Psichiatria e bioetica: un rapporto critico, uno stimolo alla riflessione

Psychiatry and bioethics: a critical relationship, an incentive to reflect

GIUSEPPE BERSANI1, RAFFAELLA RINALDI2, ANGELA IANNITELLI3,4

E-mail: giuseppe.bersani@uniroma1.it

1Dipartimento di Scienze e Biotecnologie Medico-Chirurgiche, Sapienza Università di Roma
2Dipartimento di Scienze Anatomiche, Istologiche, Medico-Legali e dell’Apparato Locomotore, Sapienza Università di Roma
3Dipartimneto di Scienze Cliniche Applicate e Biotecnoligiche, Università dell’Aquila
4Società Psicoanalitica Italiana

RIASSUNTO. Nel mondo occidentale, e in particolare in Italia, l’attenzione anche giuridica per gli aspetti bioetici sta sempre più assumendo rilevanza nel dibattito a livello medico, politico e nell’opinione pubblica. In questo dibattito, la Psichiatria, come disciplina scientifica strettamente embricata all’umano e al culturale, è poco presente, poco interrogata sui molti temi di psicopatologia strettamente collegati ad aspetti etici su argomenti di sempre più ampia complessità. Sulla base di queste considerazioni, Rivista di psichiatria, da sempre attenta a queste tematiche, vuole essere uno spazio di discussione aperto a tutti gli esperti che si occupano delle tematiche sulla salute mentale.

PAROLE CHIAVE: psichiatria, bioetica, aspetti legali.


SUMMARY. In the western world, especially in Italy, also legal attention to bioethical aspects is increasingly taking on importance in the debate at the medical, political and public level. In this debate, Psychiatry, as a scientific discipline closely integrated with the human and cultural, is underrepresented, little questioned on the many psychopathologal issues closely related to ethical aspects on complex themes. Against this background, Rivista di psichiatria, always keen to these topics, is designed to be a very special space for discussion with all the experts involved in mental health.

KEY WORDS: psychiatry, bioethics, legal aspects.

Un fenomeno che caratterizza il panorama culturale attuale nel mondo occidentale, e in particolare in Italia, è rappresentato dalla crescente attenzione alle implicazioni bioetiche sia nella visione generale dei rapporti sociali sia, in modo più specifico e spesso più rilevante, in tutte le possibili aree della cura medica.
Tematiche quali il diritto all’autodeterminazione, il diritto alla riservatezza, il consenso informato ai trattamenti in atto e futuri1, le problematiche del fine vita, le disposizioni anticipate di trattamento, la responsabilità medica, le implicazioni su possibili aspetti psicologici di bambini sviluppati in contesti omogenitoriali, l’eseguibilità di procedure mediche non necessarie su minorenni2, l’opportunità o meno di legalizzare sostanze d’abuso quale la cannabis, le misure di contenimento e isolamento in contesti psichiatrici con le conseguenti implicazioni mediche, etiche e medico-legali3, le elevate aspettative di cura dei pazienti che spesso si scontrano con le scarse risorse disponibili anche a causa della carenza di fondi stanziati per l’assistenza sanitaria4 sono molto frequentemente presenti nel dibattito a livello sia medico sia politico sia di opinione pubblica.
Anche se in presenza di spesso profonde divergenze di vedute e di proposte, è evidente il netto incremento del peso attribuito a tali problematiche, peraltro confermato dall’evoluzione della legislazione e dai frequenti interventi in merito, almeno in Italia, da parte della magistratura.
In questo dibattito, in modo sorprendente, è spesso assente, o comunque molto flebile, la voce degli psichiatri, la cui opinione viene solo raramente ricercata ma, soprattutto, ancora più raramente espressa. Rivista di psichiatria, da alcuni anni, è attenta a osservare e a riflettere non solo sulle mutazioni della sofferenza mentale nel presente5 ma anche sui temi etici che sempre più frequentemente interrogano gli psichiatri nella loro pratica clinica e nelle teorizzazioni6-9.
Se è vero che su tematiche strettamente etiche l’opinione dello psichiatra non è di per sé più rilevante di quella di qualunque altra figura professionale o di semplice cittadino – non esiste infatti un motivo particolare o una formazione specifica per cui uno psichiatra dovrebbe essere considerato più competente di altri rispetto a un giudizio, per esempio, su disponibilità o non disponibilità della vita, sul diritto all’autodeterminazione, ecc., cioè sui principi ispiratori delle scelte bioetiche, spesso fondati su presupposti culturali, religiosi, ideologici che attengono alla vita del soggetto –, è anche vero che ognuna delle aree problematiche sopra ricordate comporta inevitabilmente aspetti in cui invece la competenza dello psichiatra dovrebbe essere chiamata in causa in modo diretto: ci si riferisce in particolare a tutti quei presupposti psichici o psicopatologici in grado di orientare eventualmente le scelte etiche, oltre che naturalmente a quelli relativi alle conseguenze psichiche o psicopatologiche di queste, oltre che, naturalmente, alle ripercussioni di queste in termini di responsabilità sia deontologica sia legale.
Nella realtà, nella maggior parte dei casi questa competenza non viene né ricercata né esercitata.
Non è semplice riflettere su quali fattori possano essere alla base di questo “silenzio”, fattori certamente complessi ed embricati tra di loro. Forse, il persistere residuo, con un uso perverso delle acquisizioni delle cosiddette “neuroscienze”, di vecchie visioni “positiviste” dello studio della mente, in un’ottica di totale e cieca oggettività: «l’uomo ha la mera e apolitica dimensione del vivente, del materiale biologico»10, che escludendo le implicazioni etiche dell’oggetto stesso dello studio finiscono per diventare memoria del futuro, eugenetica. O un atteggiamento di difficoltà associata a un rifiuto più o meno consapevole di riconoscimento o di approfondimento del livello etico del proprio operare professionale e quindi a una percezione di inadeguata competenza nel campo di scelte, quali quelle etiche, esulanti dallo stretto ambito dell’attività clinica. O forse, come fattore a monte del precedente, la trasformazione in atto nella formazione e nei compiti dello psichiatra, a cui sempre meno si richiede di riflettere, cioè di essere un “pensatore”, e sempre più si richiede di agire secondo progetti, direttive, linee-guida e regole di condotta (che molto spesso non raggiungono un livello di evidenza dell’affidabilità necessaria per farle considerare linee guida vincolanti) 11,12 e che pongono il professionista nel ruolo di “operatore”, esentato di fatto dall’approfondimento circa le implicazioni anche profonde del proprio agire professionale. O forse, infine, il timore di esprimere intuizioni etiche personali non allineate con quelle prevalenti o più affermativamente proposte nell’opinione pubblica, nei mezzi di comunicazione, ecc., in violazione di norme di “correttezza politica” restringenti in modo imperativo ogni margine di espressione del frutto di riflessioni personali. O anche un distanziamento nella formazione dello psichiatra da un sapere più vicino all’essenza dell’umano, come il sapere filosofico o quello psicoanalitico che, attraverso diverse declinazioni teoriche sviluppatesi nel tempo, hanno affrontato il tema della responsabilità, cioè del rapporto dell’uomo con il mondo e con i propri desideri, come fattore etico implicato nella relazione di cura, nei soggetti implicati in essa, negli oggetti osservati e studiati e nello spazio definito della cura.
La conseguenza reale è che spesso, sia a livello individuale sia di società scientifiche, non soltanto non vengono assunte posizioni ma viene direttamente evitato anche il dibattito su argomenti inerenti tematiche etiche più o meno potenzialmente riconducibili alla competenza dello psichiatra.
È evidente che questo ragionamento non può essere generalizzato e che singoli professionisti hanno comunque spesso espresso, in modo anche netto, le loro opinioni, ma si tratta comunque di un’assoluta minoranza rispetto al maggior numero di colleghi silenziosi.
Sulla base di queste considerazioni, Rivista di psichiatria sente l’urgenza e l’utilità della costruzione di uno spazio scientifico che stimoli tra gli psichiatri e tra gli appartenenti a discipline che condividano tali aree di problematicità – primi tra tutti i medici legali, oltre naturalmente a neurologi, neuropsichiatri infantili, neuroscienziati, psicologi, psicoanalisti, psicoterapeuti e altri “esperti della mente” – la riflessione critica, in modo del tutto libero, per quanto possibile, da condizionamenti ideologici, su tematiche in cui appaia centrale l’implicazione bioetica, che lasci spazio a espressione e confronto di opinioni, che incrementi un dibattito esteso a esponenti di altri ambiti culturali (bioeticisti, filosofi, sociologi, politici), in uno spazio interstiziale germinativo di pensabilità della complessità.

Conflitto di interessi: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.
bibliografia
1. Bersani G, Pacitti F, Iannitelli A. “Delusional” consent in somatic treatment: the emblematic case of electroconvulsive therapy. J Med Ethics 2020 Feb 13. pii: medethics-2019-105540.
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5. Biondi M, Picardi G. I nuovi “casi difficili” in psichiatria. Riv Psichiatr 2018; 53: 223-32.
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7. Bersani G, Iannitelli A. La legalizzazione della cannabis: tra irresponsabilità politica e deresponsabilizzazione degli psichiatri. Riv Psichiatr 2015; 50: 195-8.
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10. Pacioni M. Neuroviventi. Politica del cervello e controllo dei corpi. Sesto San Giovanni, Milano: Mimesis Edizioni, 2016.
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12. Montanari Vergallo G, Rinaldi R, Bersani G, Marinelli E. Medico-legal notes for a new set of standards in the assessment of penal liability in psychiatry. Riv Psichiatr 2017; 52: 16-23.