Bullismo omofobico: considerazioni critiche e interventi
giuridico-istituzionali

Homophobic bullying: critical considerations, and legal-institutional
interventions


PAOLO BRUSCO1, GIANCARLO NIVOLI1, CRISTIANO DEPALMAS1, ALESSANDRA NIVOLI1,
PAOLO MILIA
1, LILIANA LORETTU1*

*E-mail: llorettu@uniss.it


1Dipartimento di Scienze Mediche, Chirurgiche e Sperimentali, AOU Sassari, Università di Sassari


RIASSUNTO. Il Bullismo omofobico è oggetto di grande interesse da parte delle istituzioni che, a vario titolo, contribuiscono allo sviluppo responsabile della società. Le evidenze in letteratura forniscono un approccio multidisciplinare al problema. Partendo dalla costruzione dell’identità di genere, tenendo conto degli aspetti biologici, delle influenze esterne e di come la stessa possa trovare resistenti contrasti nella sua evoluzione, si affronta l’adolescenza: un periodo transitorio in cui gli orientamenti sostengono gli alti rischi di mancate corrispondenze nei diversi linguaggi. L’esito può tradursi in uno scontro generazionale, con conseguente pregiudizio. L’adolescente, acquisendo le caratteristiche di mente e di corpo, sviluppa proprie competenze cognitive. Questo permette di considerare il bullismo omofobico nelle sue implicazioni psicosociologiche. L’obiettivo della presente rassegna è quello di delineare una spiegazione del fenomeno in chiave scientifica, educativa e professionale, rintracciando gli aspetti giuridici e le indicazioni istituzionali.


PAROLE CHIAVE: identità di genere, omosessualità, omofobia, bullismo, legge 71/2017.



SUMMARY. Instances in the increase of homophobic bullying mean a major interest in order to develop strong bullying prevention programming which should be a major priority for adults, governments and institutions responsible to promote and ensure a responsible development of society. The complexity of the problem requires a multidisciplinary approach of a comprehensive nature. Starting from the construction of gender identities, and taking into account and understanding the biological aspects, external influences, and arising contrasts during the process, a young person faces adolescence: a transition period when sexual orientation or preference faces higher risks as the person has to come to terms with a mismatch between scales of knowledge. The outcome will result in an inter-generational conflict which becomes a prejudice. By acquiring the desired characteristics of mind and body, adolescents develop their own cognitive skills. Thus we can consider homophobic bullying in its psycho-sociological implications. The aim of this paper is to delineate an explanation of the topic in a scientific, educational and professional way, and at the same time to take into account all legal and institutional issues.


KEY WORDS: sexual orientation, homosexuality, homophobia, bullying, legge 71/2017.


INTRODUZIONE

In questi ultimi anni si assiste a un aumento considerevole dei casi di Bullismo omofobico, soprattutto nelle scuole. Le fattispecie riguardano azioni compiute da adolescenti appartenenti a una socialità che ricerca il protagonismo, acuita dalla peculiare caratterizzazione all’appartenenza “social”.

Vivere il tempo, per la Generazione 4.0, causa non solo un connaturato disagio, ma l’intenzionalità nel vincere l’ordinario, la normale quotidianità, e la tendenza a interrompere le pertinenze dei riferimenti culturali, le posizioni di ascolto verso gli adulti, riducendo fortemente le distanze fiduciarie con le Istituzioni. Si crea, pertanto, una condizione di estrema fragilità, perché l’adolescenza, essendo legata al suo obbligato sviluppo biologico, è simultaneamente condizionata dagli imprinting evolutivi, dalle deprivazioni famigliari e ambientali, dai processi di partecipazione o esclusione educativa, dal coinvolgimento, diretto e indiretto, al successo formativo-scolastico, dal grado di soddisfazione affettiva vissuta nelle relazioni pubbliche e quelle private, in una elezione di esclusività. Negli ultimi anni si ha un’acuta percezione di quanto le generazioni siano cambiate a fronte del subire le trasformazioni storiche così capaci di influenzare il pensiero, promuovendo o sottomettendo le idee individuali e collettive. Mutano, ontologicamente, i modi di rappresentarsi, ma la natura adolescente, permeata da impulsi, rimane nel tempo, fondamentalmente, identica.

Secondo David Baindbridge, l’adolescenza è la peculiarità della specie umana con caratteristiche distintive riguardanti: la locomozione, il cervello, la riproduzione e il progetto esistenziale1, in cui il passaggio determinante, dall’infanzia alla pubertà, rileva una discontinuità nel rapporto, ambivalente, con il proprio corpo, poiché le trasformazioni fisiche, avvenendo rapidamente ed essendo visibili, causano disarmonie temporanee. Numerosi elementi biopsicosociali intervengono nello sviluppo del cervello e nella strutturazione dell’immagine corporea che in questa fase è caratterizzata da numerose conflittualità. Una generica tendenza di uniformarsi al gruppo sembra contrastare il senso di angoscia2.

Il primo aspetto su cui è necessario soffermarsi, per affrontare il Bullismo omofobico, è la costruzione dell’identità di genere in età evolutiva. Non essendo il genere connaturato alla nascita, ma riferito alle differenze psicologiche e culturali tra maschi e femmine, appare impreciso denominarlo, in uno specifico ambito, come risultante del sesso biologico: lo si definisce in itinere nella sua interezza relazionale, all’interno delle interazioni con gli altri, tenendo conto dell’intreccio con le esternalità ambientali in cui l’individuo è, in previsione, collocabile e, nello status organizzativo, collocato. Esso è collegato alle nozioni, socialmente costruite, di mascolinità e di femminilità3. Si tende già a educare l’infanzia in modo che l’immagine dei bambini si avvicini, il più possibile, a quella di un membro ideale, parimenti a potenziarne lo sviluppo di particolari capacità: la formazione di amicizie e di integrazione, il raggiungimento di traguardi nella popolarità e nell’accettazione dei coetanei4.

Tuttavia questa modalità di intervento presenta delle criticità quando si tramuta in un’offerta a senso unico. I modelli, frequentemente, vengono presentati senza tenere conto delle esperienze intraparentali e individuali: la proposta stessa avviene per delega ai mass-media, in primis, o alle convenzioni narrate e tramandate, condizionata dal decadimento dell’unica autorità riconosciuta in capo al pater familias e dalla collocazione della madre, in ambienti altri all’area esclusiva domestica: queste combinazioni hanno prodotto una rapida disintegrazione di formazioni e di forme, considerate tradizionali. Le conseguenze sono evidenti: vi è il manifestarsi di un isolamento evolutivo che colma un disorientamento qualitativo dello schema identitario, la cui funzione è quella di proiettare il divenire adulto, fino al produrre possibili gravi problemi di devianza giovanile5.

Il genere rivela quella tipologia di comportamento appreso sia dall’insieme delle persuasioni presenti nel linguaggio verbale e corporeo sia dal sistema-modalità contenente punizioni e premi verso i quali si vive in rapporto di subordinazione. Dunque è esatto parlare di identità di genere e non di identità di sesso6 e con l’espressione ruolo di genere si intendono tutte le occasioni in cui un soggetto si compie, facendo, o si esprime per presentarsi agli altri come maschio o come femmina.

Le aree di socializzazione, in cui le figure genitoriali e i caregiver si accostano con diversità nei confronti dei bambini e degli adolescenti, tenendo conto del loro sesso biologico, trovano input sulle preferenze accordate nella scelta dei giocattoli, delle pratiche sportive o di gruppo: trattasi di un’empatia indotta, assunta come principio apodittico, che tenga, senza contraddizioni, conto dei sinonimi di maschilità e di femminilità affermati all’interno dell’adult zone di appartenenza, inglobante un radicamento emo-abitativo entro un condizionamento stanziale di riferimento, originario e in successivo avanzamento. La stessa valenza è riferita all’assegnazione stereotipica degli impegni e delle azioni quotidiane, dividendo quelli prettamente maschili dagli altri di stretta pertinenza femminile. Diventa, pertanto, necessaria la valutazione oggettiva che le influenze delle ambientazioni hanno singolarmente sul fanciullo e di esso nella gruppalità7. Ciò va applicato nel livello particolare e generale, ovvero il significato identitario è collocato in un doppio ingresso nell’accettazione del sistema compartecipato e vissuto: l’aspetto iniziale, attraverso il quale l’insieme dei mezzi consenta un conseguente accesso intro definito, e l’interno esteriorizzato, in validazione con un sociàbile risultato dimostrato, non più attaccabile o passivo di possibili, ulteriori, decifrazioni e modifiche.

Questa considerazione avalla il pensiero che per la maggior parte delle persone l’orientamento sessuale non è per nulla una questione di scelta: molti realizzano, in momenti differenti, di essere LGBTIQA+ (lesbian, gay, bisexual, transgender, intersex, queer, asexual and questioning) e le loro espressioni sessuali e di genere possono variare (UNHCR). Se da un lato il modello della congruenza pone maschile e femminile in opposizione, quello relativo all’androginia psicologica li colloca all’interno di una stessa identità di genere8.

Tuttavia la necessaria correlazione tra sesso biologico, identità di genere e orientamento sessuale afferma l’idea di un’eterosessualità forzata e, quindi, dovuta. Questo ha avvallato, per moltissimo tempo, il pensiero clinico nel considerare l’omosessualità un disturbo psicopatologico. Considerata devianza sessuale, nel DSM, fino al 1974: da disturbo sociopatico di personalità verrà classificata, successivamente, come disturbo mentale non psicotico. Nel 1987 dal DSM verrà eliminata la definizione di omosessualità egodistonica, che indicava gli stati depressivi nei soggetti in conflitto con il proprio orientamento sessuale, perché non accettato interiormente. La World Health Organization (WHO) solamente il 17 maggio 1990 ha depatologizzato l’omosessualità dal manuale diagnostico ICD (International Classification of Diseases), definendola come una variante naturale del comportamento umano. Ogni anno, in quella data, viene celebrata la giornata internazionale contro l’omofobia, la transfobia e la bifobia (International Day Against Homophobia, Transphobia and Biphobia). Il 19 giugno 2018 l’incongruenza di genere (transessualità) è stata rimossa dalla categorizzazione ICD dei disordini mentali, per essere inserita tra le condizioni di salute sessuale.

Si osserva che l’affermazione di un libero orientamento sessuale, capace di manifestare quel naturale processo di identificazione, risulta essere debole se entra a contatto con il paradigma del conformismo.

Gli individui, parte di una maggioranza, nell’asse del confronto vedono l’altrui, posto in minoranza, comparando le proprie risposte con quella degli altri e nel considerare, con la massima attenzione, ciò che dicono; l’esito è di fare coincidere opinioni e giudizi, allontanando, per insicurezza e paura, l’argomento stesso. Le pressioni normative maggioritarie, confliggendo con l’attività cognitiva delle minoranze, provocano conversione, senza acquiescenza, permettendo alle maggioranze acquiescenza, ma senza conversione9.

OMOFOBIA E BULLISMO

Il termine omofobia si utilizza per definire l’odio che alcune persone provano nei confronti delle persone omosessuali, affermando l’eterosessualità come l’unica espressione naturale della sessualità. Non indica una paura irrazionale, ma gli atteggiamenti di svalutazione e di avversione, le azioni di ostilità che hanno come oggetto l’omosessualità. Più raramente si parla di omonegatività che, in generale, tiene conto di quanto siano importanti i valori, le regole, i pensieri dominanti della società nel determinare il disprezzo nei confronti delle persone LGBT. L’omofobia si manifesta nel linguaggio che utilizzi espressioni di derisione o ingiuria, nella violenza e nella condotta passiva o omissiva di fronte a un evento omofobo10.

Il problema del bullismo si configura come un fenomeno estremamente complesso, dinamico, multidimensionale e relazionale: riguarda non solo l’interazione del prevaricatore con la vittima, che assume rassegnazione, ma tutti gli appartenenti allo stesso gruppo con ruoli diversi11. Il termine “bullismo” non indica una realtà oggettiva, psicologica o comportamentale, bensì una costruzione di significati culturali12. In esso si distinguono due forme: reattiva, che scaturisce dalla reazione a una frustrazione o un’aggressione; e proattiva, volta a conseguire un riconoscimento materiale o sociale. Per capire meglio il significato del bullismo a diversi livelli di età e la sua natura più o meno stabile è utile distinguere tra aggressività a insorgenza precoce, con esiti più negativi in età adulta (early starter), e aggressività a insorgenza tardiva, dove si riscontrano problemi comportamentali durante l’adolescenza (late starter)13.

Più strutturalmente, il bullismo omofobico trova evidenza quando un soggetto subisce delle aggressioni, fisiche o verbali, dirette o indirette, volte a ledere l’orientamento sessuale, reale o presunto, ovvero una dignità identitaria manchevole di corrispondenza attrattiva nelle aspettative sociali e specificatamente con le culture dominanti. Le azioni perpetrate, perlopiù da individui costituenti un gruppo, avvengono intenzionalmente e in modo persistente, configurandosi in un’asimmetria di potere. Durante la commissione dell’atto, e nei casi di premeditazione, viene a ridursi fortemente il senso della responsabilità individuale in una totale assenza empatica. In molti casi si è vittima perché un appartenente al nucleo familiare è dichiaratamente gay, lesbica o transessuale14.

Non esistono dei particolari che possano profilare e definire un uomo, una donna, un ragazzo o una ragazza come omosessuale (chiunque lo può essere) al pari delle persone eterosessuali, le cui particolarità li rendano riconoscibili e identificabili. Alcuni lineamenti ritenuti rappresentativi, l’effeminatezza maschile e la mascolinità femminile, sono stereotipi: modi di pensare comuni che si riducono a semplificazioni rispetto alla realtà articolata e complessa15, ovvero degli stampi cognitivi che riproducono immagini, i quadri mentali che abbiamo in testa16. Inevitabilmente nascono asserzioni pregiudizievoli, l’insieme dei giudizi anticipati rispetto alla valutazione dei fatti che attivano condotte sfavorevoli, ostili, con spiccata superficialità, indebita generalizzazione e rigidità, implicando il rifiuto di mettere in dubbio la fondatezza dell’atteggiamento stesso e la persistenza a verificarne la consistenza e la coerenza17.

Il cambiamento paradigmatico, generazionale e scientifico, nel ritenere l’omosessualità come propensione a un tipo di legame entro una variante ordinaria e positiva della sessualità, lungi dall’essere denominata, solamente, in modo semplicistico e riduttivamente “normale”, come già evidenziato dall’American Psychological Association (APA) e dal WHO, permette di indagare non più sull’omosessualità, ma intorno all’omofobia. L’attenzione focalizza il nesso tra i danni provocati dalla stigmatizzazione, dai gesti persecutori e dalle distinte emarginazioni sugli uomini, donne e adolescenti omosex, con l’alto rischio di sperimentazione dei disagi e dei danni psicopatologici, confermando la maggiore incidenza di disturbi affettivi e di ansia, l’ideazione e la conseguente azione suicidaria, la disregolazione emotiva, il discontrollo degli impulsi, un uso/abuso e dipendenza da sostanze. Concorrono all’analisi applicativa dell’agito omofobico due concetti.

Il primo afferisce alla violenza, ovvero l’utilizzo della forza contro un’altra persona, una comunità, o parte di essa, con un’alta probabilità di attuare e provocare concretamente lesioni, morte, danneggiamenti psicologici, alterazioni dello sviluppo e privazioni (WHO, 2002). Il secondo riguarda la discriminazione: ogni distinzione, esclusione, restrizione e preferenza che abbia l’effetto di vanificare, compromettendone il riconoscimento, il godimento e l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in ogni settore della vita pubblica (International Convention on the Elimination of All Forms of Racial Discrimination - ICERD, art. 1). Sulla scorta di queste definizioni l’omofobia è una violenza discriminatoria motivata da intolleranza, avversione e odio, che può costituire reato ai sensi del codice penale vigente (European Forum for Urban Security - EFUS, 2017).

Nella nostra civiltà, la società esige molto dall’adolescente il cui temperamento è imprevedibile, contraddistinto da un’inquieta contraddizione: una dicotomia percettiva e attuativa, nelle pianificazioni soggettive, data dalla ragione che nega e il sentimento che afferma. Gli viene detto, in effetti, di diventare adulto, per raggiungere uno stato di affermazione, ma non gli si insegna come fare18. Tale mancanza di supporto, in cui l’accesso conoscitivo permetterebbe l’applicazione di soluzioni diversificate, fa subire un indottrinamento, escludente di un confronto educativo per delle proposte effettive e praticate. L’omofobia trova un’estensione semantica anche nel cyberbullismo: qualunque forma di pressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti online, il cui scopo predominante sia quello di isolare il minore ponendo un serio abuso, un attacco dannoso, o la sua messa in ridicolo (L. 71/2017, art. 1, c. 2). La vittimizzazione si stabilizza nel tempo e rappresenta un ostacolo significativo al benessere sociale, emozionale e all’adattamento scolastico. Alcuni studi hanno permesso di individuare nelle vittime diverse interferenze sulla loro salute mentale: depressione, insicurezza, bassa autostima, eccessiva passività nei rapporti interpersonali, fino a innescare dei meccanismi comportamentali di autolesionismo19 cristallizzando la propria identità20. Secondo alcuni studi, le prepotenze chiamano sempre in causa una dimensione prioritariamente sessuale: non viene attaccata solo la soggettività in quanto tale, ma anche, soprattutto, la sua identità di genere. Di conseguenza, essere la parte offesa di bullismo omofobico equivale a richiamare l’attenzione sulla propria sessualità, con i relativi stati d’animo di vergogna e disadattamento. La difficoltà nel chiedere aiuto, rivolgendosi agli adulti, è enorme; così come l’individuare figure di sostegno e di protezione, tra i pari, diventa ingestibile, perché difendere un “finocchio” (parola spesso usata, dai ragazzi, nei contesti educativi e di aggregazione) comporta il rischio di essere considerati omosessuali21. Warren Blumenfeld22 individua due livelli di omofobia, a completamento della trattazione di cui sopra: 1) istituzionale, che si riferisce alle politiche discriminatorie; 2) sociale, in cui i comuni stereotipi categorizzanti, sui gay e le lesbiche, portano a una loro esclusione dalle forme di rappresentazione collettiva.

Nelle scuole, la percezione omosessuale attualmente viene ancora classificata e verso di essa si esprimono molteplici riserve, perché associata a delle violazioni contro l’eteronormatività: l’ordine sociale, il senso del limite, il confine tra ciò che è pubblico e ciò che è privato, le prescrizioni sulle pratiche sessuali accettate, quelle considerate normali, e le norme legate al genere. Emerge, inoltre, una maggiore gradualità di violenza e frequenza nel bullismo omofobico maschile rispetto a quello femminile. Le omosessuali donna possono rientrare come oggetto di paura, d’indignazione morale o di generale preoccupazione, ma sono spesso meno oggetto di disgusto. Analogamente le donne eterosessuali possono provare sentimenti negativi verso i gay, ovvero paura, indignazione morale, inquietudine, ma raramente avvertono un’emozione di ribrezzo. Ciò che ispira repulsione è tipicamente il pensiero maschile dell’omosessuale uomo, in quanto analmente penetrabile. Il pensiero del seme e delle feci, che si mischiano all’interno del corpo di un uomo, è una delle idee più disgustose che si possano immaginare agli occhi di quei maschi per cui l’idea della non penetrabilità costituisce un confine sacro che protegge dalla sporcizia, del fango e dalla morte. Tanto il disgusto misogino che quello omofobico hanno profonde radici nell’ambivalenza, specialmente maschile, nei confronti delle produzioni corporee e dei legami di queste con la vulnerabilità23. L’omofobia serve a ristabilire quella asimmetria tra eterosessualità (one-up) e omosessualità (one-down) che si era costruita sulla base della gerarchia tra i generi. Indirettamente, riconfermando il dominio degli uomini sulle donne, rafforza il sessismo e si comprende perché, per gli adolescenti, l’omosessualità implica una perdita di status simbolico, addirittura una semiespulsione dal maschile. Se la categoria di maschile si contrappone a quella delle donne, la categoria della virilità si contraria agli uomini effeminati, scartando gli omosessuali24.

ASPETTI GIURIDICI ED INDICAZIONI
ISTITUZIONALI

Le prospettive, riconosciute all’interno di una diffusa letteratura scientifica trovano la propria conferma giurisprudenziale. I principi trasferiscono la loro portata generale a delle norme specifiche, permettendo al legislatore di rendere applicabile sia la prevenzione necessaria e sia il contrasto continuativo, anche indiretto, al bullismo omofobico.

La Costituzione della Repubblica Italiana, affermando la portata universale degli artt. 2 e 3, in cui i diritti inviolabili dell’uomo sono legati all’adempimento dei doveri inderogabili, riconosce a tutti i cittadini una pari dignità che afferma un valore assoluto, priva di distinguo nelle condizioni personali. La finalità è raggiunta rimuovendo tutti quegli ostacoli che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza, impediscano il pieno sviluppo della persona umana25.

La nostra Carta Costituzionale, pertanto, è garante della Salute, quale diritto individuale e collettivo (art. 32 Cost.) e afferma la tutela, giuridica e sociale, del minore da parte della famiglia e dello Stato (art. 30 Cost.) attraverso il ruolo educativo e formativo dell’Istruzione, capace nel concorrere al processo di promozione soggettiva che sia coerente con la collettività (art. 34 Cost.). Tali impegni programmatici si collocano, anche, negli intenti de Il Libro Bianco26 redatto nel quadro del progetto: “Contro l’Omofobia. Strumenti delle Amministrazioni Locali Europee” (Against Homophobia. European Local Administration Devices - AHEAD), cofinanziato dalla Direzione Diritti Fondamentali e Cittadinanza dell’Unione Europea e coordinato dal Comune di Barcellona.

Con inizio nel gennaio 2010 e terminato nel giugno 2011, l’obiettivo del progetto era introdurre buone prassi delle politiche antidiscriminatorie nei confronti delle persone LGBT a livello di amministrazione locale. Hanno preso parte ai lavori i comuni di Torino e Colonia, l’Istituto per il Governo e le Politiche Pubbliche dell’Università Autonoma di Barcellona, il Centro Interdisciplinare di Ricerche e Studi delle Donne e di Genere dell’Università di Torino, l’Istituto di Sociologia dell’Accademia Ungherese delle Scienze, il Centro di Studi sul Lavoro Giovanile dell’Università di Brunel, a Londra Ovest, e l’Associazione Catalana per la Creazione e lo Studio di Progetti Sociali. Dal Libro si estraggono alcuni importanti riferimenti di indirizzo dell’Unione Europea: gli stati membri, nel 1997, hanno firmato il Trattato di Amsterdam che, all’art. 13, attribuisce nuovi poteri alla Commissione per la lotta contro la discriminazione per motivi riconducibili al genere e all’orientamento sessuale; fino al 2004, in base all’identità o al ruolo di genere, non era esplicitamente richiamata una legislazione UE, la prima menzione specifica la si trova nella Direttiva 2004/83/CE. Tuttavia, in data precedente, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea aveva emesso varie ordinanze in cui si affermava che il principio di parità tra uomini e donne doveva essere interpretato in un contesto più ampio, comprendente la protezione delle persone transgender.

A livello nazionale, la L. 71/201727 è significativa nel contestualizzare il problema all’interno delle comunità scolastiche, nella lotta al fenomeno del cyberbullismo, in tutte le sue manifestazioni, con azioni a carattere preventivo e con una strategia di ascolto sia alla posizione di vittima sia a quella di responsabile dell’illecito, assicurando gli interventi senza distinzione di età. Rilevanti sono la tutela della dignità del minore (art. 2), le linee di orientamento per le Scuole di ogni ordine e grado (art. 4), l’informativa alle famiglie (art. 5) e – elemento di assoluta novità – l’introduzione dell’ammonimento da parte del Questore ai minorenni di età superiore agli anni quattordici che abbiano commesso reati nei confronti di altro minorenne, fino a quando non è proposta querela o non è presentata denuncia per taluno delle fattispecie di cui agli artt. 594, 595 e 612 del Codice Penale e all’art. 167 del Codice per la protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, commessi, mediante la rete Internet (art. 7).

Un significativo cambio di prospettive lega gli aspetti educativi a quelli giuridici, in quanto i diritti, esigibili e certi per tutti, non posso esistere senza i doveri e senza l’assunzione di responsabilità. Con i DPR n. 249/1998 e n. 235/2007, che decretano lo Statuto delle Studentesse e degli Studenti, si stabilisce il Patto Educativo di Corresponsabilità (art. 5 bis del DPR n. 249/1998), ogni anno, firmato tra la scuola di appartenenza, gli studenti e le famiglie. Nel proteggere l’integrità psicofisica dei minorenni, attenzionando, in particolare, i soggetti più fragili e supportando chi ricopre un ruolo educativo, la Legge Regionale 5 febbraio 2018 del Piemonte persegue le finalità attraverso accordi e intese con soggetti istituzionali che operano nel territorio regionale per la lotta ai fenomeni del bullismo e del cyberbullismo, nonché mediante la partecipazione agli organismi territoriali istituiti con disposizioni nazionali. Gli interventi volti al rispetto della dignità della persona, contrastando ogni forma di discriminazione, propongono iniziative culturali, ricreative e sportive sui temi delle diversità, dell’educazione ai sentimenti e all’affettività, nonché sulla gestione dei conflitti e sull’uso consapevole della rete Internet e delle nuove tecnologie informatiche. L’attivazione di programmi di supporto, anche con progetti personalizzati, rivolti alle vittime, finalizzati all’inclusione, alla responsabilizzazione degli autori e degli spettatori agli atti stessi, con l’intento di fare comprendere il disvalore e gli effetti negativi delle loro azioni, è realizzata in collaborazione con le competenti figure professionali, le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, le aziende sanitarie regionali, i servizi sociali ed educativi e le associazioni sul territorio, con il coinvolgimento diretto delle Forze dell’Ordine28.

La radicalizzazione dei fenomeni di bullismo e alcuni cambiamenti qualitativi, come ad esempio l’abbassamento delle fasce d’età coinvolte o l’incidenza di episodi di violenza di gruppo, richiedono maggiormente alle agenzie educative delle azioni sinergiche, condivise e pianificate.

Fondamentale è l’elaborazione di Raccomandazioni29 proposte dall’USR del Friuli-Venezia Giulia: la definizione del problema, tale per cui qualsiasi azione antibullismo deve consistere in un’attenta e condivisa limitazione del fenomeno, al fine di evitare approcci dispersivi e non specifici; il riconoscimento, ovvero lo step nell’analizzare e implementare una serie di procedure e di strategie atte a monitorare la problematica rilevando, in modo tempestivo e attendibile, il suo manifestarsi; l’organizzazione scolastica, dove la prevenzione e il contrasto devono passare innanzitutto attraverso la diagnosi e la progettualità che favorisca, permanentemente, comportamenti responsabili e prosociali con tutte le componenti. Le Raccomandazioni devono essere intese come uno strumento operativo, consapevole, efficace e metodologicamente fondato.

Merita menzione, nel corollario, la proposta attivata dal Seminario di studio “Educazione e genere”, promosso dal Liceo Scientifico Statale Carlo Cattaneo di Torino, nell’ambito del progetto “Tutti insieme in Piemonte contro i bullismi”, in accordo con l’Ufficio Scolastico Regionale per il Piemonte e con il Centro Relazioni e Famiglie, il Centro Antiviolenza e il servizio LGBT del Comune di Torino, attraverso il quale si è voluto introdurre un percorso educativo rivolto, principalmente, ai Dirigenti scolastici e agli insegnanti della Rete di Scuole piemontesi per la prevenzione dei bullismi30.

CONCLUSIONI

Alla luce di quanto precede, pare utile suggerire, in ambito scolastico, lo sviluppo di un’alta competenza pedagogica, ovvero un insieme complesso e dinamico di conoscenze, di abilità, di procedure metodologiche, di esperienze consolidate e ordinate di tipo educativo, fondate sulla riflessione e sulla teorizzazione, che connota la professionalità educativa, e che i soggetti che operano in questo settore devono sapere mettere in campo in modo personale e critico, quando progettano, attuano e valutano il proprio intervento31. Alla scuola spetta il compito di fornire i supporti adeguati affinché ogni persona sviluppi un’identità consapevole e aperta, la piena attuazione della libertà e dell’uguaglianza, nel rispetto delle differenze di tutti e dell’identità di ciascuno. Non basta riconoscere e conservare le diversità preesistenti nella loro pura e semplice autonomia. Sarebbe utile sostenere attivamente la loro interazione e la loro integrazione attraverso la conoscenza della nostra e delle altre culture, in un confronto che non eluda questioni quali le convinzioni religiose, i ruoli familiari e le differenze di genere. La promozione e lo sviluppo di ogni persona rappresentano uno stimolo, in maniera vicendevole, con e per le altre persone: ognuno impara meglio nella relazione con gli altri32. Costituire una base di riflessione per la costruzione di percorsi educativi e didattici trasversali alle discipline diventa prioritario. Tra le situazioni di compito per la certificazione delle competenze personali si individuano: l’accettazione e l’accoglienza delle diversità, comprendendone le ragioni e soprattutto impiegandole come risorsa per la risoluzione di problemi, l’esecuzione di compiti e la messa a punto di progetti; curare il proprio linguaggio, evitando espressioni improprie e offensive; individuare gli elementi che contribuiscono a definire la propria identità e le strategie per armonizzare eventuali contrasti che le caratterizzano; identificare stereotipi e pregiudizi etnici, sociali e culturali presenti nei propri e negli altrui atteggiamenti e comportamenti, nei massmedia e in testi di studio e ricerca33.

Anche l’evoluzione legislativa nazionale è quanto mai significativa e degna di costanti approfondimenti nel rendere omogeneo il trattamento dignitario alle identità di genere, e ai suoi orientamenti, configurandone il comportamento, mosso da pregiudizio, in reato. Si vedano: l’Ordinanza dell’Ufficio di Sorveglianza di Spoleto, 18 dicembre 2018; la Sentenza del Tribunale di Torino, VI Sezione Penale, 14 gennaio 2019 e l’Ordinanza della Corte di Cassazione, 19 febbraio 2019. A un auspicabile, continuo, perfezionamento normativo dovrebbe associarsi un altrettanto progresso culturale, radicato sul rispetto e l’accettazione dell’altro nelle sue molteplici diversità.


Conflitto di interessi: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.

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