Libri


Rocco Pititto
Cervello, mente, linguaggio.
Una introduzione alle scienze cognitive
Cartman Edizioni, Torino 2009, pagine 160, € 18

L’uomo deve essere considerato fra tutti gli esseri viventi un soggetto “speciale” e “singolare” in virtù dell’evoluzione del cervello. La quale ha “creato” (Frith) l’attività mentale ed è stata all’origine dello sviluppo del linguaggio, che “appare la proprietà più grande, nobile e indispensabile” della coscienza (Grimm).
Le acquisizioni più recenti delle neuroscienze e delle scienze cognitive mostrano che i processi cognitivi hanno una duplice valenza – mentale e linguistica – e che l’essere dell’uomo si comprende nella sua duplice dimensione più profonda come “unità di pensiero e linguaggio”. Mente e cervello sono le due condizioni perché ci sia un uomo, qual è diventato nel corso dell’evoluzione.
Nell’esperienza umana si pone e si sperimenta la relazione originaria tra mente e coscienza. L’esperienza vissuta in prima persona, fondamento della vita cosciente degli individui, rappresenta un particolare campo di fenomeni, “irriducibili a qualsiasi altra cosa”. Il rilievo accordato al fenomeno degli stati d’animo soggettivi e personali ha dato vita alla nascita di una nuova disciplina – la neuro fenomenologia – con lo scopo di rendere possibile un approccio diverso ai problemi della mente e del cervello, allargando lo spazio della mente ben oltre i confini tradizionali dell’umano, avendo rintracciato indizi di vita cosciente in esseri appartenenti al mondo animale non umano (Varela).
Rimane insoluto il problema fondamentale della coscienza. Considerare la coscienza come un semplice “ammasso di neuroni” è certamente assai riduttivo. La coscienza – afferma Searle – è “l’essenza stessa della mente e della nostra esistenza”. Oggi, le neuroscienze stanno valutando il rilevante ruolo assunto dall’identità dell’uomo dalla coscienza, la cui apparizione costituisce un evento decisivo nell’evoluzione dell’uomo. Solo con l’emergere della coscienza, questo fenomeno straordinario e misterioso del mondo vivente, risultato di processi cerebrali, una vera e propria qualità mentale superiore, si dà inizio all’essere dell’ Homo Sapiens. 
I percorsi e le tappe del suo sviluppo, come e quando avviene la nascita di questo fenomeno unico e quasi inafferrabile che è la coscienza, rimangono sconosciuti. Così come rimane un “mistero” il cervello stesso, che le ricerche, anche quelle più recenti e spettacolari, non hanno ancora svelato. I dati mostrano che l’uomo non è, come si pensava, una specie di scimmia che si migliora, bensì è tutt’altra cosa (Leroi-Gourhan). Il fatto poi che l’uomo e lo scimpanzé condividano qualcosa come il 99 per cento del patrimonio genetico rende ancora più difficile spiegare i termini dell’evoluzione di questi due esseri. La risposta sarebbe la “cognizione sociale”, un adattamento biologico avvenuto prima dello sviluppo del linguaggio.
Ciò che è più arduo capire – scrive Dennett – è come il linguaggio, quando è installato in un cervello umano, porti con sé “la costruzione di una nuova architettura cognitiva che crea un nuovo genere di coscienza e la morale”. Qui l’attività della mente diventa imprescindibile come attività che presiede al coordinamento tra i tanti meccanismi che regolano e definiscono l’essere dell’uomo nel suo insieme. Riscontri empirici e immagini del funzionamento del cervello disegnano la mappa di una mente complessa.
Sullo statuto epistemologico da dare a queste questioni, il mondo scientifico si divide tra chi fa riferimento a una visione neurale e deterministica dell’uomo e chi invece si richiama a una visione incentrata sulla straordinaria complessità della mente, per invocare “l’indeterminazione e l’improbabilità” di gran parte delle decisioni riferite al cosiddetto “libero arbitrio”, un concetto assai controverso, che da secoli è oggetto di accese discussioni.
Nel frattempo si sono registrati fondamentali progressi. Il cervello non è più considerato un organo essenzialmente recettivo e reattivo, ma una struttura plastica, la cui evoluzione è stata resa possibile da una corteccia più vasta e complessa rispetto agli altri primati, che si materializza nella mente come organo centrale, cui afferisce ogni attività dell’individuo. La mente è più del cervello, poiché è l’organismo umano nel suo insieme. L’attività mentale è determinata dai processi cognitivi, dai processi linguistici e dai processi relazionali, i quali circoscrivono insieme l’ambito della coscienza.
I problemi oggi posti dallo sviluppo delle neuroscienze investono il piano del funzionamento della mente e della coscienza. Solo nella relazione mente-cervello-coscienza sta la soluzione della questione relativa alla comprensione dell’uomo.
Una soluzione al problema della relazione mente-cervello-coscienza sarebbe l’affermazione di Crick che l’uomo non è altro che “un ammasso di neuroni” (a bunch of neurones). Parlare di mente e coscienza, rispetto a questa affermazione semplice e immediata, ma assolutamente riduzionista, servirebbe a ben poco, perché tutto si risolverebbe a livello neurale. Una seconda soluzione sarebbe quella di partire dall’esperienza vissuta dell’individuo, considerato che l’unico legame tra mente e coscienza è rappresentato proprio dalla struttura della stessa esperienza, perché è in essa che si sviluppa l’autocoscienza. Per Varela, solo nell’esperienza vissuta di ciascuno si situa lo spazio della mente e della coscienza. Si tratta allora di analizzare e comprendere l’attività del cervello, mettendola a confronto con l’esperienza soggettiva della stessa coscienza.
Le nuove metodiche di brain imaging consentono di vedere insieme i due tipi di descrizioni con gli stessi strumenti. Compito della neurofenomenologia è poter descrivere esperienze in prima persona, utilizzando gli strumenti delle descrizioni in terza persona. L’unico legame dunque tra mente e coscienza è rappresentato dall’esperienza umana, dalla soggettività.
Gli orientamenti sul “difficile problema” della coscienza sono riconducibili, scrive Varela, “a quattro modelli” e riassumono il dibattito più recente sul concetto della mente in ambito angloamericano. Le posizioni considerate vanno dal riduzionismo o eliminatorismo rappresentato da Crick, Koch e Churchland, al funzionalismo rappresentato da Jackendoff, Baars, Dennett, Edelman e Calvin, passando attraverso i cosiddetti “rassegnati” di fronte al “mistero” della coscienza come Nagel e McGinn e quelli infine per i quali, rifiutando ogni forma di dualismo e ogni pessimismo, ritengono necessario assegnare un ruolo centrale ai resoconti in prima persona e alla natura irriducibile dell’esperienza. Di questo gruppo fanno parte studiosi come Searle, Chalmers, Johson, Lakoff, Flanagan e lo stesso Varela. L’interesse comune che unisce questi autori è il riferimento all’esperienza soggettiva come fatto fondamentale che dovrebbe caratterizzare ogni approccio nei riguardi della coscienza.
La nozione di coscienza, cui si giunge con la riduzione fenomenologica, è radicalmente diversa rispetto a quella dell’empirismo angloamericano. Non si tratta di “un’ispezione privata”, ma di un ambito di fenomeni in cui “il soggettivo e l’oggettivo” emergono naturalmente. L’esperienza è certamente un evento personale del soggetto, ma non significa che sia di tipo privato, poiché la “mia coscienza è inestricabilmente collegata a quella degli altri e al mondo fenomenico in un coacervo empatico”.
A sua volta, la coscienza è legata in maniera indissolubile al cervello, alla mente, al mondo e agli altri. Il problema del neuronal correlate of consciousness – dichiara Varela – è perciò “mal posto”, perché la coscienza “non risiede solo nella testa”, non è cioè un “segmento di circuiti cerebrali, ma appartiene a un organismo incessantemente coinvolto nelle esperienze degli altri”. La coscienza dunque si costituisce come “un flusso continuo di esperienze”. Ma è soprattutto l’attività della mente che rende l’uomo un essere umano, capace di avere coscienza di sé, degli altri e del mondo, di soffrire e gioire, ricordare e sperare.
Nonostante tutte le acquisizioni conseguite, riteniamo, d’accordo con altri autori, che la mente rimanga ancora un mistero tutto da esplorare. Contro gli scettici, finora la ricerca dimostra come sia possibile indagare un campo di studio così complesso come la mente. Prioritario è il superamento della contrapposizione tra autori divisi sul modo di considerare l’espressione “avere una mente”. Per Searle, ad esempio, “avere una mente” significa avere una coscienza e cioè stati mentali soggettivi, i cosiddetti qualia, fenomeni non quantificabili oggettivamente e non riducibili ai processi neurofisiologici del cervello. Per un altro autore, Dennett, invece non si danno i qualia, e la coscienza è solo “una serie di programmi per computer implementati nel cervello”. A sua volta, Fodor considera la mente costituita da parti o moduli distinti, in base alle diverse funzioni della mente.
Sull’idea della mente assunta come una forma particolare di computer, ci sembra giunto il momento di affermare definitivamente che la nostra mente non si comporta “mai in tutto e per tutto” come quella di un computer (Boncinelli). Il cervello è “diverso” sotto molti aspetti da un computer (Gazzaniga). Noi ci “contraddiciamo”, abbiamo “conflitti interiori”, amiamo e odiamo, siamo capaci di creare il Requiem di Mozart o la cappella Sistina, ma anche Hiroshima e Auschwitz; di comprendere i bisogni più profondi dei nostri figli; ci intenerisce lo sguardo amorevole e affettuoso del nostro cucciolo Kimy implorante di uscire e scorrazzare nel parco. Il cervello poi è altamente interconnesso e va riguardato come il risultato imprevedibile del “caos e della complessità” (Kurzweil). Infine, nessun computer fino a oggi è stato in grado di rispondere al test di Turing proposto nel 1950 da Alan Turing per rispondere alla domanda: “Le macchine sono in grado di pensare?”. Sono state effettuate montagne di ricerche e accumulate tonnellate di dati, ma non abbiamo ancora elaborato una teoria che possa spiegare “come” (Hawkins) pensano gli esseri umani. E allora come possiamo creare una macchina che sia in grado di pensare come un essere umano? 
Nell’uomo lo sviluppo dell’attività della mente coincide con l’accrescimento e lo sviluppo del cervello, quel “supersistema di sistemi” (Damasio) che si è consolidato nel corso di un lungo processo evolutivo durato milioni di anni. Lo sviluppo del cervello e della mente è all’origine dell’affascinante avventura dell’uomo nel mondo e si pone come punto di arrivo dell’Homo sapiens sapiens, la cui sorte umana, iniziata circa 150 mila anni fa in Africa, è passata attraverso una transizione di passaggi morfologici e culturali. Anche in conseguenza del progresso raggiunto dalla corteccia cerebrale, che inizia a svolgersi nell’uomo già nel terzo mese di gestazione.

Guido Brunetti