La pietra della follia

A cura di Eleonora Del Riccio
Sapienza Università di Roma
E-mail: elo-dr@hotmail.it





Gli scambi tra la Spagna e le Fiandre furono molto proficui sin dal Medioevo. Furono i commerci, le collaborazioni politiche, i matrimoni e le influenze artistiche e culturali che avvicinarono questi due popoli, oltrepassando momenti bui come la Guerra dei trent’anni e il travaglio della Guerra d’Indipendenza olandese. A causa di questi continui contatti, le collezioni reali spagnole si contraddistinsero nel corso del tempo per la favolosa ricchezza di arte fiamminga. Non a caso, il Prado con il suo impressionante nucleo di opere fiamminghe, che comprende tanto capolavori quanto opere di rango minore, testimonia concretamente la fortuna di questo patrimonio.
È merito della dedizione e della pazienza di Filippo II se oggi il Prado possiede la collezione di opere di Bosch più importante al mondo. Il sovrano aveva aspettato che molte di queste opere venissero messe in vendita dai precedenti proprietari o dai loro eredi e fu così che ottenne i Sette Peccati Capitali, il Giardino delle Delizie, l’Adorazione dei Magi, il Carro di Fieno e Le Tentazioni di Sant’Antonio. Non solo, il sovrano nel 1560 ottenne dai successori di Don Felipe de Guevara La Cura della Follia.
Questa tavola mostra la pratica dell’incisione del cranio per asportare quella che nel Rinascimento era chiamata “pietra della follia” dal momento che la si riteneva responsabile della malattia e della sua degenerazione. I personaggi che assistono all’operazione, oltre al medico e al paziente, sono una monaca con un tomo di medicina in bilico sulla testa e un prete con in mano una brocca argentea. Sullo sfondo campeggia il placido paesaggio neerlandese, con i suoi minuti elementi resi in modo certosino: i villaggi con i campanili che svettano, gli alberelli, i cespugli, i fili d’erba disegnati uno alla volta e alcuni dettagli a dir poco inquietanti: una ruota di tortura e una forca. L’iscrizione dorata che corre intorno alla scena recita: Meester snyt die Keye ras / Myne name is lubbert das, ovvero: “Maestro cava fuori le pietre, il mio nome è bassotto castrato”.
I dettagli inquietanti, insieme all’iscrizione, indicano abbastanza chiaramente come sia da intendere questa rappresentazione. Il medico, che qui è trattato come un ciarlatano dal momento che l’imbuto della sapienza è capovolto e usato come un berretto di latta sul suo capo, è riuscito a ingannare un povero ingenuo (il “bassotto castrato”) che, legato alla sedia, si è sottoposto alle sue feroci cure. La pietra della follia, che è possibile identificare con un osteoma, è qui sostituita da un innocuo fiorellino che spunta dal capo del vecchio paziente. La monaca che assiste alla scena, e che ha la posa tipica di un personaggio che sta riflettendo, potrebbe essere intenta a scrutare l’inadeguatezza del medico o l’ingenuità del sempliciotto che si è fatto abbindolare. Il prete invece, rivolge la mano in segno di rimprovero. Ma non è molto chiaro se il gesto sia indirizzato al medico o al paziente.
Dal punto di vista stilistico bisogna notare che permane quell’attenzione al particolare tipica della pittura neerlandese e tedesca e che fa spesso pensare ai quadri di questo tipo come ad aggregati di singoli elementi ben costituiti (anche troppo), accorgimento che è molto distante dalla pittura italiana dello stesso periodo che aveva già dato luce a opere come la Pala di Brera di Pietro della Francesca o la Nascita di Venere di Botticelli. Opere diversissime per contenuto, per accenni stilistici e per significato.
Il tema dell’estrazione della pietra della follia verrà trattato meno di un secolo dopo anche da Jean van Hemessen e sarà anche il titolo della raccolta di sogni scritta da Fernando Arrabal e in parte pubblicata su La Brèche, l’ultima rivista surrealista diretta da André Breton. Arrabal racconta del sogno che ha fatto sull’estrazione della pietra della follia con queste parole: «Il parroco è venuto a fare visita a mia madre e le ha detto che sono pazzo. Allora mia madre mi ha attaccato alla sedia. Il parroco mi ha fatto un buco nella nuca con un bisturi e ne ha estratto la pietra della follia [...]».
Prima di Arrabal era stato il grande Erasmo a parlare di follia certamente in termini più scherzosi e chiamando in causa ancora una volta la figura del medico incapace: «Le scienze dunque sono penetrate tra gli uomini, insieme ad altre calamità della vita mortale [...]. Tuttavia tra queste scienze le più pregiate sono le più vicine al senso comune, cioè alla Follia. I teologi fanno la fame, i fisici soffrono il freddo, gli astrologi sono derisi, i dialettici non contano nulla, mentre un solo medico vale quanto molti uomini. In questa professione quanto più uno è ignorante, avventato, leggero, tanto più è considerato dagli stessi prìncipi con tanto di corona in testa».
bibliografia di riferimento
• Il Prado. Scala Publishers, 2000.
• Fernando Arrabal. La pietra della follia. Libro panico. Milano: Giunti, 2004.
• Erasmo da Rotterdam. Elogio della Follia. Milano: Mondadori, 2011.