) studi controllati randomizzati volti ad accertare non solo l’efficacia ma anche la tollerabilità dei trattamenti.
Scopo del presente lavoro è revisionare i risultati degli studi disponibili in letteratura circa potenziali effetti collaterali associati al trattamento a lungo termine con il litio, onde fornire ai clinici indicazioni precise riguardo all’utilizzo ottimale di tale composto nel trattamento del DB. I risultati degli studi revisionati saranno discussi anche in relazione alle indicazioni delle linee-guida internazionali più recenti.
METODI
Abbiamo effettuato una ricerca computerizzata attraverso PubMed/Medline da gennaio 1980 a febbraio 2013 al fine di identificare tutti gli studi che avessero analizzato la relazione fra trattamento a lungo termine con litio e potenziali eventi avversi o effetti collaterali. Come termini di ricerca abbiamo usato: “lithium”, “adverse events”, “side-effects”, “chronic kidney disease”, “hypothyroidism”, “hyperparathyroidism”, “psoriasis”, “skin diseases”. Inoltre, abbiamo effettuato una ricerca nella bibliografia degli articoli analizzati in modo da identificare ulteriori riferimenti. Abbiamo preso in considerazione studi trasversali caso-controllo, studi prospettici longitudinali, studi epidemiologici, studi clinici controllati randomizzati, meta-analisi e anche descrizioni di singoli casi. I risultati sono riportati per gruppi di patologie correlate: 1) alterazioni renali; 2) alterazioni tiroidee; 3) alterazioni delle paratiroidi; 4) alterazioni cutanee.
RISULTATI
Alterazioni del funzionamento renale: diabete insipido nefrogenico e nefrite tubulo-interstiziale cronica
Il dibattito riguardante il rischio di danno renale a seguito del trattamento con litio è in corso fin dal tempo della sua commercializzazione. Il litio può influire sulla funzionalità renale mediante due meccanismi distinti: un danno tubulare primario, che si traduce in poliuria ed eventualmente diabete insipido neurogenico, e un danno glomerulare.
Prima di illustrare il meccanismo fisiopatologico del litio a livello renale riteniamo utile ricordare brevemente la farmacocinetica di tale composto. Il litio è un composto naturale, idrosolubile e non si lega alle proteine plasmatiche. Viene assorbito principalmente a livello gastrico ed eliminato quasi esclusivamente dal rene immodificato. A livello renale il litio viene filtrato completamente a livello del glomerulo come il sodio e il potassio e viene riassorbito per circa l’80% a livello del tubulo prossimale; ne deriva che circa il 20% del litio filtrato si ritrova a livello del dotto collettore. Nel dotto collettore il litio interagisce con l’azione dell’ormone antidiuretico (ADH), agendo a livello dell’adenosin-monofosfato ciclico (AMPc), così da ridurre la formazione delle acquaporine (meccanismo con cui il rene riassorbe acqua e concentra quindi le urine); l’effetto del litio è quindi quello di ridurre la capacità del rene di riassorbire acqua. Associando l’accumulo a livello dei dotti collettori (che per effetto osmotico determina un maggior richiamo di acqua nel dotto collettore) con l’effetto precedentemente descritto esercitato sull’ADH, si riduce la capacità del rene di concentrare le urine con conseguente poliuria ed, eventualmente, diabete insipido nefrogenico 11.
Una recente meta-analisi di nove studi caso-controllo ha rilevato che la funzione tubulare renale, intesa come la capacità di concentrare le urine, è ridotta di circa il 15% nei pazienti che assumono litio rispetto ai controlli12. Non è tuttavia specificata la durata dell’esposizione al litio nel campione dei casi. Sicuramente, quindi, il litio determina una riduzione della capacità di concentrare le urine con conseguenti poliuria e polidipsia; tuttavia, un quadro di diabete insipido nefrogenico conclamato (definito da un volume di urine >3 l nelle 24 ore) si può manifestare in una proporzione di pazienti variabile, a seconda degli studi, dal 10% al 40%13,14.
Il danno tubulare è pertanto relativamente frequente, insorge durante il primo periodo di trattamento (la riduzione della capacità di concentrazione può essere rilevata già dopo 8 settimane di trattamento)15 ed è nella maggioranza dei casi (85%) reversibile all’interruzione del litio16,17.
Il litio può determinare un secondo tipo di danno renale, una nefrite tubulo-interstiziale cronica, che comporta una riduzione della capacità di filtrazione renale; tale danno è più raro e si può manifestare solo dopo decenni di trattamento. Il meccanismo d’azione del danno glomerulare non è ancora noto e i dati riguardo alla prevalenza e all’incidenza di tale fenomeno sono scarsi; dal punto di vista bioptico, la nefrite tubulo-interstiziale cronica è caratterizzata da atrofia tubulare e fibrosi interstiziale, con formazione di cisti sia nella midollare sia nella corticale 14. Per quanto concerne i valori di creatinina plasmatici, indice di compromissione renale, una meta-analisi di Paul et al.18 ha rilevato: 1) un incremento medio significativo di 5,5 mol/L nei pazienti in litio rispetto ai controlli (studi trasversali caso-controllo); 2) in studi prospettici condotti su pazienti che iniziano la terapia con litio un incremento non significativo di 2,9 μmol/L (durata media del trattamento 86 mesi); 3) negli studi condotti su pazienti in trattamento a lungo termine con litio, un incremento medio annuale di 1,6μmol/L. Il rischio di malattia cronica renale, definita da valori di creatinina serica ≥150μmol/L (≥1,7 mg/dL) in pazienti con durata di esposizione al litio superiore a 15 anni è stato stimato nel 4,3% 19. Una recente e autorevole meta-analisi di nove studi caso-controllo ha mostrato che la velocità di filtrazione glomerulare nei pazienti che assumevano litio si riduce, in media, di 6,22 mL/min rispetto ai controlli (i pazienti erano trattati per un periodo medio di 1 anno)12. Tale riduzione non è tuttavia risultata significativa. La rilevanza clinica della riduzione della velocità di filtrazione glomerulare consiste nella possibilità di evoluzione, per alcuni pazienti, in insufficienza renale (IR o End-Stage Renal Disease - ESRD). Uno studio epidemiologico su 3369 pazienti trattati con litio ha stimato una prevalenza di IR, definita come proporzione di soggetti in dialisi, dello 0,53% rispetto allo 0,08% nella popolazione generale della stessa area geografica (con un aumento quindi del rischio di circa 6 volte) 19. Complessivamente, il rischio di IR terminale appare dunque aumentato rispetto ai controlli sani ma il rischio assoluto appare comunque basso (0,5%). La prevalenza di IR così definita aumenta nei pazienti in terapia cronica con litio: 1,2% nei pazienti con durata di esposizione al litio 15 anni rispetto a 0,53% nel campione totale di pazienti esposti al litio19. La prevalenza nella popolazione generale della IR è, secondo uno studio epidemiologico americano condotto su campione estremamente ampio, superiore rispetto a quanto rilevato nello studio svedese di Bendz20, pari allo 0,2%. Se si confronta il dato di prevalenza nella popolazione in litio (0,53%) con tale prevalenza nella popolazione generale (0,2%), il rischio relativo appare quindi ridotto ma comunque significativo (2,6%).
Il danno renale appare progressivo e sembra dipendere dalla durata della esposizione continuativa al litio: è stata stimata una progressiva riduzione della velocità di filtrazione glomerulare pari a 1-2 mL/min per anno di esposizione al litio; la latenza media tra inizio del trattamento con litio e comparsa di una ESRD è in genere 20-23 anni21. Questo sembra essere l’unico fattore di rischio rilevato, mentre un eventuale episodio di intossicazione acuta da litio, i livelli plasmatici di litio, o altri non si sono dimostrati utili nel predire l’evoluzione verso l’insufficienza renale. Allo stato attuale, quindi, non è possibile prevedere quale tra i pazienti possa, a partire da un’eventuale riduzione della velocità di filtrazione glomerulare, progredire fino all’insufficienza renale di grado terminale 17,21. Inoltre, bisogna ricordare che l’incidenza di IR nella popolazione è complessivamente in aumento, specialmente per l’invecchiamento della popolazione, in particolare nel sesso femminile, e appare legata anche all’aumento della prevalenza di altri fattori di rischio quali diabete e ipertensione. Attribuire, pertanto, un effetto causale al litio è difficile a causa di questi fattori confondenti associati, che possono da soli essere responsabili dell’IR, indipendentemente dall’assunzione del litio 12. Un dato clinicamente rilevante appare il riscontro di una progressione verso l’insufficienza renale di grado terminale anche in pazienti esposti ad anni di terapia con litio che avevano a un certo punto interrotto tale trattamento proprio in seguito al rilievo di una riduzione della velocità di filtrazione glomerulare: nello studio di Bendz et al.19, per esempio, 10 dei 18 pazienti in litio che hanno sviluppato IR avevano interrotto il trattamento ma hanno continuato la progressione verso IR nonostante la sospensione del litio. Questo riscontro è segnalato in letteratura già da molti anni22-25.
Non sembra possibile quindi, allo stato attuale, né predire quale paziente in cura con litio svilupperà tale evento avverso (comunque raro) né stabilire un livello di funzionalità renale oltre il quale consigliare la sospensione del trattamento a lungo termine con litio, tenuto conto che anche la sospensione del trattamento a quel punto non determina una regressione del danno renale. Alcuni autori suggeriscono tuttavia che un possibile punto di non ritorno (oltre il quale la malattia renale cronica progredisce verso IR nonostante la sospensione del litio) sia collocabile intorno a valori di clearence della creatinina compresi tra 25 e 40 ml/min 24.
Tutte le linee-guida internazionali disponibili sul trattamento del DB concordano sulla necessità assoluta di monitorare la funzionalità renale durante il trattamento con litio. Purtroppo, ancora oggi circa il 40% dei pazienti che assume litio non esegue controlli regolari della funzionalità renale26. Le indicazioni sulla frequenza dei controlli discordano; prima di iniziare il trattamento, le linee-guida CANMAT27, NICE3 e ISBD28 raccomandano di valutare la funzionalità renale mediante controllo di creatinina, urea ed elettroliti, mentre le linee-guida APA2 non fanno menzione del controllo degli elettroliti. Durante il corso del trattamento, le linee-guida APA2 consigliano di controllare la funzionalità renale ogni 2-3 mesi per i primi sei mesi; successivamente consigliano di effettuare un controllo ogni 6-12 mesi. Le linee-guida CANMAT27 consigliano di monitorare la funzionalità renale annualmente, considerato il rischio assoluto basso di insufficienza renale terminale. Le linee-guida NICE3 consigliano monitoraggi semestrali, mentre quelle ISBD28 consigliano di dosare urea e creatinina ogni 3-6 mesi per tutta la durata del trattamento.
Un lavoro di Malhi et al.11 ha rivisto le discordanti proposte delle linee-guida precedentemente menzionate, proponendo di controllare creatinina, urea ed elettroliti prima di iniziare il trattamento con litio, mentre durante il mantenimento è stato proposto un controllo semestrale di creatinina e urea e uno annuale degli elettroliti. Tali indicazioni sono da considerare in assenza di patologie note, di introduzione di nuovi farmaci o di riscontro di anomalie dei valori. Qualora venissero riscontrate alterazioni, si raccomanda di effettuare valutazioni più frequenti o di richiedere il consulto specialistico nefrologico. Alcuni autori consigliano di controllare la proteinuria e ripetere la eGFR (estimated Glomerular Filtration Rate) ogni 3 mesi in caso di riscontro di eGFR <60 ml/min/1,73m 2 di superficie corporea; in caso di eGFR <45 ml/min/1,73m2 o di proteinuria marcata consigliano di consultare un nefrologo29,30.
Allo stato attuale delle conoscenze è possibile concludere che, se efficace nel prevenire ricorrenze affettive e vista la specifica azione del litio nel ridurre il rischio suicidario, è sconsigliata la sospensione del litio anche in presenza di collateralità a lungo termine renali. Qualora si renda opportuno un consulto specialistico nefrologico, questo dovrebbe avere come obiettivo di gestire al meglio i rischi connessi alla prosecuzione del trattamento con litio in presenza di danno renale (problemi cardiovascolari, anemia, malattie del metabolismo osseo), e non la decisione sulla eventuale sospensione del trattamento con litio, decisione che deve rimanere di competenza dello psichiatra 17.
Anomalie tiroidee: ipotiroidismo e gozzo
Tra le alterazioni della funzionalità tiroidea il litio può determinare con elevata frequenza ipotiroidismo; molto minori sono le evidenze di ipertiroidismo associato al trattamento a lungo termine con litio31.
Per quanto concerne l’ipotiroidismo, i dati di prevalenza sono piuttosto discordanti: analizzando i risultati degli studi caso-controllo, i tassi di prevalenza risultano compresi tra il 3,3% e il 35,4%. L’ampia variabilità nei risultati è verosimilmente dovuta a vari fattori come, per esempio, la non uniformità nella definizione di ipotiroidismo (clinico o subclinico) o nella selezione dei pazienti che spesso differiscono tra loro per età, sesso, provenienza geografica, assunzione di iodio e presenza di positività degli autoanticorpi 32. La differente durata di esposizione al litio nei vari studi, inoltre, potrebbe incidere sulle stime di prevalenza dell’ipotiroidismo indotto da litio. Stimare con precisione la prevalenza del fenomeno risulta, quindi, difficile; dai dati di 8 studi caso-controllo emerge, complessivamente, una prevalenza di ipotiroidismo clinico e subclinico del 9,2% nei pazienti trattati con litio (durata media del trattamento 70 mesi) rispetto all’1,7% nei controlli 12, a fronte di una prevalenza nella popolazione generale compresa tra lo 0,5 e l’1%16. I valori medi di TSH risultano significativamente aumentati nei pazienti trattati con litio rispetto ai controlli (+4,0 iU/mL); il rischio di sviluppare ipotiroidismo nei pazienti che assumono litio appare incrementato di circa sei volte rispetto ai pazienti che non lo assumono (OR=5,78), sebbene, spesso, la maggior parte dei pazienti sia asintomatica e la diagnosi sia solamente biochimica12.
L’incidenza annuale di ipotiroidismo è stata indagata nei pazienti in terapia con litio in un recente studio longitudinale di follow-up della durata di 15 anni, risultando pari all’1,5%33. L’incidenza dell’ipotiroidismo indotto da litio appare diversa nei due sessi: uno studio ha calcolato un’incidenza annuale di ipotiroidismo nelle femmine e nei maschi rispettivamente del 2,17% e dello 0,68%34. Tali tassi risultano superiori a quelli della popolazione generale che sono dello 0,35% nelle femmine e dello 0,06% nei maschi, come stimato da un autorevole studio epidemiologico longitudinale di follow-up della durata di 20 anni condotto su 2779 pazienti (Whickham Study)35. Tra i fattori di rischio accertati per la comparsa di ipotiroidismo da litio si citano quindi il sesso femminile, ma anche l’età compresa tra i 40 e i 60 anni, una storia personale o familiare per patologie tiroidee e la positività autoanticorpale11. È rilevante comunque notare che i pazienti affetti da disturbi dell’umore, indipendentemente dalle terapie assunte, presentino percentuali più elevate di alterazioni tiroidee (ipotiroidismo e ipertiroidismo) rispetto alla popolazione generale36.
Per quanto riguarda i tempi d’insorgenza, il tempo medio di esposizione al litio prima che si renda evidente l’ipotiroidismo è di circa 18 mesi, sebbene possa manifestarsi già durante i primi mesi di terapia31. Uno studio che ha specificamente indagato il tempo d’insorgenza di ipotiroidismo in un ampio campione di pazienti seguiti per un lungo periodo (media 59±31 mesi di terapia) ha mostrato, infatti, che il rischio di sviluppare ipotiroidismo è più elevato durante i primi due anni di terapia: il 74% dei pazienti che sviluppano ipotiroidismo nel corso del follow-up, infatti, lo fa entro i primi due anni di trattamento (38% entro 6 mesi, 55% entro 1 anno) 37.
Il meccanismo eziopatogenetico dell’ipotiroidismo indotto da litio è molteplice; il litio si accumula a livello della ghiandola tiroide sulla quale agisce mediante quattro differenti meccanismi: 1) inibizione dell’uptake di iodio; 2) inibizione della formazione della iodotiroxina; 3) alterazione della struttura della tireoglobulina; 4) inibizione della secrezione di tiroxina. I livelli di TSH aumentano a seguito della ridotta disponibilità di tiroxina38,39. Il litio, inoltre, inibisce a livello periferico la conversione di T4 in T340,41. A seguito di tale meccanismo si può sviluppare ipotiroidismo (clinicamente manifesto o, spesso, come sola alterazione biochimica) e gozzo. Spesso l’ipotiroidismo conclamato si manifesta qualora si aggiungano ulteriori fattori di rischio ambientali (per es., una carenza di iodio) o immunogenetici; in tal caso, l’effetto compensatorio può risultare insufficiente e conclamarsi quindi l’ipotiroidismo clinicamente significativo32.
Dal punto di vista clinico l’impatto di un ipotiroidismo non rilevato e adeguatamente trattato è rilevante: la presenza di ipotiroidismo aumenta infatti la probabilità di sviluppare una ricorrenza depressiva e rapida ciclicità27,37,42. Un’analisi post hoc di due studi randomizzati controllati in doppio cieco ha mostrato che i pazienti trattati con litio che necessitavano di un intervento psichiatrico per l’insorgenza di un episodio depressivo maggiore presentavano, rispetto ai pazienti che rimanevano eutimici, un significativo aumento dei valori di TSH43. Indagare e gestire l’ipotiroidismo risulta pertanto estremamente importante nella pratica clinica; i pazienti responder al litio con ipotiroidismo dovrebbero pertanto assumere il trattamento ormonale sostitutivo27,44 e non dovrebbero sospendere quello con litio in quanto, dalle evidenze attuali, le alterazioni tiroidee non costituiscono una controindicazione a tale trattamento28. Inoltre, è opportuno ricordare che, sebbene alcuni studi, condotti peraltro su campioni poco numerosi, abbiano mostrato che la sospensione del litio determini una normalizzazione dei valori di TSH45, non vi sono evidenze del fatto che sospendere il litio possa normalizzare la funzionalità tiroidea qualora essa sia significativamente alterata. È comunque rilevante ricordare che la prognosi delle alterazioni tiroidee nei pazienti in trattamento con litio non differisce rispetto a quella della popolazione generale32.
La presenza di gozzo clinicamente rilevante è una delle più evidenti alterazioni associate a ridotta funzionalità tiroidea riscontrate nei pazienti che assumono litio31. La prevalenza di tale alterazione è estremamente varia, essendo compresa tra il 3,6%46 e il 51%47. Tale ampia variabilità deve tenere contro di diversi elementi quali i fattori di rischio geografici, in particolare la ridotta disponibilità di iodio, la diversa durata dell’esposizione al litio, le varie metodiche diagnostiche utilizzate31. L’ecotomografia tiroidea risulta, attualmente, la migliore indagine diagnostica per effettuare una diagnosi di gozzo. Il trattamento del gozzo indotto da litio non differisce da quello della popolazione generale, sebbene la terapia ormonale sostitutiva appaia maggiormente indicata nei pazienti che presentano un significativo aumento volumetrico della ghiandola, eventualmente in associazione a sintomi compressivi31.
Per quanto concerne il monitoraggio della funzionalità tiroidea, tutte le recenti linee-guida2,3,7,27,28 raccomandano di effettuare una valutazione della funzionalità tiroidea mediante dosaggio del TSH prima di iniziare il trattamento con sali di litio; analisi più approfondite della funzionalità tiroidea possono essere effettuate in presenza di patologie note, specifici motivi clinici o su indicazione specialistica, tuttavia la loro utilità appare ancora troppo bassa per validarne l’utilizzo di routine nella pratica clinica28. Per quanto riguarda invece il monitoraggio durante il trattamento non c’è consenso tra le linee-guida riguardo alla frequenza dei controlli: le linee-guida dell’APA2 consigliano di effettuare una o due valutazioni nei primi 6 mesi di terapia, successivamente una valutazione ogni 6-12 mesi; le linee-guida NICE3 consigliano di monitorare la funzionalità tiroidea ogni 6 mesi per tutta la durata del trattamento, mentre le CANMAT27 suggeriscono direttamente una valutazione annuale; infine, le ISBD28 raccomandano un iniziale controllo dopo 6 mesi di terapia, successivamente annuale.
Altri autori consigliano di dosare, oltre al TSH, anche fT3 e fT4, di effettuare un’ecografia di controllo e di dosare gli autoanticorpi; consigliano inoltre di effettuare nuovamente la medesima batteria di esami dopo un anno di terapia. Successivamente, in assenza di alterazioni, i controlli possono limitarsi a valutazioni annuali del solo TSH32. Dal momento che, come precedentemente sottolineato, il periodo di maggior rischio per lo sviluppo di alterazioni tiroidee è costituito dai primi 2 anni di trattamento37, è buona pratica clinica monitorare strettamente la funzionalità tiroidea soprattutto in questo periodo. Qualora si riscontri un incremento del TSH, positività degli autoanticorpi, familiarità per tireopatie e nelle donne di età superiore ai 50 anni (soggetti quindi già di per sé a maggior rischio di tiroidopatie) è raccomandabile effettuare valutazioni del TSH più ravvicinate, ogni 3-4 mesi31, mentre il dosaggio degli autoanticorpi e la valutazione ecografica possono essere ripetute ogni 2-3 anni32. È altresì doveroso effettuare una valutazione specialistica endocrinologica nel caso in cui siano riscontrabili gozzo, altre alterazioni morfologiche a carico della ghiandola o valori di TSH ripetutamente alterati32.
Molto discusso è se il litio possa determinare, oltre a ipotiroidismo, anche ipertiroidismo con tireotossicosi; singoli casi di pazienti con ipertiroidismo associato al trattamento con litio sono infatti riportati in letteratura fin dagli anni ’7033,48-52. Il riscontro di tale condizione è comunque raro e il meccanismo d’azione è attualmente solo ipotizzato: sembrerebbe ascrivibile a un danno diretto del litio sui tireociti con tiroidite e conseguente rilascio massivo di ormone tiroideo; altro ipotizzato meccanismo sarebbe autoimmunitario31. I dati provenienti da studi prospettici riportano tassi di incidenza di ipertiroidismo molto bassi33,51, sovrapponibili a quanto stimato nella popolazione generale dallo studio epidemiologico Whickham Survey35; pertanto, alla luce degli studi longitudinali esistenti, è possibile concludere che l’incidenza di tale condizione è estremamente rara e non superiore rispetto a quanto atteso32. È stato rilevato che il quadro di tireotossicosi, qualora insorga, si manifesta nelle prime fasi del trattamento e in giovane età, specialmente nel sesso femminile31.
Alterazioni delle paratiroidi: iperparatiroidismo e ipercalcemia
La relazione tra trattamento con litio e anomalie del metabolismo del calcio è un argomento molto meno noto ai clinici. Sembra tuttavia accertato che il litio sia in grado di provocare aumento dei livelli sierici di paratormone, calcio, se non addirittura in alcuni casi franco iperparatiroidismo e ipercalcemia. Ciononostante un recente studio condotto su pazienti ambulatoriali ha mostrato che solo il 18% dei pazienti in litio aveva eseguito almeno una misurazione del calcio durante il trattamento 26.
Una recente autorevole meta-analisi12 ha individuato 60 studi che trattano la relazione esistente tra terapia con litio e funzionalità paratiroidea: 14 sono studi caso-controllo, 36 sono casi clinici e 6 sono studi di tipo trasversale senza gruppo di controllo. Esistono invece pochissimi studi prospettici, con periodo di follow-up massimo a due anni dall’inizio del trattamento con litio. Sebbene gli studi siano piuttosto datati e presentino un’ampia variabilità sia per quanto riguarda il disegno sia per quanto riguarda la metodologia di esecuzione, le evidenze appaiono consistenti: il trattamento con litio è associato a un aumento (rispetto ai controlli) dei livelli serici di calcio (+0,09 mmol/L) e di paratormone (PTH)(+7,32 pg/mL) 12.
La proporzione di pazienti in trattamento con litio che sviluppa franco iperparatiroidismo non è nota con esattezza. In uno studio, la prevalenza punto di iperparatiroidismo verificato chirurgicamente in un gruppo di pazienti trattati per un minimo di 15 anni con sali di litio è stata del 2,7%53, cioè 7,5 volte superiore rispetto a quanto stimato nella popolazione generale54. Altri studi hanno considerato la proporzione di pazienti con valori di PTH sopra la norma, riscontrando tassi di iperparatiroidismo nettamente superiori, del 19,2% e del 23,3% dopo 15 e 12 anni in media di esposizione al litio, rispettivamente55,56. Per quanto riguarda i tempi di insorgenza, un immediato rialzo del PTH sierico è stato rilevato già dopo una sola somministrazione di litio in volontari sani57,58, mentre un quadro di iperparatiroidismo conclamato è stato descritto già dopo un trattamento della durata di solo 1 o 2 mesi59; uno studio prospettico longitudinale ha mostrato un aumento lineare progressivo dei livelli di PTH nei 2 anni di osservazione, incremento già evidente dopo 1 mese anche se la significatività statistica è raggiunta dopo 6 mesi di terapia continuativa60.
Per quanto riguarda invece la prevalenza di ipercalcemia bisogna fare alcune considerazioni: se si considera il calcio totale serico, la proporzione di pazienti con ipercalcemia è compresa, nei vari studi, tra il 4,5% e il 7,2% dopo 4-19 anni di esposizione al litio26,53,56,61; tali tassi, se considerati come rilievo isolato di valori sopra la norma, non risultano differenti rispetto a quelli riscontrati nella popolazione generale (3,9%54 e 7,6%62); la prevalenza punto di ipercalcemia persistente (almeno due misurazioni ripetute sopra la norma), invece, risulta pari al 3,6%, cioè 3-6 volte superiore rispetto alla popolazione generale53. Valori sopra la norma di calcio ionizzato (calcio libero) sono riscontrati in una proporzione significativa dei pazienti in trattamento con litio, con tassi che variano dal 25% al 42,3%55,56,61. Come per l’incremento dei valori di PTH, è stato riscontrato l’aumento del calcio già dopo un periodo di trattamento della durata di un solo giorno63.
Non è chiaro quale sia il meccanismo attraverso cui il litio determina iperparatiroidismo; il meccanismo d’azione ipotizzato consiste sia nella possibilità di indurre direttamente adenoma e iperplasia a livello delle paratiroidi in soggetti predisposti53, sia nell’inattivazione del recettore del calcio delle cellule paratiroidee con conseguente aumento del rilascio di paratormone (PTH) e quindi aumento delle concentrazioni di calcio a livello plasmatico53,63. Sebbene tale meccanismo appaia il più probabile, non è ancora stato definito con certezza in quanto, spesso, in contraddizione con quanto sopra illustrato, nella pratica clinica si ha riscontro di ipercalcemia in assenza di iperparatiroidismo.
Da un punto di vista di gestione clinica pratica, qualora si evidenzi un rialzo del valore del calcio è innanzitutto necessario confermare nuovamente tale riscontro. Infatti, come precedentemente illustrato, un singolo incremento del calcio non è indicativo di ipercalcemia conclamata o di iperparatiroidismo28. Nel caso in cui si riscontri ipercalcemia persistente si rende opportuno dosare il PTH per confermare o meno la diagnosi di iperparatiroidismo e, in tal caso, richiedere il consulto specialistico endocrinologico per il monitoraggio e la gestione delle possibili conseguenze dell’iperparatiroidismo64. Nei pazienti con ipercalcemia indotta da litio, infatti, si è riscontrata una più alta frequenza di aritmie cardiache, bradicardia e altri difetti di conduzione65. È altresì riportato che l’ipercalcemia persistente compromette la funzionalità renale66, che a sua volta potrebbe risultare ulteriormente alterata dalla concomitante terapia con litio, come sottolineato nel paragrafo precedente.
La gestione del caso richiede una valutazione accurata e personalizzata, in particolare per quanto riguarda il trattamento e la possibilità di una sospensione. Attualmente, infatti, non vi sono evidenze sufficienti del fatto che la sospensione possa normalizzare le alterazioni presenti28. A tal proposito esistono pochi e discordanti dati in letteratura: alcuni casi clinici mostrano una normalizzazione dei valori del calcio in un tempo compreso tra 1 e 4 settimane dopo la sospensione (bisogna però ricordare che in questi casi la durata del trattamento era relativamente breve, in quanto compresa tra 10 giorni e 6 anni)63,67; diversamente, uno studio condotto su pazienti che assumevano litio da almeno 15 anni ha mostrato come i livelli di calcemia non si normalizzassero dopo circa 8 settimane dalla sospensione53.
Alla luce delle evidenze riassunte precedentemente, appare indicato un controllo della calcemia prima di iniziare e durante il trattamento con litio. Fra le linee-guida attuali solo quelle della ISBD28 raccomandano di effettuare una misurazione del dosaggio del calcio prima di iniziare il trattamento con litio; una volta impostato il trattamento, in assenza di elementi clinici suggestivi di alterazione della funzionalità paratiroidea o di alterazioni al momento del primo dosaggio, è consigliata una rivalutazione a sei mesi e successivamente con cadenza annuale11,12,28. Le altre linee-guida2,3,27 non raccomandano di effettuare dosaggi del calcio né prima né durante il trattamento con litio; alla luce delle attuali evidenze scientifiche questa appare una grave lacuna considerato il rischio di sviluppare alterazioni della funzionalità paratiroidea a seguito dell’impostazione di tale trattamento12.
Alterazioni dermatologiche: psoriasi
I dati presenti in letteratura riguardo alle alterazioni cutanee potenzialmente associate al trattamento con litio sono alquanto scarsi e provengono principalmente da descrizioni di singoli casi, da studi retrospettivi e da pochi studi caso-controllo. Sebbene le alterazioni cutanee descritte siano molto varie, quelle rilevate con maggiore frequenza e clinicamente più significative risultano essere acne vulgaris, alopecia e psoriasi. È tuttora dubbio, tuttavia, che il litio determini un incremento significativo del rischio di alterazioni cutanee.
Complessivamente, i dati di prevalenza di alterazioni cutanee non ulteriormente specificate tra i pazienti in terapia con litio sono molto variabili essendo compresi tra il 3,4%68 e il 45%69; in tali tassi sono compresi pazienti con esordio ex novo e pazienti con aggravamento di una patologia dermatologica pre-esistente in alcuni studi, mentre in altri solo i pazienti con esordio ex novo. I pochi studi controllati sembrano suggerire un aumento delle patologie cutanee nei pazienti in trattamento con litio rispetto ai controlli: 34% vs 13,6% nello studio di Sarantidis e Waters70, 45% vs 25% nello studio di Chan et al.69. Stime esatte di prevalenza sono molto difficili. Esistono due soli studi controllati randomizzati recenti in cui il litio è stato confrontato con lamotrigina e placebo per 18 mesi e in cui sono stati rilevati tra i potenziali effetti avversi anche quelli a carico della cute; dall’analisi combinata dei risultati dei due studi non emerge una differenza statisticamente significativa tra litio e placebo per insorgenza di effetti avversi cutanei71. Non è quindi chiaro se il litio esponga a un maggior rischio di sviluppo di patologie dermatologiche in generale.
Per quanto riguarda l’acne, un solo studio caso-controllo ha specificatamente indagato l’insorgenza di acne vulgaris, riscontrando tassi di prevalenza rispettivamente del 33% nei casi e del 9% nei controlli (p<0,0016)69. Tale alterazione è più di frequente riscontro nel sesso maschile, come peraltro è stato riscontrato anche nella popolazione generale, soprattutto se è presente storia personale di acne; l’esordio o il peggioramento si rilevano nelle prime settimane di trattamento. Nel trattamento dell’acne si sconsiglia l’utilizzo di tetracicline a causa delle possibili interazioni con il litio72.
Per quanto riguarda l’alopecia sono presenti 4 studi trasversali senza gruppo di controllo, uno studio caso-controllo, uno studio retrospettivo e due studi controllati randomizzati. I dati di prevalenza che provengono dagli studi trasversali condotti su pazienti con diagnosi miste (unipolari, bipolari e schizo-affettivi) sono molto variabili, compresi tra lo 0,43%68 e il 19%73. L’unico studio caso-controllo che ha specificatamente indagato la prevalenza di alopecia areata ha riscontrato tassi significativamente superiori nei pazienti rispetto ai controlli, ma comunque molto bassi (2,2% vs 0%)70. Dall’analisi dei due studi controllati non emerge però un aumento del rischio di alopecia associato al trattamento con litio: nei due studi, uno verso placebo e l’altro verso valproato, della durata rispettivamente di 12 e 20 mesi, il litio non ha determinato un’insorgenza di alopecia areata significativamente superiore a placebo e valproato, mentre quest’ultimo si è mostrato superiore a placebo e litio nell’insorgenza di tale disturbo 74,75. Qualora si riscontrasse tale disturbo, è consigliabile valutare altre possibili cause di alopecia come, per esempio, l’ipotiroidismo che può determinare fino al 9% dei casi di alopecia; l’alopecia regredisce in genere con l’interruzione del litio72.
Diverso è il discorso per la psoriasi, malattia infiammatoria cronica della cute caratterizzata da anomalie della regolazione della proliferazione dei cheratinociti. Esistono numerose indicazioni in letteratura di casi con esordio ex novo o peggioramento marcato di una psoriasi precedentemente diagnosticata in pazienti trattati con litio (in realtà le segnalazioni sono maggiori per riesacerbazione di una malattia nota). Sono solo 3 i lavori che hanno indagato con un gruppo di controllo la prevalenze della psoriasi nei pazienti trattati con litio. Il primo studio ha rilevato una prevalenza del 2,2% nei pazienti rispetto allo 0% nei controlli 70. Il secondo studio caso-controllo, in cui i dermatologi che valutavano le lesioni cutanee non erano a conoscenza né della storia clinica né delle terapie assunte dai pazienti, ha mostrato una prevalenza del 6% nei pazienti rispetto allo 0% nei controlli, senza però che fosse raggiunta la significatività statistica69. Tale valore, però, appare più elevato rispetto alla prevalenza della psoriasi nella popolazione generale, che risulta essere compresa tra lo 0,6 e il 4,8% a seconda delle diverse aree geografiche76,77. L’aumento del rischio di incidenza di psoriasi dopo trattamento con litio è stato confermato recentemente da uno studio epidemiologico caso-controllo condotto su 36.702 pazienti affetti da psoriasi appaiati per sesso ed età con 36.702 controlli: questo studio ha rilevato un modesto ma significativo aumento del rischio (OR=1,68) di comparsa di psoriasi dopo impostazione del trattamento con litio (almeno 5 prescrizioni)78. Nello stesso studio è stato inoltre riscontrato un significativo aumento del rischio di sviluppo di psoriasi nei pazienti che presentavano un recente esordio di un disturbo psichiatrico (affettivo); i clinici devono quindi tenere presente che l’insorgenza di psoriasi potrebbe essere anche associata a un episodio affettivo acuto e non solo all’inizio di un trattamento con litio.
Il litio sembra quindi aumentare il rischio di esordio o peggioramento della psoriasi; non è invece chiaro quanto tempo intercorra tra impostazione del trattamento e insorgenza della malattia, perché non esistono studi specifici al riguardo. Viene segnalato in diverse rassegne sull’argomento che il periodo di latenza tra inizio del trattamento ed esordio della malattia risulta essere relativamente lungo, in media circa 48 settimane; più breve, invece, il periodo tra impostazione del trattamento e riesacerbazione della psoriasi, che risulta compreso le 4 e le 20 settimane di trattamento 72,79. La sospensione del litio è accompagnata dalla remissione delle lesioni cutanee entro un periodo di massimo sei mesi79. Non risulta ancora chiaro se vi sia una correlazione dose-dipendente rispetto al rischio di riesacerbazione di psoriasi, sebbene la comparsa di lesioni cutanee si manifesti, spesso, quando il litio raggiunge i dosaggi plasmatici terapeutici80.
Il meccanismo d’azione coinvolto nella patogenesi della psoriasi indotta da litio non è ancora stato delucidato completamente, sebbene numerose ipotesi siano state proposte. Il litio sembra provocare alterazioni sia a livello molecolare, alterando i meccanismi di segnalazione correlati all’AMPc e ai secondi messaggeri intracellulari, sia a livello cellulare determinando forse una disregolazione delle citochine proinfiammatorie con conseguente iperproliferazione cellulare a livello dell’epidermide 79. In particolare, il litio a concentrazioni terapeutiche sembra inibire la glicogeno-sintetasi kinasi 3 (GSK-3) nei cheratinociti; questo si tradurrebbe in un aumento dell’espressione di un fattore trascrizionale chiamato NFAT (Nuclear Factor of Activated T-cell) con conseguente induzione della proliferazione dei cheratinociti 81. Il litio non sembra dunque avere un diretto effetto pro-infiammatorio (mediato dai linfociti T, altrimenti altre malattie autoimmunitarie in cui sono coinvolti i linfociti T sarebbero esacerbate dal litio, come artrite reumatoide o sclerosi multipla); è verosimile che mediante l’azione sopra menzionata, il litio eserciti in soggetti geneticamente predisposti una specifica azione a livello dell’epidermide.



Da un punto di vista psichiatrico, la presenza di psoriasi non rappresenta di per sé una controindicazione al trattamento con litio e molto raramente risulta necessario sospendere tale terapia in caso di comparsa ex novo o riesacerbazione della malattia72. Se di lieve entità, la psoriasi può essere gestita mediante trattamenti convenzionali quali l’utilizzo di steroidi topici, retinoidi, o analoghi della vitamina D. Nel caso di quadri clinici importanti, è consigliabile avvalersi di una consulenza dermatologica per poter decidere il trattamento opportuno. Solo in casi estremamente gravi si rendono necessari una sospensione del litio e il passaggio a un altro stabilizzatore dell’umore, effettuando un’attenta analisi di tutti i potenziali rischi e benefici 80. Un’altra opzione da valutare consiste nella riduzione del dosaggio80, considerato che i maggiori effetti a livello cutaneo si riscontrano a concentrazione superiori a 1 mmol/L81.
In conclusione, qualora sia indicato un trattamento con litio in pazienti affetti da psoriasi o con familiarità per tale disturbo, si consiglia di effettuare una consulenza dermatologica prima di iniziare il trattamento e di mantenere un attento monitoraggio clinico durante la terapia con litio. Il riconoscimento e il trattamento delle lesioni cutanee risulta di primaria importanza considerato il rischio di scarsa compliance alle terapie in seguito al peggioramento delle lesioni, con gravi e importanti conseguenze anche sul piano del disturbo bipolare 80.
CONCLUSIONI
Il litio rimane sicuramente un presidio fondamentale per il trattamento del DB nonostante vi siano molteplici farmaci a disposizione dei clinici per le varie fasi del disturbo. Il trattamento a lungo termine con il litio, tuttavia, si accompagna a un aumento del rischio di sviluppo di alterazioni della funzionalità di vari apparati. A livello renale, è sicuramente associato a una riduzione della capacità di concentrazione urinaria, con conseguente poliuria, polidipsia e diabete insipido nefrogenico (che si sviluppa precocemente in una proporzione pari al 10-40% dei pazienti); comporta, inoltre, una riduzione della capacità di filtrazione renale, che può esitare in insufficienza renale nello 0,5% circa dei pazienti in terapia cronica. A livello tiroideo determina sicuramente un aumento dei valori di TSH, con rischio di sviluppare ipotiroidismo che appare incrementato di circa sei volte rispetto ai pazienti che non assumono litio. Meno conosciuto è l’aumento dei valori di PTH e calcio, che si verifica per effetto del trattamento con litio in una proporzione significativa di pazienti. Meno sicuro, infine, è l’effetto del litio nello slatentizzare patologie dermatologiche in soggetti vulnerabili: è probabile che tra le patologie dermatologiche, la psoriasi sia quella che viene più frequentemente riacutizzata dal litio. Nelle Tabelle 1 e 2 vengono riportate le indicazioni delle principali linee-guida internazionali disponibili per il trattamento del DB riguardo al monitoraggio dei pazienti in trattamento con litio.
È necessario, per la corretta gestione del paziente bipolare, conoscere i potenziali effetti a lungo termine del litio (renali, endocrini e dermatologici), per poterli gestire al meglio, spesso in collaborazione con altri specialisti. Il consulto di uno specialista deve, nella maggior parte dei casi, avere come obiettivo la gestione degli effetti a lungo termine mentre la decisione se continuare o sospendere il trattamento con litio deve rimanere di competenza dello psichiatra.
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