Distress psicologico durante la pandemia da Covid-19: un’analisi sull’uso di farmaci antipsicotici in un campione di popolazione italiana

Francesco Ferrara1, Ugo Trama2, Eduardo Nava1, Roberto Langella3, Filomena Valentino4, Andrea Zovi5

1Dipartimento Farmaceutico, Asl Napoli 3 Sud, Nola (Napoli); 2Direzione Generale per la Tutela della Salute e il Coordinamento del Sistema Sanitario Regionale, Napoli; 3Società Italiana di Farmacia Ospedaliera (SIFO), Segreteria SIFO della Regione Lombardia; 4Università di Milano; 5Ministero della Salute, Roma.

Riassunto. Introduzione. La pandemia in corso, oltre ad aver messo a dura prova i sistemi sanitari e le economie mondiali, ha aggravato le problematiche psichiatriche e minato la salute mentale di molte persone. È cosa nota che gli eventi epidemici, e in particolare i periodi di lockdown, elevano il rischio di sviluppare disturbi d’ansia, depressione e comportamenti aggressivi. Materiali e metodi. In una coorte italiana è stato valutato questo fenomeno con uno studio retrospettivo che mira a valutare i consumi e i costi dei farmaci antipsicotici negli anni 2020-2022 durante e dopo la pandemia Covid-19. Sono state estrapolate, grazie a una banca dati denominata “Sistema Tessera Sanitaria”, tutte le dispensazioni effettuate nelle farmacie territoriali aperte al pubblico su una popolazione di circa 1 milione di persone. Risultati. I risultati negli anni 2020-2021 sono stati pressoché costanti con consumi e spesa che sono anche leggermente in diminuzione dall’anno 2020 all’anno 2021 con il solo farmaco aripiprazolo che risulta essere in controtendenza registrando consumi in aumento. Nonostante le attese sono per un aumento dei consumi dei farmaci antipsicotici, in realtà in real world evidence si assiste a un fenomeno diverso con la pandemia che sembra non aver influito sul consumo dei farmaci antipsicotici. Conclusioni. Sicuramente la difficoltà di accesso alle cure e alle visite mediche hanno influenzato il dato, portando a mascherare il bisogno terapeutico dei cittadini. Sarà da valutare nei prossimi anni, con la ripresa della normale attività clinica, se si assisterà a un crescente consumo di questi farmaci che sono uno dei principali capitoli di spesa del sistema sanitario nazionale.

Parole chiave. Antipsicotici, Covid-19, farmacoutilizzazione, pandemia, problemi neurologici, studio retrospettivo.

Psychological distress during the Covid-19 pandemic: an analysis of antipsychotic drug usage patterns in a sample of Italian residents.

Summary. Introduction. The ongoing pandemic has not only placed significant strain on healthcare systems and global economies but has also exacerbated psychiatric issues, undermining the mental well-being of countless individuals. It is widely recognized that epidemic events, particularly periods of lockdown, heighten the risk of developing anxiety disorders, depression, and aggressive behaviors. Materials and methods. In an Italian cohort, a retrospective study was conducted to examine the consumption and costs of antipsychotic medications during and after the Covid-19 pandemic, specifically in the years 2020-2022. Utilizing a database known as the “Sistema Tessere Sanitaria”, data on medication dispensations from publicly accessible community pharmacies were extracted, covering a population of approximately one million individuals. Results. The findings for the years 2020-2021 showed relatively stable patterns, with overall consumption and expenditure slightly decreasing from 2020 to 2021. However, it is worth noting that the antipsychotic drug aripiprazole exhibited an opposite trend, with an increase in consumption. Despite expectations of heightened antipsychotic medication use, real-world evidence indicates a different phenomenon, suggesting that the pandemic might not have significantly influenced the consumption of these medications. Conclusions. The limited accessibility to healthcare and medical appointments likely played a role in this observation, potentially masking the therapeutic needs of the population. It will be crucial to monitor the situation in the upcoming years, as normal clinical activities resume, to determine whether there will be an upsurge in the consumption of antipsychotic drugs, which represent a significant portion of the National Healthcare System’s expenditure.

Key words. Antipsychotic, Covid-19, neurological problems, pandemic, pharmacoutilization, retrospective study.

Introduzione

La pandemia da Coronavirus Disease 2019 (Covid-19) è senza dubbio uno degli eventi globali più traumatici della storia recente. Essa ha radicalmente cambiato la quotidianità di ciascuno di noi, sottoponendo l’intera popolazione a un livello di stress non comune. Da subito sono emerse preoccupazioni circa le possibili conseguenze sulla salute mentale e previsioni circa l’aumento di ansia, depressione e disturbo post-traumatico da stress sia nella popolazione generale sia nei pazienti affetti da disturbi mentali. Alcuni di questi sono infatti considerati particolarmente vulnerabili all’interno del contesto pandemico, sia per le conseguenze delle anomalie del comportamento associate alla condizione psichiatrica, sia per l’elevata presenza in comorbilità di patologie somatiche. Fin dall’inizio della pandemia sono infatti stati segnalati a livello nazionale e internazionale numerosi casi di episodi psicotici apparentemente associati alla condizione di intenso stress psicosociale al quale era esposta la popolazione. La pandemia ha modificato il consumo di farmaci per i disturbi psichiatrici (antidepressivi, antipsicotici e ansiolitici). Uno studio dell’AIFA1 ha mostrato che, nel periodo compreso tra marzo e dicembre 2020, non si è avuto in Italia un aumento del consumo di farmaci antidepressivi e antipsicotici, se paragonato allo stesso periodo dell’anno precedente, mentre si è avuto un significativo incremento del consumo di ansiolitici (benzodiazepine). Questo è stato accompagnato a un notevole aumento delle richieste di supporto psicologico2. Una tendenza molto simile si è verificata in altri Paesi europei, come la Gran Bretagna3 e la Germania4. Il rapporto intermedio dell’ente internazionale che vigila sull’uso dei farmaci (il Global Drug Survey)5 cita espressamente che solitudine, depressione, insonnia e stress sono le ragioni principali per un maggiore uso delle benzodiazepine. La relativa stabilità nel consumo di antidepressivi non deve essere interpretata come un dato positivo. Anzi, la vera ragione è che una buona parte delle persone depresse non hanno avuto la possibilità di ottenere diagnosi e terapie adeguate a causa delle difficoltà di accesso alle cure.

La pandemia da Covid-19 e le restrizioni che questa ha comportato hanno modificato profondamente le nostre abitudini e spesso slatentizzato stati di malessere psichico che prima si erano mantenuti sottosoglia. È parso quindi naturale per la comunità scientifica chiedersi come abbiano reagito persone già gravate da una diagnosi psichiatrica, per comprendere se nella particolare condizione di stress abbiano risentito maggiormente della loro fragilità o se abbiano scoperto risorse inaspettate. Per quanto riguarda la schizofrenia, gli studi si sono concentrati da un lato sul rischio di contrarre l’infezione da Covid-19 e sulle sue conseguenze cliniche e prognostiche, dall’altro sul rischio di esacerbazioni psicopatologiche. Per quanto riguarda la possibilità di contrarre l’infezione da Covid-19 e di manifestarne una forma grave, con importanti conseguenze sul piano clinico, sembra che i soggetti affetti da schizofrenia presentino un rischio aumentato fino a nove volte6. I pazienti affetti da schizofrenia sembrano essere non solo a maggior rischio di contrarre l’infezione da Covid-19, ma anche di contrarla in forma grave7-9 e di avere un rischio aumentato di mortalità rispetto alla popolazione generale. Inoltre, è stato dimostrato come in questi pazienti l’isolamento aumenti il rischio di paranoia, aggressività e comportamenti suicidari. Tuttavia, pare importante non dimenticare la profonda trasformazione dell’assetto sanitario a cui abbiamo assistito globalmente in corrispondenza della pandemia: la chiusura dei centri di aggregazione, il dilazionamento degli interventi psicologici e psichiatrici, e la telepsichiatria. Il passaggio in modalità in remoto, se da una parte ha agevolato l’accesso ai servizi nella fase pandemica, dall’altra ha comportato un diverso tipo di rapporto terapeutico ed è stato possibile solo per quegli utenti in grado di utilizzare strumenti tecnologici. L’isolamento, non solo sociale ma anche nei contesti di cura, ha avuto un impatto sulla qualità di vita dei pazienti. Questi cambiamenti, resi necessari dalle circostanze, sono venuti a sostituirsi ai convalidati strumenti di gestione territoriale dei pazienti psichiatrici, che parallelamente venivano sospesi.

Psicosi e pandemia

Per quanto riguarda i casi di esordi psicotici occorsi nel periodo della pandemia, sono stati descritti casi sia tra persone con Covid-19, sia tra persone non affette dal virus, che possono tuttavia aver risentito dell’intenso stress psicosociale. Tra i primi, risulta difficile dirimere le forme di psicosi primaria dai sintomi psicotici nel contesto infettivo di un delirium, ovvero è alquanto difficoltoso quantificare come la patologia infettiva da Covid-19 abbia aggravato i fenomeni psicotici. Il secondo gruppo è parso invece evidenziare in modo più omogeneo l’importanza degli stressor psicosociali nell’eziopatogenesi dei disturbi psicotici. Questi studi riguardano pazienti precedentemente non seguiti dal punto di vista psichiatrico e che hanno sviluppato sintomi psicotici, nel contesto della pandemia da Covid-19 e delle restrizioni sociali che questa ha comportato. Tra i fattori ambientali precipitanti sono stati ipotizzati l’isolamento sociale, la paura del contagio e la diffusione mediatica di teorie complottiste6,10. I disturbi del sonno e della sfera ansiosa, che sono stati largamente documentati nella popolazione generale, in alcuni casi hanno rappresentato prodromi di disturbi psicotici. Gli studi disponibili in letteratura trattano da un lato dell’aumento di sintomi psicotici sottosoglia e di credenze simil deliranti nella popolazione generale; dall’altro di franchi esordi psicopatologici, con necessità spesso di ricorrere all’ospedalizzazione. Per quanto riguarda il primo gruppo, è stato riscontrato un aumento del rischio di sintomi psicotici nella popolazione generale, che si è manifestato in particolare con paranoia, sospettosità, idee prevalenti di stampo persecutorio10,11. Considerando l’esistenza di un continuum di rischio per psicosi tra la popolazione generale e i soggetti affetti, evidenziato dai cosiddetti “sintomi sottosoglia” (per es., alterazioni comportamentali, sospettosità, ritiro sociale), una survey condotta in Brasile ha evidenziato come durante la pandemia questi sintomi siano aumentati tanto da interessare non solo i soggetti ad alto rischio (ultra-high-risk - UHR), ma anche la popolazione generale. Non sorprende quindi che le ripercussioni abbiano coinvolto anche le fasce più fragili dei pazienti UHR. Per quanto riguarda invece i casi di psicosi manifesta che hanno richiesto l’ospedalizzazione, la letteratura psichiatrica ha prodotto dall’inizio della pandemia una notevole quantità di segnalazioni, principalmente sotto forma di case reports e case series. Rispetto ai casi del 2019, i pazienti che hanno avuto un primo ricovero per psicosi acuta nel 2020, quindi in corrispondenza del lockdown in Italia, avevano un’età media più avanzata (età media 43,5 anni vs 34 nel 2019), presentavano un minore utilizzo di sostanze psicotrope e mostravano un maggiore divario tra sintomi ansiosi all’ingresso in reparto rispetto che alle dimissioni. Infine, nel parlare delle conseguenze psichiatriche dello stress da pandemia da Covid-19, non si può non citare la condizione degli operatori sanitari, che si sono ritrovati in uno stato di emergenza e di sovraccarico psichico e lavorativo senza precedenti6,10,11.

Obiettivi dello studio

È stata condotta un’analisi di tutte le terapie anti-psicotiche dispensate nelle farmacie territoriali aperte al pubblico e prescritte a pazienti in cura in Italia (un campione di popolazione di circa 1 milione di persone) al fine di confrontare le tendenze prescrittive durante e dopo la pandemia da Covid-19, confrontando gli anni 2020, 2021 e 2022. Il risultato atteso era osservare un aumento delle terapie antipsicotiche a seguito del periodo pandemico. Ciò perché sappiamo bene dalla letteratura scientifica come siano comuni i fenomeni di long covid che colpiscono il sistema nervoso centrale e hanno spinto i governi di molte nazioni a fornire supporto psicologico gratuito ai loro cittadini12,13. Questa analisi mira proprio a voler verificare se effettivamente nell’evidenza del mondo reale ci sia stato un aumento del consumo di farmaci antipsicotici e, di conseguenza, un maggiore incremento delle prescrizioni di questa categoria di farmaci.

Metodi

È stata condotta un’analisi per valutare il consumo di farmaci antipsicotici e le relative prescrizioni in Italia, facendo riferimento agli anni 2020, 2021 e 2022. In particolare, è stata condotta una retrospettiva di studio sulla farmaco-utilizzazione al fine di comprendere la tendenza prescrittiva di questa categoria di farmaci in seguito alla pandemia da Covid-19. In Italia, la ricerca è stata condotta presso l’ASL Napoli 3 Sud, un’ASL caratterizzata da una popolazione di oltre 1 milione di abitanti, che comprende dieci distretti sanitari e cinque ospedali. È stato consultato il database Sistema Tessera Sanitaria al fine di confrontare tutte le prescrizioni e le erogazioni di anti-psicotici presso l’ASL Napoli 3 Sud, per gli anni 2020, 2021 e 2022. Il consumo è stato verificato calcolando la dose giornaliera definita (DDD), un indicatore internazionale utilizzato per determinare la dose giornaliera media del medicinale rispetto all’indicazione terapeutica. I costi dei farmaci sono stati espressi in valore lordo e in euro come spesa lorda x 1000 abitanti/giorno.

Risultati

I risultati dimostrano come il consumo di farmaci antipsicotici rimanga pressoché invariato nei tre anni 2020, 2021 e 2022 presi a riferimento in questa analisi. Consumi e spesa lorda si discostano di pochissimo e tendono anche a diminuire nel periodo successivo alla pandemia Covid-19. Tale aspetto è molto interessante da analizzare e discutere perché ci si aspettava una tendenza crescente negli anni dal 2020 al 2022. Sostanzialmente le prescrizioni e le dispensazioni non variano: i farmaci più prescritti rimangono olanzapina, quetiapina con le DDD consumate che sono intorno le 500 mila unità; seguono aripiprazolo, aloperidolo, litio e risperidone che hanno una tendenza prescrittiva sostenuta, con DDD che rimangono tra le 200 mila e le 300 mila unità nei tre anni presi a riferimento. Da notare inoltre la spesa che per questi farmaci rimane elevata ed è un capitolo di spesa rilevante per le aziende sanitarie: la terapia antipsicotica è sicuramente da annoverare tra le terapie croniche a maggiore impatto sui budget aziendali con una spesa che si aggira intorno ai due milioni di euro su una popolazione di circa 1 milione di persone.

Nell’anno 2020 le DDD consumate per i farmaci antipsicotici sono stati 2.826.258,63 per una spesa lorda pari a 1.919.736,04 €. Il farmaco più prescritto è stato l’olanzapina con 528.087,00 DDD consumate (236.148,32 €) che precede quetiapina con 507.964,87 DDD consumate (689.441,90 €) e aripiprazolo con 386.852,15 DDD consumate (206.047,06 €). Da notare come la quetiapina sia seconda tra le molecole maggiormente utilizzate ma prima come voce di spesa, con un controvalore economico che è quasi triplo rispetto all’olanzapina (tabella 1).




Nell’anno 2021 le DDD consumate per i farmaci antipsicotici sono state 2.747.355,19 per una spesa lorda pari a 1.862.509,50 €. Il farmaco più prescritto è stato l’olanzapina con 526.309,00 DDD consumate (239.283,73 €), che precede quetiapina con 491.309,62 DDD consumate (690.822,45 €) e aripiprazolo con 394.152,78 DDD consumate (196.616,40 €). Rispetto all’anno 2020 quindi la scaletta dei farmaci più utilizzati non cambia, anche se notiamo un aumento della prescrizione di aripiprazolo a discapito degli altri due farmaci che registrano una leggera diminuzione nei consumi (tabella 2).




Nell’anno 2022 le DDD consumate per i farmaci antipsicotici sono state 2.706.951,07 per una spesa lorda pari a 1.700.897,47 €. Il farmaco più prescritto è stato l’olanzapina con 523.670,00 DDD consumate (218.612,27 €), che precede quetiapina con 481.551,62 DDD consumate (660.774,70 €) e aripiprazolo con 396.306,22 DDD consumate (172.951,50 €). Rispetto all’anno 2020 e 2021 quindi la scaletta dei primi tre farmaci più utilizzati non cambia ancora, anche se notiamo un ulteriore aumento della prescrizione di aripiprazolo a discapito degli altri due farmaci, che registrano ancora una volta una leggera diminuzione nei consumi rispetto all’anno precedente (tabella 3).




Quindi possiamo concludere che nei tre anni presi a riferimento si ha un andamento costante con i primi tre farmaci maggiormente utilizzati che non variano dall’anno 2020 al 2021. Da evidenziare comunque anche il consumo abbastanza costante del litio, saldamente al quarto posto tra i farmaci maggiormente utilizzati, con 372.931,64 DDD consumate nel 2020, 350.047,76 DDD consumate nel 2021 e 349.551,93 DDD consumate nel 2022. Anche questo ha una tendenza in diminuzione nei tre anni.

Per quanto rappresentato possiamo concludere che nel periodo successivo al Covid-19 si ha una tendenza prescrittiva di farmaci antipsicotici sostanzialmente costante e in leggera diminuzione per molti farmaci maggiormente prescritti a eccezione del solo aripiprazolo che registra un movimento in controtendenza e in salita dal 2020 al 2022. Questo aspetto è del tutto sorprendente perché ci si aspettava un aumento dei consumi di queste categorie di farmaci viste le numerose problematiche neurologiche che la pandemia ha causato con i lockdown e l’obbligatorietà di rimanere confinati per lunghi mesi senza la possibilità di avere una vita sociale.

Discussione

Nelle fasi iniziali della pandemia si ipotizzava a livello globale un aumento della necessità di cure psichiatriche, sia in termini di accessi ospedalieri sia di visite ambulatoriali. Tuttavia, numerosi studi hanno evidenziato una chiara riduzione, rispetto agli anni precedenti, in tutte le forme di intervento dei servizi di salute mentale, soprattutto durante la prima ondata pandemica14-16.

Tali dati sono in linea con quelli di numerosi studi internazionali simili. Le motivazioni sottostanti la diminuzione delle prestazioni psichiatriche (ricoveri, accessi in pronto soccorso, visite ambulatoriali) nelle fasi iniziali della pandemia possono essere riscontrate da un lato nelle indicazioni date alla popolazione dalle autorità sanitarie durante la prima fase pandemica, che invitavano i cittadini a limitare l’accesso a ospedali e pronto soccorso alle sole situazioni di reale urgenza; dall’altro lato, nel clima di estrema paura del contagio che si era instaurato e che potrebbe aver spinto i pazienti a rimandare le visite per problematiche psichiatriche. Nel contesto nazionale italiano, sebbene i servizi di salute mentale siano stati tra i pochi a rimanere pienamente funzionanti anche durante il periodo di lockdown del 2020, questi sono andati incontro a una massiva e inevitabile riorganizzazione secondo le linee guida fornite dalla Società Italiana di Psichiatria e della Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica. Le stesse raccomandavano, infatti, di posticipare le visite ambulatoriali non ritenute urgenti, e di riprogrammare, ove possibile, le visite mediante videochiamata o contatto telefonico, favorendo l’utilizzo della telepsichiatria. Queste indicazioni miravano a ridurre i contatti in presenza e a limitare gli spostamenti dei pazienti, ma anche a compensare la drastica riduzione del personale nelle aree più colpite dalla pandemia.

Le psicosi da stress sono definite nel contesto dei disturbi psicotici acuti e transitori dall’International Classification of Diseases - 11th Revision (ICD-11) e in quello dei disturbi psicotici brevi dal Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders - 5th Edition (DSM-5). Tali diagnosi derivano dalle precedenti concettualizzazioni di bouffée délirante des dégénérés, psicosi cicloidi, psicosi reattive, psicosi emozionali, psicosi atipiche o stati schizofreniformi. Secondo il modello bio-psicosociale di eziopatogenesi dei disturbi psichiatrici, i fattori psicosociali di stress si innestano su una vulnerabilità biologica di base, dando origine ai quadri clinici manifesti. A seconda dei disturbi, la letteratura scientifica ha evidenziato un maggiore impatto della componente biologica rispetto a quella ambientale o viceversa. Essendo i disturbi psicotici tipicamente associati alla vulnerabilità biologica, è di grande interesse osservare che anche le condizioni ambientali possono condizionarne lo sviluppo17,18.

Tale studio ha un solo limite, che è quello di valutare soltanto i farmaci distribuiti in convenzionata sul territorio in forma orale, ma negli ultimi anni è sempre più attiva la fase di shift verso le terapie iniettive long active e la presa in carico dei pazienti psicotici da parte dei Dipartimenti di Salute Mentale delle Aziende Sanitarie Locali con una distribuzione diretta del farmaco. Pertanto è possibile che la diminuzione negli anni di consumi sia dovuta anche a questo fenomeno. Tuttavia nel periodo Covid-19 riteniamo di considerare che questo sia trascurabile in quanto i pazienti, costretti a casa dal lockdown, non potevano raggiungere le strutture sanitarie pubbliche e nel periodo pandemico l’unica opportunità di cura era la sola terapia orale.

Sicuramente un costante monitoraggio di tutte le categorie di farmaci può portare a comprendere come l’incidenza della pandemia Covid-19 abbia portato a modificare le terapie e i trattamenti farmacologici in un periodo successivo dove gli effetti pandemici non sono ancora svaniti del tutto. Tali monitoraggi sono fondamentali per comprendere in anticipo l’attuale panorama sanitario e anticipare eventuali azioni governative per regolamentare le terapie e favorire il bisogno di salute del cittadino19-21. Sarà interessante valutare con la ripresa della normale pratica clinica come la somministrazione di farmaci antipsicotici si attesterà nei prossimi anni e se ci sarà un aumento prescrittivo che era atteso già a fine pandemia.

Conclusioni

La pandemia di Covid-19 ha comportato notevoli implicazioni per la salute mentale della popolazione. Se da un lato sono in corso di approfondimento gli effetti diretti dell’infezione da SARS-CoV-2 sul cervello, dall’altro sembra già possibile trarre alcune conclusioni sull’effetto dell’emergenza in alcune categorie di pazienti con disturbi mentali. I pazienti con schizofrenia sono a rischio aumentato di contrarre la malattia, di contrarla in forma grave e di esito letale rispetto a pazienti con altre diagnosi psichiatriche e alla popolazione generale. Tali evidenze forniscono nuovi spunti nella comprensione del complesso rapporto tra vulnerabilità biologica e stress ambientale nell’insorgenza dei sintomi psicotici, suggerendo anche che forme particolarmente intense e acute di stress collettivo possano facilitare l’insorgenza di sintomi anche in persone prive di molti dei fattori di rischio noti per la comparsa di psicosi.

Conflitto di interessi: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.

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