Valutazione di efficacia del training cognitivo IPT di Brenner
nell’esordio psicotico. Uno studio pilota

Timing and effectiveness of Brenner’s IPT cognitive training
in early psychosis. A pilot study
ADRIANA BORRIELLO1, ANDREA BALBI1, RENATO MARIA MENICHINCHERI1, FIORINO MIRABELLA2
E-mail: adrianaborriello@virgilio.it

1Dipartimento di Salute Mentale ASL Roma D
2Reparto di Salute Mentale, Istituto Superiore di Sanità, Roma
riassunto. Scopo. Lo studio vuole valutare gli esiti del training cognitivo della terapia psicologica integrata di Brenner (IPT) su due gruppi di pazienti con diagnosi dello spettro sindromico schizofrenico (F20-F24 ICD X): gruppo sperimentale composto da 13 (46%) giovani all’esordio, età media di 21,2 anni e una media di 15,6 mesi di malattia dal 1° episodio; gruppo di controllo da 15 (54%) giovani, età media di 25,6 anni e una media di 74,4 mesi di malattia. Le funzioni considerate sono attenzione, memoria, funzioni esecutive, con particolare attenzione alla flessibilità cognitiva misurata con il WCST (Wisconsin Card Sorting Test). Metodo. Il disegno dello studio è di tipo pre/post con valutazione a 6 mesi. Il metodo IPT è stato modificato nel numero dei partecipanti ai gruppi (ristretto a 2-3 soggetti), nel numero di sedute (ridotto a 1 volta a settimana). Risultati. L’esito dell’intervento ha prodotto miglioramenti significativi nella flessibilità cognitiva (p<0,01) e nella memoria a lungo termine (p<0,01) solo nel gruppo sperimentale; le stesse funzioni sono risultate peggiorate nel gruppo di controllo (p<0,01). L’attenzione immediata e selettiva, la memoria a breve termine, la fluenza verbale sono migliorate in entrambi i gruppi (da p<0,05 a p<0,01). Discussione e conclusioni. I risultati indicano che il training cognitivo IPT può essere efficace soprattutto per la flessibilità cognitiva e la memoria a lungo termine se iniziato entro 18 mesi. Il miglioramento significativo della flessibilità cognitiva diventa centrale poiché è correlato al clinical insight, alla social cognition e quindi all’esito funzionale.
PAROLE CHIAVE: esordio psicotico, training cognitivo IPT, deficit cognitivi, efficacia.
SUMMARY. Aim. The present study evaluates the outcome of cognitive training as part of Brenner’s Integrated Psychological Therapy (IPT) in two groups of individuals with a schizophrenic spectrum disorder (F20-F24 ICD-10). 28 participants were divided into either an experimental group or a control group. The experimental group was composed of 13 individuals (46%) with a mean age of 21.2 years and a mean duration of illness (since their first episode of psychosis FEP) of 15.6 months. The control group included 15 individuals (54%) with a mean age of 25.6 years and a mean duration of illness of 74.4 months (beyond the critical period). Method. Participants underwent an assessment of cognitive functioning which focused on attention, memory, executive functioning and cognitive flexibility as measured by the WCST (Wisconsin Card Sorting Test). Each individual was tested pre- and 6-month post-intervention. The original IPT method was altered by reducing the frequency of sessions to once a week and by limiting our sessions to 2-3 individuals per group. Results. Cognitive flexibility (p<0.01) and long-term memory (p<0.01) improved only in the experimental group. These former skills worsened in the control group (p<0.01). Selective attention, short-term memory and verbal fluency improved in both groups (from p<0.05 to p<0.01). Discussion and conclusions. IPT cognitive training, when delivered in the early stages of psychosis (within 18 months from FEP), seems to be particularly effective in improving cognitive flexibility and long-term memory. We did not see improvements in those who had a longer duration of illness who also underwent the same treatment. Cognitive flexibility is linked to clinical insight and social cognition. Therefore, improving this function may lead to a better outcome for patients.
KEY WORDS: early intervention, schizophrenia, IPT cognitive training, effectiveness, neurocognition.

INTRODUZIONE
La presenza di deficit cognitivi nel paziente appartenente allo spettro sindromico schizofrenico è stata ampiamente documentata con ricerche iniziate negli anni Settanta1 e proseguite fino ai nostri giorni, con approfondimenti sugli endofenotipi in psichiatria2,3, sulla interazione gene-ambiente e sui fattori anatomici che permettono di comprendere meglio alcuni deficit cognitivi di base presenti nella schizofrenia4. Un cospicuo numero di evidenze scientifiche segnala la presenza di carenze nel paziente schizofrenico in alcune funzioni cognitive quali l’attenzione selettiva, l’attenzione sostenuta e il funzionamento esecutivo5,6.
Cirillo e Seidman7 hanno revisionato un centinaio di studi su tale argomento individuando prevalentemente una marcata compromissione della memoria dichiarativa. Studi condotti sui pazienti schizofrenici cronici e sui giovani al primo episodio8,9 hanno evidenziato una compromissione dell’attenzione sostenuta, delle capacità di pianificazione e della flessibilità cognitiva. Ulteriori studi hanno individuato in questi pazienti la presenza di deficit nella memoria episodica e nella fluenza verbale. Carente risulta, inoltre, la memoria di lavoro per la compromissione delle funzioni esecutive10.
Un lavoro di meta-analisi condotto da Fioravanti et al.11 sembra adombrare l’ipotesi di una connessione “causale” fra i deficit cognitivi e la schizofrenia stessa. Diversi studi hanno posto in evidenza la caratterizzazione neurocognitiva di questo disturbo12-14. In particolare, deficit dell’apprendimento verbale e delle funzioni esecutive sembrano essere presenti già negli stati mentali “a rischio” che precedono l’esordio della patologia15.
Deficit specifici dell’identificazione olfattiva e della spatial working memory sembrano esistere prima dell’insorgenza della malattia, quindi possono essere proposti come “indicatori di vulnerabilità” per la psicosi del paziente ad alto rischio16.
Green17 ha evidenziato come le abilità cognitive siano correlate con il funzionamento sociale, con la capacità di social problem solving e la possibilità di acquisire competenze sociali.
Studi sulla teoria della mente18 avevano evidenziato la presenza di deficit di questo tipo nel paziente schizofrenico; nuove evidenze scientifiche sottolineano come tali difficoltà siano presenti anche in soggetti al primo episodio psicotico19.
Lysaker e Buck20 hanno preso in esame recenti studi sulla meta-cognizione, valutata quantitativamente mediante la Metacognitive Assessment Scale, e sulla relazione fra questa e altre dimensioni appartenenti alla sfera più specificamente neurocognitiva. I risultati sembrano indicare come una compromissione della memoria verbale interferisca con la capacità analitica necessaria a comprendere pensieri, intenzioni e sentimenti riguardanti noi stessi e gli altri.
L’evidenza del rilevante ruolo svolto dai disturbi cognitivi nella definizione clinica del paziente schizofrenico ha incoraggiato la nascita di diversi programmi terapeutici sempre più mirati alla riabilitazione di tali funzioni21-23.
Il primo programma di riabilitazione delle funzioni cognitive e delle abilità sociali è l’Integrated Psychological Therapy (IPT) per pazienti schizofrenici24. Questo metodo messo a punto da Brenner, e adattato all’utenza italiana da Vita et al.25 con il contributo dello stesso ideatore, è stato oggetto di numerosi studi volti a comprovarne l’efficacia26-28.
Vita et al.29 hanno condotto uno studio di efficacia su tre gruppi di pazienti schizofrenici posti in un setting naturalistico di cura, utilizzando i sottoprogrammi cognitivi della terapia psicologica integrata (IPT-cog), la riabilitazione cognitiva assistita al computer (CACR) e gli interventi riabilitativi usuali (REHAB). Lo studio ha evidenziato come nei due gruppi trattati con IPT-cog e CACR il miglioramento nelle variabili di esito clinico, neuropsicologico e funzionale, sia risultato maggiormente significativo rispetto al controllo (REHAB); in particolare per quanto riguarda la velocità di processazione e la memoria di lavoro.
Oggi i protocolli di Cognitive Remediation per la schizofrenia30 sono numerosi e hanno prevalentemente lo scopo di sviluppare le abilità cognitive, l’intelligenza sociale e la meta-cognizione, funzioni molto importanti in diversi settori della vita quotidiana.
Barlati et al.31, in un imponente lavoro di revisione critica della letteratura, hanno catalogato e suddiviso i training cognitivi in: “Restorative Programs”, che si prefiggono di migliorare le abilità cognitive utilizzando esercizi mirati, e “Compensatory Programs”, generalmente rivolti ai pazienti più deteriorati (Tabella 1). La suddivisione ha inoltre tenuto conto di variabili come il numero di sedute, il tempo di inizio-fine e il modo di lavorare (in gruppo o individualmente, con o senza l’assistenza del computer). La motivazione, secondo Medalia e Choi 32, è un fattore determinante per facilitare l’apprendimento e funge da “volano” per aiutare i pazienti a completare i compiti proposti.
Una revisione critica sulla Cognitive Remediation, applicata agli esordi schizofrenici o nelle fasi prodromiche della patologia48, ha evidenziato come i rimedi terapeutici cognitivi siano più efficaci quando applicati nella fase precoce della malattia. Anche se gli studi su questo specifico tema sono per la verità ancora pochi, sembrano però prospettarsi nuovi scenari di cura.
Ueland e Rund49, in uno studio condotto su un campione di adolescenti al primo episodio, hanno riscontrato come a lungo termine la Cognitive Remediation sia in grado di incidere più della psico-educazione sulla velocità di programmazione delle informazioni visive.
Uno studio randomizzato controllato50 su due gruppi di pazienti giovani all’esordio schizofrenico, trattati il primo con la terapia riabilitativa standard e il secondo con la CRT, ha evidenziato come quest’ultima sia in grado di incidere sulla flessibilità cognitiva valutata con il Wisconsin Card Sorting Test (WCST). Un lavoro di meta-analisi riguardo l’insight nella psicosi e la valutazione neuropsicologica delle funzioni cognitive51,52 ha riscontrato una correlazione tra il risultato al WCST e il risultato ottenuto alle scale di valutazione del clinical insight.
Variabili come la flessibilità cognitiva, la coscienza di malattia e la capacità di attribuire rilevanza sintomatologica ad alcune manifestazioni devono essere adeguatamente considerate soprattutto nel caso di persone giovani all’esordio psicotico (particolarmente inclini al drop-out).



Il presente studio, nato all’interno di un programma di ricerca-intervento sempre attivo nel Dipartimento di Salute Mentale della ASL RM-D53,54, trae ispirazione dai risultati di un precedente lavoro55 condotto su due gruppi di pazienti con diagnosi dello spettro sindromico schizofrenico, posti in un setting naturalistico di cura. I risultati di tale studio sembravano indicare come il gruppo sottoposto all’IPT-cog (sottoprogrammi cognitivi della IPT) presentasse un miglioramento significativo soprattutto nell’attenzione selettiva e nelle abilità logico deduttive, rispetto al gruppo che aveva ricevuto il solo trattamento riabilitativo usuale (TAU). Inoltre, le abilità logico-deduttive erano migliorate in modo particolarmente interessante nel sottogruppo dei pazienti più giovani di età e con 1-3 anni di malattia. Un dato importante aveva riguardato anche la flessibilità cognitiva che una volta compromessa risultava difficilmente “rimediabile” anche utilizzando l’IPT-cog (dato confermato da altri studi sul tema).
Il presente lavoro si prefigge lo scopo di verificare se la somministrazione di un intervento basato sul modello IPT-cog in tempi molto prossimi all’insorgenza della malattia sia in grado di incidere positivamente sulla flessibilità cognitiva nel giovane all’esordio psicotico.
Sotto il profilo metodologico sono stati posti a confronto due gruppi di pazienti, ambedue giovani di età ma con differenti tempi di malattia. L’intervento per entrambi i gruppi ha la durata di 6 mesi. Il disegno dello studio è di tipo pre-post con una valutazione prima di attivare l’intervento e una a conclusione.
MATERIALI E METODI
Presentazione del campione
Il campione è composto complessivamente da 28 soggetti, 13 (46%) giovani per età e anni di malattia appartenenti al gruppo sperimentale e provenienti dal Nucleo Interventi Precoci (NIP) del Dipartimento di Salute Mentale della ASL RM-D e 15 (54%) giovani per età ma non per anni di malattia appartenenti al gruppo di controllo e provenienti dai Centri di Salute Mentale (CSM) della ASL RM-D.
Per tutti i soggetti la diagnosi afferisce ai codici F20-F24 (schizofrenia, disturbo schizotipico e disturbi deliranti) dell’ICD X.
Il gruppo sperimentale comprende 11 (84,6%) maschi e 2 (15,4%) femmine, con un’età media al momento del test di anni 21,2 (ds=1,8), un tempo medio di malattia di 15,6 mesi (ds=12,1) e un livello di scolarità di anni 11,3 (ds=2,8).
Il gruppo di controllo è composto da 10 (66,7%) maschi e 5 (33,3%) femmine, con una età media al momento del test di anni 25,6 (ds=2,1), un tempo medio di malattia di 74,4 (ds=15,8) mesi e un livello di scolarità di 9,7 (ds=2,4) anni (Tabella 1).
Descrizione dell’intervento
La IPT è formata da cinque sottoprogrammi i cui esercizi seguono una gerarchia di difficoltà crescente. I primi tre sottoprogrammi (IPT-cog) sono rivolti alle funzioni cognitive di base56; il quarto e il quinto, formati da esercizi di role play e di problem solving, sono indirizzati alle disabilità sociali e comportamentali. In questa occasione sono stati utilizzati solo gli esercizi che compongono i primi tre sottoprogrammi.
La metodologia si basa su una procedura standardizzata e prevede l’utilizzo di materiale costituito da cartoncini e diapositive.
I cartoncini sono bianchi con disegnate in rosso, giallo e blu figure geometriche a forma di triangoli, cerchi e rettangoli, al cui interno sono posti numeri pari o dispari, a una o a due cifre. Su alcuni cartoncini compaiono anche i giorni della settimana.
Le diapositive possono essere semplici o complesse, a contenuto neutro o emotivamente coinvolgente. Per ridurre il drop-out, migliorare l’adesione al trattamento e iniziare la riabilitazione cognitiva in tempi “clinicamente” opportuni (e non quando si fosse raggiunto il numero di partecipanti al gruppo previsto da Brenner), sono state apportate al programma originale alcune modifiche.
Oltre a limitare l’intervento ai primi tre sottoprogrammi, è stato diminuito il numero di soggetti per gruppo (da 6-8 a 2-3) e ridotta la frequenza settimanale (da 2 a 1 volta) lasciando invariata la durata di 30-90 minuti.
Strumenti di valutazione
Per la valutazione delle funzioni cognitive57-60 abbiamo utilizzato un protocollo neuropsicologico costruito ad hoc. Le prestazioni cognitive sono state espresse in termini di punteggi corretti per età e scolarità61 (Tabella 2).
Analisi statistica
Le analisi sono state effettuate con il pacchetto statistico SPSS (Statistical Package for Social Science) versione 21.0. Per le variabili socio-demografiche e cliniche sono state calcolate le consuete statistiche descrittive (media, deviazione standard e percentuali) ed effettuati i test t di Student e chi-quadrato per la comparazione dei due gruppi al baseline. Per i confronti pre-post è stato utilizzato il test dell’analisi della varianza per disegni fattoriali misti 2x2, con un fattore fisso (gruppo) a due livelli (sperimentale e controllo) e uno ripetuto (tempo) anch’esso a due livelli (prima e dopo il trattamento). Per tutti i confronti è stato calcolato il coefficiente eta-quadrato parziale quale misura della dimensione dell’effetto (effect size). Il livello di significatività statistica adottato per la verifica delle ipotesi è stato α=0,05.




RISULTATI
Nel confronto al baseline i due gruppi differiscono significativamente per anni di età al test e durata della malattia (p<0,001), ma non per età di esordio della malattia, anni di scolarità, sesso e tipo di diagnosi (Tabella 3).



Le analisi relative all’esito dell’intervento hanno evidenziato che, per quanto riguarda l’attenzione immediata e in parte la memoria di lavoro, l’attenzione selettiva, l’estensione e la fruibilità del magazzino di memoria semantico lessicale, la memoria a breve termine intesa come capacità di acquisire informazioni, si osservano miglioramenti della condizione dopo il trattamento in uguale misura nei gruppi, con significatività che variano da p<0,05 a p<0,01 e valori di eta-quadrato degni di nota che vanno da 0,16 a 0,30.
Il miglioramento, pur se presente, non ha riguardato in modo statisticamente rilevante le abilità logico deduttive.
Differente andamento nei due gruppi hanno invece gli esiti osservati nella memoria a lungo termine (p<0,01, E.s.=0,21) intesa come capacità di rievocare spontaneamente le informazioni acquisite, e nella flessibilità cognitiva (p<0,01, E.s.=0,22) per le quali, a fronte di un miglioramento nella valutazione post-intervento nel gruppo sperimentale, si osserva un peggioramento nel gruppo di controllo (Tabella 4).



DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
I dati del presente studio sembrano rispondere positivamente all’ipotesi formulata, evidenziando la presenza di un miglioramento significativo nella flessibilità cognitiva e nella memoria a lungo termine, esclusivamente nel gruppo sperimentale di pazienti giovani con 15,6 mesi di malattia. Per gli altri domini (attenzione, memoria di lavoro, memoria a breve termine, estensione, fruibilità del magazzino di memoria e capacità di selezionare una strategia di ricerca adeguata) il miglioramento ha riguardato sia il gruppo sperimentale sia il gruppo di controllo.
Come illustrato nell’introduzione, la flessibilità cognitiva è una tipica funzione “frontale” localizzata principalmente nella corteccia prefrontale. Essa è connessa con la capacità di problem solving, la capacità di pianificare, di utilizzare strategie, di costruire concetti e categorie, di inibire risposte automatiche inappropriate.
Il miglioramento significativo della flessibilità cognitiva è un dato di notevole rilevanza, soprattutto se riferito al clinical insight per via della sua centralità nel favorire una adeguata consapevolezza di malattia e una buona aderenza alla cura a lungo termine, oltre a essere un fondamentale presupposto per un lavoro sulla meta-cognizione.
La “finestra” decisiva di trattamento sembra porsi, sulla base dei nostri dati, entro 18 mesi dall’esordio psicotico. Tale dato è corroborato dal significativo peggioramento delle stesse funzioni cognitive riscontrato nel gruppo di controllo (oltre il limite temporale definito da Birchwood e Fiorillo72 “periodo critico”). Questi autori, sulla base di studi di esito longitudinali, affermavano che la qualità del funzionamento nei 3-5 anni dall’esordio psicotico è predittiva della possibilità di ridurre la disabilità e del suo mantenimento nel lungo periodo. È noto che i danni nella “neuro and social cognition”73 sono contemporanei al primo episodio (a volte anche antecedenti a esso) e influenzano negativamente il funzionamento sociale. L’utilità di iniziare il training cognitivo IPT entro 18 mesi dal primo episodio risulta quindi di fondamentale importanza; soprattutto se posto all’interno di un protocollo che ne preveda l’integrazione con un intervento di social cognition e di sostegno ai ruoli sociali74,75.
I miglioramenti prodotti dai sottoprogrammi cognitivi, in entrambi i gruppi, per quanto riguarda l’attenzione, la capacità di acquisire informazioni e la fluenza verbale, confermano l’incisività di tale modello, nonché l’opportunità dei cambiamenti/adattamenti apportati al metodo di Brenner.
La diminuzione del numero di soggetti per gruppo ha permesso di intensificare il lavoro migliorando le capacità di mantenere il focus attentivo per un tempo più prolungato e una migliore memoria dei vari contenuti. La riduzione della frequenza settimanale ha verosimilmente contribuito a ridurre i casi di drop-out, come detto, molto frequenti nei pazienti giovani e impegnati ancora negli studi. Non meno importante, per l’applicabilità del modello e per il buon esito dell’intervento, è il gradimento della metodologia utilizzata manifestato dai soggetti nei colloqui di follow-up.
Particolarmente apprezzate sono state la brevità del trattamento e la somiglianza, per setting e metodologia, dell’esperienza con quella scolastica. Gli esercizi che compongono il metodo, l’uso della lavagna a fogli mobili e la possibilità di interagire con i propri compagni hanno favorito il ricrearsi di un’atmosfera di piacere e solidarietà che spesso si attiva sui banchi di scuola.
E ancora, esercizi sull’uso dei sinonimi e dei contrari, riconoscere lo stato d’animo dall’espressione dei volti o descrivere scene di vita quotidiana interpretandone l’atmosfera emotiva, consentono al gruppo di misurarsi nei compiti, impliciti ed espliciti, tipici della social cognition76,77. Ciò rende il metodo particolarmente adatto a integrare (e a essere a sua volta integrato) attività riabilitative della cognizione sociale e di meta-cognizione.
I dati preliminari qui illustrati, che peraltro trovano conforto in altri studi e rassegne48,78, sembrano sottolineare in modo chiaro la rilevanza clinica di una valutazione cognitiva precoce e di un intervento di Cognitive Remediation anch’esso applicato il più precocemente possibile (entro il “periodo critico”) ai giovani all’esordio psicotico, in particolare per quanto riguarda la possibilità di incidere sulle funzioni esecutive. Come sperimentato all’interno del nostro Dipartimento con la Rete degli Interventi Precoci, quando inserito in un programma più ampio d’intervento precoce 79, il metodo IPT-cog può contribuire alla conservazione e al miglioramento di adeguati livelli di funzionamento sociale (nella scuola, nel lavoro e nel tempo libero).
In definitiva, ci sembra di poter auspicare da quanto emerso, nonché alla luce della facile applicabilità, che tali metodi di intervento e di valutazione entrino a far parte della prassi operativa nella routine dei Servizi per i pazienti a rischio o all’esordio della psicosi.
Nonostante le evidenze abbastanza solide, non si può non rilevare che il lavoro presenta i limiti tipici di uno “studio pilota” nel quale la ridotta numerosità campionaria espone maggiormente all’errore casuale. È auspicabile quindi una replicazione dello studio su un campione di più ampia numerosità in grado di dare maggiore solidità alle conclusioni.
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