Il processo di revisione dei sistemi diagnostici in psichiatria:
differenze tra ICD-11 e DSM-5


The revision process of diagnostic systems in psychiatry:
differences between ICD-11 and DSM-5


GAIA SAMPOGNA1, VALERIA DEL VECCHIO1, VINCENZO GIALLONARDO1, MARIO LUCIANO1, FRANCESCO PERRIS1, PASQUALE SAVIANO2, FRANCESCA ZINNO1, ANDREA FIORILLO1*

*E-mail: andrea.fiorillo@unicampania.it


1Dipartimento di Psichiatria, Università della Campania “L. Vanvitelli”, Napoli

2UOSM Nola, DSM ASL NA 3 Sud, Nola (Napoli)


RIASSUNTO. I due principali sistemi di classificazione utilizzati in psichiatria sono il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders - DSM) e l’International Classification of Diseases (ICD). Il DSM, sviluppato dall’American Psychiatric Association (APA), è stato revisionato nel 2013 e tradotto in italiano nel 2014. L’undicesima revisione dell’ICD, a cura della World Health Organization (WHO), terminata nel 2018, è stata approvata dall’Assemblea Generale della WHO nel 2019 ed è attualmente in fase di traduzione nelle diverse lingue. Sebbene gli autori delle ultime revisioni dei due sistemi diagnostici abbiano tentato un processo di armonizzazione, persistono ancora numerose differenze. La differenza principale riguarda l’approccio alla base dei due sistemi diagnostici: mentre il DSM è più orientato alla ricerca scientifica, il sistema diagnostico dell’ICD sottolinea l’importanza di migliorare la clinical utility delle diagnosi nella pratica clinica ordinaria. È auspicabile che le future revisioni prendano in considerazione queste differenze in modo da favorire una reale armonizzazione tra i due sistemi diagnostici.


PAROLE CHIAVE: classificazione, disturbi mentali, ICD, clinical utility.



SUMMARY. The two main classification systems in psychiatry are represented by the Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (DSM) and by the International Classification of Diseases (ICD). The last version of the DSM has been published in 2013 by the American Psychiatric Association and it has been translated in Italian in 2014. The eleventh revision of the ICD by the World Health Organization has been completed in 2018, approved by the WHO General Assembly in 2019 and it is going to be translated in several languages. Although authors of the last editions of both manuals aimed to the harmonization, several differences still persist. In particular, the DSM has the global aim to be used in the scientific research settings, while the ICD aims to improve the clinical utility of the different diagnoses in the clinical practice. In the near future, all these features should be taken carefully in consideration in order to promote a real integration and harmonization between the two diagnostic systems.


KEY WORDS: classification, mental disorders, clinical utility, ICD.


INTRODUZIONE

I due principali sistemi di classificazione utilizzati in psichiatria sono il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders - DSM) e l’International Classification of Diseases (ICD).

La prima edizione del DSM, pubblicata nel 1952 a cura di Adolf Meyer, conteneva un glossario di descrizioni delle principali categorie diagnostiche; questa edizione può essere considerata il primo manuale ufficiale dei disturbi mentali con un’utilità nella pratica clinica. I disturbi mentali erano concettualizzati come delle “reazioni” della personalità a fattori psicologici, sociali e biologici, riflettendo l’influenza del lavoro di Meyer. La seconda edizione del DSM fu pubblicata nel 1968, sempre a cura di Meyer, in cui i cambiamenti principali includevano l’aumento delle possibili diagnosi (da circa 100 a circa 150) e il passaggio dal termine “reazioni” a quello di “nevrosi”1.

Il vero cambiamento si ebbe nel 1980 con la pubblicazione del DSM-III, a opera di un gruppo di ricercatori americani guidati da R. Spitzer. In questa edizione, per la prima volta, furono introdotti i criteri operazionali per la formulazione delle diagnosi al fine di migliorare la riproducibilità diagnostica tra i medici. Inoltre, il DSM-III incluse un sistema di classificazione diagnostica multiassiale con un approccio neutrale rispetto alle cause dei disturbi mentali. Rispetto al DSM-II, il numero delle diagnosi psichiatriche aumentò ulteriormente, fino a quasi 200. Tuttavia, gli studi che furono condotti nei successivi 20 anni hanno documentato che – a causa di importanti problemi metodologici – l’utilizzo del DSM-III non aveva portato all’auspicato aumento della riproducibilità diagnostica2.

La stesura del DSM-IV, la cui pubblicazione è avvenuta nel 1994, ha seguito gli stessi principi di quella del DSM-III, con criteri sintomatologici decontestualizzati che hanno verosimilmente condotto a un’iper-diagnosi dei disturbi mentali (nel DSM-IV sono elencate oltre 250 sindromi psichiatriche), come sottolineato dallo stesso Spitzer in una critica al DSM-III e al DSM-IV3. Dopo circa 20 anni dal DSM-IV, è stato pubblicato il DSM-5, il cui obiettivo principale è stato quello di migliorare la validità delle diagnosi psichiatriche.

Parallelamente allo sviluppo del DSM, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato numerose edizioni dell’ICD. Infatti, nel 1949 per la prima volta l’ICD ha incluso una sezione specifica per i disturbi mentali. In particolare, la sesta edizione dell’ICD includeva dieci categorie per le psicosi e le psiconevrosi e sette categorie per i disturbi del carattere, del comportamento e dell’intelletto4.

Nel 1955, la WHO organizzò a Parigi la Conferenza Internazionale per la settima revisione dell’International Classification of Diseases, a cui parteciparono numerosi esperti internazionali, con l’obiettivo di migliorare gli errori o gli aspetti poco chiari delle diagnosi presenti nelle versioni precedenti dell’ICD. La conferenza successiva fu organizzata a Ginevra nel 1965; l’obiettivo era quello di apportare cambiamenti più radicali all’ICD, ma lasciando inalterata la struttura di base generale del sistema di classificazione.

In quegli anni il sistema diagnostico dell’ICD venne utilizzato in numerosi Paesi e in alcuni casi furono forniti ulteriori dettagli clinici e adattamenti ai differenti contesti socio-culturali in modo da poter utilizzare con maggiore facilità il manuale nella pratica clinica.

Nel 1975 fu organizzata, sempre a Ginevra, la Conferenza Internazionale per la Nona Revisione dell’International Statistical Classification of Diseases, Injuries, and Causes of Death. La conferenza confermò la struttura di base dell’ICD, ma furono forniti maggiori dettagli per la diagnosi dei vari disturbi, introducendo l’organizzazione del sistema di classificazione in sottocategorie. Inoltre, la nona revisione incluse un metodo alternativo opzionale di classificazione delle diagnosi, che comprendeva informazioni sulla malattia generale di base e sulle manifestazioni cliniche in particolari organi o apparati.

La decima revisione dell’ICD è stata pubblicata nel 1989, oltre 10 anni dopo la precedente edizione. Tale decisione fu dovuta all’enorme diffusione nell’utilizzo dell’ICD in tutto il mondo, per cui fu deciso di consentire agli Stati membri di sperimentare il nuovo sistema diagnostico.

Nel 2013 e nel 2019 sono state approvate rispettivamente la quinta edizione del DSM e l’undicesima revisione dell’ICD mediante un lavoro di molti anni. Nel processo di revisione delle ultime edizioni del DSM5 e dell’ICD6, le task force e i working group hanno avuto l’obiettivo principale di migliorare la clinical utility e al contempo di rafforzare la validità delle diagnosi in psichiatria. Nonostante sia stata prevista una certa armonizzazione tra i due sistemi diagnostici, persistono numerose differenze. In questo contributo verranno riportate le fasi che hanno portato alla pubblicazione delle nuove edizioni dei due manuali diagnostici e le principali similitudini e differenze.

IL PROCESSO DI REVISIONE DEL DSM-5

Fase preliminare

Il processo di revisione del DSM da parte dell’American Psychiatric Association (APA) è iniziato nel 1999, sebbene la pubblicazione di una nuova revisione non fosse in programma prima del 2012. Il processo di aggiornamento del DSM è iniziato con una collaborazione tra l’APA e il National Institute of Mental Health (NIMH) con l’obiettivo di stimolare la ricerca di base sulla nosologia in psichiatria. Il primo risultato di tale collaborazione fu la pubblicazione di una serie di white paper, frutto di varie conferenze svoltesi nel 1999, con la partecipazione di Steven Hyman (Direttore dell’NIMH) e di David Kupfer e Steven Mirin, in rappresentanza dell’APA. Gli argomenti affrontati in queste riunioni includevano gli aspetti neuroevolutivi dei disturbi mentali, i limiti degli attuali sistemi di classificazione, le alterazioni funzionali associate ai disturbi mentali, il possibile contributo delle neuroscienze alla diagnosi, gli aspetti culturali dei disturbi mentali. I topic identificati furono discussi in vari working group, in cui era prevista la presenza di almeno un rappresentante della NIMH.

Durante la prima conferenza congiunta APA-NIMH nel settembre del 1999 fu chiarito che l’obiettivo di tale collaborazione era ben più ambizioso del solo aggiornamento e sviluppo del DSM-5: era piuttosto quello di definire le priorità della ricerca per migliorare i sistemi diagnostici e di classificazione in psichiatria. L’esito finale di questa prima riunione fu la decisione di condurre lavori per orientare le successive fasi di sviluppo del nuovo manuale. Nella seconda riunione, organizzata a luglio 2000, furono coinvolti solo i chair dei diversi working group e i rappresentanti di enti sanitari americani, come il National Institute of Drug Abuse e il National Institute on Alcohol Abuse and Alcoholism. Infine, nella terza conferenza dell’ottobre dello stesso anno fu sottolineata la necessità per ciascun working group di stabilire degli obiettivi a breve/lungo termine e di seguire una modalità di lavoro condivisa: sviluppo di un outline, suddivisione dei compiti tra i membri del working group, integrazioni delle singole parti in un unico documento e condivisione del draft finale con successivo invio della bozza a revisori esterni7.

Seconda fase: definizione della meta-struttura del DSM

Nel 2006, l’American Psychiatric Institute for Research and Education dell’APA promosse una serie di conferenze internazionali con il coinvolgimento di rappresentanti dell’NIMH e della WHO, al fine di sviluppare delle proposte di ricerca condivise, con l’obiettivo di ridurre le discrepanze tra i sistemi diagnostici del DSM e dell’ICD. Tali riunioni hanno avuto come obiettivo la promozione della ricerca di base per migliorare le conoscenze sui disturbi mentali e di facilitare lo sviluppo di criteri diagnostici condivisi dai ricercatori di tutto il mondo per valutare l’eziologia e la patofisiologia dei disturbi mentali8.

Nel corso del processo di revisione del DSM, l’APA ha istituito il Diagnostic Spectra Study Group al fine di chiarire le differenze tra le varie categorie diagnostiche incluse nella nuova versione del manuale. Il Diagnostic Spectra Study Group ha valutato la possibilità di raggruppare i disturbi mentali inclusi nel DSM-IV in cluster o gruppi di disturbi che condividono fattori di validazione esterna, definendo la “meta-struttura” del manuale. La premessa alla base della realizzazione della meta-struttura è stata che sia il DSM-IV sia l’ICD-10 fossero troppo complessi per poter essere utilizzati nella pratica routinaria. I fattori presi in considerazione per la definizione dei cluster hanno incluso: 1) fattori di rischio genetico; 2) familiarità; 3) fattori di rischio ambientale; 4) substrati neuronali; 5) biomarker; 6) antecedenti temperamentali; 7) disturbi cognitivi-emotivi; 8) somiglianza dei sintomi; 9) alto tasso di comorbidità; 10) decorso del disturbo; 11) risposta ai trattamenti9.

Sulla base di tali criteri è stata definita una meta-struttura del DSM costituita da: cluster neurocognitivo, cluster del neurosviluppo, cluster della psicosi, cluster emozionale (o internalizing, che include il disturbo d’ansia generalizzato, il disturbo di panico, la depressione unipolare, la distimia, le fobie, il disturbo ossessivo-compulsivo, il disturbo da stress post-traumatico e i disturbi somatoformi) e cluster dei disturbi esternalizzati (externalizing, che include il disturbo da uso di sostanze, il disturbo di personalità antisociale e il disturbo della condotta)9.

L’identificazione di una meta-struttura nella classificazione dei disturbi mentali ha determinato un ampio dibattito sull’utilità clinica e sull’affidabilità di tale metodologia10-14.

Gavin Andrews9 ha sottolineato come la creazione di cluster diagnostici identificati sulla base di criteri validati, non basati esclusivamente sulle caratteristiche cliniche, rappresenti un approccio scientificamente valido, sebbene non sia possibile definire quali possano essere le ricadute sulla pratica clinica. Inoltre, la definizione di una meta-struttura permette un’organizzazione più “parsimoniosa” del sistema di classificazione, includendo nello stesso cluster quei disturbi che condividono fattori di rischio e caratteristiche cliniche. Ciononostante, Jablensky15 ha sottolineato che – sebbene l’idea di avere un’organizzazione in cluster possa essere “utile” – la modalità con cui sono stati definiti i cluster si basa solo sull’opinione di esperti che hanno utilizzato a supporto dati di letteratura selezionati. Sia il DSM sia l’ICD sono essenzialmente classificazioni di “concetti diagnostici” ateoretici e non di “entità naturali” (natural kinds), per cui la classificazione proposta non si basa su modelli tassonomici o gerarchici. La principale critica alla meta-struttura del DSM è che si vada a definire un terzo livello di classificazione, in aggiunta alle diverse categorie diagnostiche e ai singoli disturbi, che non fornisce alcuna informazione relativa all’organizzazione tassonomica dei due livelli inferiori15. Altri autori, come Wittchen16 e First17, hanno evidenziato che l’identificazione della meta-struttura potrebbe rappresentare una strategia utile da perseguire nel prossimo futuro, ma che al momento non può rappresentare una base solida per lo sviluppo di revisioni degli attuali sistemi diagnostici16-18.

Terza fase: creazione delle task force e dei working group

Tra il 2007 e il 2008, l’APA Board of Trustees ha approvato la creazione della DSM-5 Task Force e di 13 working group (Tabella 1).




I membri delle task force sono stati selezionati sulla base della loro esperienza e della capacità di leadership, includendo oltre 160 esperti mondiali nel campo delle neuroscienze, dei disturbi mentali, dell’epidemiologia e della sanità pubblica, coinvolgendo non solo psichiatri, ma anche altri operatori della salute mentale.

I working group hanno lavorato allo sviluppo dei nuovi criteri diagnostici con numerosi dibattiti relativi, per esempio, all’eliminazione del criterio di esclusione del lutto per la diagnosi di depressione maggiore; all’inserimento della sindrome psicotica attenuata nel capitolo dei disturbi psicotici; all’introduzione del modello dimensionale per i disturbi di personalità. Inoltre, un altro aspetto ampiamente discusso da tutti i working group è stato quello relativo all’introduzione di un approccio dimensionale nella nuova versione del manuale. Per tali criticità, le soluzioni incluse nella versione finale del DSM-5 sono state molto differenti.

Nel caso della depressione maggiore, il working group ha deciso di eliminare il criterio di esclusione del lutto per la diagnosi di depressione maggiore, sulla base dei tassi di incidenza di episodi depressivi in campioni di popolazione che avevano subito o meno il lutto. Tali dati sperimentali hanno sottolineato come non sia possibile osservare alcuna differenza significativa nella prevalenza degli episodi depressivi tra coloro che hanno subito o meno un lutto19. In ogni caso, nel DSM-5 è stata inserita una nota in cui si sottolinea il ruolo essenziale del giudizio del clinico per poter formulare la diagnosi conclusiva di depressione maggiore20-23.

Un altro aspetto ampiamente dibattuto è stato quello relativo all’inclusione della sindrome psicotica attenuata (Attenuated Psychotic Syndrome - APS)24. Tale categoria diagnostica era stata proposta per classificare i soggetti che presentano sintomi psicotici attenuati e che dovrebbero essere monitorati nel corso del tempo per identificare precocemente la comparsa di sintomi psicotici conclamati. In seguito a un acceso dibattito nella task force relativa ai disturbi psicotici, la APS è stata inserita nell’appendice al DSM-5 tra le “Condizioni che necessitano ulteriori studi” in quanto i dati disponibili relativi ai tassi di conversione di APS in sindromi psicotiche conclamate e i relativi trattamenti attualmente disponibili hanno dimostrato un rapporto rischio/beneficio sfavorevole25-27.

L’inserimento di aspetti diagnostici dimensionali nell’ambito dell’approccio categoriale del manuale ha rappresentato un altro elemento di ampia discussione nelle task force. L’approccio categoriale non fornisce una rappresentazione accurata della pratica clinica, come osservato nel caso di pazienti con un episodio depressivo maggiore in cui è frequente la presenza anche di sintomi ansiosi, che possono peggiorare il quadro clinico. In alcune circostanze, i clinici devono necessariamente formulare la diagnosi di due o più disturbi, utilizzando spesso la dicitura di disturbi “non altrimenti specificati”. In mancanza di un approccio diagnostico dimensionale, l’integrazione di una valutazione dimensionale della sintomatologia clinica rappresenta una valida strategia per fornire informazioni cliniche più specifiche sul quadro clinico di ciascun paziente. Per tali motivi, nel DSM-5 sono stati inclusi alcuni strumenti per una valutazione dimensionale dei sintomi (DSM-5 cross-cutting symptom measures)28.

Il lavoro delle differenti task force ha portato alla stesura di una versione pre-finale della nuova edizione del manuale, che nel 2010 è stata pubblicata online. Contemporaneamente, sono stati condotti i field trial per valutare la riproducibilità e l’accuratezza delle diagnosi nella pratica clinica routinaria, con un coinvolgimento di oltre 3500 pazienti29. Sulla base dei feedback ricevuti relativi alla versione online e ai risultati dei field trial, il manuale è stato ulteriormente modificato dai working group e dalle task force. Successivamente, la versione finale del manuale è stata valutata dai chair delle varie task force e dai membri dell’Executive Committee del Board of Trustees e in seguito alla loro approvazione, la quinta edizione del DSM è stata approvata dall’assemblea generale dell’APA nel dicembre 2012 e successivamente pubblicato nel 2013.

IL PROCESSO DI REVISIONE DELL’INTERNATIONAL CLASSIFICATION OF DISEASES

Fase preliminare

Nel gennaio 2007, la WHO ha sancito l’inizio del processo di revisione dell’ICD-10, con l’obiettivo principale di migliorarne l’utilità clinica, cioè la possibilità di utilizzo nella pratica clinica routinaria di uno strumento che deve essere semplice e facilmente accessibile agli operatori sanitari. Inoltre, la nuova revisione dell’ICD ha anche l’obiettivo di facilitare l’identificazione accurata dei diversi quadri clinici, in modo da consentire trattamenti adeguati tempestivi30-32. La WHO ha sottolineato come il processo di revisione debba essere condotto con un’attiva partecipazione di tutti gli stakeholder della salute mentale, garantendo la propria autonomia e indipendenza da influenze commerciali e dell’industria farmaceutica.




Nel processo di revisione dell’ICD un ruolo essenziale è svolto da un International Advisory Board (IAB) (Tabella 2) che ha le funzioni di: guidare e supportare il processo di aggiornamento del sistema diagnostico; identificare i principali stakeholder con cui stabilire un’attiva collaborazione; identificare, rivedere e sintetizzare i dati di letteratura disponibili che devono essere presi in considerazione durante il processo di revisione.

L’IAB – presieduto da S. Hayman – ha nominato differenti working group (Tabella 1) le cui attività includono: 1) analisi dei dati di letteratura disponibili sull’uso, sull’utilità clinica e sull’esperienza acquisita nei vari setting clinici in relazione alle differenti diagnosi disponibili; 2) valutazione dei criteri diagnostici proposti dalle task force del DSM-5; 3) proposta di nuove categorie diagnostiche o revisione delle categorie preesistenti; 4) sviluppo delle Clinical Descriptions and Diagnostic Guidelines (CDDG), utilizzando un form standardizzato33.

Le attività dei vari working group hanno avuto l’obiettivo di migliorare la clinical utility e di applicare i criteri diagnostici secondo un approccio transculturale, mantenendo inalterata la validità e la riproducibilità delle diagnosi34. L’undicesima revisione dell’ICD è circa cinque volte più corposa della precedente edizione e ha coinvolto oltre 300 specialisti da oltre 55 nazioni di tutto il mondo.

Nel maggio 2011 è stata pubblicata una prima versione definita “alpha version”, inizialmente per l’esclusiva consultazione e successivamente per ricevere dei commenti. Nel maggio 2012 è stata resa disponibile online la “beta version”, una versione pre-finale, non ancora approvata dall’assemblea generale e pertanto non utilizzabile nella pratica clinica, ma il cui obiettivo era di essere fruibile a tutti gli stakeholder della salute mentale35,36. Infatti, nel periodo della “beta phase” tutti gli stakeholder della salute mentale hanno potuto formulare proposte di modifica, commentare o suggerire integrazioni relative alle categorie diagnostiche incluse37-39. Sulla base dei commenti ricevuti, è stata sviluppata la versione definitiva dell’ICD, pubblicata il 18 giugno 2018 e ufficialmente approvata dagli stati membri della WHO durante l’Assemblea Generale del 25 maggio 201940.

Field trial

Durante le varie fasi di aggiornamento del sistema di classificazione dell’ICD, al fine di confermare la validità, la riproducibilità e la clinical utility delle linee-guida proposte, sono state condotte varie tipologie di field trial, quali i “formative field trial”, i “case-controlled field trial” e gli “ecological implementation field trial”41-44.

I formative trial hanno avuto l’obiettivo di definire la struttura ottimale delle categorie diagnostiche da inserire nella versione rivista del sistema di classificazione44. Questi trial sono stati condotti dalla WHO in collaborazione con la World Psychiatric Association (WPA) e l’International Union of Psychological Science (IUPsyS)46-49. In particolare, sono state condotte delle survey volte a valutare le attitudini degli psichiatri e degli psicologi verso i sistemi di classificazione comunemente utilizzati nella pratica clinica ordinaria50,51.

In maniera analoga a quanto accaduto per il DSM-5, durante il processo di revisione dell’ICD è stato proposto di definire una meta-struttura del sistema diagnostico15-17, sebbene nessuna meta-struttura proposta abbia soddisfatto il criterio dell’utilità clinica.

Nell’ambito dei formative trial è stata condotta una survey internazionale con oltre 1300 psichiatri da tutto il mondo per valutare il modo in cui i clinici concettualizzano la struttura dei disturbi mentali. I risultati della survey hanno permesso di identificare tre dimensioni: 1) spettro internalizzante vs esternalizzante; 2) disturbi con esordio nella fase evolutiva vs disturbi con esordio nella vita adulta; 3) disfunzioni organiche vs alterazioni funzionali52.

Nel 2015 è stata creata la WHO’s Global Clinical Practice Network (GCPN), una rete internazionale di oltre 12.000 operatori della salute mentale. La GCPN ha l’obiettivo di valutare l’applicabilità e l’utilità clinica delle linee-guida sviluppate dai working group attraverso la conduzione dei case-controlled field study. I risultati di tali trial sono stati utili per promuovere ulteriori revisioni delle linee-guida e del sistema diagnostico45.

Infine, gli ecological implementation field trial, condotti presso i centri partecipanti al network dell’International Field Study, hanno avuto l’obiettivo primario di valutare la clinical consistency (reliability) e la clinical utility delle CDDG nella pratica clinica quotidiana41,53.

I risultati degli ecological implementation field trial sono stati molto incoraggianti; infatti, l’introduzione delle clinical guideline è stata valutata positivamente dai clinici, che le considerano facili da utilizzare e comprensibili, con un buon livello di dettaglio e di specificità per formulare la diagnosi. Inoltre, le clinical guideline sono state ritenute particolarmente utili per la diagnosi differenziale tra le condizioni normali e quelle patologiche41,42,54.

Fase finale: traduzione e disseminazione

La fase finale del processo di revisione dell’ICD include la traduzione nelle diverse lingue, la disseminazione a livello internazionale e il training degli operatori all’utilizzo della nuova edizione dell’ICD.

L’ICD-11 entrerà ufficialmente in vigore il primo gennaio 2022, sebbene la WHO sottolinei come «non tutte le nazioni saranno in grado di implementare rapidamente la nuova edizione». Lo sviluppo dell’undicesima edizione dell’ICD ha reso necessario un lavoro di collaborazione tra i membri dell’advisory group e dei working group con gli stati membri della WHO e delle società scientifiche e di categoria. Lo sviluppo delle CDDG dell’ICD-11 ha rappresentato un processo di revisione globale, multidisciplinare e partecipativo mai implementato prima per la classificazione dei disturbi mentali54.

PRINCIPALI DIFFERENZE TRA ICD E DSM

L’ICD e il DSM sono stati sviluppati da due istituzioni diverse con obiettivi diversi (Tabella 3).




Nel corso delle ultime revisioni, entrambi i sistemi di classificazione hanno cercato di promuovere una reciproca armonizzazione16. In particolare, la creazione di task force e di board internazionali, con i rappresentanti di entrambi le associazioni, è un esempio del lavoro di armonizzazione dei due sistemi55. Per esempio, nell’ultima edizione del DSM è stata introdotta la WHO Disability Assessment Schedule (WHODAS) 2.0 al posto della Valutazione Globale del Funzionamento (VGF), sottolineando gli intenti dei curatori di promuovere un’omogeneità nella valutazione del funzionamento psicosociale dei pazienti.

Ciononostante, le differenze tra i due sistemi persistono e riflettono le differenti priorità con cui sono stati sviluppati56. In particolare, il DSM è un sistema di classificazione relativo solo ai disturbi mentali, mentre l’ICD include tutte le condizioni patologiche57. L’ICD ha come obiettivo il miglioramento della clinical utility delle differenti categorie diagnostiche per poterne migliorare la facilità di utilizzo nella pratica clinica quotidiana e le relative cure fornite ai pazienti58,59. Invece, il DSM nasce prevalentemente con l’obiettivo di essere utilizzato a scopi di ricerca, mantenendo un’organizzazione categoriale e includendo criteri operazionali. Inoltre, nell’ICD-11 sono state introdotte le CDDG. In tali linee-guida viene fornita un’accurata descrizione delle caratteristiche cliniche essenziali di ciascun disturbo, con particolare attenzione ai sintomi che il clinico potrebbe ritrovare con maggior frequenza in tutti i pazienti affetti da quello stesso disturbo. Sebbene nelle CDDG le caratteristiche cliniche essenziali seguano i criteri diagnostici, generalmente non sono indicate delle soglie o un limite minimo di sintomi specifici che debbano essere presenti per poter formulare la diagnosi, a meno che non siano disponibili solide evidenze di ricerca (come nel caso della diagnosi differenziale di depressione rispetto alla tristezza normale). In particolare, la descrizione delle “caratteristiche essenziali” di un disturbo non è formulata per essere considerata come un equivalente dei rigidi criteri diagnostici riportati nel DSM-5. Tale approccio è stato scelto per uniformare la modalità attraverso cui i clinici formulano la diagnosi, all’esercizio del loro giudizio clinico e al fine di migliorare la clinical utility54.

Inoltre, tale scelta è orientata a garantire una maggiore flessibilità ai clinici nel processo di formulazione della diagnosi. Infatti, nelle fasi iniziali del processo di revisione dell’ICD-11, una survey internazionale rivolta agli psichiatri e promossa dalla WHO aveva evidenziato come elemento essenziale di un sistema di classificazione dei disturbi mentali dovesse essere la flessibilità nell’applicazione dei criteri diagnostici51,54. I field trial hanno confermato sia l’elevata utilità clinica di questo approccio, ma soprattutto che la riproducibilità diagnostica delle linee guida dell’ICD-11 sia soddisfacente come nel caso dell’uso di criteri diagnostici più rigidi e stringenti.

Il linguaggio utilizzato nelle CDDG dell’ICD è molto flessibile al fine di potersi meglio adattare ai diversi contesti culturali presenti in tutto il mondo e si contrappone alla maggiore rigidità dei criteri operazionali presenti nel DSM60,61.

Inoltre, nell’ICD-11 è stato adottato un approccio transgenerazionale (secondo una prospettiva lifespan) con l’eliminazione di sottogruppi diagnostici che includono disturbi comportamentali ed emotivi con esordio tipicamente nell’infanzia o nell’adolescenza. Tali disturbi sono stati inseriti nei differenti capitoli dell’ICD sulla base delle specifiche caratteristiche cliniche che condividono con gli altri disturbi, come nel caso del disturbo d’ansia da separazione che è stato introdotto nel capitolo dei disturbi d’ansia e correlati alla paura. Inoltre, le CDDG dell’ICD-11 forniscono indicazioni clinico-diagnostiche per ciascun disturbo in relazione alle presentazioni in età evolutiva così come quelle per la fascia d’età avanzata.

Un’altra differenza significativa tra i due sistemi diagnostici è relativa alla classificazione dei disturbi di personalità. Infatti, nell’ultima revisione dell’ICD, i disturbi di personalità sono classificati lungo un continuum con un livello di gravità crescente62-66. L’eliminazione di un’organizzazione categoriale per i disturbi di personalità è dovuta alla scarsa validità di tale approccio per formulare la diagnosi67-69. Sebbene la task force del DSM-5 per i disturbi di personalità avesse inizialmente proposto un simile cambiamento, con l’introduzione di un approccio dimensionale per i disturbi di personalità, tale modifica non è stata inclusa nella versione finale del manuale in quanto ritenuta troppo complessa70. La classificazione dei disturbi di personalità secondo uno spettro di gravità facilita la possibilità di avere dei livelli diagnostici sottosoglia che sono più rappresentativi delle condizioni riscontrate nella pratica clinica.

CONCLUSIONI

I sistemi di classificazione rappresentano degli strumenti essenziali nella pratica clinica per la condivisione delle informazioni e per migliorare i trattamenti disponibili per i pazienti. Una comunicazione ottimale tra i due sistemi è necessaria, valutando i limiti e i punti di forza di ciascuno e accettando l’idea che entrambi possono fornire un contributo essenziale nella difficile sfida di definire una classificazione ottimale dei disturbi mentali71-76. La WHO e l’APA nel processo di revisione dei loro rispettivi sistemi diagnostici hanno cercato di migliorarne l’armonizzazione attraverso la promozione di gruppi di lavoro costituiti da esperti internazionali che hanno preso parte sia ai working group del DSM-5 sia all’IAB dell’ICD. Ciononostante, persistono ancora numerose discrepanze tra i due sistemi, che dovranno essere necessariamente prese in considerazione nelle future revisioni di tali sistemi diagnostici.

Conflitto di interessi: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.

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