Problemi e prospettive in tema di diagnosi psichiatrica

Problems and perspectives in psychiatric diagnosis

ANGELO PICARDI1, MARTINA VALENTINI2, MASSIMO BIONDI2
*E-mail: angelo.picardi@iss.it

1Centro di Riferimento per le Scienze Comportamentali e la Salute Mentale, Istituto Superiore di Sanità, Roma
2Dipartimento di Neuroscienze Umane, Ospedale Policlinico Umberto I, Sapienza Università di Roma


RIASSUNTO. In psichiatria, la diagnosi costituisce un tema complesso e difficile. Sono state avanzate un gran numero di considerazioni sull’incerto statuto ontologico dei disturbi mentali e sulle difficoltà che si incontrano nel fornirne una definizione irreprensibile. Queste considerazioni aiutano ad apprezzare le difficoltà e le sottigliezze dell’argomento, ma non implicano che i disturbi mentali non esistano o che una classificazione nosologica non sia necessaria. Sebbene le classificazioni abbiano alcuni difetti e limiti, esse possono tuttavia essere utili. L’attuale nosografia psichiatrica è tuttavia basata su un approccio categoriale che è stato oggetto di forti critiche. Le alternative includono l’approccio prototipico, che ha alcuni punti di forza ma anche potenziali svantaggi, e l’approccio dimensionale. Quest’ultimo approccio, pur non risolvendo tutti i problemi, è oggetto di crescente interesse e ha ricevuto sostegno empirico. Ci sono molti modi di concettualizzare le dimensioni e utilizzarle per la valutazione e la diagnosi. Uno di questi è rappresentato dalla SVARAD (Scala per la VAlutazione RApida Dimensionale), una scala eterovalutata che indaga 10 dimensioni psicopatologiche. La sua affidabilità, validità e facilità d’uso sono corroborate da una ventennale esperienza clinica e di ricerca. Approcci dimensionali di questo genere possono facilmente integrarsi con le tradizionali valutazioni diagnostiche basate su DSM e ICD e arricchirle, e possono essere di aiuto nella personalizzazione del trattamento.

PAROLE CHIAVE: nosografia psichiatrica, categorie diagnostiche, prototipi, dimensioni psicopatologiche, trattamento psichiatrico personalizzato.


SUMMARY. Diagnosis in psychiatry is a complex and difficult issue. A great many considerations have been made about the debatable ontological status of mental disorders and the difficulties in providing flawless definitions for them. While these considerations help appreciate the subtleties and difficulties of the topic, they do not imply that mental disorders do not exist or that nosological classification is unnecessary or useless. Although classifications have some inherent flaws and limitations, they can nevertheless be useful. The current psychiatric nosology, however, is based on a categorical approach that has been the object of much criticism. Alternatives include the prototype approach, which has some strong points but also a number of potential disadvantages, and the dimensional approach. The latter approach, though not solving all problems, has recently attracted increasing interest and has received substantial empirical support. There are several ways of conceptualising dimensions and using them in the context of assessment and diagnosis. One of these ways is represented by the SVARAD (Scala per la VAlutazione RApida Dimensionale, i.e., “rapid dimensional assessment scale”), which is an observer-rated scale that covers 10 psychopathological dimensions. Two decades of clinical and research experience have supported its reliability, validity, and ease of use. Dimensional approaches of this kind could easily integrate and enrich the traditional DSM or ICD assessment and may help optimize personalised psychiatric treatment.

KEY WORDS: psychiatric nosology, diagnostic categories, prototypes, psychopathological dimensions, personalised psychiatric treatment.

In psichiatria, la diagnosi è un tema estremamente complesso e difficile. Questioni ontologiche ed epistemologiche pervadono la letteratura sulla nosologia psichiatrica, e sono state avanzate un gran numero di dotte argomentazioni e considerazioni sull’incerto statuto ontologico dei disturbi mentali e sulle difficoltà che si incontrano nel fornirne una definizione irreprensibile1-3. In ogni caso, il fatto che sia difficile stabilire se i disturbi mentali siano meglio concettualizzati come “tipi naturali”, “costruzioni sociali”, o “tipi pratici”, e se tali disturbi siano meglio definiti in termini naturalistici, normativi, o ibridi, non deve essere assunto a dimostrazione che i disturbi mentali non esistano o che qualsiasi tentativo di classificarli sia viziato e ingiustificato. La psichiatria, in effetti, non è sola ad affrontare questi problemi, considerato che non esiste in tutta la medicina una definizione indisputabile e irreprensibile del concetto di “malattia” 4. Piuttosto, le considerazioni filosofiche sono utili per fornire un adeguato contesto a ogni serio dibattito sulla questione della nosografia psichiatrica, per poterne apprezzare difficoltà e sottigliezze. Tali considerazioni consentono anche di rendersi conto che una classificazione nosologica è necessaria e può essere utile, pur essendo, per la sua intrinseca natura, fallace e limitata per alcuni aspetti. Ciascun approccio al formidabile problema della classificazione dei disturbi mentali è, infatti, inevitabilmente caratterizzato da punti di forza e debolezze.
La moderna classificazione dei disturbi mentali ha una lunga storia, che può essere fatta risalire al “furore classificatorio” comparso in occidente tra il diciassettesimo e il diciottesimo secolo. Nel diciannovesimo secolo, per ogni alienista lo sviluppo di una propria personale classificazione costituiva un elemento importante per la crescita e il successo professionale5. Da allora, sono state proposte miriadi di classificazioni dei disturbi mentali, con vari gradi di accettazione e successo, finché negli ultimi trent’anni la nosologia psichiatrica è andata incontro ad alcuni importanti sviluppi. L’introduzione nei sistemi DSM e ICD di una cornice concettuale condivisa internazionalmente, di regole di classificazione, e di criteri diagnostici espliciti ha notevolmente incrementato la riproducibilità, e ha giocato un ruolo essenziale nel mantenere il legame tra psichiatria e scienza e nel promuovere la ricerca. Per quanto imperfetti, questi sistemi di classificazione hanno fornito un linguaggio comune per i disturbi mentali ai clinici, criteri diagnostici rigorosi ai ricercatori, codici diagnostici ai servizi sanitari, diagnosi psichiatriche affidabili a giudici e avvocati 6.
Tuttavia, sebbene l’introduzione di criteri diagnostici operativi internazionalmente accettati abbia portato molti vantaggi alla psichiatria, gli attuali sistemi di classificazione sono oggetto di intenso dibattito e di crescenti critiche7,8. Da un lato, è stato sottolineato che l’utilizzo dei criteri è cresciuto a tal punto che essi tendono a essere reificati ed erroneamente identificati con l’entità clinica di cui sono indice9. Questo, unito alla mancata considerazione di aspetti non descrittivi della diagnosi come quelli intersoggettivi10, ha portato a un impoverimento concettuale e psicopatologico in psichiatria11. Dall’altro, l’approccio categoriale stesso, che è implicito nei criteri, è stato oggetto di forti critiche. È stato sottolineato che le categorie diagnostiche sono scarsamente adatte a distinguere i casi per gravità, che non consentono di classificare efficacemente i pazienti con sintomi subclinici, che spesso non rendono adeguatamente conto dell’eterogeneità con cui pazienti con la stessa diagnosi categoriale si presentano dal punto di vista clinico, e che includono categorie di disturbi “non altrimenti specificati” fortemente disomogenee. La maggior parte delle categorie diagnostiche, inoltre, hanno seri problemi di validità, in quanto non soddisfano i criteri di validità stabiliti da Robins e Guze 12 e da Kendler13 e non sono state validate dalla ricerca neuroscientifica, neuroradiologica o genetica14.
Negli ultimi decenni, sono state proposte alcune alternative ai sistemi diagnostici categoriali. Un approccio che ha suscitato un notevole interesse è quello della “diagnosi prototipica”. Secondo tale approccio, l’attribuzione di un caso a una determinata categoria diagnostica si basa sulla somiglianza del paziente a un modello ideale di tale categoria, una sorta di suo “esemplare tipico”. Nella sua forma operazionalizzata, la diagnosi prototipica prevede una valutazione quantitativa del grado di somiglianza a una serie di descrizioni scritte dei quadri tipici dei disturbi mentali 15. Questo approccio è stato utilizzato in maniera particolarmente estesa e fruttuosa nell’area dei disturbi di personalità, ed è di fatto utilizzato, sia pure in maniera non pienamente operazionalizzata, nel manuale per il clinico della classificazione ICD-10, che somiglia a una procedura di diagnosi prototipica in quanto è basata su descrizioni tipiche di ciascun disturbo, spesso corredate da considerazioni addizionali. La diagnosi prototipica presenta alcuni vantaggi rispetto al classico approccio categoriale, come una maggiore facilità d’impiego, una possibile superiore utilità clinica e una verosimile riduzione della comorbilità. Vi sono, tuttavia, anche alcuni suoi potenziali svantaggi, come la possibile riluttanza di alcuni clinici a modificare i propri modelli mentali dei disturbi, il possibile disaccordo tra clinici legato all’enfatizzazione di componenti diverse nell’ambito di un medesimo quadro psicopatologico, e la possibile facilitazione di distorsioni nel processo diagnostico che possono condurre i clinici a vedere ciò che si aspettano di vedere o a ignorare informazioni contrastanti con la loro iniziale ipotesi diagnostica 16. Va anche notato che, pur includendo un elemento dimensionale nella valutazione numerica del grado di somiglianza, la diagnosi prototipica è comunque fondamentalmente basata sul tradizionale approccio categoriale al problema della diagnosi psichiatrica.
Un diverso modo di accostarsi alla questione della diagnosi è costituito dall’approccio dimensionale. Esso prende spunto dalla considerazione che anche per i disturbi mentali più comuni non si è riusciti a delineare alcuna modalità pienamente soddisfacente di classificazione. Di fatto, il problema di tracciare confini ben definiti tra le entità diagnostiche in psichiatria ha fino ad ora eluso ogni tentativo di soluzione per mezzo di vari riordinamenti di sintomi e segni 6.
I proponenti dell’approccio dimensionale suggeriscono che i disturbi mentali possano essere meglio concettualizzati come gli estremi patologici di dimensioni funzionali, piuttosto che come patologie con confini discreti17. Nella classica definizione di Pancheri, una dimensione psicopatologica è «una alterata funzione psichica, espressa fenomenicamente da un insieme di sintomi o di segni che siano indicativi e specifici per la funzione alterata»18. Le dimensioni psicopatologiche attraversano i confini diagnostici tradizionali, e la loro combinazione dà origine alla grande varietà di presentazioni cliniche che possono essere osservate in pazienti che condividono la stessa diagnosi categoriale.
Nella versione più “forte” dell’approccio, un limitato numero di dimensioni può essere utilizzato per costruire veri e propri sistemi diagnostici basati su classificazioni fenotipiche derivate numericamente con metodi statistici. Sistemi di questo genere sono piuttosto adatti alla descrizione di fenomeni distribuiti in modo continuo, senza chiari confini, com’è spesso il caso per le patologie psichiatriche. Molti disturbi mentali definiti in termini categoriali mostrano, in effetti, caratteristiche di reciproca continuità, piuttosto che di discontinuità 14. Pur fornendo spesso una migliore soluzione al problema della sovrapposizione tra categorie diagnostiche, anche questo tipo di sistemi non è tuttavia in grado di eliminare tutti i dilemmi di classificazione19.
La versione più “debole” dell’approccio dimensionale non mira a costruire una classificazione alternativa a quella categoriale, ma ambisce a integrare l’approccio categoriale per permettere una migliore caratterizzazione clinica dei pazienti in base alle dimensioni psicopatologiche prominenti in ciascun quadro clinico. Un simile approccio consente di ottimizzare le decisioni riguardanti il trattamento, sia farmacologico sia psicoterapeutico, e fornisce anche opportunità per attività di ricerca innovative che non si basino esclusivamente sulla diagnosi categoriale.
Negli ultimi decenni, approcci dimensionali hanno trovato fertile applicazione nel campo dei disturbi di personalità, ove sono stati proposti veri e propri modelli classificatori alternativi20. Hanno inoltre trovato conferme empiriche anche in aree importanti dell’Asse I, come i disturbi psicotici, per i quali è emersa chiaramente la validità e l’utilità delle rappresentazioni dimensionali in aggiunta a quelle categoriali21,22.
Vi sono modi diversi, sia pure con punti di contatto comuni, di concettualizzare le dimensioni psicopatologiche e di utilizzarle nell’ambito dei processi di valutazione e diagnosi in psichiatria. Tra questi, vogliamo qui dedicare dello spazio all’approccio dimensionale che è operazionalizzato nella Scala di VAlutazione RApida Dimensionale SVARAD, che è stata costruita da Pancheri, Biondi, Gaetano e Picardi negli anni Novanta23 ed è successivamente stata oggetto di ampia validazione e di vasto utilizzo in campo sia clinico sia di ricerca. La SVARAD si ispira essenzialmente all’approccio dimensionale denominato “psicopatologia funzionale” proposto da Van Praag et al.24, che concepisce le dimensioni psicopatologiche come insiemi di sintomi e segni che tendono a presentarsi insieme e a covariare, e che potrebbero essere sottesi da una comune base neurobiologica specifica. Nella SVARAD sono definite operativamente dieci dimensioni psicopatologiche, selezionate in base sia alla loro rilevanza clinica, sia alla loro coerente identificazione in studi di analisi fattoriale della sintomatologia psichiatrica. Si tratta di Apprensione/Timore, Tristezza/Demoralizzazione, Rabbia/Aggressività, Ossessività, Apatia, Impulsività, Distorsione della Realtà, Disorganizzazione del Pensiero, Preoccupazione Somatica/Somatizzazione, Attivazione. Una caratteristica dello strumento che ne facilita grandemente l’utilizzo è che sia le definizioni degli item, sia le istruzioni per l’attribuzione del punteggio secondo la gravità osservata, sono incorporate nella scala, anziché essere fornite in un manuale separato.
Studi su casistiche cliniche di migliaia di pazienti hanno mostrato come all’interno di una medesima categoria diagnostica siano spesso distinguibili dei sottogruppi caratterizzati da differenti profili psicopatologici dimensionali25. In altre parole, pazienti che ricevono la stessa diagnosi categoriale possono presentare dei profili dimensionali anche piuttosto diversi, che suggeriscono scelte terapeutiche differenti. Va sottolineato che non ci riferiamo soltanto alle scelte di natura psicofarmacologica, ma anche alle scelte in ambito psicoterapeutico. Che in un quadro clinico determinate dimensioni psicopatologiche siano o meno rilevanti comporta, infatti, scelte diverse relativamente alla modalità di relazionarsi con il paziente e di costruire l’alleanza di lavoro, all’utilizzo o meno di specifiche tecniche, e alla generale strategia psicoterapeutica.
La natura dimensionale della SVARAD può dunque contribuire al raggiungimento dell’obiettivo di un trattamento psichiatrico personalizzato per molti pazienti, anche quelli con quadri clinici con confini sfumati e non facilmente caratterizzabili in termini categoriali. La SVARAD è anche una risorsa utile per la formazione degli specializzandi in psichiatria e psicologia clinica, poiché guida il valutatore a porre attenzione a tutti gli elementi clinici, anziché soltanto a quelli relativi ai criteri diagnostici dello specifico disturbo che il paziente presenta.
La SVARAD non costituisce certamente l’unico, né probabilmente il migliore, modo di operazionalizzare un approccio dimensionale alla diagnosi psichiatrica. Si pone, tuttavia, come un approccio caratterizzato da una sua validità di base e da una percorribilità pratica. Gli oltre vent’anni di esperienza clinica e di ricerca con la SVARAD, oltre a corroborarne l’affidabilità e la validità, hanno mostrato che, grazie alla sua brevità e alla facilità di somministrazione e di siglatura, essa può essere utilizzata anche in indaffarati contesti clinici dove il tempo dedicabile alla valutazione standardizzata o all’attività di ricerca è molto limitato. Un simile approccio dimensionale non è antagonistico al tradizionale approccio diagnostico categoriale basato sui criteri DSM o ICD, ma anzi può utilmente integrarlo e arricchirlo, fornendo una rappresentazione il più possibile articolata e accurata della sofferenza psicopatologica di ciascun paziente 26. È, infatti, nostra ferma opinione che un processo diagnostico ottimale debba fare uso di tutte le risorse disponibili, che siano dimensionali o categoriali, per il fine ultimo di fornire al paziente il migliore trattamento possibile, secondo il principio antico ma sempre attuale del qui bene diagnoscit, bene curat.
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