Una psicoterapia cognitiva centrata sull’esperienza:
verso una terapia fenomenologicamente orientata
Experience-centred cognitive psychotherapy:
towards a phenomenologically oriented therapy
PAOLA GAETANO1, PAOLO MASELLI1, GIULIO NICOLÒ MELDOLESI2, ANGELO PICARDI3
E-mail: paola.gaetano@gmail.com
1Società Italiana di Terapia Comportamentale e Cognitiva SITCC, Roma
2Fondazione NEURONE per lo studio e la ricerca in Neuro-Psicobiologia e Neuroscienze Cliniche, Roma
3Reparto Salute Mentale, Centro Nazionale di Epidemiologia Sorveglianza e Promozione della Salute, Istituto Superiore di Sanità, Roma

riassunto. La psicoterapia cognitiva post-razionalista (PCPR), sviluppata da Vittorio Guidano, si focalizza sulla relazione fra l’esperienza soggettiva e la sua spiegazione nella riflessione. Pur essendo un modello di trattamento potente, innovativo e flessibile, vi sono alcuni aspetti che meritano una riflessione e che potrebbero essere ulteriormente sviluppati. Proponiamo qui un modello di trattamento che integra nella PCPR alcuni principi della fenomenologia: l’esperienza ha un significato che precede ogni riflessione e si presenta secondo “regole di manifestatività” che correlano sentimenti, pensieri e azioni; l’identità si costituisce nell’agire e non può essere ridotta a ciò che permane identico in un percorso di vita. Come nella PCPR tradizionale, un aspetto essenziale dell’intervento consiste nel confronto tra l’esperienza e le sue spiegazioni. L’intervento è tuttavia focalizzato più sulla comprensione dell’esperienza che sulla sua valutazione discorsiva, e mira non tanto a rivelare quali siano le regole che permettono di riferire a sé l’esperienza, quanto a portare alla luce tutti gli aspetti dell’esperienza, a validarla esplicitandone le connessioni, a consentire al paziente di appropriarsene e a condurlo a sviluppare la capacità di comprenderla anche senza una mediazione riflessiva. La conoscenza delle tendenze, caratteristiche di ciascuna organizzazione di significato personale, a incontrare difficoltà nel cogliere determinati aspetti dell’esperienza, favorisce l’individuazione delle sequenze di esperienza non sufficientemente articolate e comprese. Le procedure fondamentali utilizzate sono l’identificazione, l’esplorazione, la validazione e la riconfigurazione narrativa dell’esperienza significativa non compresa dal paziente affinché si riduca il senso di estraneità di questa, sia possibile regolare le emozioni ed egli possa riflettere e prendere le opportune decisioni per la realizzazione di sé. Nel prossimo futuro, sarà importante realizzare una manualizzazione e una formale valutazione di efficacia del modello di trattamento proposto.
PAROLE CHIAVE: psicoterapia cognitiva, costruttivismo, fenomenologia, esperienza soggettiva.
SUMMARY. Post-rationalist cognitive psychotherapy (PRCP), developed by Vittorio Guidano, focuses on the relationship between subjective experience and reflective explanation. Although this is a powerful, innovative, and flexible treatment model, there are some aspects that deserve reflection and could be further developed. We propose a treatment model that integrates PRCP with some principles of phenomenology, i.e., experience has a meaning that precedes reflection; it is structured according to “manifestation rules” that connect feelings, thoughts, and actions; personal identity is grounded in the action and cannot be reduced to what remains identical throughout the life course. As in traditional PRCP, a key aspect of treatment is the examination of the interplay between experience and explanation. However, treatment focuses more on the understanding of experience than on its verbally mediated evaluation. Moreover, it aims not so much at revealing the rules through which the patient relates his experience to him/herself, as at bringing to light all the relevant aspects of the patient’s experience, validating the experience by making explicit the links, enabling the patient to take hold of his/her experience, and leading him/her to learn how to understand it without the mediation of reflection. The knowledge of the tendencies, characteristic of each personal meaning organization, to find difficulties in grasping specific aspects of experience helps the therapist identify the sequences of experience that are not sufficiently articulated and understood. The main therapeutic procedures are identification, exploration, validation, and narrative reconfiguration of the experience that was not understood by the patient, in order to reduce the related feelings of strangeness and unfamiliarity, facilitate emotion regulation, and help the patient reflect and make choices in harmony with self-realization. Future research priorities include developing a treatment manual and testing the effectiveness of the proposed treatment model in a clinical trial.
KEY WORDS: cognitive psychotherapy, constructivism, phenomenology, subjective experience.

INTRODUZIONE
La psicoterapia cognitiva è considerata uno dei modelli più solidi ed efficaci per la comprensione e il trattamento di svariati disturbi psicopatologici. Storicamente, viene fatta comunemente risalire alla terapia comportamentale. A differenza di quest’ultima, che poneva enfasi sul primato dell’azione nella formazione dell’esperienza, e tendeva a modificare le emozioni attraverso un cambiamento dei comportamenti disfunzionali, il cognitivismo ha evidenziato il ruolo dei pensieri e delle convinzioni personali nel generare azioni ed emozioni, e ha introdotto il lavoro sulle rappresentazioni mentali, sul dialogo interno e sugli scenari immaginativi.
Nell’ambito della psicoterapia cognitiva, si distinguono molti approcci che presentano sensibili differenze di natura sia concettuale sia tecnica, pur se tutti accomunati dalla prospettiva teorica secondo cui i cambiamenti del comportamento sono mediati da processi interni non visibili esternamente, chiamati “pensiero” o “cognizioni”1. La psicoterapia cognitiva post-razionalista (PCPR), ideata da Vittorio Guidano2,3, pone anch’essa in primo piano le relazioni fra situazioni, pensieri, emozioni e comportamenti, ma si caratterizza per il modo di intendere la reciproca interazione fra questi aspetti e, pertanto, anche per le strategie e le tecniche d’intervento. Con la PCPR, che si colloca in una prospettiva costruttivista, la situazione emotiva assume un ruolo centrale e, con essa, l’esperienza soggettiva che precede la riflessione. In particolare, la PCPR focalizza l’attenzione sulla relazione fra il livello dell’esperienza e quello della spiegazione.
Questo modello innovativo si è rivelato di grande valore pratico e si è largamente diffuso, ottenendo validazioni empiriche e promuovendo nuovi sviluppi4-12. Intendiamo qui richiamare i suoi punti di forza, e riesaminarne alcuni aspetti per suggerire nuovi riferimenti teorici e modalità d’intervento.
DAL COGNITIVISMO CLASSICO AL COGNITIVISMO COSTRUTTIVISTA
Dall’epoca delle prime formulazioni13-16, la terapia cognitiva è andata incontro a numerose diversificazioni. La maggior parte degli approcci riconosce l’importanza della relazione terapeutica e il valore delle relazioni affettive nello sviluppo del mondo interno e della personalità del paziente. Tutti gli orientamenti offrono ai pazienti un trattamento collaborativo, mirato al problema, che tiene conto di come essi costruiscono e interpretano situazioni ed eventi17. Gli approcci tradizionali sono esplicitamente o implicitamente educativi e si concentrano più sul “qui e ora” che sugli eventi passati. Tendono a utilizzare l’assegnazione di compiti per favorire l’acquisizione di competenze e suscitare nuove esperienze, promuovendo comportamenti funzionali e sollecitando l’autosservazione.
Più di recente, la ricerca su fenomeni quali percezioni subliminali, memorie implicite, ipnosi, abilità automatizzate, conoscenze procedurali ha mostrato che tutte le funzioni percettivo-cognitive e mnesiche, nonché i processi emotivi e decisionali, possono avvenire al di fuori della coscienza18. Le terapie cognitive, pur con enfasi diverse, riconoscono il ruolo dei processi inconsci, mostrando interesse per i pensieri automatici19 e gli schemi cognitivi20. Le prospettive evoluzionistiche enfatizzano l’organizzazione gerarchica della mente, che integra livelli di funzione sempre più complessi in coordinazione tra loro, per esempio i sistemi motivazionali che organizzano disposizioni innate e rappresentazioni mentali21,22. Le prospettive costruttiviste sottolineano le funzioni proattive della cognizione e il ruolo dei processi taciti23,24, evidenziando le interazioni di molti sistemi (per es., biologici, interpersonali, sociali e culturali) e il loro contributo alla costruzione dei significati e allo sviluppo della personalità e dell’identità.
Mentre le terapie cognitive classiche si concentrano primariamente su schemi e cognizioni disadattative13,14, gli approcci costruttivisti si focalizzano soprattutto sui processi nucleari attraverso i quali le persone organizzano e costruiscono il significato della realtà e il senso di sé nel campo sociale3,24-26. Essi postulano che le persone vulnerabili ai disturbi mentali abbiano difficoltà a identificare e comprendere i collegamenti tra motivazioni, pensieri, affetti, azioni, eventi e situazioni: in altri termini, ad articolare la propria e l’altrui esperienza. La terapia si concentra sui processi di costruzione dei significati piuttosto che finalizzarsi ad alleviare i sintomi o educare i pazienti a gestire i problemi.
Nelle terapie costruttiviste, l’accento è posto non tanto sulle cognizioni e sul comportamento, quanto sul rapporto tra situazioni e sensazioni affettive. Queste ultime sono indagate sia direttamente sia indirettamente, con tecniche immaginative e l’analisi di manifestazioni somatiche, comportamentali, espressioni verbali, stili relazionali e narrativi. Per esplorare l’esperienza, si utilizzano modalità non direttive, come l’ascolto empatico e il riconoscimento supportivo, e soprattutto modalità direttive (domande mirate, domande circolari, confronto e chiarificazione, “moviola”, “laddering”, interviste “a farfallino”, “mirror time”, ecc.) 25. Queste tecniche non sono interpretative, né si limitano all’introspezione o all’autosservazione, ma mirano a esplicitare il modo in cui il paziente dà senso alla propria esperienza, e a districare la rete di connessioni che collega motivazioni, pensieri, emozioni, azioni ed eventi.
Nel tempo ci si è dunque mossi dall’enfasi, propria del comportamentismo, sulla necessità di correggere un comportamento condizionato e disfunzionale, ritenuto responsabile di emozioni negative e ingovernabili, all’accento sulla correzione degli errori nell’elaborazione delle informazioni provenienti dalla realtà, come nel cognitivismo classico, fino all’intento di esaminare e modificare l’interpretazione distorta della propria esperienza del mondo, come nel costruttivismo.
IL COGNITIVISMO POST-RAZIONALISTA
Il termine “post-razionalista” denota l’intento di non considerare il sintomo come il prodotto di una concezione distorta di sé e della realtà, bensì come il risultato di una inadeguata interpretazione della propria esperienza. L’approccio sottolinea l’importanza di esaminare l’esperienza soggettiva nell’ambito del tessuto di relazioni interpersonali e del sistema sociale e culturale di appartenenza.
Guidano attinge al pensiero di numerosi autori nei campi dell’epistemologia, psicologia, biologia, neurofisiologia, sociologia, antropologia, cibernetica, fenomenologia e filosofia, tra cui assume particolare risalto William James27, che rimarca l’importanza del continuo fluire della coscienza e della differenza fra l’esperire e lo spiegare. Egli distingue la funzione di un Io che vive la propria esperienza immediata e quella di un Io che osserva riflessivamente se stesso come un Me, come un oggetto, e il loro articolarsi in un processo continuo. Secondo Guidano, dato che i processi conoscitivi prendono forma sulla base delle esperienze intersoggettive, la riflessione attraverso cui un soggetto si riferisce e si spiega l’esperienza è condizionata tacitamente dalle regole interpretative maturate nelle esperienze precoci. La relazione primaria di attaccamento determinerebbe una organizzazione del dominio emotivo che tende a mantenersi stabile nel tempo. In base agli schemi di interazione con gli adulti significativi nell’infanzia, si produrrebbero configurazioni ricorrenti e internamente coerenti di aspettative, condotte, emozioni e interpretazioni che darebbero luogo, in base a un processo ricorsivo, a una organizzazione di significato personale (OSP).
Guidano concettualizza l’esperienza umana come il prodotto emergente di un processo di regolazione reciproca che oscilla continuamente tra esperienza immediata e spiegazione, in cui la prima è sottoposta a distinzioni linguistiche e riordinata in termini di proposizioni simboliche distribuite attraverso reti concettuali. Le spiegazioni della propria esperienza, che mantengono un senso di continuità e coerenza personale, sono espressione dei processi interpretativi autoreferenziali taciti e automatici, volti al mantenimento della stabilità e di un’immagine di sé sufficientemente positiva 3. L’identità sembra perciò consistere in un processo narrativo tendenzialmente autoingannevole per la cui costruzione è necessario escludere informazioni perturbanti, a meno di affrontare riorganizzazioni critiche del significato personale. Tale concezione aderisce a un orientamento costruttivista sviluppato nell’ambito della biologia della conoscenza28-30. Le OSP, che Guidano raggruppa in quattro tipologie fondamentali (tipo disturbi alimentari psicogeni, ossessiva, fobica, depressiva), rappresentano configurazioni dinamiche e coerenti di affetti, pensieri e azioni, che si sintetizzano in un modo di sentirsi nel mondo. La loro denominazione, storicamente legata alle condizioni cliniche che hanno ispirato le prime osservazioni, non indica implicazioni patologiche. Piuttosto, le OSP delineano una teoria della personalità che ne coglie gli aspetti di vulnerabilità alla psicopatologia, che si manifesta in relazione a specifiche perturbazioni emotive qualora il modo di riferirle a sé sia troppo rigido da consentire una buona articolazione e astrazione narrativa della propria esperienza.
Proponiamo qui una breve descrizione delle OSP, rimandando alle opere di Guidano2,3 per maggiori dettagli.

OSP tipo DAP (disturbi alimentari psicogeni). Il soggetto tende a interpretare la sensazione di non corrispondere ad aspettative altrui come manifestazione di una costitutiva inadeguatezza personale; le sue prime esperienze relazionali gli avrebbero procurato un ricorrente sentimento di sé vago e indefinito, in ragione del quale egli vedrebbe gli altri significativi come fonti di informazioni più certe su di sé e sulla realtà. Chi cerca stabilità e consistenza in questo modo si ritrova ipersensibile al giudizio degli altri e, d’altronde, ha estremo bisogno di confrontarsi con il comportamento e le valutazioni altrui per formarsi opinioni, con il rischio di sentirsi annullato e definito dagli altri significativi, o vuoto e disorientato in assenza di parametri esterni. La valutazione di sé e del mondo si modula su quella ricavata da persone di riferimento reali o idealizzate.

OSP tipo ossessivo. Il soggetto tende a interpretare le emozioni con aspetti contrastanti come segnali di difetto personale. Le sue esperienze precoci destabilizzanti sarebbero state tipicamente dicotomiche, con emozioni reciprocamente escludentisi e non integrabili, tali da dover essere gestite attraverso la valutazione cognitiva secondo parametri normativi. L’emozione provata è considerata congrua a un contesto solamente se corrisponde a principi teorici di riferimento prestabiliti, ed è quindi destituita di un valore suo proprio e rivelatore. Ciò lo porta a utilizzare criteri concettuali per l’interpretazione della propria esperienza, a sentirsi responsabile di ogni attivazione emozionale, e a controllare la condotta in modo da evitare informazioni affettive imprevedibili. La valutazione di sé e del mondo è discorsiva, orientata su parametri normativi.

OSP tipo fobico. Il soggetto tende a interpretare ogni emozione perturbante come indizio di vulnerabilità personale. Le sue esperienze infantili, caratterizzate tendenzialmente da iperprotezione o allarme, lo avrebbero portato a sentirsi spesso in pericolo e a cercare sicurezza nella vicinanza dell’altro, al prezzo di un senso di limitazione e dipendenza. D’altro canto, una condizione di autonomia comporterebbe un senso di libertà ma anche d’insicurezza, senza poterne identificare l’origine. Da ciò emerge una complessa dinamica fra il bisogno d’indipendenza e quello di protezione, e l’attitudine a utilizzare le relazioni interpersonali in modo da regolare l’intensità delle attivazioni emotive perturbanti. La valutazione di sé e del mondo è centrata sulle proprie sensazioni affettive.

OSP tipo depressivo. Il soggetto tende a interpretare la sensazione di non essere in sintonia con l’altro significativo come prova della propria inamabilità. Abituato alla solitudine o ai maltrattamenti o, nella migliore delle ipotesi, all’indifferenza delle figure genitoriali verso i propri stati interni, egli avrebbe sviluppato un’attitudine a gestirsi autonomamente senza fare riferimento all’aiuto o al sostegno degli altri. Ciò comporterebbe un senso di unicità ma anche di esclusione, difficoltà nel rappresentarsi coerentemente gli stati interni dell’altro e nel comunicare i propri, nonché a riconoscere e regolare i sentimenti relativi al rifiuto o alla perdita. La valutazione di sé e del mondo è centrata sulle proprie sensazioni affettive.

Un elemento cardine della PCPR è il confronto fra le spiegazioni autoreferenziali del paziente e la sua esperienza perturbante; per fare ciò Guidano ha elaborato una tecnica specifica denominata “moviola”2. Si tratta di un’intervista microanalitica che esplora il flusso di coscienza di un episodio emotivo rievocato nel qui e ora, in un’ottica fenomenologica, smontando e rimontando le singole scene come in un film31. Nel ripercorrere l’accaduto, si indagano i pensieri, le immagini mentali, i giudizi, le aspettative, i ricordi, i comportamenti, le sensazioni fisiche e le rappresentazioni mentali legate ai vari stati d’animo e il senso di sé che accompagna ogni singola scena, rivelando il significato autoreferenziale attribuito alla propria esperienza. Riordinando i vari aspetti dell’evento secondo un’esatta sequenza cronologica, causale e tematica, il paziente può riconoscere come propri quegli elementi che percepiva egodistonici, e riformulare le spiegazioni in modo più astratto. In tal modo il terapeuta “perturba strategicamente” il paziente, poiché provoca emozioni nuove e sorprendenti che sfidano il suo sistema interpretativo.
Il processo di cura si articola confrontando l’esperienza con le sue spiegazioni, esaminando gli episodi emotivi connessi al disagio, per poi indagare, se necessario, le modalità con cui il paziente tende a stabilire le sue relazioni sentimentali e, infine, la storia di sviluppo che ha favorito il costituirsi di quel senso di sé2,3.
Nei suoi ultimi anni, come evidenziato da trascritti di lezione32, Guidano si era accostato all’ontologia di Martin Heidegger e alla fenomenologia ermeneutica di Paul Ricoeur, e stava elaborando nuove osservazioni, che purtroppo non ebbe tempo di formalizzare in un testo, sul modo ricorrente di emozionarsi, riconoscersi e raccontarsi di una persona.
Riguardo al modello post-razionalista, va notata la potenza innovativa di una prospettiva che indaga l’esperienza soggettiva del paziente, senza accreditarne le sue spiegazioni inconsapevoli né opporvi interpretazioni aprioristiche basate su una teoria. Il metodo terapeutico proposto è risultato efficace nella pratica e adattabile a vari contesti di cura e condizioni patologiche, inclusa l’età evolutiva33. Tuttavia, senza nulla disconoscere del modello di Guidano, vi sono alcuni aspetti che meritano una riflessione e che potrebbero essere maggiormente articolati, arricchendo il modello di nuovi risvolti teorici e informando così la prassi terapeutica.
Un primo concetto da discutere è che i processi di riordinamento dell’esperienza generino una percezione del mondo tale da produrre configurazioni ricorrenti di modulazione emozionale riconoscibili in termini di unitarietà e continuità del proprio sé nel tempo3. Tale prospettiva riconosce all’esperienza successiva ai primi anni di vita un valore più che altro perturbativo, e identifica l’identità personale come un processo che mira alla conservazione di sé, più che al suo oltrepassamento.
Una simile concezione non trova riscontro nella maggior parte delle teorie della personalità, che riconoscono un ruolo fondamentale delle esperienze individuali nel corso della vita nel plasmare le differenze tra le persone. Anche nella teoria dell’attaccamento, sebbene i modelli operativi interni siano ritenuti molto stabili, si ammette che siano aperti all’esperienza e suscettibili di modificarsi in relazione a eventi significativi nell’area delle relazioni intime34. In effetti, i dati disponibili suggeriscono che, malgrado l’influenza dei geni35 e delle esperienze dei primi anni di vita, modificazioni nelle relazioni di attaccamento in età adulta possono cambiare l’organizzazione e il funzionamento del sistema di attaccamento36. Gli studi longitudinali, pur evidenziando la stabilità nel tempo delle configurazioni di attaccamento37,38, hanno infatti rivelato l’occorrenza di modificazioni correlate in modo teoricamente coerente a cambiamenti nelle circostanze di vita, che includono cambiamenti da un tipo di insicurezza a un altro39,40 e non sono spiegabili dal solo effetto dell’errore di misura. Peraltro, se il significato dell’esperienza soggettiva si organizzasse una volta per tutte in età precoce, esplorare un episodio in moviola non avrebbe altro scopo che evidenziare le regole di ordinamento riflessivo, senza rivelarne alcun senso proprio.
È necessario, infatti, distinguere il significato che il soggetto può attribuire alla propria esperienza da quello che essa stessa manifesta già prima di essere sottoposta a giudizio. Dal lato soggettivo, l’esperienza si realizza attraverso una sequenza di atti mentali (percezioni, emozioni, rappresentazioni, ecc.) unici e irripetibili, che non possono essere presenti in due persone diverse né in due istanti diversi nella stessa persona, in un fluire continuo che è già unità in movimento. Le connessioni dei vari atti possono, in certa misura, essere esplicitate ed essere visibili e riconoscibili da tutti, rivelando un senso condivisibile. Questo può accadere poiché l’esistenza prende forma in un mondo comune, inteso come una “totalità di rimandi” che rende comprensibili tutte le possibilità d’uso degli oggetti, cioè i loro significati 41. Sebbene tale totalità di rimandi si modifichi nel tempo, essa è condivisa dai contemporanei che partecipano a una stessa comunità di senso, il che fa sì che l’esperienza soggettiva possa mostrare un significato originario condivisibile e, nella sua articolazione, un senso oggettivabile42.
Un secondo punto su cui riflettere riguarda la concettualizzazione del significato dell’esperienza e della sua comprensione. Si ritiene che il sintomo origini, essenzialmente, dalla discordanza fra l’esperienza e la sua interpretazione, il che porta a focalizzare l’intervento sull’interfaccia tra le due. A nostro parere, ciò che in una PCPR ben condotta produce il cambiamento terapeutico non è tanto il disvelamento delle regole di riordinamento e interpretazione dell’esperienza, quanto lo scoprire il significato originario di questa, che a questo punto può essere riferita a sé senza gravi distorsioni. La validazione del suo significato originario avviene all’interno di una relazione con un terapeuta esperto riguardo alla struttura dell’esperienza, in grado di distinguerne gli aspetti di legittimità dalle interpretazioni. L’esperienza immediata, infatti, ha già un ordine che rivela l’andamento della propria relazione con il mondo, ed è già propria e significativa di per sé, anche prima di ogni riflessione 43,44. Perciò, l’affermazione secondo cui «il significato», inteso come riordinamento riflessivo, «è il modo in cui tale esistere diviene esperibile e valutabile»3 può risultare fuorviante e orientare a privilegiare, nel lavoro terapeutico, l’individuazione delle modalità con cui il paziente si riferisce e si spiega l’esperienza immediata e la sua consapevolezza del modo di elaborare convinzioni. Ciò consentirebbe solo di raggiungere una comprensione intellettuale del proprio vivere, effimera e opinabile. In effetti, più volte Guidano ha sottolineato l’importanza di non focalizzarsi solo sulle spiegazioni e, al contrario, di ricostruire attentamente ogni evento per evidenziare il fluire dell’esperienza immediata, spostando continuamente il focus da un livello all’altro 3. Anche la ricerca documenta una solida relazione tra un migliore esito e la maggiore profondità e differenziazione dell’esperienza emozionale legata a episodi autobiografici esplorati in terapia45.
Un altro aspetto da considerare è il significato di stabilità e coerenza per l’identità personale. Da un lato, il modello sembra suggerire che queste siano il prodotto di processi di riordinamento nel linguaggio; dall’altro, evidenzia giustamente come entrambe siano connesse all’articolazione dell’esperienza immediata che va ricostruita in seduta. Non è però esplicitata una teoria dell’esperienza che consenta tale riarticolazione, e sembra essere sottovalutato quanto sia altresì importante, nel riconoscimento di un Sé stabile e coerente, non tanto confermarsi le ragioni di un modo di essere, bensì potersi dirigere verso obiettivi ideali e aderire alle proprie azioni.
Riflettendo su questi temi, abbiamo selezionato alcuni concetti ricavati dalla pratica clinica e dallo studio della fenomenologia, in modo da delineare una prassi terapeutica più focalizzata sulla comprensione dell’esperienza che sulla sua valutazione discorsiva.
LA PSICOTERAPIA COGNITIVA CENTRATA SULL’ESPERIENZA
Alla luce del lavoro di filosofi come Husserl, Heidegger, Ricoeur, esponiamo qui alcune concezioni che possono contribuire alla comprensione dell’esperienza umana e guidare l’intervento terapeutico. La nostra decisione di non utilizzare il termine “post-razionalista”, nel denominare l’approccio da noi proposto, è da intendersi come un gesto di rispetto nei confronti di Guidano, in quanto a nostro parere la sua ricca eredità teorica è contenuta nelle opere scritte di suo pugno 2,3 e ci pare inappropriato che qualcuno si proponga come interprete della corretta evoluzione del suo pensiero.
La fenomenologia insegna che l’Essere si manifesta a se stesso prima di ogni riflessione, poiché l’esperienza del mondo si accompagna inevitabilmente all’esperienza di sé che esperisce46. La caratteristica essenziale dell’esperienza, presente anche nel concetto filosofico di intenzionalità47, è infatti di presentarsi come una relazione fra sé e l’oggetto esperito, rivelando al contempo entrambi i poli di questa relazione. Nella sua analisi delle caratteristiche fondamentali dell’esistenza umana, Heidegger48 sottolinea come l’uomo si comprenda non come oggetto di riflessione, ma come unità mente/corpo che si automanifesta in una “situazione”. Tale situazione è sempre relativa a un contesto storico e intersoggettivo, di cui fanno parte gli altri con i quali l’uomo è in relazione, e i mezzi che egli ha a disposizione. Nella “situazione” egli si trova sempre connesso emotivamente con tutto ciò in cui è immerso, e il suo stato d’animo gli rivela il valore delle cose per lui, offrendole al suo ragionamento, cioè alla valutazione discorsiva. In tale situazione emotiva egli comprende intuitivamente le proprie possibilità, e ciò gli consente di progettarsi nel futuro e di scegliere in relazione a chi desidera essere, consapevole di avere a disposizione un arco di tempo limitato per potersi realizzare. Infine, egli è sempre nella condizione di esprimersi nel discorso, parlando con altri o pensando. L’alterità è presente, infatti, nella mente di un soggetto anche quando si trova a riflettere o ad agire in solitudine, poiché in ogni dialogo interno l’uomo si confronta con altri e valuta ogni suo comportamento anche in vista degli altri 41.
L’esperienza ha dunque un significato che precede ogni riflessione. Entrando in relazione con “oggetti intenzionali” la coscienza li coglie innanzitutto attraverso una sensazione affettiva che gliene mostra il valore46,49. In una situazione emotiva si possono distinguere vari strati di esperienza. In superficie vi sono le reazioni emotive, come l’ira o lo spavento, capaci di mostrare il valore universale di un oggetto (in questo caso di qualcosa che a chiunque si presenterebbe rispettivamente come un impedimento o un pericolo). Più in profondità si trovano emozioni e sentimenti, che indicano il valore di un oggetto per se stessi. Questi affetti sono ricchi di rimandi al passato e al futuro, e testimoniano una storia individuale e dei significati personali che sono innanzitutto sentiti passivamente, ma che contengono anche valutazioni discorsive. C’è poi da considerare l’umore che, senza pretendere di fornire una definizione ultima ed esaustiva di questo termine che tanti problemi di specificazione ha creato alla psichiatria, descriviamo qui come una tonalità emotiva che ci colloca in una situazione esistenziale. Attraverso l’umore si manifesta il monitoraggio automatico dell’andamento dei propri piani di vita in corso, soprattutto dei progetti sentimentali e lavorativi, sintetizzando le loro possibilità di riuscita in rapporto sia agli accadimenti esterni, sia alle capacità personali, intellettive, performative, di salute, sociali, ecc. In ultimo, la tonalità emotiva di fondo, sintesi passiva di tutte le sintesi, che non ha uno specifico oggetto intenzionale bensì l’orizzonte di tutte le possibilità, quello che rende possibile l’apparire degli oggetti 50. Vi si riassume l’intera storia di un individuo (esperienze precoci di attaccamento, successi e insuccessi, relazioni significative, viaggi, dialoghi, scoperte e conoscenze, temperamento e costituzione fisica), tanto da presentarsi come Endon51, cioè come modalità di collegamento tra lo psichico e il somatico e tra la persona e il mondo. Sebbene il fluire dell’esperienza, nel suo continuo sedimentarsi, trasformi e venga trasformata dalla tonalità emotiva di fondo, l’Endon tende essenzialmente a mantenersi stabile nel tempo, come ciò che permane e da cui non si può sfuggire. Esso corrisponde a ciò che Heidegger chiama “essere gettato”.
Si può dire che gli oggetti sono offerti alla coscienza attraverso una connotazione emotiva, che orienta il ragionamento e delimita le possibilità di azione. Il sentimento però non impone le scelte, poiché esse rimangono nel dominio della volontà e della responsabilità di ogni individuo. Per quanto possibile, le emozioni sono regolate attivamente attraverso una valutazione discorsiva, che ne accerta il senso attraverso la riflessione. Lo strumento del linguaggio consente di valutare ogni oggetto all’interno dell’intera rete di rimandi, cioè di tutte le sue possibilità, e di esaminarle anche fuori dal contesto percettivo immediato, perciò lontane sia nel tempo sia nello spazio 41. Esso non serve solo a formulare giudizi o comunicare stati interiori, ma soprattutto a consentire che il mondo appaia con i suoi significati, intesi come le sue possibilità d’azione, e a coordinarsi con gli altri. Si parla perciò di significati che non sono eterni, poiché fanno parte di un mondo storico e culturale, che precede il singolo individuo. Essi non sono nella mente e nemmeno nel regno delle idee, ma si formano nell’esperienza del mondo. Con la valutazione discorsiva si può trascendere il proprio centro di esperienza, e considerare più prospettive presenti. Ciò accade nel dialogo e nel confronto con gli altri, che si realizza sia nella realtà sia nell’immaginazione, tra sé e sé.
Il pensiero riflessivo precede la scelta dell’azione, o la segue per giustificarla all’interno di regole comuni. A differenza del mero comportamento, che si manifesta come conseguenza di una valutazione automatica delle proprie possibilità senza bisogno di riflessione, l’agire è libero e responsabile, nonostante le limitazioni e i condizionamenti indipendenti dalla propria volontà. Un limite, per esempio, è dato da un’intensa reazione emotiva, una condizione di malattia, o certi aspetti del proprio carattere 52, e tuttavia è raro che si possa imputare a questo l’intera responsabilità delle proprie azioni. La scelta di agire si compie in virtù della presenza dell’altro, il quale interpella la nostra coscienza costringendo alla decisione48,53. Infatti, anche se l’azione dell’altro può essere strategica, la sua sola presenza offre un modo simile ma diverso di esperire il mondo, unito a progetti, attese e contro-attese che trasformano il proprio campo d’azione, duplicano la propria esperienza, chiedono attenzione e rispetto. La presenza dell’altro costringe a decentrarsi da sé, mostra l’effetto del proprio agire, impone il reciproco riconoscimento e fa emergere il bisogno di comprensione e giustizia.
Nell’esercizio della propria libertà e consapevolezza, l’uomo può scegliere di essere chi vuole essere, e lo fa proprio perché costretto dalla presenza dell’altro, che sia un individuo, una comunità sociale o l’intera umanità. Nel rapportarsi all’intera umanità, nota Feuerbach54, si determina una coscienza rigorosa. L’esigenza di autodeterminarsi deriva, secondo Heidegger48, dalla coscienza di essere mortali e di avere un tempo finito per realizzarsi, cosa che può avvenire solo oltrepassando alcuni dei propri limiti44. Una piena corrispondenza tra volontà e azione si manifesta con un sentimento di fierezza; al contrario, un segnale di imbarazzo, colpa o vergogna indicherà la distanza da sé.
Emerge quindi come l’esperienza sia già significativa di per sé, prima di ogni riflessione, e si presenti secondo delle “regole di manifestatività” che correlano sentimenti, azioni e pensieri42.
L’esperienza individuale è unica in quanto è unico l’intreccio di situazioni che caratterizza una storia soggettiva, come unico è il progetto di vita cui si sceglie di aderire. L’identità, pertanto, si costituisce nell’agire e non può essere ridotta a ciò che di essa permane identico. Ogni qualvolta un uomo si trovi nella condizione di dover scegliere, è in una “nuova situazione emotiva” che lo pone davanti agli altri e in vista degli altri. Tale situazione è sempre una prima volta, un’occasione nella quale confermare, rinnegare o semplicemente modificare il corso della propria vita. Di volta in volta egli è chiamato ad afferrare il senso della propria esperienza per farla propria nella riflessione, e ad afferrare il senso di quello che l’altro sta facendo nel mondo. Egli può così dotare di significato le proprie decisioni, come espresso nel concetto di ipseità proposto da Ricoeur55. Un uomo si ferma a riflettere sulle ragioni del proprio agire o sentire quando non gli sono chiare, e tende allora a interpretare i segni della propria storia e a configurare in un racconto coerente l’intreccio di situazioni, scopi e moventi che hanno prodotto le sue scelte. Tale processo interpretativo, che Ricoeur chiama “identità narrativa”, trasforma a sua volta l’esperienza viva56. Se manca la comprensione immediata della propria esperienza, si cercano spiegazioni plausibili per le proprie motivazioni, col rischio di darne interpretazioni “confabulatorie”57.
La psicoterapia può dunque porsi come scopo quello di riconoscere le spiegazioni che non rispettano il senso originario dell’esperienza, per poter esplorare gli aspetti non compresi di questa (spesso vissuti soggettivamente come sintomi), chiarire i collegamenti fra situazioni, emozioni, pensieri e intenzioni, e rifigurarli narrativamente. Questo processo consente di recuperare il proprio equilibrio emotivo e favorisce la capacità di agire determinandosi per la propria realizzazione.
Strategia generale dell’intervento terapeutico
In continuità con la strategia d’intervento ideata da Guidano, il modello di psicoterapia da noi proposto si basa sul confronto tra l’esperienza e le sue spiegazioni. Esso mira non tanto a rivelare le regole di autoriferimento dell’esperienza, quanto alla sua comprensione immediata e intuitiva, traducendo in formato predicativo quello che si realizza a livello preriflessivo. Il significato preverbale dell’esperienza non ha nulla a che vedere con l’inconscio psicoanalitico, bensì va inteso come quel tutto sempre aperto che si va continuamente facendo, un intreccio di fili interconnessi che tende gradualmente a sfaldarsi nelle varie forme di memoria, lasciando tracce che può talora essere necessario ricomporre.
Il cuore dell’intervento è costituito dall’identificazione, esplorazione, validazione e riconfigurazione narrativa dell’esperienza significativa non compresa dal paziente, affinché si riduca il senso di estraneità di questa, sia possibile regolare le emozioni, ed egli possa riflettere e prendere le decisioni opportune per la realizzazione di sé.
Innanzitutto, è necessario strutturare una relazione terapeutica che renda possibile tale esplorazione. Si tratta di una relazione sintonica, in cui il terapeuta riesce a comprendere il focus dell’attenzione del paziente e a dirigersi verso l’oggetto cui si riferisce la sua situazione emotiva, afferrando il senso di quello che egli sta facendo nel mondo58. Per costituire una relazione sintonica occorre che il terapeuta si ponga sin da subito alcune domande: perché il paziente chiede aiuto proprio ora? Il sintomo, o il disagio, espresso dalle sue reazioni emotive e comportamentali, da quale stato d’animo è sotteso? E infine, quale genere di esperienza può esservi sensatamente connessa, nella sua situazione?
Le fasi dell’intervento possono essere così riassunte:
1. individuare il motivo della richiesta, cioè il problema effettivo che il paziente deve affrontare ora, in vista dell’immediato futuro, e che lo induce a chiedere aiuto;
2. identificare le ragioni del sintomo o del disagio che il paziente manifesta (come si sente rispetto a che cosa in quella determinata situazione);
3. identificare le situazioni significative che il paziente ha vissuto senza comprendersi, in relazione alla richiesta di intervento e all’insorgenza del disagio;
4. esplorare, analizzare e validare l’esperienza relativa a tali situazioni;
5. riconfigurare narrativamente l’esperienza ponendola in relazione ai piani di vita in corso;
6. sostenere il paziente nella riflessione, affinché possa liberamente decidere al fine di realizzarsi e di trascendere, per quanto possibile, i propri limiti.

Questi sei momenti dell’intervento si ripetono continuamente durante la terapia, e si articolano su dimensioni temporali diverse, producendo macroanalisi o microanalisi secondo le necessità. L’esigenza iniziale è infatti stabilizzare il paziente e permettergli di riconoscere la dignità della sua condizione, della sua ricerca di senso. A tal fine si comincia con una macroanalisi del problema che lo aiuti a capire le ragioni generali del malessere in corso e le sue attuali esigenze. In seguito, si procederà a un’analisi più dettagliata delle situazioni emotive, passando alternativamente dai momenti cruciali di svolta nella vita agli accadimenti quotidiani. La durata complessiva dell’intervento dipende dalla gravità della condizione clinica, correlata al grado di inconsapevolezza del paziente. Il metodo può essere applicato anche a sedute di coppia, familiari o di gruppo, poiché l’esperienza da esplorare può essere selezionata secondo le necessità e le possibilità di comprensione.
Rispetto alla PCPR tradizionale, si utilizza il costrutto delle OSP per individuare le “aree di opacità” dell’esperienza correlate alle specifiche difficoltà di ognuna nel coglierne alcuni aspetti, mentre non si pone l’accento sulle modalità di autoriferimento dell’esperienza e i temi di vita.
Le persone con OSP DAP hanno tipicamente difficoltà a riconoscere la salienza e la rilevanza dei propri stati emotivi, e dunque a discriminare nelle sfumature dell’esperienza emotiva ciò che è più rilevante per loro in quel momento. Prive di un pieno supporto da parte dell’informazione emotiva, le opinioni e le decisioni tendono a essere avvertite come non sufficientemente solide e motivate, il che spiega la tendenza a cercare sostegno nelle informazioni ricavate da altre persone.
Per le persone con OSP ossessiva, la difficoltà risiede caratteristicamente nel minore valore ontologico attribuito alle emozioni rispetto al pensiero, nel faticoso riconoscimento immediato delle sfaccettature a volte contrastanti dell’esperienza emotiva umana, e nella tendenza alla mancata identificazione e legittimazione delle sensazioni affettive che siano discrepanti rispetto alla valutazione discorsiva, tendenzialmente impersonale, della situazione.
Le persone con OSP fobica riconoscono la salienza delle informazioni emotive dall’intensità delle componenti sensoriali. Ciò comporta la tendenza a focalizzare l’attenzione sugli stimoli immediati che innescano reazioni emotive, con la difficoltà a cogliere sia i sentimenti sottostanti e preesistenti, sia l’oggetto intenzionale cui sono riferiti. Ciò rende conto del loro frequente bisogno di gestire l’intensità dell’attivazione emozionale regolando la distanza dallo stimolo immediato.
Le persone con OSP depressiva tendono a trovare difficile comprendere i vissuti propri e altrui nelle dinamiche interattive, specialmente per le sfumature emotive. La difficoltà a riconoscere l’effetto che si fa all’altro e quello che l’altro fa a sé può comportare problemi di intimità e cooperazione.
Va precisato che le eventuali difficoltà di comprensione immediata della propria esperienza possono essere così tenui da essere quasi impercettibili, o severe e complesse. Ciò si rileva soprattutto negli sviluppi traumatici59, in cui si possono riscontrare, contemporaneamente, la difficoltà a identificare gli aspetti di legittimità delle proprie attivazioni emotive e a regolarle senza il supporto dell’altro, il bisogno di un costante riconoscimento esterno, e una scarsa capacità di riconoscere il senso delle azioni altrui.
Tecniche di intervento
La psicoterapia cognitiva centrata sull’esperienza è basata in larga misura sul dialogo, cioè sul gioco della domanda e della risposta che si avvia con l’ascolto attivo da parte del terapeuta. Ciò non vuol dire che, nei disturbi gravi, non si possano utilizzare tecniche diverse per consentire che si realizzi la condizione necessaria all’ascolto e al dialogo (sensomotorie, ipnotiche, di drammatizzazione, uso del disegno, ecc.), finalizzate a facilitare la regolazione delle reazioni emotive e l’esplorazione dell’esperienza.
Rispetto agli aspetti specifici di questo modello, si comincia con l’ascoltare il resoconto del paziente, che fornisce la propria interpretazione del problema e della richiesta. Il terapeuta coglie le discrepanze fra il racconto e la struttura universale dell’esperienza cui si riferisce, e pone domande tese a chiarire i nessi fra situazioni, emozioni, pensieri e azioni. Nel fare ciò, egli esplora l’esperienza del paziente, convalidandone le legittime connessioni. Si analizza la struttura intenzionale dell’esperienza esplorando il momento in cui il fenomeno si presenta alla coscienza, mettendo tra parentesi ogni precedente giudizio. L’osservazione si concentra sulla struttura manifesta dell’esperienza, che può essere descritta discorsivamente e intersoggettivamente, e successivamente si esplorano i rimandi al passato e alle aspettative future, che riguardano più l’aspetto privato dei vissuti, legato alle storie personali.
Una simile analisi, pur se senza esplicito riferimento a fonti fenomenologiche, è rinvenibile nel lavoro clinico di Guidano: nei trascritti di alcune sue sedute si possono vedere chiaramente l’accurata ricostruzione dell’esperienza del paziente e la chiarificazione degli aspetti e dei passaggi impliciti e ambigui nelle sequenze esperienziali indagate60,61. Quest’ultima si basa su domande di precisazione che servono a mostrare la concatenazione degli ingredienti dell’esperienza soggettiva, e che tipicamente seguono risposte ritenute non adeguate dal terapeuta in base alla sua conoscenza di com’è fatta l’esperienza umana, una conoscenza che i terapeuti di talento possiedono, indipendentemente dal loro orientamento teorico. È stato osservato come sarebbe interessante evincere da questi trascritti un modello dell’esperienza soggettiva cui il terapeuta si ispira nello svolgere questo tipo di lavoro 60. A nostro parere, la fenomenologia si propone come autorevole chiave teorica di riferimento utile a questo scopo.
Nell’ascoltare il racconto del paziente si colgono le discrepanze che rivelano brani di esperienza che il paziente non ha compreso. Queste si presentano come spiegazioni riduttive e inappropriate di una sequenza d’azione. Un racconto consapevole evidenzia le ragioni dell’agire, cioè le situazioni emotive, i moventi e gli scopi di una scelta, in modo coerente con la struttura universale dell’esperienza, e non pretende di identificarle in un nesso causa-effetto che ridurrebbe il comportamento a un riflesso meccanico.
Una volta che il terapeuta individua una discrepanza, significativa per il problema da affrontare, analizza la situazione vissuta e l’esperienza a essa relativa. Quando si esamina l’insorgenza di un sintomo, o una scelta di vita cui il paziente non aderisce pienamente, si procede con un’analisi macroscopica dell’evento, che evidenzi le variabili che hanno influenzato la valutazione dei progetti di vita in corso e, quindi, l’umore connesso alla situazione. L’indagine muove da un’analisi dell’esatta sequenza cronologica dei fatti che hanno portato al sintomo o al cambiamento, esplorando i vari ambiti di vita (relazioni intime, sociali, lavorative), in modo da individuare la situazione emotiva rilevante per la prospettiva futura. Per esaminare la situazione può essere utile un’analisi “tripartita” dell’esperienza che ne indaghi tre aspetti: da un lato “esterno”, gli accadimenti; da un lato “interno”, il modo in cui essi si manifestano nella coscienza come emozioni, immagini, pensieri, motivazioni, e il loro correlato espressivo; da un altro lato ancora, la posizione esistenziale (collocazione della persona lungo il suo ciclo di vita, direzione futura che si dispiega da tale posizione in relazione a esperienze e scelte precedenti), definibile come una sorta di coscienza “prospettica” 62. Va sempre tenuto presente che il sentire mostra la relazione fra sé e l’oggetto, e così informa sulla propria posizione rispetto all’accadere e sulle proprie possibilità; a tale comprensione segue il ragionamento valutativo (dei fatti e dei rimandi di un’azione) e a questo la scelta di come agire. Se questo processo di comprensione non è portato a termine, è molto probabile che si manifesti un sintomo o che si attui un comportamento automatico che persegue obiettivi immediati di regolazione; in tal caso la propria condotta non può essere pienamente riconosciuta come propria e volontaria, bensì come “necessaria” e difficilmente controllabile. Se il soggetto non comprende come si sente e rispetto a che, e quali siano le proprie possibilità, egli non è in grado di valutare le cose dal suo centro di esperienza, né di valutarle decentrandosi da sé, cioè in base a cosa significano per gli altri potenzialmente coinvolti. Perciò, egli non potrà scegliere l’azione cui aderire pienamente, consapevole degli effetti che avrà sugli altri e sul proprio futuro.
L’indagine sull’esperienza diviene microanalitica (moviola) quando la discrepanza consiste nel disagio relativo a un singolo episodio emotivo. Anche questo deve essere inserito nel contesto di vita più ampio, che a vario titolo interessa i diversi strati della coscienza.
Nel corso dell’esplorazione, l’attenzione del paziente viene focalizzata sulle caratteristiche delle sensazioni affettive. Esse vanno esaminate in tutte le loro componenti (somatiche, comportamentali, ideative, immaginative, motivazionali, ecc.), in modo da poter identificare ogni stato d’animo col suo nome nel linguaggio condiviso, e comprenderne la relazione con il relativo oggetto intenzionale. Poi si ripete la stessa operazione riguardo ai pensieri e alle azioni. Questo procedimento, pur senza espliciti rimandi teorici alla fenomenologia, viene almeno in parte utilizzato in vari approcci psicoterapeutici, come la PCPR e alcune psicoterapie umanistico-esperienziali. Con tale procedimento si legittima l’esperienza, cioè si evidenzia ciò che in essa è autenticamente e intrinsecamente correlato, secondo la “intrinseca legalità” dell’esperienza 49, distinguendolo dalle spiegazioni o giustificazioni che derivano da pregiudizi o che hanno una valenza confabulatoria, cioè servono a rendere plausibili a sé e agli altri le ragioni del proprio agire e sentire, riducendone il senso di estraneità. Questo lavoro di chiarificazione è un aspetto importante della terapia, e può avvenire solo in una relazione collaborativa e rispettosa, in cui il terapeuta eviti di trasporre nel paziente la propria esperienza e non forzi la lettura dell’esperienza del paziente attraverso chiavi interpretative teoriche predefinite.
Il materiale onirico fa parte dell’esperienza, e come tale va esplorato quando si presenta rilevante, e comunque se il paziente ne avverte la necessità63,64. Nel sogno, infatti, si sperimentano emozioni significative all’interno di scenari altamente suggestivi, che possono anche essere esaminati in moviola per poi essere ricondotti alla situazione emotiva attuale del paziente onde meglio comprendere il loro riferimento.
Ogni esplorazione termina con la riconfigurazione narrativa condivisa del racconto iniziale, coerente con il significato originario dell’esperienza esaminata. In essa si rivelano in modo attendibile le connessioni motivazionali che collegano gli accadimenti al sentire e all’agire del paziente, e il paziente ritrova dignità, integrità, stabilità e possibilità decisionali. A questo punto si supporta il paziente nella riflessione, aiutandolo a decentrarsi da sé e ad allineare le scelte ai suoi progetti ideali di realizzazione.
Mentre i classici compiti di autosservazione predispongono alla ricerca di regole e orientano lo sguardo su di sé dall’esterno, in questo approccio il paziente è invitato a focalizzare la propria attenzione sui fenomeni nel loro sorgere e a evitare che il ragionamento possa distorcerne la comprensione.
Parte integrante del lavoro è anche la comprensione dell’esperienza relativa ai rimandi associativi e temporali che emergono dalle varie esplorazioni; è perciò utile esaminare la storia di sviluppo, la storia affettiva e gli altri trascorsi che tratteggiano le caratteristiche dell’identità individuale, purché la trama dei nessi sia dipanata a partire dal problema di volta in volta affrontato, così da non favorire lo sviluppo di ragionamenti deduttivi. Un’anamnesi essenziale, tuttavia, va raccolta già al primo incontro, per procedere a una corretta diagnosi clinica e funzionale del disagio presentato.
La prescrizione di psicofarmaci, pur se non prevista formalmente nell’approccio, può tuttavia essere necessaria nei pazienti con psicosi o concause organiche, come pure per quelli in cui alti livelli di disagio uniti a una regolazione emozionale inefficiente impediscano di dialogare proficuamente sull’esperienza. In tal caso, è bene che la farmacoterapia sia condotta secondo i principi del trattamento integrato, in modo da sventare i pericoli della competizione dei trattamenti e della scissione del setting 65,66. Sono, invece, incompatibili con questo approccio le tecniche interpretative relative alle dinamiche inconsce, come meccanismi di difesa, transfert e resistenze, nonché le tecniche direttive strategiche, come la prescrizione del sintomo.
Conclusioni
Nel modello qui descritto, il sintomo è concettualizzato come conseguente a un senso di estraneità dell’esperienza, che si produce quando non ne siano stati compresi aspetti importanti. Scopo dell’intervento è portare alla luce tutti gli aspetti rilevanti dell’esperienza, validarla mostrandone le connessioni, consentire al paziente di appropriarsene, e condurlo a sviluppare la capacità di comprenderla senza la mediazione dell’intelletto.
Evidenziare il ruolo di un difetto nella comprensione dell’esperienza nello sviluppo di un sintomo non significa disconoscere la complessa interazione dei fattori biologici, psicologici e sociali nel prodursi del disagio emozionale e dei disturbi mentali. Un intervento che si propone di rendere più armonica e consapevole l’esperienza della persona non nega la possibile rilevanza di fattori biologici, bensì si fonda sulla possibilità di produrre effetti biologici mediante un trattamento psicologico 67. Né nega l’importanza di fattori relazionali e sociali, poiché lavorare sull’esperienza del paziente costituisce una chiave fondamentale per modificare eventuali suoi aspetti relazionali problematici68. La stessa relazione terapeutica, impostata su un atteggiamento non giudicante, rispettoso dell’esperienza e rivolto alla comprensione di questa, costituisce un potente mezzo di cambiamento nelle attitudini interpersonali del paziente.
Tradurre in linguaggio i modi e le ragioni per cui un fenomeno si manifesta alla coscienza è un’impresa ermeneutica non scevra da rischi interpretativi, anche se diversi da quelli del ragionamento deduttivo. “Tradurre” è pur sempre un “trasportare da un luogo a un altro” che, modificando il contesto iniziale, “tradisce” in parte il significato originario delle cose69. Tuttavia, il metodo fenomenologico utilizzato per analizzare l’esperienza è rigoroso e scientifico, nei modi in cui può esserlo quello delle scienze umane e storiche: costante sottoposizione a un controllo ontologico; attività di ricerca non meramente epistemologica; assenza di pretese veritative poiché ogni problema risolto implica l’immediata apertura di un altro. Giacché qui si parla non tanto di una teoria della mente e delle sue funzioni, quanto di una pratica di cura che, in quanto tale, deve soddisfare i requisiti di innocuità e di efficacia, per corroborare la validità del modello proposto è imperativo porsi il problema di una sua validazione empirica. In futuro, pertanto, sarà opportuno definire operativamente i principi e le tecniche dell’intervento attraverso una manualizzazione di questo, per poi saggiare formalmente la sua efficacia.
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