Hugo Bleichmar
Psicoterapia psicoanalitica. Verso una tecnica di interventi specifici.
Astrolabio Ubaldini Editore,
Roma 2008, pagine 452,  36

L’opera di Bleichmar delinea un ampio percorso di analisi e approfondimento sulla pratica clinica e sulla ricerca teorica, che confluisce nella costruzione di un modello psicoterapeutico originale, in cui le fonti della psicoanalisi assumono nuova forza teoretica ed epistemologica. Lo schema qui elaborato concepisce la mente come struttura “modulare-trasformazionale” di sistemi motivazionali.
Questa definizione si riferisce a un concetto della vita psichica basato su “distinti moduli” (bisogni e desideri di regolazione psicobiologica, narcisistici, sensuali-sessuali, di attaccamento, ecc.), i quali operano in parallelo e in articolazione reciproca e possono modificare le proprie componenti originarie e le proprie connessioni, generando configurazioni intrapsichiche e relazionali più o meno stabili. Si tratta di un paradigma che ci avvicina alla “polifonia dell’inconscio”, cioè alla molteplicità dei sistemi intessuti di rappresentazioni e di affetti.
La mente, per Bleichmar, si sviluppa nel contesto delle prime relazioni di attaccamento. Di qui, il riconoscimento del significato profondo che assumono le esperienze personali, che vengono a porsi come un continuo intrecciarsi di soggettività e intersoggettività. Al centro della pratica clinica c’è dunque l’esperienza soggettiva dell’individuo, il cui disturbo è strettamente connesso anche alla qualità delle relazioni paziente-terapeuta.
Questa nuova prospettiva sottolinea l’importanza di una “diagnosi dimensionale”, che rappresenta il superamento definitivo dei limiti e della crisi scientifica e clinica del DSM-IV, in quanto capace di individuare la molteplicità degli aspetti che caratterizzano la complessità dei fenomeni cerebrali e mentali. L’introduzione dell’epistemologia della complessità consente di procedere alla decostruzione dei concetti freudiani e alla revisione della psicopatologia psicoanalitica nonché della teoria e della tecnica di cura.
Occorre partire dalla differenza di strutture mentali dei singoli pazienti, dal momento che i meccanismi neurali che portano all’organizzazione di contenuti psichici sono assai diversi a seconda della struttura della personalità del soggetto e dei suoi vissuti esperienziali. Collocarsi in questa visione, significa superare una posizione di ingenua adesione alle formulazioni teoriche generali e procedere all’individuazione di interventi terapeutici appropriati a ciascun paziente e messi in atto in relazione a ogni singola patologia.
Uno dei primi autori a sottolineare la concezione “modulare” del cervello, che concepisce il suo funzionamento come un’integrazione di “sistemi differenziati, separabili e articolati”, è stato Damasio, il quale ritiene che il forte senso di integrazione della mente sia “creato dall’azione concertata di sistemi a larga scala mediante la sincronizzazione di insiemi di attività neurali”.
In questa cornice teorica, la ricerca deve poter individuare le componenti che combinano ogni struttura psicopatologica; il modo in cui sono collegate tra loro e quali di queste componenti sono esclusive di ogni struttura. Una volta che abbiamo risolto queste questioni di fondo, potremo capire in che modo i fattori ritenuti causali “contribuiscono alla produzione di un determinato quadro clinico”.
Quello che conta veramente – dichiara Bleichmar – non è ammettere semplicemente una psicopatologia multifattoriale, imperniata sull’enumerazione di fattori, quanto la possibilità di poter fissare le componenti che caratterizzano le strutture psicopatologiche e analizzare i molteplici percorsi attraverso cui tali componenti si costituiscono e si trasformano nel processo di articolazione.
Il compito che si prospetta è duplice: 1. decostruire le categorie psicopatologiche, evidenziandone i sottotipi e, soprattutto, i tratti psicogenetici e le dimensioni soggiacenti; 2. delineare interventi terapeutici basati sul nostro modo di concepire il funzionamento mentale, ovvero i suoi differenti sistemi, e diretti a modificare le componenti delle diverse configurazioni psicopatologiche e di personalità.
Attraverso il modello modulare-trasformazionale, in realtà si possono comprendere non solo le forze che agiscono sulla genesi e sul mantenimento dei disturbi psichiatrici e di valutarle in termini di processi e non di categorie isolate. Ma anche riconoscere la teorizzazione di una serie di sistemi motivazionali. Abbiamo, infatti, anzitutto un “sistema sensuale-sessuale”, che comprende un ambito che va dall’erotismo della pelle fino al piacere localizzato nelle zone erogene: orale, anale, uretrale, genitale. Abbiamo poi il “sistema narcisistico”, che consiste nell’apprezzamento dell’Io: il soggetto è capace di reprimere il piacere della sessualità pur di soddisfare il piacere narcisistico, come fa per esempio l’asceta o anche la persona che per difendere un orgoglio ferito respinge l’oggetto d’amore causa del suo risentimento. Un altro sistema motivazionale è rappresentato dal “desiderio di attaccamento”. I quattro sistemi menzionati non solo non esauriscono il numero dei moduli che compongono lo psichismo, ma devono essere ancora scomposti e messi poi in rapporto con le tre configurazioni costituite da Io, Es, Super-io.
La concezione elaborata da Bleichmar è finalizzata in sostanza a rispondere alla questione cruciale che anima tutta la sua opera: quale tipo di intervento terapeutico per quale componente della struttura psicopatologica e di personalità, e per quale tipo di configurazione diagnostica?

Guido Brunetti

Collaboratore del Dipartimento
di Scienze Psichiatriche
Insegnamento di Psicopatologia
Università La Sapienza, Roma



Allan N. Schore
La regolazione degli affetti e
la riparazione del Sé.
Astrolabio-Ubaldini, Roma 2008,
pagine 466,  36

La questione di come le prime relazioni della vita abbiano un’influenza così straordinaria su tutto ciò che avverrà in seguito costituisce un problema affascinante e fondamentale per le neuroscienze e la psicoanalisi. Gli scambi affettivi propri dei primi rapporti del bambino e la possibilità che egli ha di sintonizzarsi con la mente di altre persone si rivelano un punto cruciale nel favorire o inibire la maturazione del cervello. La relazione con la madre o il caregiver produce dunque veri e propri cambiamenti nel cervello, sì da influire sullo sviluppo del Sé per tutto l’arco della vita.
Le esperienze diadiche di “sincronia affettiva”, di “intersoggettività primaria” o di “rispecchiamento” cominciano, per Kohut, già quando il bambino ha circa due mesi e si sviluppano come conseguenza del fatto che ciascun partner “apprende la struttura ritmica dell’altro e modifica il proprio comportamento per rispondere a quella struttura” (Lester). Queste interazioni sincronizzate reciprocamente sono fondamentali per “un sano sviluppo affettivo del bambino”. In questo senso, i modelli neurobiologici dell’attaccamento vengono a porsi come “la regolazione interattiva di stati di sincronicità biologica tra organismi”.
Alcuni autori hanno sostenuto che “l’esperienza del bambino si sviluppa attraverso i suoni, le immagini e le rappresentazioni che costituiscono la maggior parte delle sue prime esperienze di apprendimento, conservate ed elaborate in maniera nettamente maggiore dall’emisfero destro durante i primi stadi formativi dell’ontogenesi cerebrale” (Semrud-Clikeman e Hynd). Il cervello destro è la sede del Sé corporeo ed emotivo, ed è dominante anche per la capacità di comprendere gli stati emotivi degli altri esseri umani, ovvero per l’empatia. La maturazione dell’emisfero socioemotivo destro è dipendente dall’esperienza, e queste esperienze sono fornite dalle transazioni di attaccamento che si verificano nel corso dei primi due anni di vita.
Attraverso il coordinamento della plasticità neurale, gli stati emotivi muovono lo sviluppo e l’unificazione del Sé. Sin dall’inizio della vita – dichiara Basch – le relazioni affettive “forniscono le basi per le funzioni organizzative del cervello” e servono come “regolatore dell’omeostasi interna dell’individuo in crescita”. Nel complesso, lo sviluppo del bambino può essere considerato “un potenziamento dell’autoregolazione”.
Un recente studio condotto con le neuroimmagini ha dimostrato che i bambini già intorno ai due mesi mostrano un’attivazione dell’emisfero destro quando sono esposti a contatto con il viso di una donna. Questi eventi precoci a lateralizzazione destra hanno una rilevanza anche sullo sviluppo uditivo. Una ricerca condotta con la risonanza magnetica funzionale ha mostrato che le risposte materne al pianto del bambino sono accompagnate dall’attivazione del cervello destro della madre. Dati recenti della ricerca neuroscientifica suggeriscono con forza che mentre l’emisfero sinistro “media la maggior parte dei comportamenti linguistici”, l’emisfero destro “è fondamentale per aspetti più ampi della comunicazione” (van Lancker e Cummings).
L’emisfero destro dunque risulta basilare sia per il riconoscimento delle emozioni a partire dalle esperienze facciali, e in questa maniera riconosciamo lo stato emotivo di un altro individuo, sia nell’analisi delle informazioni che il soggetto riceve direttamente dal suo stesso corpo. In realtà, la funzione più complessa della corteccia prefrontale destra è ciò che i neuroscienziati hanno definito “la capacità di viaggiare nel tempo con la mente”, ovvero la possibilità di “rappresentarsi mentalmente le esperienze soggettive vissute nel passato, nel presente e nel futuro, e di diventarne consapevoli”.
Allo stato attuale degli studi, esistono molte prove che mostrano come traumi precoci inducano in maniera specifica deficit a carico dell’emisfero destro. Disturbi post-traumatici da stress, gravi disturbi d’ansia, ricordi traumatici, stati ansiosi di fobia sociale e di panico, e forme di dissociazione comportano la compromissione del cervello destro e gravi disturbi della personalità. Tutta la psicopatologia, per Grotstein, può essere definita come una serie di disturbi del legame di attaccamento.
Recenti studi condotti con le neuroimmagini attestano, infatti, una compromissione del funzionamento di quelle strutture coinvolte nelle risposte emotive in un’ampia gamma di disturbi con una eziologia evolutiva precoce: l’autismo, la mania, gli stati fobici, l’alcolismo e la tossicodipendenza.
Molte ricerche condotte sia su animali sia su esseri umani dimostrano che le strutture cerebrali su cui le prime esperienze interattive madre-bambino hanno un forte impatto riguardano l’emisfero destro, struttura che risulta essere dominante nei neonati, come mostra una ricerca effettuata con la tomografia a singola emissione di positroni (SPECT). Esistono poi molte prove che durante la prima infanzia si verificano comunicazioni tra emisferi destri. È stato dimostrato che la maggior parte delle donne tendono a cullare il bambino sul lato sinistro del loro corpo (Manning). Questa tendenza “facilita” il flusso di informazioni affettive del bambino attraverso l’orecchio e l’occhio sinistri fino al centro della decodifica emotiva, ovvero fino al cervello destro della madre.
Le ricerche neuroscientifiche, inoltre, indicano che il contatto intimo tra madre e figlio è regolato dalla reciproca attivazione dei loro sistemi di oppioidi: livelli di oppioidi creano sensazioni di piacere in entrambi (Kalim). Durante queste transazioni di sguardi e di scambi affettivi, il volto della madre induce nel cervello del bambino non solo la produzione di oppioidi endogeni, ma anche la creazione di livelli regolati di dopamina, cosa che genera elevati stati di euforia e vigilanza. Nel corso di queste interazioni, la madre, che vive una condizione di eccitazione, stimola nel cervello del bambino il rilascio delle corticotropine. La produzione di questo ormone aumenta a sua volta la creazione nel sistema nervoso del bambino di altri ormoni come la vasopressina, l’ossitocina, la noradrenalina e l’adrenalina (Schore). È stato rilevato che l’ossitocina, una sostanza chimica che induce una diminuzione del cortisolo – l’ormone dello stress – viene rilasciata da stimoli sensoriali come il tono di voce e l’espressione del volto, i quali trasmettono un senso di calore, serenità e familiarità. Si genera in sostanza uno stato simbiotico reciprocamente regolato. Il bambino cioè si comporta e funziona come se lui e sua madre fossero un unico sistema onnipotente: una unità duale, uno stato di fusione. Madre e bambino “diventano una cosa sola”.

Guido Brunetti

Collaboratore del Dipartimento
di Scienze Psichiatriche
Insegnamento di Psicopatologia
Università La Sapienza, Roma