Ai confini della pittura

A cura di Martina Giubila
Sapienza Università di Roma
E-mail: martina.giubila91@gmail.com





Lombardo, caso raro nel panorama nostrano, non si rifà alla tradizione storica novecentesca né alla pubblicità, non guarda l’illustrazione; invece, come altri autori della scuola inglese o americana, dipinge – travisati – immaginazioni, sogni e ricordi, e così facendo dà vita a un mondo di fantasmi.
Lombardo scopre quindi un nuovo metodo che si colloca proprio ai confini della pittura, all’incrocio tra la storia e la sua perenne metamorfosi attraverso strumenti e media diversi che, tuttavia, ritornano sempre alla sua essenza archetipica, al suo nucleo genetico quasi atemporale.
Raffaello e Michelangelo, Caravaggio e il Barocco si rinnovano quindi grazie al pensiero e alla manualità di Lombardo, in bilico tra la materia tattile del colore e la sua sublimazione attraverso il filtro del pensiero e la mediazione del medium digitale. I volti e i corpi, il movimento dei gruppi di figure e la fissità degli sguardi ritratti sono, così, distillati da una visione rigorosa che trova nella luce il fulcro della sua azione rigeneratrice e trasfigurante, il cardine di un nuovo confronto con il passato per scoprire un nuovo modo di dare forma al futuro.
L’artista crea nuovi orientamenti figurativi nella pittura italiana e conduce una raffinata ricerca sulla rappresentazione del corpo, di interesse solo apparentemente centrale nelle progettualità artistiche odierne.
L’opera sperimentale dell’artista campano presenta un forte legame con la tradizione rinascimentale italiana, pur caratterizzandosi per l’impegno a rinnovarla attraverso lo studio delle modalità delle autorappresentazioni diffuse in rete. Autoscatti, instagram e applicazioni dei social network per un’autocelebrazione collettiva. Un’improbabile archeologia per l’uomo del XXI secolo.
Wonderful humanitas project è il titolo del ciclo pittorico che Federico Lombardo dedica alla trasformazione dello stile di vita derivante dall’epoca bio-mediatica.
Un mutamento che pervade con una tale velocità abitudini e comportamenti da non lasciare spazio per un attraversamento consapevole dei cambiamenti in atto, generando confusione e incertezza sulla soglia di un presente in continua metamorfosi.
Nella contingente esposizione alla dispersione colloidale, di matrice tecnico-digitale, a essere impattati sono i processi di pensiero e, soprattutto, le esperienze psico-corporee del quotidiano. La dilatazione delle categorie del tempo e dello spazio, la saturazione di dati e di informazioni, sospingono verso una strettoia emotivo-biologica, verso un passaggio evolutivo dagli esiti non prevedibili. Di questo transito, Federico Lombardo è un esploratore consapevole e coraggioso. Le sue opere sono micro-narrazioni della destrutturazione, e della continua riconfigurazione, della materia sensoriale dell’uomo immerso nel flusso incessante di contatti e di comunicazioni che contraddistingue tanto lo spazio virtuale delle infosfere, quanto gli spazi reali delle metropoli. Animato da una tensione epistemica verso il digitale, Federico Lombardo è vicino a Edvard Munch nella sua fascinazione verso la rivoluzione segnata dai raggi X e da tutta la cultura dell’irradiazione che stravolsero i processi narrativi, artistici e conoscitivi incentrati sulla vista.
Lombardo sceglie di affrontare l’esplosione continua dello sguardo che, alimentando la società dello spettacolo, assorbe i nostri stessi corpi, addomesticandoli a essere attraversati da circuiti auto-riverberanti di immagini perturbanti nel loro inesorabile destino di immediata estinzione. E così decide di calarsi, non solo come artista ma anche come uomo fatto di carne e di sangue, nei nuovi mondi info-mediatici, al fine di sperimentare l’effetto di perenne moltiplicazione e inesorabile dissolvenza, generato dalle interfacce riflettenti (e continuamente mutanti) dei display di tutti i video-terminali che compongono lo schermo globale, a cui tutti noi siamo, consapevolmente o meno, vincolati.
Da questa scelta riemerge una visione anatomica che, con tenacia e passione, viene rappresentata e salvaguardata nelle sue opere. Una visione anatomica che, come dichiara l’artista, si ritrova a essere costantemente «sconvolta da altri elementi di cui la mia pittura si compone come l’acqua, o ripreso con una gestualità anche materica come nell’olio».
Quella di Lombardo è una nuova anatomia che genera corpi in grado di infrangere la patina di iperrealtà che prosciuga gli occhi e la pelle, in una silenziosa epidemia di insensibilità e di inumanità.
La vivida carne degli uomini e delle donne di Federico Lombardo spezza la sincronizzazione delle tecnologie del tempo reale, ricordando come sia possibile r-esistere agli tsunami di de-realizzazione che si abbattono incessantemente sulle vite dominate dall’imperativo dell’istantaneità e dell’immediatezza. Fedele alle deleuziane logiche della sensazione e del senso, il linguaggio pittorico di Lombardo è intriso di “una sfumatura, una profondità dell’immagine paragonabile solo alla scultura” e parla agli organi muti dell’esistenza umana, aggredita in nome del totalitaristico dogma dell’obsolescenza del corpo.
A questi muti organi Federico Lombardo restituisce suoni e vibrazioni ai quali aggrapparsi durante il viaggio incerto, ma inevitabile, attraverso le allucinanti dimensioni del digitale che rischia di travolgere, ma che potrebbe condurre verso una nuova e insperata umanità.
La tecnica pittorica ha per Lombardo un senso, in un contesto aperto a un riflessione filosofica, concettuale sull’uomo e il mondo. In quest’ottica, l’atto stesso del dipingere, del disegnare, può essere inteso come un metodo di conoscenza della realtà, filtrato dalla mente e dallo “stomaco”, forse e il metodo più semplice e diretto e il più soggetto a equivoci.
«I volti esprimono soprattutto una purezza formale, una chiarezza compositiva. A me interessa molto anche creare delle tensioni formali e concettuali; visi che in apparenza sono soavi, puri, possono nascondere stati d’animo che esprimono esattamente il contrario. Il risultato finale è che sembrano tanti esseri un po’ alieni, che vogliono far riflettere sui propri codici formali e che solo in apparenza risultano somigliare a esseri umani. Ho il desiderio di insinuare un dubbio, ma quando vedo la mia immagine nello specchio vedo me stesso? Può esistere un volto in cui io mi identifichi esattamente, senza per questo essere la mia immagine? Questi visi dovrebbero esser visti anche come specchi, è per questo che sono un po’ neutri, si adattano al nostro stato» [da un’intervista con Natalie Bencal, Cimaise, n° 287].
per approfondire
• http://federicolombardo.weebly.com/biographycv.html
• http://www.glendacinquegrana.com/en/artists/federico-lombardo/biography/
• http://www.giamaartstudio.it/federico lombardo_testo canova.htm