Gli esiti del trattamento riabilitativo in comunità terapeutica:
uno studio di follow-up
Treatment outcomes of psychiatric rehabilitation: a follow-up study at an italian therapeutic community

VIRGINIO SALVI, FABRIZIO BOCCARDO, PATRIZIA GIANNINI, METELLO CORULLI
E-mail: virginiosalvi@gmail.com

Comunità Terapeutica “Il Porto” ONLUS, Moncalieri (TO)


RIASSUNTO. Introduzione. Il trattamento di pazienti complessi affetti da gravi disturbi psicotici e di personalità si avvale spesso di programmi riabilitativi svolti all’interno di comunità terapeutiche (CT), caratterizzate da un modello di cura multidisciplinare in un contesto residenziale protetto. Le evidenze di efficacia del trattamento residenziale così delineato, nonostante abbia costi onerosi per la collettività, sono tuttavia scarse, specialmente in Italia. Scopo e metodi. Scopo dello studio è quello di valutare l’efficacia del trattamento in CT in un gruppo di pazienti affetti da gravi disturbi psicotici e di personalità inseriti in una CT ad alta intensità terapeutica. Ottantuno pazienti sono stati valutati all’ingresso e dopo 6 e 12 mesi di follow-up nelle seguenti aree: funzionamento, qualità di vita, regolazione emotiva, capacità di coping e consapevolezza di malattia. Risultati. Al termine del follow-up si è riscontrato un miglioramento nel funzionamento globale dei pazienti, nella qualità di vita, nella messa in atto di comportamenti diretti al conseguimento degli obiettivi e in un minor ricorso a strategie comportamentali di evitamento. È tuttavia da segnalare l’elevato tasso di dropout dal percorso terapeutico in CT, che si associa a una diagnosi di disturbo di personalità e di abuso di sostanze. Discussione e conclusioni. Il presente studio segnala l’efficacia del trattamento residenziale in CT in alcuni pazienti affetti da gravi disturbi psicotici e di personalità. È utile implementare la motivazione e la preparazione del paziente prima di incominciare percorso comunitario nell’ottica di ridurre i tassi di dropout.

PAROLE CHIAVE: comunità terapeutica, riabilitazione psichiatrica, psicosi, disturbi di personalità.


SUMMARY. Introduction. The treatment of severely ill patients with psychotic and personality disorders is often conducted in residential settings such as the Therapeutic Communities (TC). In these facilities a multidisciplinary model is employed to ensure integrative care of the complex psychiatric patient. Although the cost of such programs is very high, evidence of efficacy and effectiveness is scarce, especially in Italy. Aim and methods. Aim of the study is to evaluate the efficacy of TC treatment in a group of patients with severe psychotic and personality disorders. Eighty-one patients have been assessed at baseline and after 6 and 12 months of follow-up in the following areas: global functioning, quality of life, emotion regulation, coping strategies, and insight into illness. Results. At the end of follow-up we could find an improvement in functioning, quality of life, a greater engagement in goal-oriented behaviors, together with a lesser utilization of avoidant coping strategies. However the high dropout rates, which are associated with substance abuse and a diagnosis of personality disorders, should be acknowledged. Discussion and conclusions. The present study reports the efficacy of residential TC treatment for some severely ill patients with psychotic and personality disorders. Strategies aimed at increasing the motivation and preparation of patients before the program begins should be implemented in order to reduce the high dropout rates.

KEY WORDS: therapeutic community, psychiatric rehabilitation, psychoses, personality disorders.

INTRODUZIONE
Il trattamento dei pazienti psichiatrici più gravi spesso si avvale del ricorso a programmi residenziali in comunità terapeutiche (CT), fondati sull’integrazione di trattamenti psichiatrici, psicoterapeutici ed educativi nell’ambito di un contesto terapeutico ambientale.
Le comunità terapeutiche sono nate nel Regno Unito nel secondo dopoguerra per il trattamento dei reduci da traumi di guerra e hanno avuto un significativo sviluppo intorno agli anni ’60 in Gran Bretagna e negli USA per il trattamento residenziale dei soggetti tossicodipendenti. In anni recenti sono stati prodotti molti studi che hanno confermato la validità del modello comunitario nella cura di questo tipo di pazienti: una rassegna basata sull’analisi di 30 studi randomizzati e controllati sull’efficacia del trattamento in CT ha dimostrato un’efficacia del trattamento in termini di ridotto uso di sostanze con più prolungata astinenza nel tempo, minor tasso di reati e incriminazioni al termine del percorso comunitario, maggiore probabilità di trovare un impiego 1.
Dagli anni ’70 è diventato progressivamente evidente come il modello della Comunità per tossicodipendenti, basato su principi di lavoro terapeutico quasi esclusivamente gruppale con minore considerazione verso le caratteristiche individuali, un setting rigido, a volte inflessibile e ad alta stimolazione, e richieste elevate nei confronti degli utenti, non fosse adatto al trattamento dei pazienti definiti “doppia diagnosi”, ovvero di chi manifestava evidenti sindromi psichiatriche in comorbilità con abuso o dipendenza da sostanze di abuso 2. Per questo motivo sono stati gradualmente sviluppati modelli modificati delle CT atte a trattare la doppia diagnosi, caratterizzati da un setting più complesso – data la multiproblematicità e la multipla presa in carico del soggetto – non incentrato sul concetto ideologico di “volontà” di cambiamento, caratterizzato da minore stimolazione, e maggiore flessibilità in relazione alle caratteristiche individuali, con un maggior ricorso alla psicoterapia individuale accanto a quella di gruppo 2.
In anni recenti si è prodotta molta letteratura sull’efficacia dei trattamenti comunitari dei pazienti in doppia diagnosi: vari studi di follow-up con durata variabile solitamente dai 6 ai 12 mesi, e condotti principalmente negli USA, hanno messo in evidenza l’efficacia del modello residenziale in termini di riduzione del consumo di sostanze3-7 e, in alcuni casi, di miglioramento del disturbo psichiatrico associato3,6,8-10.
In Italia, nonostante la complessità e conseguentemente il notevole impegno di spesa che il trattamento in CT comporta, gli studi sono estremamente scarsi. Guazzelli et al.11 hanno trattato 19 pazienti psicotici per 2 anni, dimostrando un’efficacia del trattamento in CT in termini di miglioramento della psicopatologia, generale, dei sintomi negativi e del funzionamento occupazionale al termine del follow-up. Non sono invece presenti in letteratura studi sugli indicatori di esito del trattamento condotti nelle CT italiane per pazienti in doppia diagnosi.
Scopo del presente studio è valutare l’efficacia del trattamento in una CT italiana per pazienti affetti da disturbi psichiatrici associati a disturbi da uso di sostanze, attraverso la valutazione di alcuni parametri di outcome, quali il funzionamento globale, la qualità di vita, la capacità di regolazione emotiva, la consapevolezza di malattia.
MATERIALI E METODI
La struttura
La CT “Il Porto” è stata fondata nel 1983 per il trattamento dei pazienti con gravi disturbi psicotici e di personalità e dipendenza patologica secondaria. Le strutture principali sono due Unità ad alta intensità terapeutica – una ospitante pazienti con disturbi psicotici, l’altra pazienti con disturbi di personalità – ognuna costituita da 20 posti letto. È inoltre presente un’Unità di Fase Avanzata (UFA) – a più bassa intensità terapeutica – e un Gruppo Appartamento esterno. I pazienti inseriti nelle Unità per disturbi psicotici e di personalità intraprendono un lavoro terapeutico individuale e gruppale, partecipano alla vita della casa svolgendo mansioni, effettuano borse lavoro. Dopo un periodo medio di circa 12-24 mesi, parallelamente al miglioramento clinico e funzionale, vengono inseriti in UFA, dove possono coltivare una maggiore indipendenza dagli operatori e dedicarsi ad attività esterne alla struttura. Infine, dopo un periodo di durata variabile, i pazienti ulteriormente migliorati vengono inseriti in Gruppo Appartamento, esterno alla struttura principale e inserito nel tessuto cittadino, prima di essere dimessi per tornare a una vita indipendente.
Lo studio
Lo studio si declina attraverso la valutazione di alcuni parametri di outcome all’inizio del trattamento e dopo 6, 12, 18 e 24 mesi di follow-up. La valutazione viene proposta ai pazienti al momento dell’ingresso in struttura e ogni 6 mesi, fino al termine del percorso o a un massimo di 24 mesi di trattamento.
Vengono qui presentati i risultati del follow-up a 6 e 12 mesi di trattamento.
Pazienti
Sono stati coinvolti nello studio tutti i pazienti consecutivamente inseriti presso la CT “Il Porto” di Moncalieri (TO) dal 2011 al 2014. Criteri di inclusione nello studio erano:
1. età ≥18 anni;
2. diagnosi di disturbo psicotico (schizofrenia, disturbo delirante, disturbo psicotico NAS, disturbo schizoaffettivo), disturbo bipolare, o disturbo di personalità;
3. capacità di leggere, comprendere e sottoscrivere un modulo di consenso informato con la descrizione di procedure e finalità dello studio.

Dato il disegno naturalistico e la finalità osservazionale dello studio, non sono stati individuati ulteriori criteri di esclusione.
Strumenti
Al momento della prima valutazione (baseline) è stata compilata una scheda-paziente con i dati anagrafici, sociodemografici e di interesse clinico (diagnosi secondo DSM-IV, età d’esordio, n. ricoveri nell’anno precedente, precedenti esperienze di comunità terapeutiche e loro durata).
Attraverso il confronto tra psichiatri, psicologi ed educatori della CT sono state individuate alcune aree di indagine cruciali nella definizione del risultato terapeutico. Le aree identificate sono le seguenti:
1. funzionamento globale;
2. qualità della vita;
3. regolazione emotiva e capacità di coping;
4. consapevolezza di malattia e aderenza al trattamento.

Per ciascuna area sono stati scelti i seguenti strumenti di valutazione validati, caratterizzati da rapidità di somministrazione e che non necessitano di una preparazione complessa per essere utilizzati:
1. Funzionamento globale. VGF (Valutazione Globale del Funzionamento)12: assegnazione di un punteggio da 0 a 100 a seguito di colloquio psichiatrico; SDS (Sheehan Disability Scale)13: tre scale visive analogiche a 10 punti per l’autovalutazione del danno funzionale causato dai sintomi in tre domini interrelati: lavoro, relazioni, vita familiare.
2. Qualità della vita. SF-36 (Short Form 36-item)14: questionario autosomministrato di 36 domande che valuta la qualità della vita percepita dal paziente su 8 aree raggruppate in salute fisica e salute mentale.
3. Regolazione emotiva e capacità di coping. DERS (Difficulties in Emotion Regulation Scale)15: questionario autosomministrato a 36 item che indaga 6 aree critiche nella regolazione delle emozioni: non accettazione delle risposte emotive (“non accettazione”), difficoltà a impegnarsi in comportamenti diretti alla meta (“goals”), difficoltà nel controllo degli impulsi (“impulsività”), mancanza di consapevolezza emotiva (“consapevolezza”), limitato accesso alle strategie di regolazione emotiva (“strategie”), mancanza di chiarezza emozionale (“chiarezza”). COPE-NVI (Coping Orientation to the Problems Experienced-Nuova Versione Italiana) 16: questionario autosomministrato di 40 domande sulle strategie di coping usate per far fronte alle situazioni e agli eventi esterni stressanti basate su 5 dimensioni (sostegno sociale, strategie di evitamento, attitudine positiva, orientamento al problema, orientamento trascendente).
4. Consapevolezza di malattia e aderenza al trattamento. SAI (Schedule for Assessment of Insight)17: questionario di 12 item per la valutazione dell’insight su tre aspetti: consapevolezza di malattia, aderenza al trattamento, capacità di mettere in relazione eventi mentali particolari con la patologia.
Analisi statistiche
Le caratteristiche socio-demografiche e cliniche dei pazienti sono state descritte attraverso l’uso di frequenze per le variabili categoriali e media ± deviazione standard per le variabili continue. Il confronto fra i punteggi delle scale di valutazione alla baseline, 6 e 12 mesi è stato effettuato attraverso l’utilizzo di modelli lineari generalizzati per misure ripetute (MMRM). Tutte le analisi statistiche sono state effettuate attraverso l’uso del software SPSS 20.0 (IBM, Armonk, NY).
RISULTATI
Ottantuno pazienti consecutivamente afferiti alla CT hanno letto e sottoscritto il consenso informato e sono stati reclutati nello studio.
Cinquantotto pazienti (71,6%) erano di sesso maschile, l’età media era 33,5 anni. Diciasette pazienti (21%) erano affetti da schizofrenia, 11 (13,6%) da disturbi bipolari, 53 (65,4%) da disturbi di personalità (borderline, antisociale, narcisistico, istrionico, paranoide, schizotipico). Degli 81 pazienti nel campione, inoltre, 53 (75,7%) erano affetti da disturbo da uso di sostanze in associazione al disturbo psichiatrico principale (Figure 1 e 2).






Follow-up a 6 e 12 mesi
Degli 81 pazienti valutati alla baseline, 42 (51,8%) hanno completato i primi 6 mesi, mentre solo 26 pazienti (32,1%) hanno completato i 12 mesi di follow-up.
Nel campione totale è significativamente migliorato dopo 6 e 12 mesi il funzionamento globale misurato alla VGF (F=15,746, p<0,001). È inoltre migliorato il funzionamento autovalutato attraverso la SDS nei tre domini lavorativo (F=4,976, p=0,014), sociale (F=4,900, p=0,02) e familiare (F=5,471, p=0,013).
La qualità di vita è migliorata a 6 e 12 mesi nei seguenti item: ruolo e salute fisica (F=8,814, p=0,001), dolore fisico (F=4,668, p=0,022), attività sociali (F=15,816, p<0,001), ruolo e stato emotivo (F=8,596, p=0,001) e salute mentale (F=8,099, p=0,001).
Alla DERS si evidenzia un incremento dell’orientamento agli obiettivi (“goals”) per regolare le proprie emozioni (F=4,190, p=0,022), mentre gli altri item non si modificano in maniera statisticamente significativa.
Alla COPE risulta significativo un minor ricorso a strategie di evitamento (F=15,851, p<0,001), mentre gli altri item non si modificano in maniera statisticamente significativa.
La consapevolezza di malattia e l’aderenza al trattamento, misurate attraverso la SAI, non variano in misura significativa nel corso dei 12 mesi di follow-up.
Nella Tabella 1 vengono mostrate le variazioni nei punteggi delle scale utilizzate alla baseline, 6 e 12 mesi.
Dato l’elevato numero di pazienti che non sono riusciti a completare i primi 6 mesi di trattamento, abbiamo esaminato le caratteristiche cliniche e i punteggi delle scale di valutazione alla baseline nei pazienti che hanno interrotto precocemente il trattamento vs quelli che sono rimasti in trattamento per almeno 6 mesi. Età, sesso e i punteggi alle scale di valutazione alla baseline non sono risultati significativamente associati alla permanenza nel percorso di cura. Viceversa, i pazienti che hanno interrotto il percorso comunitario prima dei 6 mesi erano più frequentemente affetti da disturbi di personalità, utilizzavano più frequentemente sostanze di abuso e dichiaravano un minore ricorso a strategie di evitamento rispetto ai soggetti che proseguivano il percorso (Tabella 2).






DISCUSSIONE
I principi fondamentali su cui si basa il funzionamento delle CT per disturbi psichiatrici gravi in associazione a disturbi da uso di sostanze includono il fornire una quotidianità adeguatamente strutturata; enfatizzare la responsabilità personale e l’auto aiuto; l’utilizzo del gruppo dei pari come modello ed elemento terapeutico; il portare a un processo graduale di cambiamento, nel quale si attraversano diverse fasi; l’implementazione della capacità di lavorare e badare a sé stessi attraverso lo sviluppo delle proprie inclinazioni e delle capacità di vivere in maniera indipendente; la promozione di capacità sociali per mantenere un buon funzionamento 18, accanto a un costante lavoro sul piano psicoterapico, e a una terapia psicofarmacologica. Tali obiettivi si raggiungono attraverso un’organizzazione complessa, che vede la collaborazione di diverse figure professionali – psichiatri, psicologi, educatori, operatori socio-assistenziali, infermieri – che lavorano in ambito sia individuale sia gruppale, monitorando contemporaneamente i bisogni del singolo paziente e del gruppo in cui è immerso.
Una tale complessità necessita inevitabilmente di personale e strutture adeguate, facendo lievitare i costi economici soprattutto delle CT a elevata intensità. Per giustificare tale impegno di spesa è imprescindibile una valutazione dell’efficacia del funzionamento in CT. Inoltre, la valutazione dell’efficacia su diverse dimensioni – dal funzionamento alla consapevolezza di malattia alla capacità di trovare nuove strategie di gestione dei momenti di crisi – permette di individuare i punti deboli del trattamento, andando a implementare il lavoro proprio sulle aree in cui si è evidenziata una mancanza di efficacia e conseguentemente migliorando la qualità dell’offerta terapeutica.
Il nostro studio è il primo in Italia a dimostrare l’efficacia del trattamento residenziale in CT in un campione misto di pazienti affetti da gravi disturbi psicotici e di personalità, che nella maggior parte dei casi abusano di sostanze.
In particolare, il funzionamento globale dei pazienti migliora in maniera lineare nel corso dei 6 e 12 mesi di follow-up, contribuendo a rendere le persone progressivamente più autonome e in grado di interfacciarsi con gli altri. In uno studio statunitense compiuto su 290 pazienti con doppia diagnosi senza fissa dimora, gli autori avevano dimostrato un miglioramento del funzionamento globale significativamente maggiore nei pazienti residenti in CT rispetto a quelli trattati in centri diurni e gruppi appartamento, dimostrando la superiorità del contesto a più alta intensità terapeutica 3. In anni più recenti, uno studio svedese condotto su giovani adulti ha mostrato un miglioramento del funzionamento autoriferito dopo due anni e mezzo di follow-up9; inoltre, uno studio statunitense condotto su pazienti inseriti in una CT strutturalmente simile alla nostra ha dimostrato che il miglioramento del funzionamento, misurato attraverso la VGF, è già osservabile dopo 3 mesi di trattamento in CT, per proseguire in maniera lineare dopo 6 e 9 mesi di trattamento10.
La qualità di vita spontaneamente riferita è altresì migliorata nei pazienti. In particolare, oltre alle attività sociali naturalmente implementate in un contesto di vita in comune, appare maggiormente ridotto il grado con cui la salute fisica e lo stato emotivo limitano il lavoro o altre attività quotidiane, dimostrando al contempo un miglioramento di salute fisica e stato emotivo, come altresì evidenziato dal miglioramento negli item dolore fisico e salute mentale, e anche la congruità delle attività lavorative proposte in ambito comunitario, individualizzate in relazione a capacità e bisogni del paziente.
Il miglioramento della qualità di vita osservato nel nostro studio è in linea con quello riportati da Cardoso et al.19 su pazienti portoghesi affetti principalmente da schizofrenia. Gli autori hanno evidenziato come i pazienti inseriti in CT percepissero un miglioramento della qualità di vita in termini di autonomia e autoefficacia rispetto a quella percepita quando accuditi all’interno di strutture ospedaliere.
Per quanto riguarda la regolazione emotiva, i pazienti che hanno completato lo studio hanno dimostrato di raggiungere, nei primi 6 mesi di trattamento, una minore difficoltà a impegnarsi in attività dirette agli obiettivi. Questa osservazione è congruente a quella di un minore ricorso alle strategie di evitamento evidenziato attraverso la COPE, dimostrando la capacità del percorso comunitario a migliorare l’iniziativa e mettersi in gioco. Il minore ricorso alle strategie di evitamento è anche determinato dal minore punteggio delle sottoscale “negazione” e “uso di sostanze” che concorrono a formare il punteggio dell’item “strategie di evitamento”, dimostrando un effetto positivo della CT anche in termini di minore ricorso alle sostanze di abuso. In un recente lavoro, Snyder et al. 10 hanno evidenziato un miglioramento specifico sia della motivazione a raggiungere uno scopo nella vita, sia del livello di speranza nella riuscita del trattamento. Implementare la determinazione e la speranza nel cambiamento in pazienti con disturbi estremamente gravi, che sono andati incontro a plurimi precedenti fallimenti terapeutici negli abituali contesti di cura, potrebbe essere una funzione specifica della terapia di comunità al cui raggiungimento concorre probabilmente anche il gruppo dei pari, e in particolare l’esempio di chi all’interno del gruppo dei pazienti è riuscito a modificare radicalmente un funzionamento gravemente deteriorato o a raggiungere e mantenere l’astinenza dalle sostanze di abuso.
A fronte dei miglioramenti realizzati in alcune aree, nel nostro studio emerge come il trattamento in CT non modifica la consapevolezza di malattia nei primi 12 mesi di trattamento. La consapevolezza di malattia e l’aderenza al trattamento sono esigui nei pazienti con gravi disturbi psicotici e di personalità; a oggi, alcuni interventi specifici quali moduli di psicoeducazione o terapie cognitivo-comportamentali hanno dimostrato un’efficacia specifica nel migliorare la consapevolezza di malattia in pazienti con disturbi psicotici 20. Tali specifici moduli di trattamento non sono tuttavia stati implementati nel contesto della nostra CT, cosa che potrebbe contribuire a spiegare l’assenza di efficacia del trattamento su questa dimensione psicopatologica. Nel discutere questo risultato va anche considerato che è stata utilizzata una scala di valutazione validata in pazienti con disturbi psicotici; considerata la maggiore prevalenza di disturbi di personalità nel campione, è possibile che il risultato risenta di una ridotta sensibilità dello strumento in questo gruppo di pazienti.
Nel valutare il risultato positivo del trattamento in CT, bisogna tuttavia considerare gli alti tassi di dropout: degli 81 pazienti inseriti, solo la metà hanno completato i primi 6 mesi, mentre un paziente su tre ha completato i 12 mesi di follow-up. Gli altri pazienti hanno interrotto prematuramente il percorso in CT in relazione a gravi ricadute o incompatibilità con il percorso comunitario. Questo dato è in linea con la letteratura esistente: due studi hanno riportato un tasso di dropout del 66% e 75% a 12 mesi 3,4, mentre un terzo studio, condotto su 351 pazienti australiani, ha evidenziato un tasso di dropout del 62% dopo appena 4 mesi di trattamento8. I fattori predittivi di una precoce interruzione del percorso sembrano essere una precedente condizione abitativa instabile – in particolare l’essere senza fissa dimora – e un pesante utilizzo di sostanze di abuso prima dell’ingresso in CT3. Dati gli elevati tassi di dropout, abbiamo analizzato le caratteristiche cliniche dei pazienti che hanno interrotto il trattamento prima dei 6 mesi di follow-up, riscontrando in particolare una maggiore frequenza di soggetti affetti da gravi disturbi di personalità e una più frequente comorbilità con disturbi da uso di sostanze in questo gruppo. Dalle analisi emerge inoltre un’associazione con un minore ricorso a strategie di evitamento nei soggetti che interrompono prematuramente il trattamento; tuttavia, proprio la maggiore frequenza di abuso di sostanze – una delle principali strategie di evitamento – in questo gruppo fa riflettere su una possibile scarsa attendibilità di questi pazienti quando si tratta di dichiarare la propria vulnerabilità alle sostanze, probabilmente funzionale all’obiettivo di interrompere il percorso e abbandonare la CT.
Alla luce dei risultati ottenuti da queste analisi potrebbe essere opportuno implementare, quando sia il caso, un percorso di disintossicazione dalle sostanze di abuso propedeutico all’inserimento in CT, oltre al fondamentale lavoro di motivazione al trattamento residenziale che dovrebbe precedere ogni inserimento. Per questi motivi la collaborazione fra la comunità e i servizi invianti dovrebbe cominciare ben prima dell’ingresso, al fine di comprendere i reali bisogni del paziente da inserire e creare un pensiero comune che permetta di rinforzare motivazione e aderenza al trattamento in CT.
Lo studio ha alcuni limiti che è opportuno discutere. Innanzitutto il campione ha una bassa numerosità, soprattutto in relazione agli elevati tassi di dropout già discussi; sarà opportuno, a questo proposito, ripetere l’osservazione su un campione più numeroso, cosa che potrebbe permettere di effettuare analisi su specifici sottogruppi diagnostici. Benché lo studio attuale abbia innanzitutto lo scopo di dimostrare l’utilità del trattamento multidisciplinare in pazienti gravemente disfunzionali inseriti in un contesto residenziale al di là della categoria diagnostica – anche in relazione all’estrema scarsità di dati pubblicati nel nostro Paese – sarà interessante in futuro ripetere l’osservazione su un campione più numeroso che permetta di valutare l’impatto differenziale del trattamento in CT nei diversi gruppi diagnostici, in modo da poter meglio orientare gli inserimenti.
Un altro limite che è opportuno riconoscere è la mancanza di un gruppo di controllo costituito da pazienti affetti dagli stessi disturbi trattati in regime ambulatoriale. Tale confronto sarebbe utile per definire in maniera più accurata quali sono le aree su cui il trattamento riabilitativo residenziale ha un impatto maggiore, sempre nell’ottica di un invio più accurato che permetta in ultima analisi una migliore gestione della spesa da parte degli enti invianti.
CONCLUSIONI
In conclusione, il nostro studio dimostra l’efficacia del percorso in CT in gravi pazienti affetti da disturbi psicotici e di personalità in comorbilità con disturbi da uso di sostanze, in termini di migliore funzionamento globale, migliore regolazione delle emozioni e ricorso a strategie di coping più mature, infine migliore qualità di vita percepita dai pazienti inseriti. La CT sembra pertanto essere una valida risorsa in pazienti gravi che hanno sperimentato numerosi fallimenti terapeutici nel corso della loro vita. Al fine di migliorare ulteriormente l’efficacia del trattamento appare utile implementare interventi specifici volti al miglioramento della consapevolezza di malattia, nonché la motivazione dei pazienti che vengono inseriti per poter ridurre gli elevati tassi di dropout.
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