Libri


Gilberto Corbellini, Giovanni Jervis
La razionalità negata.
Psichiatria e antipsichiatria in Italia. Bollati Boringhieri, Torino 2008, pagine 174, € 12

Le questioni relative ai disturbi psichiatrici si ramificano in molteplici snodi caratterizzati da diversi equivoci scientifici e culturali insorti soprattutto negli anni Settanta e dal difficile rapporto tra scienza e umanesimo nel nostro Paese. Rispetto agli altri Paesi, l’Italia ha scontato un notevole ritardo di elaborazione concettuale. Se altrove si è cominciato già nell’Ottocento a emancipare i malati con leggi come quella francese del 1838 o il “Lunacy Act” inglese del 1845, da noi la “180” ha dovuto suturare un gap risalente a una legge del 1904, in cui la malattia mentale coincideva con il comportamento criminale.
Gli autori rimarcano anzitutto la centralità di un sapere psichiatrico di cui l’antipsichiatria, sorta come reazione agli “eccessi” di una psichiatria biologica, costituisce un elemento composito contrassegnato da sociologismi ambigui, come le vaghezze metaforiche di un Foucault, da una psicoanalisi para-freudiana, come l’esoterismo oscuro e inconsistente di un Lacan e da un misticismo new-age. Tutti fattori che si sono saldati in un linguaggio astratto, vacuo e antiscientifico e teso a vedere nel disagio mentale solo il sintomo del “controllo sociale” e di un “ambiente castrante”. Viene contestato il concetto di malattia mentale, la schizofrenia non è ritenuta una malattia se non in senso metaforico, la “follia” è valutata come variante della norma o addirittura come forma di “saggezza”, predomina una ideologia anti-modernista, anti-razionalista e antiscientifica. Di qui, una opposizione alle scienze medico-biologiche e dunque alla psichiatria.
Tra ritardi ed errori, oggi la psichiatria è “obbligata” – scrive Kandel – a confrontarsi con le neuroscienze riguardo al crescente interesse per la biologia dei disturbi mentali e in particolar modo per la genetica della schizofrenia e della depressione. Stiamo assistendo a straordinari progressi nel campo delle neuroscienze, in particolare nell’analisi del modo in cui diversi aspetti del funzionamento mentale sono rappresentati in varie aree del cervello. Alla psichiatria, dunque, si presenta una nuova, irripetibile opportunità. Le prospettive si rivelano entusiasmanti: esiste la possibilità di pervenire a una visione avanzata dei processi mentali sia normali che patologici.
Alla base della nuova scienza del cervello c’è il principio che “tutti i processi mentali sono biologici”. Qualsiasi disordine o alterazione di questi processi deve avere perciò anche “una base biologica” (Kandel), nonostante finora non siamo riusciti a svelare lesioni chiare e localizzate come quelle riscontrate nelle malattie neurologiche. Anche se quasi tutte le patologie mentali hanno una componente genetica, esse non mostrano modelli di ereditarietà diretta, perché non sono causate dalla “mutazione di un singolo gene”. Non esiste quindi il gene della schizofrenia, come non esiste il gene della depressione, dei disordini dell’ansia o della maggior parte delle altre malattie mentali.
Le componenti genetiche di queste malattie si originano nell’interazione di parecchi geni con l’ambiente o con altri fattori. Con lo studio degli stati d’ansia, innata o acquisita, nelle persone e negli animali da esperimento, oggi sappiamo che le emozioni sono il risultato di una esperienza inconscia, che implica l’attività del sistema nervoso autonomo e dell’ipotalamo, e di una esperienza conscia, la quale coinvolge le funzioni della corteccia cerebrale. Essenziale per entrambe le componenti è il ruolo dell’amigdala, un nucleo situato in profondità negli emisferi cerebrali che coordina l’esperienza delle sensazioni e delle emozioni, soprattutto l’ansia e la paura. La scoperta da parte di Kandel di un circuito neurale che tiene sotto controllo l’ansia potrebbe portare inoltre allo sviluppo di farmaci che contrastino la paura associata a sindromi psichiatriche come i disordini da stress post-traumatici e le fobie.
Una indicazione importante sulla depressione deriva dal lavoro di due neuroscienziati, R. Duman e R. Henn, i quali hanno scoperto che i farmaci antidepressivi aumentano anche la capacità di una regione dell’ipotalamo, il giro dentato, di generare nuove cellule nervose. Sono scoperte notevoli in quanto lasciano emergere la possibilità che gli antidepressivi stimolano la produzione di neuroni nell’ipotalamo. Ulteriori esperimenti poi dimostrano che i topi geneticamente modificati possono servire come modelli nello studio di complessi disturbi psichiatrici. Nei topi mutanti possiamo indagare gli apporti genetici alla schizofrenia e manipolare l’ambiente dei topi, in utero e durante il primo sviluppo, per valutare quali interazioni genetico-ambientali potrebbero innescare l’avvio della malattia.
I modelli genetici delle principali malattie mentali ottenuti con i topi potranno rivelarsi fondamentali sia per comprendere le origini e lo sviluppo di determinate malattie che per analizzare le complesse vie alla base dei disturbi molecolari, rafforzando le nostre capacità di diagnostica e classificare i disordini mentali e fornendo una base per lo sviluppo di nuove terapie molecolari.
I meravigliosi progressi di questi anni stanno dando origine al “decennio delle terapie per il cervello”, con la conseguenza che la psichiatria e la neurologia si rivelano due discipline che vanno concettualmente avvicinandosi sempre più. Le prospettive sono affascinanti: possiamo – commenta Kandel – sondare i misteri del cervello e studiare nuovi trattamenti per le disfunzioni cerebrali.

Guido Brunetti
Collaboratore del Dipartimento
di Scienze Psichiatriche
Sapienza Università di Roma