Il delirium: una riconsiderazione delle caratteristiche cliniche e prospettive di trattamento con il passaggio dal DSM-IV al DSM-5

Delirium: a reappraisal of clinical characteristics and treatment perspectives after the transition from the DSM-IV to the DSM-5

MARIANNA ABELLI1,2, STEFANO PINI1, RITA MARTINELLI2, FRANCESCO FORFORI2
*E-mail: stefano.pini@med.unipi.it

1Clinica Psichiatrica, Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa
2Unità di Anestesia e Rianimazione Universitaria, Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica,
Università di Pisa


RIASSUNTO. Lo scopo di questa rassegna critica sul delirium è discutere alcune modifiche nell’inquadramento del disturbo che si sono verificate con il passaggio dal DSM-IV al DSM-5 e le relative prospettive di trattamento. Il delirium consiste in una disfunzione del metabolismo cerebrale transitoria, essenzialmente reversibile, che ha un esordio acuto o subacuto e si manifesta clinicamente mediante una vasta gamma di anormalità neuropsichiatriche. Il delirium rappresenta un predittore di declino cognitivo ed è associato con un maggior rischio di morte. Il trattamento di prima linea del delirium è l’aloperidolo anche se vi sono sempre maggiori evidenze cliniche relative all’efficacia e alla tollerabilità degli antipsicotici atipici.

PAROLE CHIAVE: delirium, delirium subsindromico, aloperidolo, antipsicotici atipici, DSM-IV, DSM-5.


SUMMARY. The aim of this commentary is to discuss some clinical characteristics and treatment perspectives of delirium in the light of transition from the DSM-IV to the DSM-5. Such a transient dysfunction of cerebral metabolism, essentially reversible, presents an acute or subacute onset, and manifests itself clinically through a wide range of neuropsychiatric abnormalities. Delirium is a predictor of cognitive decline and is associated with a greater mortality. First line treatment of delirium is represented by haloperidol though atypical antipsychotics effectiveness and tolerability are increasingly evident.

KEY WORDS: delirium, subsyndromal delirium, haloperidol, atypical antipsychotics, DSM-IV, DSM-5.

INTRODUZIONE
Il delirium è una manifestazione neurocognitiva complessa di una sottostante anormalità medica (come per esempio un’insufficienza d’organo, un’infezione o l’effetto di un farmaco) che può essere definito come «una disfunzione del metabolismo cerebrale transitoria, essenzialmente reversibile, che ha un esordio acuto o subacuto e si manifesta clinicamente mediante una vasta gamma di anormalità neuropsichiatriche»1. Si tratta quindi di una “disfunzione cerebrale acuta” che, a differenza del coma in cui il soggetto non è risvegliabile con uno stimolo vocale, prevede, per definizione, che il soggetto sia risvegliabile da uno stimolo vocale.
Il delirium è una sindrome multidimensionale in cui si riconoscono 5 elementi essenziali: 1) cambiamento acuto dello stato mentale associato alla presenza d’inattenzione; 2) stato mentale fluttuante; 3) pensiero disorganizzato; 4) livello di coscienza alterato; 5) presenza di allucinazioni e illusioni.
Il DSM-52 fornisce i criteri diagnostici per fare diagnosi di delirium (elencati nella Tabella 1). Ai fini diagnostici oltre ai cinque criteri diagnostici (A, B, C, D, E) e allo specificatore relativo alla causa di delirium, va tenuto in considerazione anche un altro specificatore riguardante la durata del disturbo che lo suddivide in acuto (durata di poche ore o giorni) e  persistente (durata di settimane o mesi). Inoltre il delirium in base ai livelli di attività, può essere classificato in iperattivo, ipoattivo o misto. Il primo tipo è caratterizzato da un’aumentata attività psicomotoria e può essere accompagnato da labilità dell’umore, agitazione e/o rifiuto di collaborare con le cure mediche. La forma ipoattiva è caratterizzata da un rallentamento dell’attività psicomotoria e può essere accompagnata da lentezza e letargia fino ad arrivare al torpore. Il delirium ipocinetico è solitamente associato a una peggior prognosi rispetto alla forma con agitazione . Vi è anche una forma che si può definire “ad attività mista” in cui il paziente presenta tendenzialmente un normale livello di attività psicomotoria, ma l’attenzione e la consapevolezza sono disturbate, e abbastanza frequenti sono le oscillazioni rapide dei livelli di attività psicomotoria.
Nella pratica clinica è frequente l’osservazione del passaggio da un livello di attività all’altro; il tipo di delirium più frequente e più riconosciuto è l’iperattivo (di solito associato a reazioni avverse ai farmaci o da astinenza da sostanze) mentre negli anziani è più frequente il tipo ipoattivo.
Lo scopo di questa rassegna critica sul delirium è di rivedere e discutere alcune modifiche nell’inquadramento diagnostico del disturbo che si sono verificate con il passaggio dal DSM-IV al DSM-5 e le relative implicazioni terapeutiche.



DIAGNOSI
La diagnosi di delirium ha rappresentato classicamente un “costrutto a ombrello” adottato per superare il caos terminologico precedente al DSM-III (1980)3, quando pur essendo l’elemento primario del quadro rappresentato dalla presenza di “coscienza obnubilata” (clouding), decine di termini erano usati per indicare una disfunzione cerebrale generalizzata che si verifica nel contesto di malattia acuta o intossicazione da droghe. Questi includevano “stato confusionale acuto”, “encefalopatia”, “insufficienza cerebrale acuta”, “psicosi della terapia intensiva” e persino “confusione subacuta”. Questi termini non erano basati su precise motivazioni scientifiche, ma piuttosto sottolineavano il fatto che il delirium si verificava in diverse popolazioni di pazienti e/o in contesti di trattamento diversi. La combinazione di tutti questi costrutti clinici sotto il termine “delirium” ha portato a un approccio più coerente alla pratica clinica e alla ricerca.
In definitiva, nelle versioni precedenti al DSM-5, i sintomi centrali per la diagnosi di delirium erano le alterazioni del contenuto (attenzione) e/o del livello (arousal) della coscienza. Nel DSM-IV4 il delirium era stato invece definito come «un disturbo della coscienza (intesa come ridotta chiarezza della consapevolezza dell’ambiente) associata a una ridotta capacità di focalizzare, mantenere o spostare l’attenzione». L’associazione tra disturbo della coscienza e deficit dell’attenzione è stata creata perché sarebbe stato difficile da valutare con obiettività il costrutto “coscienza”. Per quanto riguarda tale concetto, va tenuto conto che sia l’attenzione che l’arousal sono gerarchicamente collegati: è possibile, cioè, avere un stato di veglia (arousal) e una profonda inattenzione (stato di ipervigilanza) ma non il contrario, per cui il mantenimento del termine coscienza implica che il livello di arousal rimanga parte del costrutto del delirium (Tabella 1).
Nel DSM-52 la diagnosi viene effettuata in modo più restrittivo in termini di sintomi cognitivi (con l’eliminazione dei due termini coscienza e arousal). Inoltre, nel criterio D è sottolineato che i sintomi dei criteri A e C non devono essere presenti a un livello di arousal gravemente ridotto come il coma.
L’European Delirium Association e l’American Delirium Society consigliano un’interpretazione dei criteri A e D inclusiva; le evidenze scientifiche e la pratica clinica ci spingono a includere non i pazienti che sono comatosi, ma coloro che presentano un arousal compromesso che determina un’inabilità nell’effettuare test cognitivi o interviste (per esempio sonnolenza, ottundimento, stupor o agitazione), intesi effettivamente come una forma di inattenzione. Così facendo aumenterà la sicurezza nella prevenzione e nell’identificazione del delirium. Per quanto riguarda la prevenzione del delirium, allo scopo di ridurne la frequenza (numero di episodi e durata dell’episodio) e le complicanze, sono stati consigliati vari interventi per ridurre gli effetti delle cause più comuni: si consiglia perciò di ridurre i deficit sensoriali e l’immobilità, di trattare i disturbi del sonno e correggere la disidratazione e di effettuare una valutazione accurata della compromissione cognitiva. A oggi le strategie ambientali consigliate per prevenire il delirium sono comunemente sotto-utilizzate e applicate solo in risposta ai disturbi del comportamento; inoltre non è ancora stato identificato un trattamento farmacologico di profilassi nelle popolazioni ad alto rischio.
EPIDEMIOLOGIA E QUADRI CLINICI DI DELIRIUM
Riguardo all’epidemiologia del delirium, la durata media del decorso in ambito ospedaliero dei pazienti con delirium è di una settimana, anche se spesso persistono sintomi dopo le dimissioni. Questo disturbo è presente nell’1-2% della popolazione generale mentre negli individui ricoverati in ambito ospedaliero aumenta al 14-24%. La prevalenza più alta risulta essere quella tra gli individui anziani ospedalizzati (70-87%), negli individui di più di 85 anni è del14%, nei soggetti anziani che si rivolgono al Pronto Soccorso è del 10-30%, mentre negli individui anziani dopo un intervento è del 15-53%.
I bambini della prima infanzia e dell’infanzia sembrano essere più predisposti a sviluppare il delirium, se correlato a malattie febbrili e anticolinergici, rispetto agli individui della prima e della media età adulta.
Per capire l’importanza di questa condizione ricordiamo innanzitutto che il delirium è un valido predittore per il paziente di un maggior tempo speso in ventilazione meccanica  e in unità di terapia intensiva (ICU), di costi e di mortalità. Ogni giorno del paziente passato in uno stato di delirium è associato con un aumento del rischio di morte del 10%5. Inoltre esso è un valido predittore di un declino cognitivo che persiste per mesi e anni dopo la dimissione dall’ICU, ed è associato con un non ritorno alla precedente qualità di vita o impiego6. Il riconoscimento e un intervento precoce ne accorciano la durata, mentre la naturale progressione prevede il succedersi dello stupor, del coma, delle crisi epilettiche o della morte (se la causa sottostante non è trattata) che nei pazienti ospedalizzati è del 40%. Inoltre il delirium può peggiorare nel contesto di una compromissione funzionale, immobilità, storia di cadute, bassi livelli di attività, uso di droghe e farmaci con proprietà psicoattive (alcol e anticolinergici).
SOTTOTIPI DI DELIRIUM
Delirium tremens
Un sottotipo particolare di delirium è il delirium da astinenza alcolica o delirium tremens, che rappresenta meno del 10% dei quadri di astinenza e che si verifica quando è probabile la presenza di una condizione medica clinicamente rilevante (per es., l’insufficienza epatica, il sanguinamento gastrointestinale e i postumi di un trauma cranico). Il suo trattamento prevede l’utilizzo di benzodiazepine (BDZ) (diazepam ev), neurolettici tipici per il trattamento delle allucinazioni (aloperidolo) e infine la terapia elettroconvulsivante. Generalmente il quadro clinico esordisce dopo un’astinenza da alcol parziale o completa da 2-3 giorni (a volte senza astinenza o dopo abuso) con un esordio notturno. Si caratterizza per la presenza di confusione, disorientamento spazio-temporale, agitazione psicomotoria, fluttuazioni dello stato di coscienza, iper-attivazione del sistema nervoso centrale (SNC) simpatico (tremore, sudorazione, febbre, tachicardia e ipertensione), allucinazioni vivide con partecipazione affettiva (micro-macrozoopsie) e allucinazioni uditive, tono affettivo tra euforia e terrore. Un quadro sintomatologico che può presentarsi è il delirio occupazionale che si ha quando il paziente agisce frammenti di gesti quotidiani tipici del proprio lavoro. Residua una fase di sonno prolungato da cui il paziente si sveglia lucido e orientato senza memoria dell’accaduto.
Sindrome da delirium attenuato
Un’altra condizione frequente è il delirium con altra specificazione o sindrome da delirium attenuato o subsyndromal delirium (SSD), caratterizzata da una minor compromissione cognitiva rispetto al delirium, nella quale alcuni, ma non tutti, i criteri diagnostici per il delirium sono soddisfatti e non c’è progressione verso il delirium. L’esistenza di tale entità clinica che è più controversa rispetto al delirium7 presenta una prevalenza del 23%. Nel DSM-5, il Neurocognitive Disorders Workgroup ha discusso se il SSD debba essere aggiunto come sottocategoria del delirium8. Per effettuare una diagnosi di SSD è necessario un punteggio di 1-3 su 8 totali alla Intensive Care Delirium Screening Checklist (ICDSC)9 oppure quando il punteggio è positivo in 2 su 4 item alla Confusion Assessment Method (CAM)10. A oggi si parla di “spettro di malattia” intendendo con esso un quadro clinico “sotto-soglia” di delirium osservabile in ICU7. Questa sembra essere una condizione frequente che riguarda 1/3 dei pazienti ricoverati in ICU, non associata a un incremento di mortalità o a un peggiore outcome anche se è presente un nesso con un tempo prolungato di ospedalizzazione8.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Disturbi neurocognitivi (DNC) maggiori e lievi possono aumentare il rischio e complicare il decorso del delirium; inoltre, i soggetti anziani sono più esposti.
Tra le conseguenze funzionali dell’associazione delirium-DNC ricordiamo l’incremento del declino funzionale e il rischio d’istituzionalizzazione (in pazienti ospedalizzati over 65 anni il rischio aumenta di tre volte). Come diagnosi differenziale, il delirium va distinto dai disturbi psicotici, disturbi bipolari e depressivi con caratteristiche psicotiche (allucinazioni vivide, deliri, alterazioni del linguaggio e agitazione), dal disturbo da stress acuto (paura, ansia, sintomi dissociativi come depersonalizzazione) e dal DNC (delirium sovrapposto a DNC preesistente, malattia di Alzheimer e DNC senza delirium). Fino a oggi, la demenza e il delirium sono stati concettualizzati come condizioni distinte ed escludentisi a vicenda. Il DSM-5 postula che una demenza non dovrebbe essere diagnosticata in presenza di delirium e che il delirium non dovrebbe essere diagnosticato quando i sintomi possono essere «meglio attribuibili a una demenza preesistente, accertata e in evoluzione» (Tabella 2).
La distinzione tra queste due diagnosi nella clinica può risultare difficile anche per clinici esperti11. Pur evidenziandosi una sostanziale sovrapposizione dei quadri clinici, il legame tra le due condizioni è ancora in discussione: il delirium potrebbe essere un marker di vulnerabilità per la demenza, una demenza non riconosciuta e lo stesso potrebbe causare un danno neuronale permanente e portare a demenza6. D’altra parte, una serie di studi suggerisce come la compromissione cognitiva e la demenza siano importanti fattori di rischio per il delirium6.



TRATTAMENTI TERAPEUTICI DEL DELIRIUM
Le linee guida evidence-based per un trattamento medico appropriato sono scarse ed è stata osservata un’ampia variabilità di pattern di prescrizioni12. La gestione del delirium prevede di garantire la sicurezza del paziente con interventi ambientali o di supporto, di identificare e trattare le cause del delirium e migliorare il funzionamento del paziente12.
Antipsicotici
Farmaci essenziali per il trattamento di questo disturbo sono gli antipsicotici tipici che dimostrano efficacia nel delirium iperattivo, ipoattivo e nel miglioramento della cognitività. Tra essi l’aloperidolo rappresenta sicuramente il “gold standard”, ovvero il trattamento di prima linea13. Esso è somministrabile per le principali vie (im/ev/orale) e agisce rapidamente causando pochi effetti collaterali anticolinergici e producendo pochi metaboliti attivi, determinando quindi una bassa probabilità di causare sedazione e ipotensione.
La dose media è di 18 mg/die (im e ev) e di 30 mg/die per os. È bene ricordare che a un dosaggio maggiore di 4,5 mg/die aumenta il rischio di effetti extrapiramidali (EPS) più frequenti negli anziani per cui sono raccomandabili bassi dosaggi. La somministrazione endovenosa sembrerebbe essere associata a un rischio ridotto di EPS rispetto alla somministrazione orale14,15. Il trattamento con aloperidolo ev è una pratica molto diffusa ma ricordiamo l’allerta della Food and Drug Administration (FDA) per il rischio di prolungamento del QTc e di torsioni di punta (con un QTc >450-500 ms è consigliata la sospensione immediata del farmaco).
L’efficacia e la sicurezza dell’aloperidolo a basse dosi (fino a 10 mg/die) sono paragonabili a quelle degli antipsicotici atipici come risperidone, olanzapina e quetiapina (QTP)13-15.
Ricordiamo anche l’uso di clorpromazina nel trattamento del delirio iperattivo (agitazione psicomotoria) che può presentare tra i suoi effetti collaterali: sedazione eccessiva, ipotensione ed effetti anticolinergici.
Benzodiazepine
Le BDZ sono il trattamento elettivo del delirium da astinenza da ipnotici, sedativi e alcolica. In realtà le stesse sarebbero annoverate tra i fattori di rischio per lo sviluppo del delirium16; infatti andrebbero evitate, o ne andrebbe fatto un uso cauto, per ridurre l’incidenza di delirium soprattutto in pazienti anziani o con demenza in cui esse aumentano durata e frequenza del delirium.
Le BDZ sono consigliate in add-on nei pazienti che non tollerano o non rispondono agli antipsicotici. Il meccanismo d’azione di questa categoria di farmaci riguarda il potenziamento del tono inibitorio dei recettori del GABA determinando un effetto sedativo con un inizio di azione rapido sul SNC (2-5 minuti). I farmaci più usati sono il lorazepam, il diazepam e il midazolam. Il primo presenta un rapido esordio e una breve durata d’azione (emivita <24 ore), un basso rischio di accumulo (non avendo metaboliti attivi) e una biodisponibilità più prevedibile quando somministrato per os e im in infusione continuativa o intermittente.
Il midazolam presenta una brevissima durata d’azione (emivita 1-7 ore) ideale per una rapida sedazione, mentre il diazepam presenta una lunga durata d’azione (emivita >48 ore). Tra gli effetti collaterali di questi farmaci ricordiamo che a causa dell’accumulo di essi o dei loro metaboliti si avrà sedazione prolungata ed esacerbazione di confusione; inoltre, essi possono determinare depressione respiratoria e cardiaca, ipotensione, dipendenza e a volte effetto paradosso (agitazione). Nell’anziano vanno usate con la massima cautela soprattutto per un aumentato rischio di effetti collaterali dovuti al loro accumulo (soprattutto per le BDZ a lunga emivita) e il rischio di cadute.
Antipsicotici atipici
Gli antipsicotici atipici sono molto efficaci nel trattamento del delirium con minori effetti collaterali di tipo extrapiramidale e sedativi rispetto alle BDZ. Il loro impiego è associato a un rischio di infarto nella popolazione anziana simile a quello riportato con gli antipsicotici tipici. Il rischio di sviluppare disturbi del metabolismo (sindrome metabolica) è più frequente con l’uso di olanzapina implicata nell’insorgenza di diabete o intolleranza al glucosio. L’FDA ha emanato un’allerta per il loro impiego in pazienti anziani con demenza (aumentato rischio di morte). Tra essi ricordiamo il risperidone che viene somministrato con una dose media di 0,5-4 mg/die. Tra i più frequenti effetti collaterali ricordiamo la sedazione, la nausea e un lieve parkinsonismo. È disponibile in formulazione per os e im, quest’ultima a lento rilascio raggiunge concentrazioni terapeutiche lentamente (per cui è sconsigliabile). Il risperidone (0,5-2 mg/die) ha dimostrato uguale efficacia e sicurezza rispetto a olanzapina (1-10 mg/die) e aloperidolo (0,25-5 mg/die) 13. È consigliato l’utilizzo di risperidone in quei pazienti che richiedono alte dosi di aloperidolo o ad alto rischio di sviluppare EPS o disturbi cardiaci con aloperidolo. L’olanzapina viene somministrata con una dose di 2,5-10 mg/die, presentando un’efficacia paragonabile all’aloperidolo14. Essa però può anche determinare ipersedazione (per l’azione antiistaminergica) che peggiora la confusione e la risoluzione nel delirium, per cui è sconsigliabile nei pazienti anziani con demenza o delirium ipoattivo. Il suo utilizzo può essere vantaggioso per la regolazione del ritmo sonno-veglia14. Essa è indicata nei pazienti che necessitano di alte dosi di aloperidolo o ad alto rischio di sviluppare EPS o disturbi cardiaci con aloperidolo13. Può essere somministrata per os o im ad azione rapida (attendere 1 ora per la successiva somministrazione di BDZ ev o im). La QTP presenta un’intensa attività antiistaminergica, che da una parte può essere sfruttata per l’effetto sedativo e per regolare il ciclo sonno-veglia17 ma dall’altra peggiora la confusione. La QTP presenta tra gli effetti collaterali il rischio di causare ipotensione per cui è consigliabile un monitoraggio pressorio. La dose iniziale è di 12,5-25 mg/die fino al raggiungimento di una dose media di 50-175 mg/die. Maneeton et al.17 hanno evidenziato come basse dosi di QTP (25-100 mg/die) vs aloperidolo (0,5-2 mg/die) dimostrino uguali efficacia e sicurezza. Esiste una scarsa letteratura, formata solo da clinical e case report, relativa all’impiego dell’aripiprazolo (che ad alti dosaggi si comporta da stabilizzatore del sistema della dopamina perché stabilizza l’attività intrinseca del D2 e la neurotrasmissione mediata dai D2 senza bloccarla eccessivamente) nel trattamento del delirium.
Kirino18 riporta l’indicazione all’impiego nell’anziano per la sicurezza dovuta agli scarsi effetti collaterali (aumento ponderale, iper-sedazione, effetti anticolinergici) legati all’azione di antagonista di H1, M1 e α1- bassa affinità. L’aripiprazolo è inoltre responsabile di un effetto di riduzione del peso corporeo e della sindrome metabolica, mentre altri antipsicotici atipici sono implicati nell’insorgenza di diabete o di intolleranza al glucosio. Infine esso è associato a un minor numero di EPS e di iperprolattinemia rispetto agli altri antipsicotici atipici alla dose di 5-30 mg/die, per l’azione di agonista parziale dei D2. Premettendo che il delirium nell’anziano si presenta più frequentemente nella forma ipoattiva, l’aripiprazolo ha dimostrato la stessa efficacia dell’aloperidolo ma senza presentare EPS alla dose di 15-18 mg/die 19. Tra gli effetti collaterali ricordiamo l’acatisia (irrequietezza motoria) e alcuni effetti anticolinergici come bocca secca, costipazione, ritenzione urinaria e visione offuscata.
Anticonvulsivanti
In 4 report pubblicati con piccoli campioni di pazienti è consigliato l’utilizzo di acido valproico in ICU nei quadri clinici di agitazione psicomotoria e delirium non rispondenti ai trattamenti farmacologici tradizionali20. Esso è disponibile in formulazione sia orale che parenterale e non è associato a rischio di sviluppare depressione respiratoria, squilibrio emodinamico o delirium. La durata del trattamento prevista per il delirium è di 7 giorni a una dose di mantenimento di 1500 mg somministrata in 4 dosi.
Tra gli effetti collaterali, peraltro infrequenti, ricordiamo la trombocitopenia, la neutropenia e l’iper-ammoniemia. In uno studio preliminare, che andrà validato con studi prospettici, Gagnon et al.20 hanno evidenziato una marcata riduzione dell’agitazione psicomotoria e del delirium in 48 ore e un effetto ansiolitico, per modulazione del GABA o per antagonismo del glutammato. Leung et al.21 hanno dimostrato come gabapentin per os al dosaggio di 900 mg/die per 4 giorni abbia efficacia nel prevenire il delirium post-operatorio in pazienti anziani sottoposti a chirurgia della spina dorsale. Nello studio di Pesonen et al.22 il pregabalin è stato somministrato per os alla dose di 150 mg/die per 6 giorni, a 35 pazienti in attesa di un intervento cardiaco. Il farmaco ha mostrato efficacia nella riduzione della gravità dei sintomi di delirium.
Altri farmaci impiegati nel delirium
Okamoto et al.23 hanno proposto l’uso di trazodone a basso dosaggio evidenziando una riduzione dei sintomi non cognitivi indipendentemente dall’effetto antidepressivo.
Cronin et al.24 hanno ipotizzato l’impiego di melatonina nel trattamento del delirium post-operatorio non rispondente agli antipsicotici o alle BDZ, con una dose fino a 2 mg/die.
Caratteristiche ambientali consigliate per il trattamento del delirium
Oltre a un adeguato trattamento farmacologico del delirium, Attard et al.12 hanno suggerito una descrizione delle caratteristiche ambientali che un reparto ospedaliero, e in particolare una unità di terapia intensiva, dovrebbe possedere per gestire al meglio i pazienti con il delirium; l’ambiente dovrebbe essere calmo e tranquillo, con una buona illuminazione ma non eccessiva, che eviti le ombre (causano illusioni) per cercare di fare conservare il ritmo giorno-notte ai pazienti. Bisognerebbe evitare la deprivazione sensoriale ma eliminare i rumori improvvisi e fastidiosi, favorire l’orientamento mediante l’utilizzo di grandi orologi e calendari ben leggibili (a colori), avere il campanello di chiamata facilmente accessibile; il paziente dovrebbe essere provvisto di oggetti familiari come fotografie e oggetti conosciuti e infine quando possibile bisognerebbe evitare la presenza di due pazienti agitati in una stessa stanza. Per concludere si consiglia al fine di conservare le competenze del paziente, di correggere le compromissioni sensoriali, assicurandosi per esempio che i pazienti abbiano gli occhiali e gli apparecchi acustici e dentali, di considerare la possibilità di avere un’interprete, di assicurare periodi più lunghi possibili di sonno ininterrotto, di mantenere livelli di attività del paziente e d’incoraggiarlo a prendersi cura di sé e a partecipare in modo consapevole al trattamento.
CONCLUSIONI
In definitiva, non vi è una chiara evidenza empirica che i pazienti senza compromissione dello stato di coscienza, ma verbalmente non comunicativi, siano diversi dai pazienti con grado lieve di compromissione dello stato di vigilanza, in cui la disattenzione può essere prontamente dimostrata attraverso risposte verbali. Prove da studi sugli animali e sull’uomo suggeriscono che una riduzione anche lieve del livello di vigilanza è altamente specifica per il delirio25. In questo contesto, un’interpretazione inclusiva dei criteri A e D del DSM-5 è essenziale. I pazienti che non sono in coma, ma hanno un livello di vigilanza compromesso risultante in un’incapacità di impegnarsi in test o colloqui cognitivi (per es., sonnolenza, ottundimento, stupore o agitazione), devono essere considerati al pari di quelli che hanno un deficit attentivo. Includere questi pazienti sotto “l’ombrello” del delirium è più aderente alle prove scientifiche e alla realtà della pratica clinica. Un approccio più inclusivo per la prevenzione e identificazione del delirio si traduce, quindi, in una maggiore sicurezza per il paziente.

Conflitto di interessi: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.
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