Disturbo da gioco d’azzardo: epidemiologia, diagnosi, modelli interpretativi e trattamento
Gambling Disorder: epidemiology, diagnosis, interpretative models
and intervention


GIOVANNA CORIALE1,2, MAURO CECCANTI1, SERGIO DE FILIPPIS3,4,
CHIARA FALLETTA CARAVASSO
5, SIMONE DE PERSIS2,3
E-mail: gcoriale@tin.it
1Centro Riferimento Alcologico Regione Lazio (CRARL), Dipartimento di Medicina Clinica, Sapienza Università di Roma
2UOC delle Dipendenze e Patologie d’Abuso, ASL Rieti
3Casa di Cura Villa Von Siebenthal, Genzano di Roma
4Dipartimento di Neuroscienze, Mental Health, and Sensory Organs (NESMOS), Scuola di Medicina e Psicologia, Sapienza Università di Roma
5Dipartimento di Radiologia, Fondazione Santa Lucia, Roma


RIASSUNTO. Il disturbo da gioco d’azzardo è frequentemente sottodiagnosticato e disabilitante con una prevalenza enormemente aumentata negli ultimi anni. Per varie ragioni, solo una piccola parte dei giocatori patologici cerca un supporto, rendendo difficile una precoce individuazione e ritardando quindi la messa in atto di un trattamento appropriato. Nel DSM-5, il disordine è stato riclassificato da un disturbo del controllo degli impulsi non altrimenti specificato in un disturbo di dipendenza e collegato all’uso di sostanze, al fine di migliorare la diagnosi, indirizzare meglio al trattamento e stimolare ulteriori ricerche nel settore. Questo articolo passa in rassegna le tecniche di valutazione, i fattori psicosociali e neurobiologici nello sviluppo del disturbo da gioco d’azzardo e le strategie di trattamento.

PAROLE CHIAVE: disturbo da gioco d’azzardo, comorbilità psichiatrica, strumenti diagnostici, intervento farmacologico, intervento psicologico, eziologia.

SUMMARY. Gambling disorder is a frequently underdiagnosed and disabling disorder with a prevalence greatly increased in recent decades. For various reasons, only a small part of pathological gamblers seek a support making difficult an early identification and delaying the administration of appropriate treatment. In DSM-5, the disorder has been reclassified from an “Impulse-Control Disorder not elsewhere classified” to one of the “Substance-Related and Addictive Disorders” with the intention of improve the diagnosis, to better targeting the treatment and to stimulating further research efforts directed to the disorder. This article reviews assessment techniques, psychosocial and neurobiological factors in the development of pathological gambling and treatment strategies.

KEY WORDS: gambling disorder, psychiatric comorbidity, diagnostic instruments, pharmacological interventions, psychological interventions, aetiology.

IINTRODUZIONE
Il gioco d’azzardo ha ormai assunto dimensioni sociali rilevanti. Quando diventa una dipendenza comportamentale (disturbo da gioco d’azzardo - DGA), determina gravi disagi personali e familiari connessi a conseguenze mediche e sociali. Con l’uscita del DSM-5, il DGA è stato incluso nella sezione dei disturbi da uso di sostanze1. Molte ricerche, svolte negli ultimi anni, hanno infatti dimostrato che il quadro sindromico, il correlato cerebrale, la comorbilità, la fisiologia e il trattamento del DGA sono molto simili a quelli dei comportamenti di abuso e dipendenze, sebbene non comporti l’assunzione di sostanze psicoattive2-4. Lo stato di euforia e di eccitazione del giocatore d’azzardo durante il gioco sarebbe infatti paragonabile a quello prodotto dall’assunzione di droghe. In entrambe le patologie, inoltre, risulta esserci una correlazione con un’alterazione del sistema della gratificazione, caratterizzata da craving e da una coartazione delle modalità e dei mezzi con cui il soggetto si procura il piacere5-7.
EPIDEMIOLOGIA DEL DGA
L’epidemiologia del gioco patologico, rispetto a quella delle altre dipendenze (tossicodipendenza, alcolismo, ecc.), ha ricevuto poca attenzione conseguentemente anche alla difficoltà incontrata nel tempo a considerare il gioco un fattore patogeno in grado di generare dipendenza8. Gli studi effettuati in Europa, ci forniscono dati molto eterogenei, distribuiti in un range che vede la Gran Bretagna nell’estremo di prevalenza più basso di DGA pari allo 0,6%, all’estremo più alto l’Estonia con una prevalenza pari del 6,5%9. Per quanto riguarda l’Italia, a oggi sono state intraprese poche ricerche epidemiologiche su larga scala. In generale, non esistono studi accreditati, esaustivi e validamente rappresentativi del fenomeno e quindi i dati a disposizione ne danno solo una idea. A partire dal 2003, il volume del gioco d’azzardo in Italia ha avuto un andamento crescente.
Secondo i dati del Rapporto Eurispes del 2009, il gioco coinvolge in Italia fino al 70-80% della popolazione adulta (circa 30 milioni di persone), soprattutto gli uomini tra i 20 e i 60 anni. Il giocatore patologico è prevalentemente maschio (86,4%), vive nelle regioni centro-meridionali, ha un diploma di scuola media superiore, spesso fa abbondante uso di alcol (56,4% a rischio di alcolismo) e di tabacco (34,6% forti fumatori). Nel 2011 in Italia sono stati spesi in gioco d’azzardo quasi 80 miliardi di euro. La somma maggiore è stata giocata negli apparecchi (slot machine e videolottery), che hanno raccolto il 56,3% del fatturato totale; seguono i gratta e vinci (12,7%), il lotto (8,5%), le scommesse sportive (4,9%), il superenalotto (3%) e infine il bingo e le scommesse ippiche.
Secondo i dati del Ministero della salute del 2012, la popolazione italiana totale è stimata in circa 60 milioni di persone, di cui il 54% sarebbero giocatori d’azzardo (dato rilevato con la domanda “Lei ha giocato d’azzardo almeno una volta negli ultimi 12 mesi?”). La stima dei giocatori d’azzardo problematici varia dall’1,3% al 3,8% della popolazione generale, mentre la stima dei giocatori d’azzardo patologici varia dallo 0,5% al 2,2%10. Bastiani et al.11 hanno rielaborato dati ottenuti dalla ricerca IPSAD-Italia 2007-08 (Italian Population Survey on Alcohol and Other Drugs) curata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Gli autori hanno stimato una prevalenza di problematiche da gioco d’azzardo nel 2,3% della popolazione giovane (15-24 anni) e del 2,2% della popolazione adulta (25-64 anni). Se si considerano anche coloro che presentano problemi lievi (6,9% nei giovani vs 5,8% negli adulti) è possibile ipotizzare che quasi un ­ita­lia­no­ su 10 potrebbe avere qualche problema con il gioco. L’Agenzia Regionale di Sanità (ARS) della Toscana ha realizzato un lavoro di revisione di ricerche internazionali validate sulla popolazione adulta di età compresa tra i 18 e i 74 anni12; dalla revisione è emerso che circa l’80% della popolazione generale gioca o ha giocato, mentre i giocatori problematici risultano essere dall’1 al 3% della popolazione adulta e dal 3 al 5% dei giovani. Una percentuale che varia dal 25 al 73% dei giocatori d’azzardo patologici ha altra dipendenza da alcol o sostanze. Tra i soggetti dipendenti da sostanze, una percentuale che varia dal 9% al 16% è anche dipendente da gioco. L’incidenza del DGA tra gli adulti riguarda l’1-2% della popolazione. Secondo stime del Dipartimento delle Politiche Antidroga (Dati epidemiologici sul Gioco D’azzardo – Relazione al Parlamento 2011)13 si rischia di passare dal quadro degli anni 2007-2008, in cui l’incidenza del gioco patologico era pari all’1% e quella del gioco problematico pari al 5% della popolazione, a un’incidenza del gioco patologico pari al 7-10% e del gioco problematico del 10-18%. I dati a disposizione suggeriscono con urgenza un piano di intervento di promozione primaria e secondaria del DGA, parallelamente a un lavoro di maggiore comprensione della patologia e dei suoi meccanismi eziopatologici.
STRUMENTI DI DIAGNOSI
Solo nel 1977 il gioco d’azzardo patologico è comparso nella Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-9) e nel 1980 è stato inserito nella sezione dei “Disturbi del controllo degli impulsi non altrimenti classificati” del DSM-III. La quarta edizione del DSM definisce il gioco d’azzardo patologico come caratterizzato da un comportamento persistente e ricorrente non funzionale (1994). Nella quinta edizione del DSM (2013), pubblicata nel maggio del 2013, la denominazione viene modificata da gioco d’azzardo patologico (GAP) a DGA 14. Il Manuale15 elimina qualsiasi distinzione tra diagnosi di abuso e dipendenza da sostanze per unificarla in una sindrome alla quale viene assegnato un gradiente di gravità sulla base del numero di criteri che sono soddisfatti nello specifico quadro clinico. Con il DSM-5 si abbandona la classificazione multiassiale, adottando un’ottica dimensionale, con l’intento di ridurre i falsi negativi e aumentare il numero di soggetti diagnosticabili come affetti da disturbi, e per tale motivo rendendoli eleggibili per un trattamento farmacologico. Nello specifico del DGA, il DSM-5 propone dei cambiamenti importanti relativamente a: classificazione, denominazione, criteri diagnostici, finestra temporale e specificazioni. Rispetto al precedente DSM-IV, una modifica apportata che potremmo considerare fondamentale è lo spostamento del DGA dal capitolo del controllo degli impulsi a quello delle dipendenze (Substance-Related and Addictive Disorders), in linea con la ricerca scientifica degli ultimi anni che ha collocato il DGA più vicino al disturbo da dipendenza 4. I criteri diagnostici per il DGA non subiscono significativi cambiamenti sul piano qualitativo. Il nuovo Manuale cancella però il criterio degli atti antisociali riducendone il numero da 10 a 9. I criteri diagnostici necessari per diagnosticare il DGA sono stati ridotti da 5 a 4. Come nel DSM-IV, anche la quinta edizione del Manuale prevede che la diagnosi di DGA venga esclusa se il quadro di gioco eccessivo compare nel corso di un disturbo maniacale (o ipomaniacale). Il DSM-5 prevede che i criteri diagnostici siano evidenziabili nel soggetto nell’arco di un periodo massimo di dodici mesi affinché́ la diagnosi sia valida. Questa modifica sembra correggere un’errata posizione del DSM-IV secondo la quale la diagnosi di DGA riguardava l’intero arco di vita. Il DSM-5 introduce alcune specificazioni diagnostiche di: decorso, gravità ed esito. Il decorso viene definito come episodico o persistente a seconda dell’andamento temporale del quadro clinico. La gravità̀ clinica viene definita dal Manuale sulla base del numero di criteri diagnostici presenti, presupponendo che un soggetto con 5 criteri sia meno grave di un altro con 8 criteri: Lieve= riscontro di 4 o 5 criteri; Moderata= riscontro di 6 o 7 criteri; Grave= riscontro di 8 o 9 criteri. Infine, il DSM-5 introduce anche per il DGA la specificazione di esito: remissione precoce e remissione prolungata. Attualmente sono disponibili diversi strumenti per lo screening, la diagnosi e la valutazione del livello di problematicità del gioco d’azzardo, ma la maggior parte fanno ancora riferimento alla classificazione del DSM-IV (il SOGS 16, il Questionario DSM-IV proposto da Ladouceur17, il Fisher DSM-IV Screen18, il Beaudoin- Cox19 e il Questionario breve sul comportamento di gioco d’azzardo [Kurzfragebogen zum Glückspielverhalten - KFG] di Petry20). Gli strumenti che invece non sono basati sul DSM-IV si rifanno alla classificazione del disturbo nelle dipendenze (Addiction Severity Index - ASI, gambling21) o nei disturbi ossessivi-compulsivi (pathological gambling Yale Brown Obsessive Compulsive Scale e pathological gambling Clinical Global Impression Scale22); questi due filoni diagnostici sono tra quelli che maggiormente si contrappongono all’attuale schema classificatorio. Altre classificazioni sono di tipo evolutivo (diagramma di Custer23) ed evidenziano gli stadi di progressione da gioco sociale a gioco patologico; altre ancora si basano sull’approccio motivazionale di Prochaska e Di Clemente (MAC-G24), secondo le quali le motivazioni e le aspettative del paziente andranno valutate allo scopo di verificare la concreta possibilità di coinvolgersi in una terapia, a partire dall’intensità della domanda portata, stabilendo obiettivi realistici da raggiungere. Infine, il Sydney Laval Universities Gambling Screen (SLUGS), che si basa sul modello di Blaszczynski25, costituisce un utile strumento per la valutazione e la prevenzione del gioco d’azzardo patologico in quanto, a differenza di altri questionari di indagine, potrebbe riuscire a identificare situazioni patologiche o problematiche precocemente rispetto all’accadimento di conseguenze negative per il soggetto e la sua rete socio-familiare.
COMORBILITÀ DEL GIOCO D’AZZARDO CON I DISTURBI PSICHIATRICI
La presenza di disturbi di personalità (DP) rappresenta un aspetto di vulnerabilità per lo sviluppo del gioco patologico. I DP riflettono una modalità disfunzionale di funzionamento. Utilizzando un approccio categoriale, molti studi hanno trovato una forte associazione tra DGA e i cluster di personalità B, come evidenziato dall’alta prevalenza di DP antisociale, borderline, istrionico e narcisistico26,27. I tratti di impulsività, di disregolazione emotiva, di sensation e novelty seeking tipici di questo cluster di personalità sono stati spesso osservati e riscontrati nei giocatori patologici e sembrano essere alla base dei comportamenti disfunzionali messi in atto da questi individui28,29. Il disturbo antisociale di personalità, in particolare, sembra essere il disturbo maggiormente riscontrato tra i giocatori patologici e anche quello più studiato30,31. Lo studio di Steel e Blaszczynski32 ha messo in luce che nel 53% dei giocatori patologici si riscontra un DP non antisociale32. Nella casistica di Specker et al.33, il disturbo più frequente nei giocatori patologici è risultato il DP evitante seguito dal DP narcisistico e ossessivo-compulsivo. Uno studio americano del 201234 ha esaminato la relazione esistente tra gioco patologico, DP e impulsività. È risultato che il 45,5% soddisfaceva i criteri per almeno un DP e il 18,2% per due o più disturbi. I DP maggiormente riscontrati appartenevano al cluster C: il disturbo ossessivo-compulsivo (27,3%), il disturbo evitante (10,4%) e il disturbo passivo-aggressivo (9,1%). Rispetto al tratto dell’impulsività, indagato usando la Barratt Impulsiveness Scale, lo studio mostra che i soggetti appartenenti al cluster C riportano punteggi elevati solo nella sottoscala relativa all’impulsività legata al decision-making (Attention Impulsiveness), mentre i soggetti del cluster B mostrano punteggi elevati sia nella sottoscala precedente sia in quella relativa agli acting out (Motor Impulsiveness). Questi risultati evidenziano una correlazione positiva tra DGA e impulsività e suggeriscono una comorbilità con specifici aspetti dell’impulsività. Diversamente dall’approccio categoriale, la prospettiva dimensionale, basata su di un’analisi prevalentemente di tipo funzionale, presuppone l’esistenza di un continuum di spettro psicopatologico all’interno dei quali i DP rappresentano l’estremo maladattivo35. Considerando gli aspetti dimensionali della personalità, i tratti temperamentali Sensation Seeking36 e Novelty Seeking37 sono stati associati alla “addictive personality” e caratterizzano i giocatori d’azzardo, sia che essi vengano classificati patologici sia sociali. Nello specifico dell’approccio dimensionale, Cloninger38 ha proposto un modello sociobiologico che integra le componenti genetiche, neurobiologiche e psicologiche. Il modello trova la sua applicazione pratica nel Temperament and Character Inventory (TCI) che ipotizza l’esistenza di 7 dimensioni, di cui 4 temperamentali e 3 caratteriali, nelle quali rispecchiare la personalità e a ciascuna delle quali corrisponde uno specifico schema di comportamento in risposta ai vari stimoli ambientali. I tratti “temperamentali” (Novelty Seeking, o Ricerca di Novità, Harm Avoidance, o Evitamento del Danno, Reward Dependence, o Dipendenza dalla Ricompensa e Persistence, o Persistenza) rappresentano tratti di personalità stabili geneticamente determinati, poco influenzati dalle componenti socio-culturali. Ciascuna delle prime 3 dimensioni rifletterebbe l’attività dei 3 sistemi cerebrali principali cioè il sistema centrale di attivazione comportamentale (dopamina), sistema centrale di inibizione comportamentale (serotonina), sistema centrale di mantenimento del comportamento (noradrenalina). I tratti temperamentali sarebbero, secondo Cloninger, un potente strumento per distinguere i vari disturbi di personalità o per individuare una vulnerabilità per un ampio spettro di disturbi mentali 39. Le dimensioni “caratteriali” (Self-directedness-Autodirettività/Autodirezionalità, Cooperativeness-Cooperatività e Self-Trascendence, Trascendenza/Autotrascendenza), invece, sono da porsi in relazione a influenze educative e socio-ambientali e sono in grado di predire fortemente la presenza di disturbi di personalità40. Nello studio di Kim e Grant41 i soggetti con DGA hanno presentato punteggi significativamente più alti di Ricerca della Novità, valutata mediante il Tridimensional Personality Questionnaire (TPQ)37 rispetto sia a soggetti con DP ossessivo-compulsivo sia ai controlli. Nello stesso studio, l’Evitamento del Pericolo, che può essere definito come la tendenza a una risposta inibitoria a stimoli avversivi, è risultato significativamente più basso nei giocatori patologici; infine, non sono emerse differenze fra i tre gruppi nella scala della Dipendenza dalla Ricompensa. Risulta essere molto alta anche la comorbilità tra i disturbi del I asse del DSM-IV e il gioco patologico. La depressione, l’ideazione suicidaria, i tentativi di suicidio e i suicidi sono molto più comuni nei soggetti con DGA che nella popolazione generale 42,43. Per alcuni il disturbo dell’umore sarebbe la risultante clinica delle conseguenze negative del DGA per altri un fattore eziopatologico44. Anche l’ansia è stata associata al DGA. Se è antecedente, può aumentare notevolmente la probabilità di comparsa del DGA. Il disturbo di ansia più frequentemente associato sembrerebbero le fobie44.
MODELLI INTERPRETATIVI
Modelli interpretativi neurobiologici
È ormai ampiamente riconosciuto che il funzionamento di alcuni sistemi neurotrasmettitoriali (sistema dopaminergico, serotoninergico, noradrenergico e oppioidergico) influenzi come ci sentiamo, quello che pensiamo e quello che facciamo. È stato dimostrato come lo sbilanciamento all’interno di questi sistemi sia correlato con la fisiopatologia del DGA45. La maggiore collocazione dei neuroni dopaminergici è situata nell’aria tegmentale ventrale che ha innumerevoli collegamenti con il sistema limbico, la corteccia cingolata anteriore, la corteccia orbito-frontale e i nuclei accubens. La via dopaminergica sembrerebbe avere un ruolo molto importante nel mediare comportamenti finalizzati al raggiungere sensazioni di piacere. Nel DGA, alterazioni del sistema dopaminergico sarebbero responsabili della forte tendenza a cercare situazioni che forniscono alti livelli di piacere e di attivazione che a sua volta determinerebbe un aumento del rilascio di dopamina e un aumento della sensazione di piacere 46,47. Studi di neuroimmagini hanno evidenziato una ipoattivazione della corteccia prefrontale, ventrolaterale e ventromediale e dello striato ventrale durante il gioco suggerendo una risposta neurofisiologica ridotta in soggetti con il DGA48. Il sistema serotoninergico si origina dai nuclei del rafe e si connette con molte aree del cervello. È coinvolto nella regolazione di un’ampia gamma di funzioni e comportamenti (umore, ansia, apprendimento, sesso, appetito e impulsività). Il malfunzionamento di questo sistema sarebbe collegato a un aumento della vulnerabilità a comportamenti impulsivi come aggressioni e suicidio49. È stato riscontrato un decremento della concentrazione di monoamino-ossidasi B piastrinica (marker periferico del funzionamento serotoninergico), dei metaboliti della serotonina (per es., acido 5-idrossindolacetico) nel liquido cerebrospinale che farebbero pensare a un malfunzionamento del sistema serotoninergico nel DGA50. I neuroni noradrenergici sono densamente concentrati nel nucleo ceruleus che si proietta a diverse regioni del cervello e del midollo spinale. Il nucleo ceruleus sarebbe responsabile dei livelli di vigilanza e della risposta a stimoli nuovi. Roy et al.51 hanno osservato la presenza di alti livelli di concentrazione di metaboliti della noradrenalina nel liquido corticospinale e di noradrenalina nell’urina indicante un coinvolgimento del sistema noradrenergico nel GAP. Gli oppioidi endogeni sono prodotti naturalmente e contribuiscono a determinare una sensazione di benessere e diminuire la percezione di dolore. Nel DGA tale sistema sembrerebbe iperattivato e ciò spiegherebbe anche l’efficacia di alcuni trattamenti farmacologici (antagonisti degli oppiacei come il naltrexone e il nalmefene) 52,53. Come detto in precedenza, il DGA è stato inquadrato come una dipendenza patologica nel nuovo DSM-5. Alla base di questo nuovo importante mutamento nosografico vi sono delle evidenze di analogie tra DGA e dipendenze patologiche sia a livello fenomenologico-clinico (craving, reward, per fare alcuni esempi) sia di correlati neurobiologici54,55. Alla luce di tali dati, suggeriamo di poter estendere, con le dovute cautele, il modello neurobiologico delle dipendenze patologiche proposto da Koob e Volkow56 anche al DGA, così da offrire interessanti chiavi ermeneutiche per una comprensione più articolata del “momento” che sta attraversando il paziente affetto da DGA nel contesto della “sua storia di dipendenza”. Il ciclo della dipendenza (Figura 1) è caratterizzato, secondo Koob e Volkow56, da 3 stadi: intossicazione/abbuffata (intoxication/binge), astinenza/effetto negativo (withdrawal/negative affect), preoccupazione/anticipazione (preoccupation/anticipation).



Ciascuno dei tre stadi è sostenuto da alterazioni a carico di strutture cerebrali ben definite, come evidenziato dagli esperimenti sugli animali e dagli studi di neuroimaging: area tegmentale ventrale e striato ventrale per lo stadio di intossicazione; amigdala per lo stadio di astinenza; corteccia prefrontale e striato dorsale per lo stadio di preoccupazione/anticipazione. Nel passaggio dagli stadi precoci di tale ciclo, caratterizzati da un uso occasionale e controllato delle sostanze, agli stadi avanzati caratterizzati da un uso cronico e non controllato, si verifica uno spostamento da “impulsività” a “compulsività”. L’impulsività, definita come una predisposizione verso una rapida e non programmata reazione a stimoli interni ed esterni, senza riguardo nei confronti delle conseguenze negative di queste reazioni verso se stesso o altri 57, è sostenuta da meccanismi di rinforzo positivo. Inoltre, come dimostrato da Allen et al.58, nei soggetti con storia di dipendenza la scelta di un rinforzo minore ma immediato prevale rispetto alla scelta di un rinforzo maggiore ma più lontano nel tempo. La compulsività, definita come perseveranza all’azione, nonostante le conseguenze avverse59, è sostenuta da meccanismi di rinforzo negativo (per es., astinenza). Secondo Everitt et al.60, questo spostamento sarebbe sostenuto da meccanismi di neuroplasticità, che porterebbero a una transizione dal controllo corticale prefrontale al controllo striatale, accompagnato da un progressivo interessamento dalle regioni ventrali alle regioni più dorsali dello striato. Questa ipotesi è in parte supportata dagli studi di neuroimaging nell’uomo che dimostrano l’alterazione della corteccia prefrontale nei soggetti tossicodipendenti61,62.
Modelli neurocognitivi
L’approccio neuropsicologico cerca di spiegare il funzionamento del cervello indirettamente attraverso la prestazione a test che misurano le funzioni cognitive. Nel DGA, la funzione cognitiva del linguaggio, quella percettiva, di memoria di lavoro e quella intellettiva sarebbero integre63. Risulterebbe, invece, alterato il funzionamento esecutivo che si esprimerebbe attraverso la difficoltà a inibire la risposta, di pianificazione, di flessibilità e prendere decisioni64,65. In uno studio di neuroimmagine, la capacità di inibizione è stata indagata mediante lo Stroop Test. Il compito del test è quello di pronunciare ad alta voce il colore con cui è stampata una parola. L’effetto Stroop si verifica quando il significato semantico della parola indica un colore diverso da quello con cui è stata stampata. In questa condizione, il compito è eseguito bene se si riesce a controllare la risposta automatica di leggere il colore in cui la parola è scritta piuttosto che la parola stessa. I risultati hanno messo in evidenza una ipoattivazione della corteccia ventromediale del prefrontale correlata a una prestazione deficitaria al test 66. La capacità di inibire la risposta è stata trovata deficitaria anche utilizzando il test GO/NO-GO che misura l’attenzione sostenuta e la capacità di controllo motorio67. La capacità di controllo inibitorio a livello comportamentale si esprime attraverso l’impulsività. Il DGA è frequentemente associato all’impulsività. In passato, è stato considerato fondamentale nello sviluppo e nel mantenimento tanto da considerare il DGA «un disturbo del controllo degli impulsi»68,69. L’impulsività è stata riscontrata frequentemente utilizzando test autosomministrati come la scala di Barratt (BIS11) e il questionario sull’impulsività di Eysenck70,71. La flessibilità cognitiva è stata indagata nel DGA usando il Wisconsin Card Sorting Test (WCST) risultando significativamente compromessa72. Anche la capacità di prendere decisioni risulterebbe fortemente deficitaria, come si evince dalla prestazione al Iowa Gambling Test. Il test misura la capacità di bilanciare la percezione di guadagni immediati e le conseguenze negative a lungo termine nell’effettuare una precisa scelta decisionale. Ci sarebbe una forte tendenza nel DGA a prediligere scelte rischiose. Molti studi hanno dimostrato come la prestazione al Iowa Gambling Test sia mediata dal funzionamento della corteccia ventromediale prefrontale compromesso nel DGA 45,73. Rimane ancora poco chiaro se le distorsioni cognitive collegate al gioco patologico (esempio, i giudizi di probabilità errati) mediano negativamente la capacità decisionale esacerbando l’assunzione del rischio, come evidenziato dai test neuropsicologici. In altre parole, il dubbio che rimane è se il danno neuropsicologico relativo al “prendere decisioni” predisponga al DGA oppure ne sia la conseguenza. Alcuni lavori sottolineano come i vari disturbi di dipendenza (alcol, gioco d’azzardo, ecc.) condividano gli stessi disturbi cognitivi 74 e ciò farebbe pensare a un funzionamento cognitivo selettivamente deficitario precedente la dipendenza, ma ulteriori studi dovrebbero essere portati avanti per chiarire questo aspetto.
Modelli interpretativi integrati (bio-psico-sociali)
Numerose ricerche scientifiche hanno cercato di individuare le dinamiche neurobiologiche, psicologiche e demografiche che possono condurre l’individuo a sviluppare e mantenere una dipendenza da gioco. Attualmente i modelli più accreditati che rendono conto della patologia sono tre. Il primo modello fu elaborato da Sharpe75 ed è noto come Modello Biopsicosociale del Gioco Patologico (Figura 2).



Secondo questo modello, ci sarebbe una vulnerabilità genetica (componente biologica) a carico dei sistemi dopaminergico, serotoninergico e noradrenergico che porterebbe anche a una vulnerabilità psicologica (per es., presenza di tratti impulsivi) per lo sviluppo del gioco patologico (componente psicologica). Quello che si pensa del gioco in famiglia o nel contesto sociale (componente sociale) in cui si vive ha un’influenza sull’attitudine al gioco. Rispetto alla componente psicologica, individui rinforzati positivamente dal gioco e con poca sensibilità agli effetti della punizione sembrerebbe preferire i giochi “veloci” cioè giochi che garantiscono vincite o perdite piccole come il gioco alle macchinette elettroniche. E ancora, individui con scarse abilità nella soluzione dei problemi, con difficoltà a prevedere le conseguenze dei comportamenti correrebbero un grosso rischio a sviluppare il gioco patologico.
Alcune esperienze di gioco possono condizionare le aspettative del gioco. Chi ha vinto all’inizio grosse vincite potrà avere l’illusione che presto ricapiterà; chi ha ottenuto tante piccole vincite potrà convincersi che la costanza nel gioco prima o poi lo premierà. Si sviluppano, quindi, delle distorsioni cognitive che possono portare, per esempio, a sovrastimare le volte in cui ci sono state delle vincite.
Il modello assume che il gioco patologico si sviluppi e si mantenga per effetto dei processi di condizionamento classico e operante: il gioco viene associato a uno stato di eccitamento mediante il condizionamento classico, che a sua volta condiziona positivamente verso il gioco76. In questa cornice teorica, le vincite saltuarie funzionerebbero come un rinforzo intermittente alimentando enormemente le distorsioni cognitive.
L’associazione condizionata tra gioco ed eccitamento e cognizioni collegate al gioco agirebbero come stimolo al desiderio o bisogno di giocare. Inoltre, il desiderio di giocare può essere influenzato dagli eventi della vita e gli antecedenti che portano al gioco, differenti in base al tipo di giocatore. Per colui che gioca alle corse, la noia potrebbe essere l’antecedente che lo porta a giocare per raggiungere uno stato di eccitamento che contrasti l’apatia di partenza; per colui che gioca alle macchinette elettroniche, un umore disforico potrebbe essere l’antecedente che lo porta a giocare. Quando il desiderio di giocare viene assecondato, le vincite e le perdite saranno giustificate utilizzando distorsione cognitive collegate, per esempio, al senso di potere personale in caso di vincite, alimentando il loop che mantiene il gioco patologico.
Riassumendo, Sharpe75 propone un modello che integra vulnerabilità bio-psicologica, esperienza di gioco, attivazione e percezioni cognitive per spiegare come si sviluppa il gioco patologico e propone uno schema stimolo-desiderio di gioco per rendere conto del perché comportamenti collegati al gioco patologico si mantengono nel tempo. È stato molto complicato, nel corso degli anni, elaborare un modello teorico che tenesse conto della complessa interazione tra fattori biologici, psicologici e ambientali44,77,78. Un approccio alternativo ai modelli è stato quello di individuare dei sottotipi di giocatori, definiti dallo stesso fenotipo, ma con fattori eziopatologici differenti. A livello clinico è stato infatti riconosciuto che, sebbene sintomi di depressione, uso di sostanze, impulsività, comportamenti antisociali siano comunemente osservabili in tutti i giocatori d’azzardo patologici, il ruolo di questi fattori nell’eziologia e nel mantenimento della patologia varia da persona a persona 44,79. Per esempio, tre quarti dei giocatori d’azzardo manifestano sintomi depressivi, ma per alcuni sono pregressi al DGA, per altri sono la conseguenza dei problemi determinati dal DGA44. Ovviamente, questa distinzione ha un notevole impatto sulla scelta del tipo di trattamento. Sulla base di queste osservazioni, Blaszczynski et al.80 propongono un modello che cerca di integrare fattori biologici, di personalità, la teoria dell’apprendimento, fattori ambientali in una cornice teorica più ampia. Il modello presuppone l’esistenza di tre vie che portano al gioco patologico e quindi di tre tipologie di giocatori d’azzardo (Figura 3).
La prima tipologia (Tipologia 1: Giocatori senza Psicopatologia) è caratterizzata da giocatori che non presentano problemi psicologici e che sviluppano la dipendenza in virtù degli effetti del condizionamento classico o operante. Per questa tipologia, il gioco è un mezzo per divertirsi e stare in mezzo agli altri. Una volta che la dipendenza si è instaurata, possono comparire sintomi depressivi o di ansia ma come conseguenza degli effetti negativi del gioco (perdite consistenti di denaro, rapporti amicali e familiari problematici, ecc.). Non presentando una psicopatologia grave, è una tipologia che usufruisce con successo di interventi di terapia breve.
La seconda tipologia (Tipologia 2: Giocatori Emotivamente Labili) presenta, a differenza della prima, una situazione premorbosa (rispetto allo sviluppo della dipendenza da gioco) di sofferenza nella dimensione dell’ansia e depressione, una storia di difficoltà nell’affrontare in modo funzionale gli eventi stressogeni della vita e una storia familiare problematica. Gli autori chiamano questa tipologia “soggetti emotivamente labili” a causa di fattori psicosociali e biologici. In questa cornice, il gioco è un mezzo per gestire stati emotivi negativi o di ricerca di stimolazione emotiva. Il trattamento per questa tipologia dovrebbe prevedere sia un intervento per gestire i comportamenti collegati al gioco sia un altro per trattare la psicopatologia.
La terza tipologia (Tipologia 3: Giocatori con tratti antisociali) è caratterizzata da una vulnerabilità emotiva e biologica come la seconda tipologia, da cui si differenzia per la presenza di tratti di personalità antisociale, comportamenti impulsivi e difficoltà attentive81. Sono persone che possono avere problemi legali, abusare di alcol e altre sostanze. Questo tipo di giocatore è poco motivato a cercare un trattamento e, quando vi si sottopone, la prognosi è tendenzialmente negativa. Come si vede dalla figura 4, le tre tipologie condividono alcuni processi e sintomatologie, ma si distinguono l’una dall’altra per altre caratteristiche. Caratteristica comune è rappresentata dai fattori ecologici, cioè la legislazione vigente che regola il gioco, che crea un ambiente in cui il gioco può essere più o meno accettato o incoraggiato. Altro processo comune è rappresentato dai processi di apprendimento classico od operante, che aumentano la probabilità di mettere in atto comportamenti collegati al gioco, di sviluppare un rituale di comportamenti e di stabilizzare pensieri cognitivi errati relativi, per esempio, alla probabilità di vincere o di quanto questa sia collegata ad abilità personali.



Infine, il terzo modello, in ordine cronologico, è stato elaborato da Shaffer et al.82 ed è noto come Modello sindromico della dipendenza (Figura 4). Il modello parte dall’osservazione di come molte forme di addiction (alcol, gioco patologico, fumo) abbiano, nella comorbilità e nei fattori eziopatologici di natura neurobiologica e psicosociale, una base di condivisione. Anche le modalità con cui si esprime la dipendenza sarebbero simili, tant’è che un alcolista potrebbe diventare anche un giocatore patologico e viceversa. Entrambi i modelli di Shaffer et al. 82 e di Sharpe75 attribuiscono un grosso peso all’interazione tra la vulnerabilità e le esperienze di gioco. A differenza del modello di Sharpe in cui si dà un ruolo molto importante alle distorsioni cognitive come uno dei fattori che portano allo sviluppo e al mantenimento della dipendenza, nel modello di Shaffer è l’associazione tra gioco e stato emotivo di piacere ad avere un ruolo preminente. Dal momento in cui il gioco può portare a perdere o a vincere, è possibile che alcune persone rinforzino l’associazione gioco-dispiacere, altre quella del gioco-piacere. La predisposizione determina quale delle due associazioni prenderà piede.



TRATTAMENTO
L’approccio al paziente con DGA deve essere integrato e multidimensionale e quindi prevedere un trattamento farmacologico parallelamente a quello psicologico, e coinvolgere non solo il paziente ma anche i familiari.
Trattamento farmacologico
Quasi tutti le classi di farmaci psicotropi sono state utilizzate nel trattamento del DGA, dagli antidepressivi22,70,83-86, agli stabilizzatori dell’umore86,87, gli antagonisti degli oppiacei53,88-90 e gli antipsicotici atipici90.
Antidepressivi
I risultati degli studi presenti in letteratura riguardanti l’utilizzo degli antidepressivi sono controversi; molti evidenziano l’effetto positivo di questi farmaci pur essendo studi non controllati, altri mostrano un effetto non significativo o addirittura negativo sul decorso della patologia91. L’unica eccezione sembra essere il trattamento con la paroxetina92. Alcuni studi mostrano infatti che il trattamento prolungato con gli SSRI potrebbe risultare utile riducendo il livello di coinvolgimento emotivo legato al rischio durante i processi decisionali e quello dell’appagamento del bisogno. Tuttavia, un ampio studio randomizzato condotto da Grant et al.84, utilizzando SSRI, ha dimostrato solo un minimo effetto positivo non statisticamente significativo. Infine, alcuni studi considerano l’efficacia del bupropione nel trattamento del DGA. I meccanismi alla base del suo effetto positivo come antidepressivo e nel controllo della sindrome astinenziale rimangono poco chiari, e sembrano essere legati all’azione combinata del bupropione e del suo metabolita attivo idrosibupropione nell’inibizione del reuptake della dopamina (DA) e della norepinefrina (NE) a livello dei centri cerebrali coinvolti nei processi di appagamento e alla loro azione come antagonisti non competitivi dei recettori α4β2 e α3β4*-nAChRs 93,94.
Antagonisti degli oppioidi
Sia il naltrexone sia il nalmefene si stanno rivelando farmaci promettenti nel trattamento del DGA con tre RCTS positive e due studi non controllati. Un quarto RCT95 mostrerebbe poca differenza nell’utilizzo del naltrexone rispetto al placebo, ma una post-analisi dei pazienti che hanno ricevuto il farmaco al dosaggio pieno per almeno una settimana evidenzia un effetto statisticamente positivo rispetto al placebo sulla riduzione dei sintomi con un dosaggio di 40 mg/die. Gli studi che mettono a confronto direttamente il naltrexone con il bupropione non mostrano grandi differenze circa la loro efficacia e/o inefficacia96. Il follow-up a lungo termine di questi studi mostra che i pazienti che rispondono al trattamento con naltrexone protratto per 12 settimane rimangono ancora asintomatici dopo sei mesi dalla sospensione del farmaco97. I pazienti trattati con nalmefene hanno una riduzione statisticamente significativa del DGA. Il trattamento con nalmefene a basso dosaggio (25 mg/die) è risultato essere efficace e ben tollerabile per la bassa incidenza di effetti collaterali. Diversamente, dosaggi più alti (50 o 100 mg/die) hanno presentato l’elevato rischio di effetti collaterali53. Un’anamnesi familiare positiva per alcolismo sembra essere predittiva della risposta al trattamento con gli oppioidi in soggetti con DGA. Sono necessari nuovi studi per identificare i fattori (per es., quelli genetici) coinvolti nella risposta positiva al trattamento dei pazienti con questa categoria di farmaci98.
Stabilizzatori del tono dell’umore
L’efficacia degli stabilizzatori dell’umore nel trattamento del DGA non è molto chiara99. L’unico RCT diretto a confrontare l’utilizzo del litio piuttosto che del valproato non mostra differenze significative sull’efficacia di questi farmaci100. Gli stabilizzatori del tono dell’umore presentano efficacia nel controllo degli impulsi così come nel ridurre il “craving” e il rischio di ricadute nei pazienti che utilizzano sostanze. In uno studio randomizzato a doppio cieco della durata di 10 settimane sono stati arruolati 40 pazienti affetti da DGA e da un disturbo della sfera bipolare. Un gruppo veniva trattato con placebo e un gruppo con dosi elevate di carbonato di litio (dosaggio medio 1170 mg/die). Lo studio ha dimostrato che il trattamento con il litio è risultato efficace sia nel ridurre il DGA sia nella stabilizzazione del tono dell’umore 101. Un altro studio condotto su 42 pazienti affetti da DGA, ma non presentanti disturbo bipolare trattati in singolo cieco con litio e valproato, ha evidenziato l’efficacia di entrambi i farmaci sulla riduzione dei sintomi100. Nel 2008 è stato condotto uno studio attraverso l’utilizzo di scansioni PET su 21 pazienti affetti da DGA e disturbo bipolare. Sedici pazienti sono stati trattati in doppio cieco con il placebo e gli altri con il litio e hanno ricevuto un follow-up attraverso la PET per 10 settimane. I risultati hanno indicato che le aree corticali coinvolte nel controllo degli impulsi (corteccia orbito-frontale e medio-frontale) presentano in condizioni basali una maggiore attività nella rGMR nei pazienti affetti da DGA. Il trattamento con il litio, alleviando i sintomi, tuttavia incrementa l’attività della rGMR 102. Uno studio prospettico pubblicato nel 2008 ha testato l’efficacia e la tollerablità del trattamento con carbamazepina in 8 pazienti affetti da DGA trattati per 10 settimane. Questi risultati suggeriscono che il trattamento prolungato con carbamazepina può essere efficace nel trattamento dei pazienti affetti da DGA103. Infine, studi più recenti effettuati con l’utilizzo di topiramato non hanno evidenziato nessuna efficacia di questo farmaco nel trattamento del DGA104.
Antipsicotici
Nella gestione del DGA un discreto interesse è stato destato dall’uso degli antipsicotici atipici, anche se in letteratura sono presenti pochissimi studi al riguardo. Sono stati condotti due studi che mettono a confronto l’utilizzo di olanzapina e del placebo e che non hanno mostrato alcuna efficacia dell’olanzapina nel trattamento del DGA105,106. Non sembrano invece esplicare alcun effetto gli antipsicotici tipici.
Altri farmaci
Lo studio di Zack e Poulos107, un trial in doppio cieco con il placebo condotto su 20 pazienti, ha cercato di evidenziare se il modafinil (dosaggio medio 200 mg/die) è in grado di ridurre gli effetti di rinforzo del DGA legato alle slot machine in pazienti affetti da DGA e se la sua efficacia è maggiore nei pazienti con scarso controllo degli impulsi. I risultati hanno mostrato che il modafinil ha effetti bidirezionali su questi due gruppi. Lo stesso gruppo di pazienti è stato rivalutato in uno studio prospettico in cui si è evidenziato che il modafinil può scoraggiare i pazienti affetti da GAP dal tentativo di recuperare le perdite, ma li incoraggia a continuare a perdere piuttosto che smettere quando stanno vincendo 108. Negli ultimi anni il glutammato è diventato un punto centrale nella ricerca sull’addiction, in special modo per i disturbi da discontrollo degli impulsi, nel craving e nella prevenzione delle ricadute. Attualmente, solo due trial109,110 hanno evidenziato risultati promettenti sull’utilizzo delle sostanze glutammatergiche per il trattamento del DGA. Numerosi altri studi da effettuarsi su larga scala sono ancora necessari per poter trarre delle conclusioni significative al riguardo111. A oggi non sono disponibili linee-guida per il trattamento farmacologico del DGA perché nonostante molti farmaci si siano dimostrati efficaci nel trattare il GAP, nessuno di questi si è dimostrato di efficacia superiore. Nel complesso, i differenti approcci farmacologici, attualmente considerati di riferimento per il DGA, derivano dai principali modelli di approccio psicopatologico e fenomenologico del disturbo stesso. La concettualizzazione del DGA come disturbo dello spettro ossessivo-compulsivo ha sostenuto l’uso di farmaci ad azione antiossessiva, ovvero antidepressivi capaci di potenziare la trasmissione serotoninergica. Il DGA come dipendenza comportamentale ( behavioral addiction), caratterizzata da fenomeni di tolleranza e astinenza, ha indirizzato all’uso di farmaci con attività antagonista a livello dei recettori degli oppioidi. Infine, il DGA, considerato espressione e conseguenza di disregolazione affettiva in significativa relazione con i disturbi dell’umore, ha portato all’utilizzo di stabilizzanti dell’umore, quali il litio e gli antipsicotici atipici, come avviene nel trattamento delle forme depressive resistenti e del disturbo bipolare. Nella pratica clinica, il tipo di farmaco da utilizzare dipende anche molto dalla presenza o meno di comorbilità: se il DGA coesiste con un disturbo depressivo si useranno antidepressivi stabilizzatori dell’umore in presenza di disturbo bipolare e così via.
Trattamento psicologico
Molti studi hanno evidenziato che il gioco patologico vada trattato sempre e che è preferibile sottoporre il giocatore patologico a un trattamento clinico piuttosto che lasciarlo al suo destino112,113. A livello scientifico, l’approccio che ha accumulato maggiori evidenze di efficacia è quello cognitivo-comportamentale113-115. L’approccio cognitivo-comportamentale combina l’uso di tecniche cognitive con tecniche comportamentali. I modelli comportamentali considerano il gioco patologico una conseguenza rinforzata all’interno di una equazione funzionale che prevede una situazione che precede il comportamento e la conseguenza comportamentale. Il trattamento consiste nel modificare una o più componenti dell’equazione attraverso strategie quali l’individuazione di attività alternative funzionali, il riconoscimento delle situazioni che attivano il comportamento disfunzionale, l’esposizione alla situazioni ad alto rischio di ricadute e l’uso di tecniche che aumentano l’assertività, la capacità di soluzioni dei problemi e di rilassamento 116,117. Negli ultimi anni, tecniche comportamentali come la desensibilizzazione e le procedure di esposizione hanno ricevuto maggiore attenzione rispetto alle tecniche avversive, rilevandosi altrettanto efficaci118. Il trattamento cognitivo si focalizza soprattutto sulla modifica dei pensieri disfunzionali che caratterizzano e sostengono il gioco patologico come, per esempio, la tendenza a sovrastimare la probabilità di vincita, l’illusione di avere un controllo sulla vincita, la convinzione che una vincita debba necessariamente verificarsi dopo una sequenza di perdite (fallacia del giocatore), la tendenza a ricordare solo le vincite e dimenticarsi le esperienze negative connesse alle perdite 119,120. Gooding e Tarrier114 hanno valutato l’efficacia del trattamento cognitivo-comportamentale confrontando 22 lavori scientifici pubblicati sull’argomento. Nonostante abbiano trovato una notevole variabilità nei risultati relativi alla riuscita, in generale, prevale l’impatto positivo del trattamento indipendentemente dal tipo di approccio (cognitivo, comportamentale e cognitivo-comportamentale) e dalla modalità (terapia individuale vs terapia di gruppo)118. Wulfert et al.121 hanno valutato l’efficacia di un trattamento che combina la terapia cognitivo-comportamentale con le tecniche del colloquio di motivazione, molto usate per gestire l’ambivalenza e motivare al cambiamento dei comportamenti collegati alla dipendenza. I risultati ottenuti si sono rivelati molto interessanti e a favore di un uso combinato dei due approcci.
CONCLUSIONI
Nonostante i molti progressi fatti nella comprensione dell’eziopatologia e nella validazione di trattamenti efficaci nella gestione clinica del gioco patologico, molte questioni rimangono tutt’ora irrisolte. Il gioco patologico si associa molto frequentemente alla dipendenza da altre sostanze o/e da altre patologie psichiatriche. La gestione farmacologica del disordine psichiatrico concomitante al DGA rimane ancora una questione da approfondire dal punto di vista scientifico. Altra questione aperta riguarda la natura dell’obiettivo del trattamento: è necessario finalizzare il trattamento all’astinenza dal gioco o è possibile proporre o accettare un gioco “controllato”? I pochi dati che abbiamo ci dicono che anche se il paziente scegliesse il gioco controllato, a mano a mano che procede il trattamento e sperimenta la difficoltà di contenere il gioco, è lui stesso che chiede di cambiare obiettivo a favore di un’astensione completa 122. Ulteriori studi sono necessari per stabilire se effettivamente un obiettivo più flessibile dia migliori risultati in termini di una maggiore aderenza al trattamento e riduzione del danno rispetto a una posizione più rigida che chiede fin dall’inizio del trattamento un astensione dal gioco. Inoltre, anche se evidenze scientifiche depongono a favore di una maggiore efficacia del trattamento cognitivo-comportamentale, ulteriori ricerche andrebbero fatte per verificare la sua reale efficacia e l’efficacia di altri trattamenti. Infine, nonostante i giocatori patologici siano molti, solo pochi di essi cercano aiuto e richiedono un trattamento. Suurvali et al. 123 hanno rilevato che solo il 6% della popolazione clinica richiede un intervento. I fattori responsabili di questa poca propensione al trattamento possono essere svariati, dalla convinzione non realistica di potercela fare da solo a risolvere il problema, alla vergogna a esporsi, alla poca visibilità e chiarezza delle strutture dove recarsi per chiedere aiuto. Sarebbe necessario riflettere ulteriormente su come motivare il giocatore patologico a chiedere aiuto, parallelamente a uno sforzo a rendere più fruibili le strutture di cura e gestione clinica della patologia.
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