I meccanismi antidepressivi ad azione rapida
della ketamina: stato dell’arte e nuove prospettive di ricerca

Matteo Marcatili1, Alberto Stefana2, Carlo Sala3, Luciano Conti4, Fabrizia Colmegna1,
Massimo Clerici
1,5, Antonios Dakanalis2

Riassunto. Si stima che circa un terzo dei pazienti con disturbo depressivo maggiore (MDD) non risponda adeguatamente ai trattamenti antidepressivi di prima linea e possa essere considerato affetto da depressione resistente al trattamento (TRD). Tra le cause che contribuiscono a rendere la TRD una sfida così impegnativa campeggia una eziopatogenesi non ancora chiarita che rallenta lo sviluppo di nuove opzioni terapeutiche. Nonostante questo, alcuni recenti progressi nel campo della biologia molecolare, quali le nuove tecniche di genome editing e la tecnologia delle cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC), promettono di aprire nuove strade in campi centrali anche per la nostra disciplina, quali il disease modelling e la drug discovery. La tecnologia iPSC consente infatti di sviluppare modelli in vitro “paziente-specifici” di diversi disturbi psichiatrici, compreso il MDD, privi dei limiti dei tradizionali modelli animali o post mortem e in grado di migliorare sensibilmente la comprensione degli aspetti eziopatogenetici. Congiuntamente a queste innovazioni nel campo della ricerca di base, la clinica psichiatrica ha preso familiarità con l’impiego di ketamina e derivati nel trattamento della TRD. Sebbene la ketamina sembri avere il potenziale per rivoluzionare l’approccio terapeutico alla depressione, i meccanismi molecolari alla base dei suoi effetti antidepressivi sono solo parzialmente compresi. La tecnologia iPSC rappresenta un buon modello di studio di tali meccanismi, la cui comprensione potrebbe portare allo sviluppo di molecole glutammatergiche più selettive e in grado di condividere la rapidità dell’azione antidepressiva della ketamina, senza presentarne i noti limiti in termini di abuso. Dopo aver descritto i meccanismi d’azione a oggi noti della ketamina e lo stato dell’arte della tecnologia iPSC, si illustrerà un potenziale modello iPSC di TRD derivato da cellule di pazienti affetti da TRD e volto allo studio dei meccanismi antidepressivi ad azione rapida della ketamina in vitro.

Parole chiave. Depressione resistente al trattamento, disturbo depressivo maggiore, esketamina, iPSC, ketamina, NMDA.

Ketamine’s fast-acting antidepressant mechanisms: state of the art and new research perspectives.

Summary. About a third of patients with major depressive disorder (MDD) do not have an adequate response to first-line antidepressant treatment, i.e., develop a treatment-resistant depression (TRD). The partial understanding of MDD pathophysiology currently constitutes the major barrier to clinical and research progress on this topic. However, recent advances in genome editing techniques as well as in induced pluripotent stem cells (iPSC) technology are offering unprecedented opportunities in both human disease modelling and drug discovery. These technology progresses have been enabling to set up disease-relevant patient-specific in vitro disease modeling for various mental disorders. The resulting models have the potential to significantly improve pathophysiologic understanding of MDD and then overcome some limitations inherent to animal and post-mortem models. More recently, psychiatry started to deal with the fast acting antidepressant ketamine and its derivates. Although ketamine appears to have the potential to transform the treatment of depression, its specific mechanisms of action are only partially known. Such knowledge is necessary to develop a model to understand the mechanisms behind fast-acting antidepressants, which may enable the discovery of novel glutamatergic compounds for the treatment of MDD. After discussing both the current understanding of ketamine’s mechanisms of action, and the state of the art of human iPSC technology, the authors will introduce the implementation of a TRD model based on iPSC human technology and aimed at studying the ketamine’s fast acting antidepressant mechanisms of action.

Key words. Esketamine, iPSC, ketamine, major depressive disorder, NMDA, treatment-resistant depression.

Introduzione

Il disturbo depressivo maggiore (major depressive disorder - MDD) è una malattia mentale piuttosto eterogenea, ma ad alta prevalenza che si stima colpisca oltre 160 milioni di persone in tutto il mondo1.

Nella maggior parte dei casi è caratterizzata da una variabile combinazione di sintomi quali umore persistentemente deflesso, anedonia, abulia, anergia, iporessia, disturbi del pattern ipnico, alterazioni dell’affettività quali sentimenti di colpa e di inutilità e sviluppo di ideazione suicidaria2,3. Questa patologia ha un impatto significativo in termini di mancanza di produttività, ridotta qualità della vita e aumento della mortalità per suicidio4, tutti aspetti che la rendono un importante problema socio-economico e di sanità pubblica1,5.

A rendere ancor più significativa la gravità della malattia è la limitata efficacia dei trattamenti antidepressivi attualmente impiegati6. A oggi, nonostante il considerevole aumento delle opzioni terapeutiche, circa un terzo dei pazienti con MDD non risponde in modo soddisfacente ai trattamenti attualmente disponibili7-9. I pazienti che in seguito a due o più trattamenti antidepressivi somministrati con dosaggio e durata adeguati presentano una riduzione della sintomatologia depressiva inferiore al 50% (misurata tramite scale di valutazione psichiatrica quali Hamilton Rating Scale for Depression o Montgomery-Asberg Depression Rating Scale)10 ricevono solitamente l’ulteriore etichetta diagnostica di “depressione resistente al trattamento” (treatment-resistant depression - TRD)11. Quest’ultima è associata a un aumentato rischio di comorbilità, abuso di sostanze, recidiva, ospedalizzazione e mortalità (inclusa quella per suicidio)12-15. Come immaginabile, rispetto al semplice MDD, la TRD comporta costi sociali (per es., in termini di produttività lavorativa) e di assistenza notevolmente più elevati14.

La TRD costituisce una sfida per la nostra disciplina sia in termini clinici che di ricerca. Una sfida resa particolarmente impegnativa dalla solo parziale comprensione dell’eziopatogenesi del MDD, elemento che riflette una più generale mancanza di adeguati modelli di studio per i disturbi neuropsichiatrici16,17. Nonostante i ben noti limiti della tradizionale ipotesi monoaminergica della depressione, il trattamento farmacologico per la TRD continua a fondarsi sull’uso di antidepressivi che modulano prevalentemente i sistemi monoaminergici e che, anche nei casi di successo clinico, comportano una latenza di azione di settimane o mesi. Va ricordato che, sebbene la terapia elettro-convulsivante (electroconvulsive therapy - ECT) costituisca un forma di trattamento della TRD di comprovata efficacia18, essa implica spesso effetti collaterali non trascurabili quali il rischio dell’instaurarsi di deficit cognitivi19. Un rischio particolarmente alto in questa categoria di pazienti, che sono notoriamente più gravati da frequenti recidive e dalla necessità di cicli aggiuntivi di ECT20.

Tuttavia, alcuni recenti progressi nel campo della biologia molecolare, quali le nuove tecniche di genome editing e la tecnologia delle cellule staminali pluripotenti indotte (induced pluripotent stem cells - iPSC), promettono di aprire nuove strade in campi centrali anche per la nostra disciplina, quali il disease modelling e la drug discovery. La tecnologia iPSC consente infatti di sviluppare modelli in vitro “paziente-specifici” di diversi disturbi psichiatrici, compreso il MDD, privi dei limiti dei tradizionali modelli animali o post mortem e potenzialmente in grado di migliorare sensibilmente la comprensione degli aspetti eziopatogenetici21. Congiuntamente a queste innovazioni nel campo della ricerca di base, la clinica psichiatrica ha preso familiarità con l’impiego di ketamina e derivati nel trattamento della TRD. A un dosaggio sub anestetico (0,5 mg/kg), la ketamina può essere considerato un agente antidepressivo ad azione rapida (in alcuni casi anche entro 24 ore), che ha mostrato buona efficacia e tollerabilità (gli effetti collaterali sono generalmente lievi e autolimitanti)22 in pazienti sia con MDD9,23-25 sia con TRD26,27. La ketamina e i suoi derivati, quale il suo enantiomero esketamina, che ha recentemente ottenuto l’approvazione FDA ed EMA per il trattamento della TRD, potrebbero quindi porsi come un’alternativa farmacologica alla ECT, senza però il fardello delle sue collateralità28. Sebbene la ketamina sembri avere il potenziale per rivoluzionare l’approccio terapeutico alla depressione, inclusa la TRD, i meccanismi molecolari alla base dei suoi effetti antidepressivi a breve e a lungo termine sono solo parzialmente compresi. La tecnologia iPSC rappresenta oggi un buon modello di studio di tali meccanismi, la cui comprensione potrebbe portare allo sviluppo di molecole più selettive che potrebbero condividere il rapido meccanismo di azione antidepressiva della ketamina in assenza dei noti limiti di una sostanza di abuso, soprattutto in termini di dipendenza.

L’obiettivo del presente articolo è triplice: discutere i meccanismi d’azione della ketamina (ottenuti prevalentemente da studi preclinici sugli animali), descrivere lo stato dell’arte della tecnologia iPSC e illustrare un modello “umano” di TRD basato sulla tecnologia delle iPSC (quindi derivato direttamente da cellule di pazienti con comprovata TRD) volto allo studio dei meccanismi antidepressivi ad azione rapida della ketamina.

La ketamina e i suoi meccanismi d’azione

La ketamina, o (RS)-2-(2-clorofenil)-2-metilammino-cicloesan-1-one, è un derivato della fenciclidina (PCP) appartenente alla classe delle arilcicloesilamine. Avendo un centro chirale, dispone di due enantiomeri, (R)-ketamina e (S)-ketamina, combinati in una miscela racemica cloridrato che è utilizzata da più di 50 anni per le sue proprietà analgesiche e anestetiche29. Di fianco all’impiego clinico in ambito veterinario, pediatrico e traumatologico, sin dagli anni ’70 la ketamina, nota con diversi nomi (quali K, special K, kit kat, tac et tic, cat valium, vitamin K, ket, super K, Kaddy, Kate, Ket, Kéta K, Jet, Super acid, 1980 acid, Special LA coke, Super C, Purple, Mauve, Green), è divenuta una droga da strada molto popolare, in grado di produrre peculiari stati dissociativi dalle caratteristiche fenomenologiche ben note30. La precisa prevalenza dell’utilizzo ricreativo di ketamina non è nota; piccoli studi nazionali ne suggeriscono un valore compreso tra lo 0,1% (Stati Uniti) e il 4% (Regno Unito)31.

Dal punto di vista farmacologico, la ketamina viene trasformata tramite N-demetilazione a norketamina, un metabolita attivo che è a sua volta idrossilato a 6-idrossi-norketamina (HNK). Sia la ketamina che la norketamina si comportano come antagonisti non competitivi del recettore N-metil-D-aspartato (NMDA), legandosi a un sito allosterico distinto dal sito di legame del glutammato32. L’enantiomero (S) ha un’affinità per il recettore NMDA 3-4 volte maggiore dell’enantiomero (R) e mostra quindi un effetto anestetico e analgesico più potente32. Nonostante l’antagonismo del recettore NMDA rappresenti il principale meccanismo di azione della ketamina, questa ha affinità rilevanti (<100 µM) per i recettori oppioidi (prevalentemente σ) e muscarinici33, apparendo inoltre in grado di inibire un sottoinsieme di recettori nicotinici34-36, di comportarsi come un agonista parziale dei recettori D2, di legarsi ai recettori 5-HT237 e di essere in grado di influenzare il re-uptake di noradrenalina, dopamina e serotonina38.

È stato speculato che proprio il ruolo dopaminergico di ketamina39,40 potrebbe essere alla base della sua particolare efficacia sulla dimensione anedonica, tradizionalmente concettualizzata come ipofunzione del sistema dopaminergico41,42.

Riguardo al dosaggio, una recente meta-analisi sull’efficacia della ketamina in pazienti con TRD ha rilevato che una singola somministrazione endovenosa di 0,5 mg/kg (dose subanestetica) produce una riduzione clinicamente significativa della sintomatologia già 4 ore dopo l’infusione, raggiungendo il massimo effetto a 24 ore (effetto che si riduce 7 giorni dopo l’infusione), e che i benefici ottenuti risultano potenziati e prolungati dopo più infusioni23,43,44.

Nonostante la crescente letteratura sul ruolo antidepressivo della ketamina, il suo specifico meccanismo d’azione non è ancora completamente chiaro45. Studi preclinici condotti su modelli animali, con tutte le complicazioni e i limiti insiti nel modellare disturbi che spesso sembrano essere squisitamente umani46, suggeriscono che i meccanismi molecolari alla base dell’effetto antidepressivo della ketamina siano più complessi del semplice antagonismo del recettore NMDA. La rapida efficacia dimostrata in pazienti con TRD potrebbe essere mediata da precise azioni su target implicati nei processi di plasticità sinaptica, modulando processi ritenuti profondamente compromessi nel MDD e strettamente correlati con la gravità della sintomatologia depressiva47. Le più recenti ipotesi sull’effetto antidepressivo della ketamina considerano diversi meccanismi molecolari in grado di aumentare il rilascio di glutammato nella corteccia prefrontale48.

I meccanismi molecolari alla base dell’attività della ketamina possono essere distinti come indicato nella fig'ura 1.

I rapidi effetti antidepressivi possono dipendere dall’attivazione del recettore TrkB da parte del suo ligando, la neurotrofina Brain-Derived Neurotrophic Factor (BDNF). La ketamina, inibendo l’attività dei recettori NMDA, modulerebbe l’attività di uno dei meccanismi principali che controlla la traduzione proteica, poiché in grado di indurre l’inattivazione della chinasi dell’eukariotic elonagation factor 2 (eEF2K) e la successiva defosforilazione di eEF2. La riduzione della fosforilazione di eEF2 nei dendriti incrementerebbe la traduzione dell’mRNA che codifica per il BDNF, la cui sintesi, di conseguenza, sarebbe aumentata. Il BDNF rilasciato dai dendriti sarebbe così in grado di potenziare l’attività dei recettori del glutammato di tipo AMPA e le relative sinapsi glutammatergiche49,50.




Un secondo possibile meccanismo implicherebbe il blocco preferenziale dei recettori NMDA su una sottopopolazione di interneuroni GABAergici che controllano l’attività dei neuroni piramidali e ippocampali che, disinibiti, incrementerebbero il rilascio di glutammato, con conseguente stimolazione di recettori postsinaptici non NMDA, inclusi i recettori AMPA51,52. L’attivazione di questi ultimi promuoverebbe una cascata di segnali in grado di aumentare i livelli del mRNA di BDNF53. Inoltre, la secrezione locale di BDNF attiverebbe i recettori TrkB portando alla rapida attivazione del mammalian target of rapamycin (mTOR) complex (mTORC1) e stimolando l’attività di protein-chinasi B (AKT) e di extracellular signal-regulated kinase (ERK)53,54, con conseguente aumento del numero delle sinapsi e potenziamento della loro attività, specialmente a livello della corteccia prefrontale55-58. A sua volta, questo passaggio attiverebbe la sintesi proteica locale, alla base dell’incremento locale delle spine dendritiche e del ripristino della connettività sinaptica, putativamente alterata in corso di MDD56-58. Questa catena di eventi molecolari coprirebbe un intervallo temporale del tutto compatibile con la rapidità di azione antidepressiva della ketamina.

Contestualmente, ketamina e metaboliti (un ruolo centrale sembra poter essere attribuito soprattutto a HNK)59, appaiono in grado di modulare alcuni specifici pathway metabolici astrocitari, quali il ciclo glutammato-glutammina, alla base dell’incremento dei livelli extracellulari di glutammato nella corteccia prefrontale, documentato sia nel modello animale60 sia da un elegante lavoro sperimentale su volontari sani e pazienti affetti da MDD48.

Inoltre, la ketamina, inibendo la glicogeno sintasi chinasi 3 (GSK3) attraverso la sua fosforilazione61, ne limiterebbe l’azione regolatoria negativa sul pathway di mTORC1 che, disinibito, sarebbe ulteriormente facilitato nel promuovere la specifica cascata di eventi alla base della sinaptogenesi e del peculiare e rapido effetto antidepressivo62.

Le cellule staminali pluripotenti indotte

Le cellule staminali pluripotenti (PSC) costituiscono una popolazione molto interessante dal punto di vista della biologia dello sviluppo, poiché possiedono un’estesa capacità di “self-renewal”, ovvero la capacità di replicare in maniera indefinita mantenendo il proprio stato indifferenziato, e la “pluripotenza”, ossia l’abilità di differenziare in tutti i tipi cellulari derivati dai tre foglietti germinali – ectoderma, mesoderma ed endoderma – esclusi i tessuti extraembrionali. Fino a pochi anni fa le PSC erano rappresentate dalle cellule staminali embrionali (ESC), reperibili quasi esclusivamente attraverso prelievo diretto delle cellule della massa cellulare interna dell’embrione precoce allo stadio di blastocisti. Come è noto, il processo di isolamento delle ESC di origine umana richiede la disgregazione dell’embrione e pone importanti problemi di natura etica63,64.

Una valida alternativa al sacrificio degli embrioni è sorta più di un decennio fa grazie agli studi condotti dallo scienziato giapponese Shinya Yamanaka nel 2006 e che, nel 2012, gli sono valsi il premio Nobel per la fisiologia e la medicina. Tali studi hanno portato alla messa a punto della tecnica cosiddetta “di riprogrammazione cellulare”: un processo mediante il quale cellule mature, quali per esempio le cellule della pelle o del sangue, possono essere convertite in cellule pluripotenti mediante l’inserimento di 4 geni (detti Oct-3/4, Sox2, c-Myc e Klf4). I prodotti di questi 4 geni agiscono stimolando lo spegnimento dei circuiti molecolari tipici delle cellule mature e, nel contempo, l’accensione di quelli necessari alla pluripotenza, consentendo la generazione di un nuovo tipo di PSC: le cellule staminali pluripotenti indotte (iPSC)65. Le iPSC così ottenute mostrano caratteristiche molto simili alle ESC quali una stessa morfologia, una uguale capacità di self-renewal e l’espressione dei medesimi marcatori molecolari di staminalità e di pluripotenza66. La tecnologia della riprogrammazione è stata applicata successivamente anche a cellule umane67,68 e negli anni seguenti è andata incontro a progressivi perfezionamenti, permettendo lo sviluppo di protocolli per la generazione di iPSC più sicuri ed efficienti. Le iPSC offrono quindi alcune fondamentali caratteristiche delle ESC con il doppio vantaggio di 1) non sollevare questioni etiche legate al sacrificio di embrioni, e 2) di poter essere ottenute da qualsiasi individuo, sano o affetto da patologie genetiche o complesse. Oggi, grazie all’utilizzo di vettori virali non integranti nel genoma o di altri metodi di trasferimento genico non virali, si possono produrre efficientemente iPSC umane “footprint-free” (ossia senza alterazioni del genoma) e anche “clinical grade” (ossia idonee per ''applicazioni in ambito clinico)69,70.

Nonostante i meccanismi molecolari responsabili del processo di riprogrammazione non siano ancora completamente chiari, è indubbio che l’ingresso delle iPSC nel panorama delle cellule staminali ha fornito alla comunità scientifica un nuovo fondamentale strumento per mettere a punto nuovi approcci di medicina rigenerativa e, allo stesso tempo, per lo studio delle malattie umane71-74.

A oggi sono migliaia le linee di iPSC ottenute da diverse cellule donatrici (cellule della pelle, del sangue e persino da cellule di “scarto” presenti nelle urine) e da differenti individui. Sono state istituite diverse biobanche che conservano e mettono a disposizione linee di iPSC umane ottenute da individui sani o affetti da patologie specifiche sia monogeniche sia multifattoriali, come le distrofie muscolari, il morbo di Parkinson, la sindrome di Down, il diabete mellito giovanile, le malattie cardiache e molte altre. Sistemi basati sulle iPSC derivate da tessuti di pazienti affetti da una determinata malattia costituiscono a oggi l’approccio migliore per la costruzione di modelli di malattia che permettano di studiare direttamente le disfunzioni cellulari malattia-specifiche e sviluppare trattamenti più efficaci75. La riprogrammazione è infatti particolarmente importante per evitare il prelievo di cellule malate da tessuti difficilmente accessibili quale, appunto, quello cerebrale.

Negli ultimi anni, oltre allo sviluppo della tecnologia delle iPSC, si è assistito a un perfezionamento dei protocolli di differenziamento delle PSC in popolazioni selettivamente arricchite nelle tipologie cellulari umane mature di interesse. Per quanto riguarda il sistema nervoso, oggi sono disponibili protocolli per ottenere in vitro colture di sottotipi neuronali dei vari distretti cerebrali, inclusi neuroni glutammatergici o GABAergici corticali, motoneuroni corticali o spinali e neuroni dopaminergici della substantia nigra76. Inoltre, le iPSC possono essere utilizzate anche per generare sistemi cellulari 3D più complessi, quali gli organoidi cerebrali o organoidi regione-specifici77,78.

Per quanto riguarda i disturbi neuropsichiatrici, l’uso delle iPSC consente lo studio dei sottotipi neurali specifici che sono tipicamente inaccessibili nei pazienti vivi, creando un’opportunità per riprodurre in vitro i meccanismi alla base dell’insorgenza e della progressione di malattie specifiche in tipologie cellulari rilevanti per queste patologie76,79,80.

La tecnologia della generazione di iPSC umane offre l’opportunità, al momento unica, di generare cellule neurali direttamente da sottogruppi di persone affette da un certo disturbo psichiatrico con caratteristiche cliniche specifiche, e quindi di studiare alcuni aspetti cellulari e molecolari della neurotrasmissione e della risposta al trattamento a un livello precedentemente inaccessibile21. Negli ultimi anni, diverse linee di iPSC sono state derivate da fibroblasti e cellule mononucleate del sangue periferico di pazienti affetti da vari disturbi neuropsichiatrici o con specifici profili di risposta o resistenza a farmaci76,81-85. Risultati incoraggianti sono stati ottenuti da diversi studi che hanno impiegato neuroni derivati da pazienti per studiare alcuni disturbi psichiatrici tra cui schizofrenia, disturbo bipolare e disturbi dello spettro autistico86-90.

Verso un modello TRD basato su iPSC umane per lo studio dei meccanismi d’azione antidepressivi ad azione rapida della ketamina

Applicare questo nuovo approccio sperimentale alla modellizzazione del MDD potrebbe risultare particolarmente complesso, principalmente a causa della complessa eziologia multifattoriale di tale disturbo che implica una forte interazione tra suscettibilità genetica e presenza di fattori ambientali trigger91-94. L’acceso interesse scientifico per le ipotesi di interazioni gene-gene e gene-ambiente-gene nell’evoluzione del MDD è rimasto tale nonostante i controversi risultati ottenuti da diversi studi in questo ambito. A questo riguardo, un recente studio di comparazione tra popolazioni (con una dimensione campionaria rispettivamente di 62.138 a 443.264 soggetti) ha esaminato la rilevanza di 18 geni ritenuti avere una rilevanza biologica per i fenotipi della depressione, non evidenziando alcuna significativa associazione tra polimorfismi di ciascun gene candidato con i particolari fenotipi depressivi,alcun effetto moderatore dei polimorfismi sull’ambiente95.

Tale studio, che risente molto del modello dei candidate genes, è sostanzialmente in linea con quanto evidenziato anche dai successivi studi di associazione genome-wide (GWAS): al di là delle singole etichette diagnostiche utilizzate in clinica, dal punto di vista genetico i disturbi psichiatrici nel loro insieme condividerebbero transnosograficamente alcune comuni varianti di rischio genetico, in grado di predisporre a sviluppare una sostanziale aspecifica suscettibilità nei confronti della patologia mentale96.

Riguardo all’identificazione di fenotipi cellulari e molecolari associati ai sottotipi di MDD, particolarmente importanti sono due studi sulla TRD realizzati da un gruppo di ricerca statunitense, nei quali la stratificazione dei pazienti (oltre 800 soggetti) con MDD è avvenuta in base alla risposta farmacologica agli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI). In un primo studio97, i ricercatori hanno generato iPSC da tre pazienti SSRI-remitter e da altri tre SSRI-non remitter, derivando così le corrispettive linee neuronali per studiarne in vitro la funzionalità serotoninergica. Gli autori hanno così osservato che soltanto i neuroni derivati da pazienti SSRI-non remitter esibivano un particolare fenotipo di iperattività indotta dalla serotonina, associato alla sovra-espressione dei recettori serotoninergici 5-HT2A e 5-HT7. Il blocco di questi recettori da parte del lurasidone (un potente antagonista dei recettori 5-HT2A e 5-HT7 recentemente approvato dalla FDA anche per la terapia della depressione bipolare) riduceva parzialmente il fenotipo iperattivo nei neuroni derivati da pazienti SSRI-non remitter. Nel secondo studio98, basato sullo stesso campione del primo studio ma focalizzato sull’analisi della biochimica della serotonina (5-HT), i ricercatori non hanno osservato differenze significative nel rilascio e nella ricaptazione della 5-HT o nei geni correlati alla biochimica della 5-HT. I neuroni serotoninergici derivati da pazienti SSRI-non remitter hanno invece mostrato, rispetto agli altri due gruppi di controllo (SSRI-non remitter e soggetti sani), una morfologia dei neuriti alterata, verosimilmente associata alla ridotta espressione genica di alfa protocaderina. È stato quindi ipotizzato che tale pattern di ipereccitabilità associato alla stimolazione serotoninergica e le specifiche anomalie morfologiche riscontrate nei neuroni derivati dai pazienti resistenti agli SSRI possano svolgere un ruolo centrale nei meccanismi di farmacoresistenza ai farmaci serotoninergici.

Per quanto stimolanti e carichi di interesse, questi risultati devono essere considerati come preliminari a causa di evidenti limiti. Il principale è verosimilmente insito nella dimensione campionaria che, per diverse cause, negli studi con iPSC è limitata. Tale tecnologia infatti è piuttosto complessa, lunga e onerosa. Considerata l’ampia diversità dei fenotipi clinici del MDD, è probabile che le popolazioni neuronali esaminate rivelino solo una minima parte della complessità neuronale coinvolta nella patogenesi del disturbo e, quindi, nella risposta al trattamento. Sicuramente l’utilizzo di tecnologie automatizzate consentirà in futuro di ottenere iPSC analizzabili da un numero di pazienti molto più ampio.

Per quanto riguarda invece l’applicazione della tecnologia iPSC allo studio dei meccanismi d’azione della ketamina, in letteratura è possibile reperire degli interessanti lavori di un gruppo di ricerca italiano, che ha recentemente condotto una serie di studi basati proprio sulla generazione di iPSC umane. I risultati di un primo studio99 hanno confermato l’ipotesi54 che la ketamina sia in grado di stimolare la plasticità sinaptica tramite l’attivazione dei recettori AMPA nei neuroni dopaminergici umani, attraverso l’attivazione dei pathway di BDNF e mTOR. In un altro studio100, è stato osservato che l’esposizione delle colture a una concentrazione submicromolare di HNK è in grado di produrre già dopo un’ora un’arborizzazione dendritica simile a quella ottenuta con l’equivalente esposizione a concentrazioni micromolari di ketamina per una o sei ore. Queste osservazioni suggeriscono che HNK possa esercitare un effetto simile a quello del farmaco originario, prolungandone la durata. Tali effetti di ketamina e di HNK possono essere annullati dal pretrattamento con NBQX e GYKI 52466, due antagonisti del recettore AMPA, e con rapamicina, un inibitore selettivo di mTOR. A riprova degli effetti sulla neuroplasticità strutturale indotti da ketamina, in un terzo studio101 sulle medesime linee cellullari riprogrammate, lo stesso gruppo ha analizzato l’espressione delle subunità recettoriali AMPA GluR1 e GluR2 utilizzando anticorpi specifici diretti contro le due subunità. Nella condizione basale i livelli di GluR1 risultavano significativamente più alti nel soma rispetto ai dendriti, mentre quelli di GluR2 erano significativamente più alti nei dendriti che nel soma. L’esposizione per un’ora a 1 µM di ketamina si è dimostrata in grado di aumentare il segnale prodotto da entrambe le subunità nei dendriti, mentre nel soma si è registrata l’iperespressione della sola subunità GluR2. La precisa up-regulation di tali subunità nel contesto di una precisa localizzazione spaziale sembra quindi fondamentale per guidare i cambiamenti strutturali indotti dal trattamento con ketamina sulla popolazione dopaminergica studiata.

È da sottolineare quanto in questa tipologia di studi sia importante adottare un punto di vista il più possibile traslazionale, ricercando quindi una sintesi sinergica di professionalità del mondo della ricerca di base e della pratica clinica. In questa particolare ottica, il primo e più importante passo è rappresentato dall’ottimizzazione del modello sperimentale di malattia. Questo implica la necessità di concentrarsi su una precisa stratificazione clinica dei pazienti che devono essere puntualmente caratterizzati sulla base della storia di malattia e di una precisa anamnesi farmacologica in profili di resistenza il più possibile dettagliati. Poiché pochissimi studi soddisfano questi criteri, le informazioni su questa popolazione clinica sono attualmente molto limitate11. Dal momento che la vera e propria resistenza farmacologica potrebbe giocare anche un ruolo marginale102, il processo di approfondita fenotipizzazione deve essere ottimizzato attraverso l’utilizzo di molteplici strategie per valutare la storia di malattia di ciascun soggetto, specialmente quando vengono costruiti protocolli di studio con dimensioni campionarie ridotte. All’interno di tali ideali campioni stratificati di pazienti con TRD dovrebbero essere identificati soggetti che esibiscono risposte estreme e opposte: pazienti con risposte straordinarie e rapide alla ketamina e soggetti invariabilmente refrattari. In secondo luogo, una volta ottenute le iPSC da queste coorti selezionate, i sottotipi cellulari da generare dovrebbero essere pianificati oculatamente. Gli studi pionieristici condotti sulle iPSC umane in campo neuropsichiatrico hanno adottato principalmente un approccio di modellizzazione cosiddetto single-cell, ovvero basato sullo sviluppo di modelli di malattia basati su una singola tipologia cellulare. Tuttavia, come abbiamo ricordato precedentemente, l’efficacia della ketamina sembra coinvolgere un sistema costituito da diversi tipi cellulari e differenti meccanismi di azione profondamente inter-dipendenti e inter-regolati. Un modello di malattia valido dovrebbe quindi tenere conto di questa complessità superando il modello single-cell in favore di un più composito modello caratterizzato dall’apposizione di più tipologie cellulari attraverso tecniche di co-culturing.

La tecnologia iPSC ha raggiunto uno sviluppo tale da consentire di ricostruire in una piastra di coltura in vitro la complessità della sinapsi glutammatergica con le relative identità neuronali (neuroni glutammatergici e GABAergici) e gliali (astrociti e oligodendrociti) derivate da uno specifico paziente. Tali popolazioni neuronali mature possono essere studiate a differenti livelli al fine di evidenziare possibili alterazioni fenotipiche che segregano in modo specifico i gruppi di pazienti che esibiscono risposte differenti alla ketamina rispetto ai pazienti altamente refrattari.

Le popolazioni mature neuronali possono essere studiate a livello morfologico (area del soma neuronale, livello di ramificazione, interconnettività, lunghezza dei neuriti dei neuroni differenziati, numero di sinapsi, espressione di marker per specifici sottotipi neuronali, ecc.), al livello funzionale (realizzazione di network funzionali neuronali in grado di esprimere attività spontanea o rispondere a particolari stimoli secondo quanto è oggi possibile realizzare con sistemi high-density multi-electrode array-based o hd-MEAs) e a livello molecolare.

Questi progressi tecnologici stanno permettendo ad alcuni gruppi di ricerca, incluso il nostro (progetto in corso), di condurre studi su popolazioni di neuroni omogenee o miste derivate da iPSC di soggetti affetti da MDD e con TRD grave103,104.

Come detto precedentemente, la maggior parte delle conoscenze neurobiologiche sui meccanismi di azione della ketamina proviene da studi preclinici su modello animale, che hanno dimostrato la centralità dell’attivazione dei pathway di segnale che coinvolgono NMDAr, AMPAr, BDNF-TrkB, mTOR e eEF2K/eEF237,38,41-43,45,105. Evidenze recenti suggeriscono che l’effetto antidepressivo acuto della ketamina richieda inoltre l’attivazione del sistema oppioide, suggerendo che la sua attività antidepressiva possa non essere esclusivamente attribuibile all’antagonismo dei recettori NMDA106. Lo studio di Williams et al.106, dimostrando come il naltrexone, un antagonista del recettore oppioide µ, sia in grado di attenuare o addirittura annullare l’effetto antidepressivo della ketamina (mantenendone invece il profilo dissociativo), ha stimolato un acceso dibattito nella comunità scientifica107 circa il ruolo del sistema oppioide nella patogenesi della depressione e nell’innegabile efficacia antidepressiva della ketamina. I risultati di un recente studio su un particolare modello murino di depressione108 suggeriscono che l’attivazione dei recettori oppioidi µ possa svolgere un ruolo “permissivo”, necessario ma non sufficiente per esplicitare l’efficacia antidepressiva di ketamina. Tale ruolo potrebbe essere sostenuto da un complesso proteico deputato alla reciproca regolazione di recettori oppiodi µ e NMDA109.

L’approccio offerto dalla tecnologia iPSC offre molteplici opzioni sperimentali per lo studio e l’identificazione dei diversi meccanismi molecolari attivati della ketamina nelle cellule neuronali. Come brevemente descritto nella revisione degli studi pionieristici attualmente prodotti con questo metodo, è possibile, per esempio, utilizzare set tradizionali di inibitori specifici (antagonisti del recettore AMPA, inibitori del segnale BDNF-TrkB o TrkB/MEK, ecc.) in combinazione con la ketamina, al fine di determinare se specifici inibitori di queste vie molecolari siano in grado di bloccare i cambiamenti morfologici e funzionali indotti dalla ketamina. Inoltre, lo stesso obiettivo può essere perseguito impiegando approcci di trascrittomica, analizzando quindi, per esempio, l’insieme di tutti gli RNA trascritti da specifiche popolazioni neuronali prima e dopo il trattamento con ketamina. Tali tecniche, che si sono profondamente evolute negli ultimi anni, consentirebbero tramite raffinate analisi bioinformatiche di isolare gli specifici cambiamenti trascrizionali indotti dalla ketamina, ampliando la possibilità di identificare ulteriori potenziali geni responsabili dei meccanismi di risposta o non risposta al trattamento con ketamina110.

Conclusioni

Circa un terzo dei pazienti con MDD sviluppa una TRD. Tra le diverse cause che rendono quest’ultima una patologia altamente disabilitante vi sono una comprensione parziale della sua eziopatogenesi e gli evidenti limiti dei trattamenti farmacologici attualmente disponibili. Tuttavia, i progressi della biologia molecolare, in particolar modo della tecnologia iPSC, stanno consentendo di ampliare le possibilità di studio dei meccanismi molecolari alla base dell’eziopatogenesi di diverse malattie, comprese il MDD, e di implementare sistemi di screening farmacologici direttamente su modelli cellulari umani. Questi progressi hanno quindi reso possibile la creazione e l’ottimizzazione di nuovi modelli cellulari “paziente-specifici” in vitro di grande interesse per molti disturbi psichiatrici. Tali approcci, superando molti dei limiti inerenti ai modelli animali e post mortem, aprono nuove strade per acquisire una maggiore comprensione anche dell’eziopatogenesi del MDD. La psichiatria si sta confrontando anche con i primi incoraggianti risultati relativi al primo antidepressivo fast acting. Sebbene la ketamina sembri possedere il potenziale per rivoluzionare l’approccio terapeutico alla depressione, i meccanismi d’azione alla base dei suoi effetti antidepressivi sono solo parzialmente compresi. Gli approcci sopra menzionati promettono di rilanciare la nostra disciplina, arricchendola di nuovi strumenti di medicina personalizzata, potenzialmente strategici per l’identificazione delle basi molecolari del MDD, della TRD e dei meccanismi di risposta o resistenza a molti farmaci, compresa la ketamina, offrendo un valido aiuto allo sviluppo di nuovi trattamenti antidepressivi più selettivi, personalizzati e tollerati.

Conflitto di interessi: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.

Finanziamenti: il presente articolo è parte di un progetto finanziato dalla Fondazione Cariplo (n. 2019-3396, titolo: Shedding light on treatment-resistant depression and unravelling ketamine’s fast-acting antidepressant mechanisms of action through patient-derived induced pluripotent stem cells), la quale non ha avuto alcun coinvolgimento nella preparazione del manoscritto né nella decisione di sottoporre l’articolo per la pubblicazione.

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