Catatonia e sindrome maligna da neurolettici: condizioni cliniche diverse di uno stesso spettro? Descrizione di tre casi

Catatonia and neuroleptic malignant syndrome: two disorders on a same
spectrum? Three case reports

FEDERICA LUCHINI, LORENZO LATTANZI, NATALIA BARTOLOMMEI, LUCA COSENTINO,
FRANCESCO CASAMASSIMA, ANTONELLA LITTA, MAURO MAURI, GIOVANNI BATTISTA CASSANO
E-mail: llattanzi@blu.it

Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia e Biotecnologie, Università di Pisa
Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana

RIASSUNTO. Obiettivi. Gli autori illustrano i casi di tre pazienti con disturbo bipolare che hanno sviluppato una sindrome maligna da neurolettici (SMN), durante trattamento con antipsicotici, sia tipici che atipici, approfondendo, in particolare, il rapporto tra SMN e catatonia. Metodo. In tutte le nostre pazienti, la somministrazione di antipsicotici è stata interrotta alla comparsa di febbre e dei primi segni di instabilità del sistema nervoso autonomo. Allo scopo di stabilizzare le condizioni cliniche generali sono state adottate misure terapeutiche di supporto, come la reidratazione, interventi di riequilibrio elettrolitico e di sostegno della pressione arteriosa, oltre alle opportune terapie antibiotica, antipiretica e anticoagulante. Il trattamento del quadro psicopatologico richiedeva invece un ciclo di terapia elettroconvulsivante (TEC), in combinazione con benzodiazepine (BDZ). Risultati. La tempestiva adozione di terapie di supporto, concordate con l’intervento coordinato e integrato di specialisti di altre branche mediche (internista, cardiologo, infettivologo, anestesista), ha consentito di ridurre l’alto rischio di complicanze e la mortalità, associati con la SMN, mentre il trattamento combinato TEC e BDZ è risultato risolutivo per la remissione del quadro psicopatologico. Discussione. I casi descritti sembrano fornire ulteriori evidenze sull’appartenenza di catatonia e SMN a uno spettro unico di malattia. In una paziente, infatti, la SMN ha complicato un preesistente quadro catatonico, mentre negli altri due casi sintomi catatonici sono residuati dopo risoluzione della SMN. A ogni modo la somministrazione di antipsicotici ha comportato in prima istanza l’insorgenza o l’aggravamento di alterazioni della psicomotricità di tipo catatonico, a supporto dell’ipotesi che la catatonia indotta da neurolettici possa rappresentare una fase della progressione del quadro clinico verso la SMN. La nostra esperienza conferma, inoltre, l’efficacia e la sicurezza dell’uso della TEC, in combinazione con BDZ, nel trattamento della SMN e degli stati catatonici residui.

PAROLE CHIAVE: catatonia, neurolettici, antipsicotici atipici, sindrome maligna da neurolettici, terapia elettroconvulsivante.


SUMMARY. Aim. The authors present the cases of three bipolar patients who developed Neuroleptic Malignant Syndrome (NMS) after antipsychotic treatment, both typical and atypical, focusing on relationship between NMS and catatonia. Methods. In all three cases, administration of antipsychotics has been stopped at once, when fever and autonomic disturbances occurred. A supportive therapy (including rehydration, electrolyte restoration and blood pressure aids, together with antipyretics, antibiotics and anticoagulants) was prescribed in order to stabilize general conditions. Every patient started then Electroconvulsive Therapy (ECT) in combination with benzodiazepines. Results. High risk of complications and lethal outcome, associated with NMS, were successfully reduced by the tempestive adoption of a supportive care, while combination between ECT and BDZ was effective in resolution of clinical picture. Discussions. These cases may provide further evidences about hypothesis of catatonia and NMS as disorders on the same spectrum. In one patient, NMS occurred overlapping with a previous catatonic state, while two others exhibited catatonic features after resolution of NMS. However, catatonic symptoms arose or worsened with administration of antipsychotics, supporting hypothesis of neuroleptic-induced catatonia as a step of progressive development of NMS. Our experience also confirms efficacy and safety of ECT in combination with BDZ as treatment of NMS and residual catatonia.

KEY WORDS: catatonia, neuroleptics, atypical antipsychotics, neuroleptic malignant syndrome, electroconvulsive therapy.

INTRODUZIONE
La catatonia, inizialmente descritta da Kahlbaum nel 1874 (1) e successivamente inclusa da Kraepelin tra le forme cliniche della dementia praecox (2) presenta un’incidenza compresa tra il 7% e il 38% dei pazienti psichiatrici (3).
Il DSM-IV (4) riconosce la catatonia come sottotipo della schizofrenia, come specifier per i disturbi dell’umore, oppure come disturbo dovuto a una condizione medica generale. I criteri prevedono la presenza di alterazioni psicomotorie: immobilità (caratterizzata da catalessia, flexibilitas cerea o stupor) o eccessiva attività motoria, negativismo o mutacismo, caratteristiche peculiari del movimento volontario (tendenza alla postura fissa oppure stereotipie, manierismi o smorfie), ecolalia o ecoprassia. Sono stati identificati anche altri sintomi caratteristici degli stati catatonici (5,6), quali la verbigerazione, la rigidità, il rifiuto di bere e alimentarsi, l’impulsività, l’obbedienza automatica oppure passiva (mitgehen), la resistenza al movimento passivo (gegenhalten), l’ambitendenza, il riflesso di grasping, la perseverazione, l’aggressività, le alterazioni neuro-vegetative (febbre, anormalità della pressione arteriosa, della frequenza cardiaca o respiratoria, diaforesi). Nonostante il DSM-IV identifichi la catatonia come un sottotipo di schizofrenia, è stato rilevato che gli stati catatonici si osservano molto più frequentemente nei disturbi dell’umore (7). Alcuni studi hanno sottolineato infatti che il 28-31% dei pazienti catatonici presenta uno stato misto o un episodio maniacale; viceversa più del 25% dei pazienti in fase maniacale soddisfa i criteri per la catatonia. Infine, solo il 10-15% dei pazienti catatonici ha una diagnosi di schizofrenia (8).
Kahlbaum sottolineava il decorso ciclico-remittente della catatonia e la frequente coesistenza di sintomi della serie affettiva, ma l’osservazione di forme a decorso infausto per la comparsa di stupor, instabilità autonomica, insufficienza respiratoria, collasso e coma indusse Stauder nel 1934 a coniare il termine catatonia “letale” (9). Questa ultima variante, conosciuta anche come catatonia “maligna” o “perniciosa”, pur descritta molti anni prima rispetto all’introduzione degli anti­psicotici nella terapia psicofarmacologica, appare praticamente indistinguibile dal punto di vista sintomatologico rispetto alla sindrome maligna da neurolettici (SMN), in cui il quadro clinico è però scatenato dalla somministrazione di antipsicotici.
La sindrome maligna da neurolettici (SMN) è stata riconosciuta per la prima volta da Delay et al. nel 1960 durante i primi trial clinici sull’aloperidolo (10). Si tratta di una complicanza rara, ma potenzialmente letale legata all’utilizzo degli antipsicotici, che insorge tipicamente entro 24-72 ore dalla somministrazione, ma può manifestarsi anche dopo 10-20 giorni, con un’incidenza compresa tra lo 0,07% e lo 0,9% nei pazienti trattati con neurolettici (11-13).
Il quadro clinico della SMN è caratterizzato da ipertermia, rigidità muscolare “a tubo di piombo”, rabdomiolisi (come evidenziato dall’elevazione dei livelli ematici dell’enzima di necrosi muscolare creatin-fosfo-chinasi), instabilità neurovegetativa e alterazioni dello stato di coscienza. L’instabilità del sistema nervoso autonomo (SNA) è evidenziata da variazioni della pressione arteriosa, tachicardia, diaforesi, incontinenza urinaria, flushing o pallore e presenta un andamento remittente. Le alterazioni dello stato di coscienza possono variare dal semplice disorientamento al delirium. Possono associarsi anche sintomi extrapiramidali, opistotono, convulsioni tipo grande male, corea, trisma, positività del segno di Babinski (12). Alcune alterazioni degli esami di laboratorio sono anch’esse caratteristiche della SMN (14,15): in particolare, leucocitosi, elevazione degli enzimi epatici, alterazione dell’equilibrio idroelettrolitico (riduzione di ferro, potassio e calcio ematici).
Tra i fattori di rischio per lo sviluppo della SMN sono stati descritti (16,17): agitazione psicomotoria, utilizzo di contenzione fisica, disidratazione, somministrazione contemporanea di litio, brusca sospensione di dopamino-agonisti, anticolinergici o benzodiazepine (BDZ), presenza di sindromi cerebrali organiche, sindromi extrapiramidali, carenza di ferro.
In genere la SMN si risolve entro due settimane dalla sospensione dei neurolettici: tuttavia, in alcuni casi, può persistere una sintomatologia residua, caratterizzata da deficit cognitivi (18) o da stati catatonici, soprattutto in presenza di un preesistente danno cerebrale (19).
L’evidenza clinica del frequente passaggio da catatonia a SMN e, viceversa, la presenza di forme intermedie (20,21) come la catatonia indotta da neurolettici e la catatonia “maligna”, di fattori di rischio in comune e soprattutto la risposta specifica agli stessi presidi terapeutici ha fatto ipotizzare che le due sindromi appartengano a uno spettro comune di disturbi.
A tutt’oggi la fisiopatologia della SMN e della catatonia non è ancora del tutto nota ma sono stati proposti modelli eziologici in comune per queste sindromi, come riassunto nella rassegna di Dhossche et al. (22) e coinvolgenti: 1) una disfunzione dei circuiti motori che collegano i gangli della base ai lobi frontali e di quelli vegetativi tra aree orbito-frontali e ipotalamo laterale per l’ipertermia e la disfunzione autonomica; 2) l’alterazione della neurotrasmissione GABAergica, glutamatergica e/o dopaminergica, come suggerito ex adjuvantibus dall’elevata tolleranza alle BDZ nei pazienti catatonici e dall’effetto causativo o precipitante dei neurolettici specie ad alta potenza (23,24); 3) un processo simil-epilettico; 4) una suscettibilità genetica, date le iniziali evidenze del carico di trasmissione familiare della catatonia periodica, i sintomi catatonici descritti nella sindrome di Prader-Willi (25) e i polimorfismi associati a un incremento del rischio di SMN (26-28); 5) fattori endocrini quali ipoparatiroidismo, tireotossicosi, feocromocitoma e squilibri idro-elettrolitici (29) o immunologici a seguito di casi di catatonia descritti nel contesto di encefaliti autoimmuni, sindrome da anticorpi anti-fosfolipidi e localizzazioni cerebrali del Lupus Eritematoso Sistemico (LES) (30).
Nel presente articolo presentiamo tre casi di SMN in pazienti affette da disturbo bipolare I. Uno stato catatonico ha preceduto l’instaurarsi della sindrome o ne ha rappresentato l’esito. Tutti e tre i casi hanno beneficiato della terapia combinata benzodiazepine più ECT, con risoluzione completa della sintomatologia.
CASI CLINICI
Caso 1
B.R. è una donna di 40 anni, affetta da disturbo bipolare I, esordito all’età di 30 anni con un episodio depressivo e caratterizzato dall’alternanza di episodi della stessa polarità e fasi miste psicotiche con instabilità del tono dell’umore, labilità affettiva, perplessità, idee di riferimento e persecutorie, aggressività.
Il trattamento con stabilizzatori dell’umore (sali di litio, antiepilettici) e antipsicotici tipici (aloperidolo) permetteva un adeguato compenso delle fasi acute, ma nelle fasi intervallari permanevano atteggiamenti di chiusura e ritiro sociale, idee di inadeguatezza, difficoltà al recupero del proprio ruolo sociale.
Negli ultimi due anni la paziente andava incontro a un periodo di discreto compenso psicoaffettivo, seguendo una terapia a base di bupropione 150 mg/die, aripiprazolo 5 mg/die, clomipramina 75 mg/die, clorpromazina 100 mg/die. Nell’agosto del 2010 si assisteva a una recrudescenza del quadro psicopatologico: dopo una prima fase di flessione timica con idee deliranti di colpa e autoaccusa e di elevazione della quota ansiosa, la sintomatologia rapidamente si aggravava per la comparsa di alternanza tra fasi di eccitamento psicomotorio e di inibizione con mutacismo, perplessità, negativismo attivo e passivo, rifiuto delle terapie, stereotipie motorie, manierismi.
Questa sintomatologia motivava il ricovero presso il nostro reparto. Per ottenere una rapida sedazione, veniva prescritta una terapia a base di promazina (100 mg i.m.), diazepam (10 mg i.m., seguito da 10 mg e.v.), olanzapina orodispersibile (10 mg).
Per la presenza di ritenzione urinaria, la paziente veniva cateterizzata e, per il rifiuto dell’alimentazione, veniva nutrita tramite sondino naso-gastrico (SNG).
Dopo dodici ore dall’ammissione si registrava un rialzo febbrile (38 °C) e una elevazione degli enzimi di rabdomiolisi (CPK 3053 U/L, V.N. fino a 170 U/L; Mb 300 ng/ml, V.N. 25-58 ng/mL; LDH 262 U/L, V.N 135-214 U/L, AST 39 U/L, V.N. fino a 32 U/L; potassio 3,1 mEq/L, V.N. 3,6-4,5 mEq/L), in presenza di una modesta leucocitosi neutrofila (80,4%, V.N. 40-75%).
Veniva perciò sospeso il trattamento con antipsicotici tipici e atipici, mantenuto quello con BDZ per via infusionale (diazepam 30 mg/die e.v.)* e venivano adottati i provvedimenti volti a correggere le alterazioni idroelettriche e prevenire ulteriori complicanze (idratazione, correzione dell’ipokaliemia, riduzione della temperatura con impacchi freddi e antipiretici, impostazione di terapia anticoagulante).
All’esame obiettivo, la paziente presentava ipertono muscolare diffuso, con compromissione della SNA (tachicardia, tachipnea, diaforesi), mentre persisteva lo stato di arresto psicomotorio, alternato a esplosioni di eccitamento con disorientamento spazio-temporale.
Nei tre giorni successivi all’ammissione, la paziente continuava a presentare una febbre serotina con punta massima di 37,8 °C, responsiva al paracetamolo 1000 mg per os.
Test di laboratorio ed esami strumentali escludevano la presenza di malattie somatiche in atto o pregresse e ulteriori indagini neurodiagnostiche (tra cui la TC cranio senza m.d.c.) escludevano la presenza di altre malattie o processi infiammatori a carico del SNC.
Il trattamento a base di BDZ per via parenterale (clordemetildiazepam 8 mg/die e.v.) non otteneva alcun beneficio per cui in terza giornata iniziava la terapia elettroconvulsivante (TEC).
Fin dalla prima applicazione si assisteva alla risoluzione della febbre e a una graduale diminuzione degli enzimi di rabdomiolisi.
Dopo la III seduta di TEC, la paziente era in grado di alimentarsi autonomamente e veniva pertanto sospesa la nutrizione enterale.
Dopo la IV applicazione di TEC, al quindicesimo giorno di degenza, la paziente, apiretica, non presentava più sintomi neurologici, né alterazioni dello stato di coscienza o del SNA. Persistevano elevazione della quota ansiosa libera e labilità emotiva, con sporadici episodi di subeccitamento psicomotorio, sostenuti da tematiche deliranti di colpa, nocumento e dispercezioni uditive; veniva dunque introdotto aripiprazolo 20 mg/die, mentre il clordemetildiazepam e.v. veniva sostituito con lorazepam (fino a 8 mg/die), per via orale.
Dopo aver effettuato la VI applicazione di TEC la paziente iniziava a deambulare e veniva rimosso il catetere vescicale.
Dopo l’VIII applicazione la paziente era orientata nei comuni parametri, eutimica, adeguata dal punto di vista comportamentale; i sintomi psicotici erano scomparsi, gli indici di rabdomiolisi erano rientrati nella norma.
La paziente veniva dimessa dopo quarantotto giorni di degenza con una terapia a base di valproato 600 mg/die, aripiprazolo 2,5 mg/die, lorazepam 1,25 mg/die, promazina 80 mg/die, andando incontro a un recupero del funzionamento premorboso.
Caso 2
R.A. è una donna di 48 anni, affetta da ipertensione arteriosa in terapia con doxazosina e con familiarità psichiatrica positiva per disturbi dell’umore e suicidio a termine.
Dall’età di 23 anni presenta un disturbo bipolare di tipo I, con periodiche riacutizzazioni a prevalente polarità mista, caratterizzate da flessione timica, disforia, labilità emotiva, sentimenti di angoscia, tematiche di colpa e rovina e agitazione psicomotoria. Alcune di queste fasi si sono complicate con sintomi della serie catatonica (negativismo, mutacismo, rifiuto dell’alimentazione). La paziente ha effettuato diversi ricoveri in SPDC e in Case di Cura convenzionate, è stata trattata con terapie psicofarmacologiche combinate (antiepilettici, sali di litio, antipsicotici tipici e atipici) e, in una occasione, circa quindici anni prima dell’ultimo ricovero , con un ciclo di 8 sessioni di TEC, che aveva determinato la completa remissione della sintomatologia. La terapia di mantenimento, con clozapina 100 mg/die, risultava efficace per oltre dieci anni nella prevenzione delle ricadute, consentendo nell’ultimo periodo una riduzione ridotta a 25 mg/die.
Nel settembre 2008, in relazione temporale con eventi stressanti in ambito familiare, la paziente iniziava a lamentare ansia, tensione interna e insonnia e a novembre dello stesso anno assumeva una dose incongrua del farmaco, non a scopo anticonservativo, ma per attenuare uno stato soggettivo di angoscia intollerabile. La terapia veniva modificata con l’introduzione di olanzapina fino a 10 mg/die, tuttavia la paziente andava incontro a un peggioramento dei sintomi con comparsa di arresto psicomotorio fino allo stupor e a deliri nichilistici.
Nel dicembre 2008 la paziente veniva ospedalizzata presso l’SPDC della città di residenza e trattata con aloperidolo 2 mg i.m e clorpromazina 50 mg i.m. Diciotto ore dopo comparivano rigidità muscolare generalizzata, delirium, tachicardia, diaforesi, blocco della funzione vescicale, febbre fino a 38 °C, aumento delle CPK (595 U/L; V.N. fino a 170 U/L) e della bilirubina indiretta (fino a 4,25 mg/dL, V.N. 0,2-0,8 mg/dL), leucocitosi. Il trattamento psicofarmacologico veniva interrotto ed entro due giorni gli esami di laboratorio (compresi gli enzimi muscolari) tornavano alla normalità. Iniziato di nuovo un trattamento a base di aloperidolo 6 mg/die i.m., in terza giornata si manifestava un peggioramento della sintomatologia con stupor, febbre, tachicardia, rigidità muscolare. Nonostante l’immediata sospensione degli antipsicotici, nelle due settimane successive si manifestava progressiva rabdomiolisi (CPK fino a 1997 U/L, Mb fino 206 ng/ml, V.N. 25-58 ng/mL) e aumento della bilirubina indiretta (fino a 6 mg/dl), permanendo lo stato di delirium, le alterazioni autonomiche e il blocco delle funzioni escretorie. Nei venti giorni successivi, le analisi di laboratorio progressivamente si normalizzavano, ma la paziente continuava a presentare un quadro di rigidità muscolare con flessibilità cerea, catalessia, mutacismo, negativismo attivo e passivo, perplessità, angoscia, stupor alternato a improvvisi episodi di agitazione psicomotoria durante i quali emergevano deliri mistici e nichilistici.
La paziente veniva quindi trasferita c/o il nostro reparto: all’ingresso (gennaio 2009) gli esami risultavano nella norma eccetto che per bilirubina totale (1,52 mg/dl) e Mb (70 ng/ml). Non si riscontrava febbre. Veniva somministrata terapia con lorazepam 16 mg/die e.v. e gabapentin fino a 1200 mg/die e in terza giornata la paziente iniziava un ciclo di TEC. Dopo la I sessione di TEC veniva tentata la reintroduzione di clozapina 25 mg/die nello schema terapeutico, ma in quarta giornata la paziente andava incontro a un episodio di elevazione della quota ansiosa e irrequietezza motoria, associato ad aumento degli enzimi muscolari (CPK fino a 393 U/L, Mb fino a 148 ng/dl). Non si manifestava elevazione della temperatura corporea. La clozapina veniva quindi interrotta e il lorazepam aumentato fino a 17,5 mg/die per os. I test di laboratorio si normalizzarono dopo due giorni. Dopo la VI applicazione di TEC (ventunesima giornata di degenza) la paziente era in grado di parlare fluentemente, era orientata, eutimica e il suo comportamento era adeguato; poteva camminare senza alcun aiuto, le funzioni escretorie avevano ripreso la loro regolarità, i sintomi psicotici, la rigidità e la flessibilità cerea erano scomparsi.
Veniva dimessa dopo ventisei giorni di degenza con una terapia a base di sali di litio 900 mg/die, nimodipina 90 mg/die, gabapentin 1200 mg/die, carbamazepina 600 mg/die, lorazepam 8,25 mg/die, niaprazina 30 mg/die e andava incontro a un recupero del benessere psicoaffettivo.
Caso 3
P.M. è una donna di 40 anni, che non presenta patologie somatiche, ma ha una familiarità positiva per disturbi dell’umore. Aveva ricevuto una diagnosi di disturbo bipolare di tipo I a 32 anni (2002), quando si era manifestato un episodio misto con sintomi psicotici che rese necessario il ricovero nell’SPDC della città di residenza. La paziente andò incontro a una remissione completa, consentendo la sospensione della terapia dopo tre anni. Successivamente tuttavia si resero necessari altri ricoveri in SPDC: nel 2006 per un episodio misto, nel 2007 e nel 2008 per episodi depressivi. Nell’ultimo di questi ricoveri, la paziente manifestava un quadro caratterizzato da arresto psicomotorio, posture bizzarre, flessibilità cerea, di breve durata e con rapida risposta alla terapia benzodiazepinica parenterale (lorazepam 12 mg/die). Da allora manteneva un discreto benessere con una terapia a base di lamotrigina 25 mg/die, aripiprazolo 20 mg/die e BDZ.
A dicembre 2009 la paziente manifestava una recrudescenza sintomatologica con agitazione psicomotoria, logorrea, disinibizione comportamentale, deliri a contenuto religioso e sessuale, sentimenti di colpa. Veniva quindi ospedalizzata c/o l’SPDC di competenza e trattata con clotiapina, zuclopentixolo i.m. e lorazepam e.v.
Dopo cinque giorni le sue condizioni cliniche si modificarono drasticamente in uno stato di stupor, negativismo, rigidità, rifiuto ad alimentarsi, blocco della funzione vescicale ed episodi di agitazione psicomotoria: si resero necessarie la cateterizzazione vescicale e la nutrizione enterale. Sospesa la precedente terapia, fu iniziato un trattamento con lorazepam fino a 16 mg e.v., con risposta transitoria e di lieve entità. Nei giorni successivi il quadro clinico si complicò per la comparsa di febbre fino a 38,8 °C e incremento degli indici di rabdomiolisi (CPK fino a 3600 U/L, V.N. 26-127 U/L). Le indagini diagnostiche (RX torace, TC cranio, ecografia addome, ecocardiogramma, EEG, urinocolture ed emocolture) non mostravano alterazioni degne di nota, eccetto l’urinocoltura positiva per E. Coli. Fu quindi iniziata una terapia antibiotica, ma per il persistere del quadro clinico di impegno somatico con febbre elevata (fino a 38,9 °C), scarsamente responsiva ad antipiretici (paracetamolo fino a 2000 mg/die), la paziente veniva trasferita in UO di Terapia Intensiva.
La prescrizione di olanzapina (2,5 mg/die) coincise con una puntata febbrile (38,4 °C) associata a leucocitosi (16000/mcL, V.N. 4500-11000/mcL) e rabdomiolisi (CPK 3600, AST 91 U/L, V.N. fino a 31 U/L, ALT 54 U/L, V.N. fino a 31 U/L). Sospeso l’antipsicotico, venne ripreso il trattamento con BDZ (lorazepam 16 mg e.v. al dì), zolpidem (10 mg al dì per os), miorilassanti (baclofen 5 mg per os al dì) e antiepilettici (valproato 300 mg al dì per os), con scomparsa della febbre e normalizzazione degli esami di laboratorio.
Al momento del trasferimento presso il nostro reparto, dopo trenta giorni dall’esordio del quadro clinico (gennaio 2010), la paziente presentava perplessità, labilità emotiva, disorientamento nei parametri spazio-temporali, angoscia, deliri persecutori, erotomanici e di colpa, allucinazioni uditive denigratorie, agitazione psicomotoria alternata a fasi di stupor con mutacismo alternato a verbigerazione, stereotipie motorie, rigidità, flessibilità cerea, catalessia, sudorazione profusa. A eccezione di trombocitosi (414/mcL) e una lieve elevazione degli enzimi epatici e dei marker di flogosi, le altre indagini diagnostiche (urinocoltura, marker reumatologici e oncologici) risultarono negative. Fu iniziato un trattamento con antiepilettici (gabapentin fino a 1200 mg/die), BDZ (lorazepam 16 mg e.v.) e un ciclo di sei applicazioni di TEC, a partire dalla terza giornata di degenza. Dopo la III applicazione di TEC (decima giornata di degenza) fu possibile rimuovere il catetere vescicale e ridurre il dosaggio delle BDZ (lorazepam 8 mg e.v. + 5 mg per os). La paziente era in grado di camminare senza sostegno e di alimentarsi normalmente; la rigidità si andava riducendo gradualmente. Dopo la IV applicazione (quattordicesima giornata di degenza), furono inseriti in terapia i sali di litio (450 mg/die) e ridotte ulteriormente le BDZ (lorazepam 8,25 mg per os). Dopo la VI applicazione (ventesima giornata di degenza), ridotto il lorazepam a 7,5 mg/die per os, rigidità, catalessia e flessibilità cerea erano scomparse e la paziente, orientata, eutimica, non presentava più sintomi psicotici; il comportamento era adeguato.
Veniva dimessa dopo ventidue giorni di degenza con una terapia a base di gabapentin 1200 mg/die, sali di litio 600 mg/die, lorazepam 7,5 mg/die, niaprazina 30 mg/die, con recupero dei livelli di funzionamento premorbosi.
DISCUSSIONE
Abbiamo presentato tre casi di pazienti affette da disturbo bipolare I, con prevalenti riacutizzazioni a connotazione mista e con sintomi psicotici. Le tre pazienti, tuttavia, si differenziano in quanto: una di esse manifestava uno stato catatonico sul quale si è sviluppata una SMN, le altre presentavano un quadro clinico iniziale non sufficiente a soddisfare i criteri per catatonia. Tuttavia, in questi ultimi due casi una fenomenica di tipo catatonico si è manifestata come esito dopo la risoluzione della SMN. Tutte e tre le pazienti sono state trattate con successo, mediante TEC associata a BDZ.
La presentazione sintomatologica della catatonia può includere sia una generale inibizione sia un eccitamento psicomotorio, e uno stesso paziente può presentare una fenomenica attribuibile a entrambe le opposte alterazioni della psicomotricità, come evidente dai casi clinici descritti. Similmente, un recente studio che includeva 18 casi di catatonia indotta da neurolettici riportava che il 78% dei pazienti presentava una forma stuporosa, il 17% una forma eccitata e l’11% una forma mista. In questo campione non era possibile ricostruire con precisione la successione temporale dei distinti aspetti sintomatologici durante l’evoluzione del quadro clinico: solo in cinque casi, infatti, l’alterazione autonomica, la febbre e il delirium sembravano seguire la comparsa dei sintomi extrapiramidali e della serie catatonica (31).
In tutte e tre le nostre pazienti la somministrazione di antipsicotici ha precipitato o aggravato il quadro clinico, in linea con quanto riportato da altri autori che hanno identificato nella catatonia indotta da neurolettici uno stadio più o meno caratteristico di progressione verso la SMN (32,33).
Nel Caso II, la reintroduzione di aloperidolo, dopo iniziale attenuazione dei sintomi, ha provocato la ricomparsa e l’aggravarsi della sintomatologia, resistente in seconda battuta alla sospensione del farmaco. Anche l’introduzione di clozapina a bassi dosaggi dopo la prima sessione di TEC riaggravava il quadro clinico. Nel Caso III si verificava lo stesso pattern di ripresentazione dei sintomi al re-challenge con un antipsicotico a bassi dosaggi (olanzapina 2,5 mg/die).
Come già riportato in letteratura, sebbene la somministrazione di neurolettici ad alta potenza sia un fattore di rischio aggiuntivo, la SMN può verificarsi anche con antipsicotici di seconda generazione (34,35). Il clinico dovrà prestare particolare attenzione negli stati di “sensibilizzazione”, durante i quali la reintroduzione anche a basse dosi di un antipsicotico può provocare un’ulteriore escalation della fenomenica a prognosi più sfavorevole.
I tre casi descritti confermano la frequenza delle presentazioni catatoniche nei disturbi dell’umore e la relazione esistente tra catatonia e SMN.
La letteratura sull’argomento è ormai sufficientemente concorde nel connotare la SMN come una forma di catatonia maligna indotta da farmaci (36-38) e nel descrivere catatonia, catatonia maligna e sindrome neurolettica maligna, come tre diverse espressioni cliniche dello stesso spettro (Tabella 1).
Nell’ambito di questa posizione, sostenuta tra gli altri da Fink e Taylor (39,40), sono state avanzate varie ipotesi per spiegare lo stretto legame tra SMN e catatonia: a) la SMN è la forma iatrogena della catatonia; b) la SMN rappresenta la forma iatrogena della catatonia “maligna”; c) la catatonia è un fattore di rischio per la SMN al pari del ritardo mentale, delle comorbilità somatiche, della disidratazione; d) la SMN è una sindrome eterogenea da includere nelle reazioni catatoniche e non catatoniche agli antipsicotici. Come argomentazione a sostegno della teoria secondo la quale la catatonia rappresenta un fattore di rischio della SMN, è stato ipotizzato che lo stato ipodopaminergico associato alla catatonia (41) possa essere aggravato dal blocco dei recettori dopaminergici, determinato dagli antipsicotici (42,43). Inoltre, è stato rilevato, come sottolineato in precedenza, che uno stato catatonico può residuare dopo la risoluzione di una SMN (19). Questo è ciò che si è potuto osservare anche in due delle nostre pazienti.
È necessario, tuttavia, considerare che secondo una minoranza di autori (44) la SMN e la catatonia sarebbero due sindromi distinte tra di loro, la prima correlata a un’iniziale disfunzione dopaminergica che compromette la trasmissione dalle vie motorie extrapiramidali sottocorticali alle regioni corticali (bottom-up regulation), mentre la catatonia risulterebbe da un’iniziale disfunzione gabaergica, con disconnessione funzionale dei circuiti implicati nella comunicazione tra sistema orbito-frontale e sistema extrapiramidale (top-down regulation) (Tabella 2).






Sia la catatonia maligna sia la SMN rispondono agli stessi trattamenti previsti per la catatonia (45). Attualmente la terapia psicofarmacologica più efficace per la catatonia è rappresentata dalle BDZ, in particolare il lorazepam, inizialmente per via endovenosa, in dosi crescenti da 2-6 mg/die fino a 12-16 mg/die e oltre. I tassi di risposta per questo tipo di trattamento si aggirano tra il 60 e l’80% (46). Anche la SMN, come evidenziato dai casi presentati, può beneficiare del trattamento con BDZ, presumibilmente in virtù della loro capacità di aumentare indirettamente l’attività dopaminergica tramite l’azione sui recettori dell’acido gamma aminobutirrico (GABA) (47). Lo zolpidem ha dimostrato efficacia nella rapida risoluzione dei sintomi catatonici, tanto che è stato proposto un test allo zolpidem, utile per la diagnosi differenziale (48); nel Caso III questo farmaco si è dimostrato di ausilio in combinazione con le BDZ e la TEC.
La TEC ha una lunga storia di efficacia negli stati catatonici, con tassi di risposta pari all’82-96% (49). Il numero di sessioni necessario non può essere stabilito a priori: sembra, tuttavia, indicato un ciclo di almeno 5-6 applicazioni e, in caso di non risposta, si può proseguire fino a 10-12 (50). La TEC è particolarmente utile, perché generalmente efficace anche quando gli altri trattamenti hanno fallito (51) e contribuisce a trattare il disturbo psichiatrico associato. Inoltre, alcuni studi evidenziano un effetto sinergico della terapia combinata TEC e lorazepam (52). Anche la SMN può essere efficacemente trattata con la TEC, soprattutto quando i trattamenti farmacologici (dopamino-agonisti, benzodiazepine, dantrolene) hanno fallito (53,54). La risposta non è influenzata da età, sesso, diagnosi psichiatrica, né da particolari presentazioni cliniche della SMN e sembra richiedere tra 6 e 10 sessioni di TEC (55). In conclusione, la TEC si è dimostrata efficace nel trattamento degli stati catatonici residui dopo SMN, come confermato anche dai casi che abbiamo presentato (19).
Alcuni case report riportano una prognosi favorevole con l’utilizzo degli agonisti del recettore glutamatergico NMDA, quali amantadina e memantina, anche nei casi dello spettro catatonia-sindrome maligna resistenti alle BDZ (56-58). Queste e altre strategie terapeutiche non sono state utilizzate nei casi descritti per la pronta disponibilità della TEC nella nostra clinica.
CONCLUSIONI
Il decorso dei tre casi clinici riassunti ci consente di ribadire la raccomandazione di limitare l’utilizzo dei neurolettici qualora sia presente uno stato catatonico, pur in presenza di sintomi psicotici. Anche gli antipsicotici atipici dovrebbero essere usati con cautela e soltanto alla completa e duratura risoluzione dei sintomi neurologici. Viene confermata l’efficacia del trattamento combinato con BDZ e TEC nella catatonia, nella SMN e negli stati catatonici residui dopo SMN. Infine, la sovrapposizione tra stati catatonici e SMN nelle nostre pazienti supporta l’ipotesi dell’appartenenza di questi quadri a un’unica sindrome clinica associata più frequentemente ai disturbi dell’umore (7).
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