L’emergere delle dipendenze comportamentali
The emergence of behavioral addictions

MARTINA VALENTINI1, MASSIMO BIONDI1
E-mail: martina.valentini@uniroma1.it
1Dipartimento di Neurologia e Psichiatria, Policlinico Umberto I, Sapienza Università di Roma

SUMMARY. Behavioral addictions are a new, intriguing clinical and social issue, as epidemiological, clinical and neurobiological findings suggest. DSM-5 for the first time includes them in the new classification, based on specific neural circuits shared by substance use and addictive behaviors. Many issues, however, are still unanswered. When a normal, “good” physiological dependence ends and where disorders starts; when to start treatment; which are the consequences of internet addiction on growing brains. And what to expect in the future.


Il termine “dipendenza” per decenni si è andato associando in modo quasi automatico al concetto di “sostanza”. Le classificazioni presentavano elenchi di sostanze dotate di potere d’abuso o dipendenza, con quadri psicopatologici tipici, caratterizzati da sintomi di intossicazione, di astinenza e di craving. Gli studi ne hanno progressivamente individuato le basi molecolari e i circuiti, in prevalenza centrati sulla dopamina e sugli oppiati endogeni (ma non esclusivamente), e su rispettivi circuiti, soprattutto il cosiddetto “circuito di gratificazione” ( reward system), individuando nel nucleus accumbens uno dei centri chiave1.
Alcuni anni orsono s’iniziò a intravedere che alcuni “comportamenti” patologici presentavano sul piano clinico alcune proprietà straordinariamente simili alla dipendenza da sostanze: la ripetitività; uno stato d’animo di tensione anticipatoria nell’attesa della soddisfazione; una gratificazione, una sorta di “scarica” di piacere nell’eseguirli; fino a una sorta di craving dato dalla loro mancanza. Ancora, tali comportamenti patologici condividono l’implicazione di molte strutture e circuiti cerebrali coinvolti nelle dipendenze da sostanze e anche dei criteri fisiologici come la tolleranza e l’astinenza. Un esempio è stato il caso del disturbo da gioco d’azzardo, riconosciuto a pieno titolo nel capitolo dei disturbi correlati a sostanze e disturbi da addiction. Si sono poi affacciate analogie anche per altri comportamenti, riguardanti il cibo; il sesso; l’attività fisica; l’attività di giochi di ruolo; quella di giochi di ruolo al computer come per Second Life (dove alcune persone venivano assorbite ed estraniate dalla loro vita reale); il “chattare” e l’uso continuo e imperativo dei social media e social network come Facebook e simili; e soprattutto la dipendenza da gioco online.
La ricerca clinica ha confermato forti similarità per questi comportamenti in cui al posto della “sostanza” vi è una “attività”: l’autocontrollo è in difficoltà o del tutto perduto, la libertà della persona di non agire quel comportamento è limitata come per le compulsioni; la mente è occupata dall’idea di farla, come per le ossessioni; il soggetto tenta di resistervi ed evitare il comportamento ma non vi riesce, nonostante si renda conto che ne ha danno; l’immersione nell’attività talora impulsiva è fonte protratta di piacere ed è ricercata come bisogno da soddisfare; spesso vi è colpa, dopo il soddisfacimento; spesso il comportamento crea problemi della funzionalità psicosociale e lavorativa o di studio. Qualcuno suggerì di includere questi comportamenti nel continuum ossessivo-compulsivo per alcune delle loro proprietà, tra cui l’impulsività. Ma nel giro di pochi anni con i primi studi di brain imaging, di polimorfismo e di neurochimica apparve chiaro che questi comportamenti di dipendenza – presto ridefiniti dipendenze comportamentali – erano nel novero delle vere e proprie dipendenze dato che coinvolgevano nel cervello «gli stessi circuiti neurali del piacere/rinforzo» e della dipendenza1,2.
Il riconoscimento ufficiale è stato sancito dal DSM-5, che ha previsto l’ingresso di questi comportamenti nella categoria delle dipendenze3,4. Sono comparsi i primi strumenti per la misurazione della dipendenza da internet5.
Il tema delle dipendenze comportamentali da computer in alcuni Paesi sembra emergere come un’epidemia che colpisce gli adolescenti, in particolare in Estremo Oriente11, dove l’alfabetizzazione digitale in quella fascia di età sembrerebbe addirittura maggiore che in Europa. Sono apparsi i primi ambulatori specializzati nelle dipendenze comportamentali anche in Italia. La dipendenza da corsa (running), da attività fisica (fitness), dal cibo (bulimia e overeating), da mangiare compulsivo ipercorretto (ortoressia), dagli attacchi di fame notturna (night eating), ma anche la dipendenza da sesso e da shopping, sono state discusse come possibili dipendenze comportamentali e per ora tenute fuori dalla classificazione, in parte perché corrispondenti a comportamenti “fisiologici”, diversamente dal gioco d’azzardo o altri, in parte forse per non esporsi alla critica di voler classificare tutto in forma psichiatrica, in parte per non attirarsi la critica di essere oltremodo rigidi verso tutto quello che nelle attività umane sia di fatto “piacevole”. Non solo, la mancata inclusione di questi “comportamenti” nelle classificazioni internazionali è dovuta soprattutto al non sufficiente numero di evidenze scientifiche in grado di giustificarne l’inclusione e il riconoscimento come disturbi. La letteratura internazionale si sta però muovendo in questa direzione, mostrando come anche questi comportamenti di dipendenza “quasi naturali” coinvolgano quegli specifici circuiti neurali centrali, come le dipendenze legate a sostanze.
Varie questioni sono ancora irrisolte: come si modifica il cervello in crescita sotto sovrastimolazione dopaminergica nella protratta dipendenza da internet? E fino a quando le altre dipendenze comportamentali resteranno fuori? Ma, soprattutto, dove finisce la dipendenza fisiologica, normale, egosintonica e parte di una comune vita vissuta con i suoi piaceri e dove comincia il disturbo, una vera e propria dipendenza? Quando iniziare un trattamento? Come andrà a evolversi il concetto di dipendenza comportamentale in un mondo sempre più digitalizzato e indirizzato alla legittimazione di tanta, varia ricerca del piacere personale come norma psicologica?
BIBLIOGRAFIA
1. Chamberlain SR, Lochner C, Stein DJ, et al. Behavioural addiction. A rising tide? Eur Neuropsychopharmacol 2016; 26: 841-55.
2. Yau YH, Potenza MN. Gambling disorder and other behavioral addictions: recognition and treatment. Harv Rev Psychiatry 2015; 23: 134-46.
3. American Psychiatric Association. Diagnostic and statistical manual of mental disorders (5th ed.). Arlington, VA: American Psychiatric Publishing, 2013. Edizione italiana: Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. Milano: Raffaello Cortina, 2014.
4. Biondi M, Bersani FS, Valentini M. Il DSM-5: l’edizione italiana. Riv Psichiatr 2014; 49: 57-60.
5. Young KS. Internet Addiction: the emergence of a new clinical disorder. Cyberpsychol Behav 2009; 1: 237-44.