Disturbo borderline di personalità, trauma e EMDR

Borderline Personality Disorder, trauma and EMDR

DOLORES MOSQUERA1, ANABEL GONZÁLEZ-VÁZQUEZ2
E-mail: doloresmosquera@gmail.com

1Psicologo, Esperto in Disturbi della Personalità, Direttore Centro OGPSIC, Coruña, Spagna
2Psichiatra e Criminologo, Coordinatore del Programma “Trauma e Dissociazione”, Complesso Ospedaliero Universitario, Coruña, Spagna

RIASSUNTO. Gli autori esaminano i diversi criteri diagnostici per il disturbo borderline di personalità, leggendoli secondo la prospettiva del modello dell’elaborazione adattiva dell’informazione e indicandoli come guida all’esplorazione e ricerca di ricordi traumatici di natura relazionale, che hanno a che fare con la storia di attaccamento e che possono essere affrontati grazie al lavoro terapeutico con l’EMDR.

PAROLE CHIAVE: disturbo borderline di personalità, traumi complessi, attaccamento, EMDR.


SUMMARY. The authors step by the diagnostic criteria for Borderline Personality Disorder, viewing them from the perspective of the Adaptive Information Processing e pointing them as a guide for exploration and search of traumatic interpersonal events connected to attachment story and which can be addressed by the therapeutic work with EMDR.

KEY WORDS: Borderline Personality Disorder, complex PTSD, attachment, EMDR.


Molti di noi ritengono che il trauma consista in grandi avvenimenti che
compaiono nelle cronache. Veterani di guerra, sopravvissuti
a catastrofi naturali e attentati (…); tuttavia, di fatto, per definizione,
il trauma è qualsiasi evento abbia prodotto un effetto negativo duraturo.
(…) Quando si perde la pace interiore o non si è mai avuta, possono
verificarsi importanti conseguenze fisiche e psicologiche, qualunque sia
la causa. Al margine dei fattori scatenanti “triggers”, le cause possono
essere rintracciate generalmente in antiche esperienze di vita.
Chiamiamo queste esperienze “trauma”.
Shapiro, 2007

INTRODUZIONE
Le prime situazioni che corrispondono al concetto di trauma descritto nei criteri del disturbo da stress post-traumatico (PTSD) sono ciò che nell’EMDR viene denominato trauma “T”. Tuttavia questo concetto del trauma si può estendere anche a tutte quelle situazioni che hanno a che fare con l’attaccamento: la mancanza di attenzione, la trascuratezza, le situazioni quotidiane che possono giocare un ruolo fondamentale nella patologia e che vengono classificate come trauma “t”. Il modello di elaborazione adattiva dell’informazione (AIP) ritiene che queste esperienze restino immagazzinate in modo disfunzionale nelle reti mnesiche, costituendo la base delle problematiche dell’età adulta. Il trattamento con EMDR rappresenta un focus di integrazione che parte dall’identificazione di queste esperienze e utilizza movimenti oculari o altre forme di stimolazione alternate (suoni, tapping) per stimolare il sistema naturale di cui il cervello dispone per elaborare, “metabolizzare”, le esperienze particolarmente stressanti o traumatiche.
Nel caso del disturbo borderline di personalità, può risultare difficile stabilire il filo conduttore tra i sintomi presentati dal paziente (comprese le frequenti difficoltà che si presentano nella relazione terapeutica) e gli ambienti precoci in cui si è sviluppato, in genere caratterizzato da un’elevata frequenza di eventi traumatici gravi, ma soprattutto dall’accumulo cronico e devastante di traumi ripetuti “t”. L’ostentazione e la vistosità dei sintomi più evidenti del disturbo borderline di personalità fanno in modo che molti professionisti continuino a concentrarsi sul sintomo e non arrivino a collegarlo all’attaccamento disfunzionale e al trauma relazionale precoce. Nella Tabella 1 vengono riassunti i principali studi riguardanti la prevalenza di antecedenti traumatici nel disturbo borderline di personalità (1-14).



Nel lavoro con l’EMDR non andiamo a concentrarci esclusivamente sugli eventi traumatici più evidenti, come l’abuso sessuale o il maltrattamento fisico o verbale, pur molto diffusi. “L’assenza di”, gli effetti distruttivi della trascuratezza emozionale o delle disfunzioni dell’attaccamento non possono essere riferiti dai pazienti come eventi traumatici, tuttavia il loro effetto sullo stato clinico è molto forte e richiede una valutazione specifica. Per elaborare il piano terapeutico, dobbiamo tenere in considerazione questi aspetti, così come la sintomatologia dissociativa molto frequente e i fattori di predisposizione di tipo biologico. Per un approfondimento sull’interazione tra trauma, attaccamento e fattori biologici, Mosquera, González-Vázquez e Van der Hart (15) hanno formulato un modello esplicativo della sintomatologia borderline e dissociativa come un esempio di trauma complesso, affrontabile con l’approccio EMDR: ognuno dei criteri indicati dal DSM IV-TR appare infatti riconducibile a un insieme di esperienze traumatiche che possono essere rielaborate con l’EMDR.
I CRITERI DEL DSM-IV-TR PER IL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ SECONDO
IL MODELLO DELL’ELABORAZIONE ADATTIVA DELL’INFORMAZIONE
I criteri diagnostici delle classificazioni internazionali costituiscono una guida per l’identificazione di specifiche problematiche, tuttavia tradurre questi sintomi in un piano terapeutico finalizzato all’uso dell’EMDR non risulta facile e automatico. Esamineremo quindi i diversi criteri del DSM IV-TR (16), leggendoli secondo la prospettiva dell’AIP.
Criterio 1. Sforzi disperati di evitare un reale
o immaginario abbandono
Siccome in alcuni contesti la vicinanza, l’affetto e la cura vengono negati, o i messaggi al riguardo risultano altamente contraddittori, il bambino cerca con disperazione il caregiver. Il genitore, anche se fisicamente presente, non sempre è disponibile emotivamente. Questi bambini saranno preoccupati per il legame con gli altri quando diverranno adulti (17) e potranno essere visti come persone dipendenti o persino “appiccicose”. Oppure, il paziente non si sente capace di mantenere una relazione di cui, per un altro lato, ha un’enorme necessità, alternando manifestazioni di debolezza alla collera. Possiamo trovare un individuo estremamente dipendente dalla nostra approvazione che reagisce in modo estremo o sproporzionato davanti a ciò che percepisce come mancanza di interesse. Dalla prospettiva dell’EMDR, guarderemo a tutto questo come a informazioni disfunzionali che continuano a essere attive. Per esempio, come la conseguenza del ricordo di una madre depressa, incapace di sintonizzarsi sui bisogni del bambino, o di una madre ansiosa, invadente e iperprotettiva dalla quale (il paziente) non ha potuto sviluppare una distinzione tra il sé e l’altro.
Criterio 2. Un quadro di relazioni interpersonali instabili e intense, caratterizzate dall’alternanza
tra gli estremi di idealizzazione e svalutazione
Nell’attaccamento insicuro-ambivalente, la strategia comportamentale è più o meno sempre la stessa: siccome non posso predire cosa farà il mio caregiver, se mi “appendo al suo collo” (con pianti, grida, scenate), mi assicuro la sua presenza. In questo senso il modello sarà più o meno stabile od organizzato. Da adulto, risulterà difficile che il paziente identifichi un’origine specifica di tutto questo. Per poter lavorare in queste situazioni con l’EMDR abbiamo bisogno di fare prima un lavoro psicoeducazionale in questi pazienti e quindi “installare” progressivamente l’informazione adattiva di cui sono carenti.
Quando parliamo di attaccamento disorganizzato, invece, vediamo che il bambino non può mostrare un comportamento omogeneo e coerente: non riesce ad adattarsi. L’oscillazione del bambino tra l’attivazione del sistema di attaccamento e quello di difesa è complementare a quella del genitore. Per potersi legare a un genitore incongruo o aggressivo, il bambino a volte non ha altra scelta che idealizzarlo e costruire un’immagine genitoriale molto lontana dalla realtà, dissociando gli elementi che non quadrano con questa immagine. Gli aspetti terrificanti della figura genitoriale sono immagazzinati in un altro stato mentale, associato non già all’attaccamento, ma ai sistemi biologici di difesa. Entrambi gli stati mentali, mediati da strutture e sistemi neurobiologici differenti, possono alternarsi a volte senza soluzioni di continuità, producendo i drastici cambiamenti dall’idealizzazione alla svalutazione che si osservano in questi pazienti, tanto nelle loro relazioni personali quanto nella relazione terapeutica. Per lavorare con l’EMDR dobbiamo cercare le esperienze che hanno a che fare con entrambi i poli. Il lavoro con le difese di idealizzazione di Knipe (18) ci dà un interessante strumento per elaborare il legame patologico con un genitore abusante e strumenti più specifici per affrontare la dissociazione (19).
La sensazione di sicurezza di base cresce nel bambino attraverso l’esperienza di essere stato guardato come qualcuno di importante e speciale per suoi caregiver, con uno sguardo di amore incondizionato (18). Il protocollo “occhi d’amore” di Jim Knipe e il lavoro con i modelli di cura del sé (18-20) sono altri strumenti utili all’elaborazione con l’EMDR.
Criterio 3. Alterazione dell’identità: immagine
di sé e percezione di sé marcatamente
e persistentemente instabili
Per alcuni pazienti la diagnosi può diventare essa stessa un segno di identità a cui si aggrappano fortemente per l’assenza di un concetto di sé solido e per le difficoltà che incontrano nel contattare direttamente le loro emozioni e i loro bisogni. Spesso non hanno raggiunto una differenziazione tra sé e gli altri, come risultato di una relazione di attaccamento precoce disfunzionale. In altri casi, l’alterazione dell’identità è mantenuta da sintomi dissociativi gravi. Fonagy et al. (21) parlano di “esperienza strana” all’interno del proprio io: idee e sentimenti che si sperimentano come parte del proprio io ma che non sembrano appartenergli. Per l’identità confusa e per i problemi con il concetto di sé, ci possono aiutare procedure come il lavoro con la rappresentazione del sé (22) o lo sviluppo e l’installazione di risorse (23). Oppure bisogna introdurre varianti come la procedura “protocollo di tolleranza all’emozione positiva” (20).
Le procedure che si utilizzano con i pazienti dissociati possono essere di grande aiuto con i sintomi intrusivi caratteristici della dissociazione. Per esempio, il lavoro con il “luogo di incontro” (14,19) ci offre uno strumento affinché l’individuo possa iniziare a riconoscere come proprie le parti di se stesso che rifiuta, procedendo così verso una visione integrata.
Criterio 4. Impulsività in almeno due aree che sono potenzialmente dannose per il soggetto, quali spendere, sesso, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate
un bambino che è represso o punito dal suo caregiver quando si arrabbia, apprende a contenere e celare la sua rabbia. Può essere che impari persino a non percepirla, se mostrare rabbia può essere pericoloso e fare danno. Oppure, se il genitore è aggressivo, la rabbia si associa a lui e viene considerata una emozione da rifiutare sempre e comunque. Così, questa emozione non può integrarsi con il resto delle funzioni mentali. Questo comporta, in alcuni casi, un’alternanza tra il contenimento e la dissociazione della rabbia, o la sua espressione non modulata e incontrollata.
In questo stato mentale il paziente può avere maggior accesso a ricordi connessi con le situazioni di aggressività vissute nell’infanzia (memoria stato-dipendente) che in alcuni casi non sono accessibili, nemmeno parzialmente, in uno stato emotivo di tranquillità (amnesia dissociativa). L’amnesia può anche presentarsi tra uno stato mentale e un altro. Molti pazienti borderline non ricordano o hanno ricordi confusi e frammentati dei propri comportamenti auto- o eteroaggressivi: sanno ciò che è successo, ma non il processo interno, ciò che li ha portati a dire quella cosa o a comportarsi in quel modo. Questi fenomeni sono spesso interpretati come tentativi di sottrarsi alle responsabilità o come una richiesta di attenzione, mentre spesso costituiscono delle vere amnesie.
L’accesso all’informazione disfunzionale, ai ricordi che sono alla base di questi comportamenti, sarà diverso a seconda del grado della dissociazione. Nei gradi elevati dovremo essere più cauti nell’avvicinarci agli eventi traumatici (che il paziente può persino non ricordare), e dovremo lavorare con le parti dissociative. Nei gradi minori, invece, l’accesso può essere più diretto.
Criterio 5. Ricorrenti minacce, gesti, comportamenti suicidari, o comportamento automutilante
In un attaccamento insicuro-ambivalente o disorganizzato i bisogni del bambino non vengono facilmente visti. Molte volte, il bambino deve gridare più forte o più a lungo per farsi notare. Il bambino impara che le sue richieste devono essere insistenti. Altre volte rinuncia e arriva a ignorare i propri bisogni o ad avere grandi difficoltà per riconoscerli. Non è capace di prendersi cura di sé poiché non ha potuto apprendere un modello di cura adeguato (14,22). Lavorando con l’approccio dell’EMDR non guarderemo mai a questi comportamenti come a “capricci e richieste di attenzione”, ma tenteremo di capire come hanno avuto origine questi modelli.
I comportamenti autolesivi possono rispondere anche a una difficoltà ad autoregolare e tollerare le emozioni negative. I pazienti riferiscono spesso che si provocano dolore fisico poiché lo considerano più sopportabile del dolore emotivo (24). Attraverso questi comportamenti tentano di uscire da un’emozione spiacevole, da un ricordo traumatico o da un’esperienza di depersonalizzazione. Sebbene elaborare questi ricordi grazie all’EMDR potrà offrir loro un sollievo a tutto questo, in molti casi dovremo avvicinarci gradualmente ai ricordi traumatici affinché il paziente possa arrivare a tollerarne l’elaborazione. Questi comportamenti possono infatti, in alcuni casi, esser messi in atto da parti dissociate. L’evitamento dei ricordi traumatici o la loro negazione può portare a una dissociazione estrema, dove parti interne riproducono il comportamento dell’abusante, aggredendo l’individuo come una ripetizione del maltrattamento precoce. Una situazione di questo tipo ci porta verso una pianificazione terapeutica più vicina a quella che si utilizza nei disturbi dissociativi.
Criterio 6. Instabilità affettiva dovuta a una marcata reattività dell’umore
La regolazione emotiva non è un processo automatico ma è acquisito a partire dalle prime tappe dell’infanzia attraverso la relazione diadica con il caregiver (25,26). La relazione di attaccamento si sviluppa in modo sano quando l’adulto è capace di sintonizzarsi sul bambino, è coerente nei suoi atteggiamenti e aiuta il bambino a modulare le sue reazioni emotive. Un certo grado di malessere è adattivo, poiché il bambino per mezzo di ciò impara a tollerare la frustrazione e a procrastinare la gratificazione. Tuttavia il caregiver anche in questi casi deve aiutarlo a ritrovare l’equilibrio.
Il bambino (e quindi il futuro adulto) impara così a far restare le proprie emozioni all’interno di ciò che viene chiamata la “finestra di tolleranza”, all’interno cioè di un livello di attivazione adeguato per adattarsi alle situazioni e poterle affrontare (17). Sebbene a questo problema contribuiscano anche fattori di ordine biologico, possiamo riscontrare molte situazioni traumatiche e mancanze di sintonizzazione emotiva nella fase preverbale, che il paziente non ci può raccontare perché troppo piccolo per poter avere una memoria autobiografica.
Può anche sviluppare un’ipersensibilità a particolari fattori ambientali che può essere, almeno in parte, un effetto post-traumatico. Gesti, atteggiamenti, espressioni nell’altro che ricordano al paziente espressioni del caregiver, possono provocare reazioni che in un adulto possono apparire sproporzionate e immotivate. Questo tipo di reazioni restano come “congelate nel tempo” mantenendo certe caratteristiche delle reazioni infantili di un tempo; via via che emergono i ricordi collegati a queste reazioni, possono essere affrontati ed elaborati con l’EMDR.
Criterio 7. Sentimenti cronici di vuoto
Appare lecito ipotizzare che i sentimenti cronici di vuoto abbiano origine dall’assenza di sintonizzazione emotiva con il genitore. Un attaccamento sicuro crea nel bambino un sentimento di sicurezza interna e di contatto con gli altri. I pazienti con disturbo borderline di personalità descrivono momenti di solitudine, sensazione di essere invisibili, mancanza di empatia. Un genitore sopraffatto dai conflitti interni e altre difficoltà può non essere capace di accorgersi dei reali bisogni del bambino o di differenziarli dai propri.
Lavorando con l’EMDR, si possono elaborare i ricordi traumatici che hanno generato e alimentato questi sintomi.
Criterio 8. Rabbia immotivata e intensa o difficoltà
a controllare la rabbia
Alcune delle persone con questa diagnosi hanno risposte imprevedibili, bruschi cambiamenti dell’umore o improvvise esplosioni emotive, verbali, fisiche o miste. Molti pazienti riproducono, mediante queste reazioni, i modelli disfunzionali di espressione della rabbia con i quali sono cresciuti. Le oscillazioni tra atteggiamenti di sottomissione di fronte a un partner maltrattante ed episodi di rabbia incontrollata hanno a volte molte somiglianze con i ruoli che hanno avuto entrambi i loro genitori durante l’infanzia. Questo si complica di più quando il paziente ripropone questi comportamenti e subito dopo prova un forte senso di colpa. Adottare la prospettiva del collegare questi comportamenti alla particolare storia del paziente può aiutare a evitare una riedizione automatica e non riflessiva degli stessi comportamenti. Il lavoro con l’EMDR non si limita unicamente all’elaborazione dei ricordi. Fin dalla raccolta delle informazioni aiutiamo il paziente ad acquisire una diversa prospettiva rispetto ai propri comportamenti e a sviluppare una capacità riflessiva utile per la gestione dell’impulsività. L’atteggiamento del terapeuta che accetta il paziente in toto, pur aiutandolo ad assumersi la responsabilità delle proprie azioni e a operare dei cambiamenti, fornisce le basi per l’integrazione e la regolazione dei comportamenti.
Criterio 9. Ideazione paranoide o gravi sintomi dissociativi transitori, legati allo stress
Questo è uno dei criteri più ignorati ma di maggior rilevanza nei casi gravi di disturbo borderline di personalità. Come abbiamo detto prima, molte volte gesti, parole o dettagli apparentemente insignificanti svolgono un ruolo come fattori scatenanti traumatici o come segnali di allarme che rimandano a esperienze precoci; per questo è molto importante capire da dove proviene il sintomo. Per esempio, l’insistenza da parte del terapeuta a lavorare su di un tema può rimandare a un’esperienza di abuso sessuale in cui i limiti interpersonali e fisici sono stati violati, o all’intrusività di un caregiver particolarmente sregolato, e a una relazione di attaccamento correlata a una sensazione di pericolo e non di sicurezza. La reazione difensiva del paziente, la sua sfiducia o l’apparente resistenza, incomprensibile e sproporzionata dal punto di vista del qui e ora, acquista tutto il suo significato quando la capiamo dalla prospettiva del là e dell’allora.
Tra i sintomi dissociativi frequenti troviamo le allucinazioni uditive, che corrispondono a stati mentali completamente dissociati e che svolgono la funzione di “coscienze parallele”, o che riproducono commenti di figure reali della storia del paziente. Possiamo anche trovare depersonalizzazione, amnesie e diversi tipi di pensieri intrusivi. È importante che un’esplorazione completa di questa dimensione faccia parte della valutazione iniziale di questo tipo di pazienti, in cui la frequenza di sintomi dissociativi supera di molto quella di altri disturbi mentali.
LE CONVINZIONI NEGATIVE NEL DISTURBO BORDERLINE DI PERSONALITÀ
Uno degli aspetti su cui si lavora con l’EMDR sono le convinzioni negative e positive. Le situazioni traumatiche esercitano in gran misura il loro danno ledendo la percezione del sé. Questo aspetto si esplora chiedendo al paziente di identificare quali credenze negative relative a se stesso nel qui e ora si associano con il ricordo su cui si vuole lavorare. Si tratta anche di individuare quale direzione dare al cambiamento: che cosa vorrebbe credere di se stesso in positivo. Le convinzioni negative nel disturbo borderline di personalità sono molto radicate e possono essere difficili da estirpare se non si svolge un lavoro complementare su questo. È importante aiutare il paziente a cercare una credenza positiva realistica da perseguire. Un lavoro sulla tolleranza all’emozione positiva (27) può a volte essere utile in questo processo.
I pazienti, inoltre, riportano molti vissuti che non sono pienamente inclusi nei criteri diagnostici, ma che sono ugualmente rilevanti per affrontare questo quadro clinico con l’EMDR.
Qui di seguito esponiamo alcuni tra i più frequenti (28):
Percezione di non essere amato o di essere sbagliato: “Nessuno mi vorrebbe se mi conoscesse veramente… Nessuno potrebbe voler bene a qualcuno come me… Se mi conoscono veramente, si rendono conto di quanto sono cattivo”.
Sensazione di inutilità o di “non essere adatto per”: “Non sono capace di fare bene niente… sono un disastro completo”.
Sensazione di dipendenza: “Non posso valere per me stesso, ho bisogno di qualcuno su cui potermi appoggiare… Se non mi si accompagna, sicuro che mi andrà male”.
Percezione di essere ignorato, abbandonato o dimenticato: “Starò da solo, nessuno sarà lì per me… Se smetto di farmi i tagli, ho paura che si dimentichino di me… chi potrebbe ricordarsi di chiamare qualcuno come me”.
Sensazione di perdita del controllo: “Non posso controllarmi… Mi lascio portare, è qualcosa che sfugge al mio controllo… Se mi sbaglio, lo avrò disturbato completamente”. 
Mancanza di fiducia in se stessi e/o nelle proprie decisioni: “Se non faccio ciò che vogliono gli altri, mi abbandoneranno o mi attaccheranno… Se gli dico ciò che penso veramente, penserà che sono uno stupido”.
Sfiducia o sospetto nella relazione con altre persone: “Le persone mi faranno del male, mi attaccheranno o si approfitteranno di me… Sicuro che mi tratta bene perché vuole qualcosa da me… Mi devo proteggere dagli altri”.
Timore di essere travolti, ingannati o traditi dalle proprie emozioni: “Devo controllare le mie emozioni o qualcosa di terribile succederà… Non gli posso dimostrare quanto mi ha fatto piacere vederlo o non tornerà… Se sapesse ciò che sento veramente, penserebbe che sono pazzo”.
Autopunizione o sabotaggio di sé: “Sono una persona cattiva, merito di essere punito… Se sono così infelice, è perché me lo merito… Trovo solamente una spiegazione a questo malessere che sento: io me lo procuro, quindi, merito di soffrire”.
Molte volte queste convinzioni riproducono in modo diretto i commenti dei loro abusanti (29) e sradicarle richiede un lavoro psicoeducazionale aggiuntivo.
CONCLUSIONI
Integrare le nostre conoscenze sulla traumatizzazione precoce e grave con l’AIP su cui si fonda la terapia EMDR, fornisce le basi per elaborare il piano terapeutico. Più che un insieme di procedure, l’elemento centrale diventa un’accurata concettualizzazione dei casi, tentando di “andare oltre” il sintomo e di comprendere l’insieme di esperienze traumatiche complesse che hanno dato origine al problema, elaborando gli aspetti del passato che alimentano, mantengono e attivano i sintomi nel qui e ora. Sebbene si possa sviluppare un disturbo borderline di personalità anche senza che si siano verificati traumi “T”, è poco probabile trovare un disturbo di questo tipo senza un insieme di traumi “t” legati a esperienze disfunzionali di attaccamento. L’AIP ci offre un’eccellente cornice concettuale per trattare questo tipo di casi e, secondo la nostra esperienza, offre un vantaggio specifico per risolvere i sintomi più difficili e resistenti, come la sensazione di vuoto, di vulnerabilità, la mancanza di regolazione emotiva, la tendenza all’autolesionismo.
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