Deficit cognitivi nella malattia depressiva:
quanti e quali strumenti per identificarli?
Cognitive deficits in depressive illness: how many and which instruments
to identify them?
GUIDO DI SCIASCIO1, MARIA ANTONIETTA FURIO1, CLAUDIA PALUMBO2
E-mail: guido.disciascio@gmail.com
1UOC di Psichiatria Universitaria, Azienda Ospedaliero-Universitaria “Policlinico Consorziale”, Bari
2Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII, Bergamo
riassunto. Introduzione. Il disturbo depressivo maggiore è una malattia invalidante che coinvolge spesso sia la sfera affettiva sia quella cognitiva della persona, influendo negativamente in modo disadattativo sulla vita sociale e lavorativa. I deficit cognitivi sono parte integrante del quadro clinico della depressione, ma spesso non gli si attribuisce sufficiente importanza credendoli secondari ai tipici sintomi depressivi. Scopo. È stata condotta una ricerca dettagliata della letteratura per valutare le principali anomalie cognitive presenti in corso di disturbo depressivo maggiore e identificare gli strumenti di valutazione più specifici, tra quelli adottati, per riconoscere tali disfunzioni. Metodi. Grazie all’utilizzo di parole chiave, si sono selezionati gli articoli pubblicati su Embase e PubMed/Medline, facendo particolare riferimento a quelli pubblicati negli ultimi cinque anni. Risultati. La letteratura conferma che la compromissione delle abilità cognitive è una delle principali cause di ridotto funzionamento dei pazienti depressi. I deficit cognitivi sono osservati già nel primo episodio depressivo. Scarso appare l’utilizzo, nella pratica clinica, di idonei strumenti di valutazione delle diverse funzioni cognitive. Conclusione. Vi è la necessità di individuare le difficoltà cognitive nei soggetti che soffrono di disturbo depressivo in relazione al funzionamento lavorativo e sociale, alla qualità della vita e al rischio di recidiva e di valutare l’effetto degli interventi terapeutici sulla performance cognitiva. Diviene quindi prioritario utilizzare strumenti di valutazione adeguati e sensibili per effettuare corrette valutazioni delle alterazioni cognitive.
PAROLE CHIAVE: deficit cognitivi, depressione, strumenti di valutazione.
SUMMARY. Introduction. Major depressive disorder is a disabling illness that involves affect and cognition of a person, negatively influencing social and work functioning. Cognitive deficits are often present in depression, although they are often believed to be secondary to typical depressive symptoms. Aim. A detailed literature review has been carried out to assess the cognitive deficits identified in people with major depressive disorder and identify specific assessment tools used for their evaluation. Methods. Using key-words, we selected papers published on Embase and PubMed/Medline, with a particular reference to those published in the last five years. Results. The literature review confirmed that cognitive deficits are one of the most important causes of social disfunctioning in patients with major depressive disorder. Cognitive deficits can be observed already in the first depressive episode. Assessment tools for cognitive deficits are scarcely used in clinical practice. Conclusion. There is a need to identify cognitive deficits in people with major depressive disorder and their relation with social and work functioning, quality of life and risk of relapse as well as to assess the effects of therapeutic intervention on cognitive performance. To achieve this purpose, it is important to use appropriate and sensitive tools for the assessment of cognitive deficits.
KEY WORDS: cognitive impairment, depression, assessment tools.

INTRODUZIONE
La depressione è una condizione mentale cronica e ricorrente di malessere psicologico e di compromissione del funzionamento personale e sociale caratterizzata da sintomi cognitivi, comportamentali, somatici e affettivi.
La depressione maggiore è attualmente la principale causa di malattia in Nord America e in altri Paesi ad alto reddito e la quarta causa di disabilità in tutto il mondo. Nel 2030, l’Organizzazione Mondiale della Sanità prevede che possa essere la seconda causa di disabilità in tutto il mondo1.
Il quadro clinico della depressione è ben noto2 e la compromissione delle abilità cognitive sembra costituire il principale fattore di disagio nei pazienti depressi3,4.
Si definisce “disturbo cognitivo” qualsiasi condizione medica che interessi i processi cerebrali di elaborazione e ritenzione delle informazioni con conseguente compromissione della memoria, dell’attenzione, della percezione e del pensiero5. Dati di letteratura scientifica riportano la presenza di alterazioni ai test neuropsicologici in persone con depressione rispetto ai soggetti sani6,7. La correlazione tra disfunzioni cognitive e funzionamento psicosociale nel disturbo depressivo risulta complessa e di difficile comprensione a causa dell’eterogeneità dei sintomi e degli episodi depressivi, delle capacità cognitive e dei domini di funzionamento psicosociale. Per esempio, valutazioni oggettive delle prestazioni cognitive suggeriscono che i pazienti con depressione melanconica abbiano una compromissione significativamente maggiore della memoria e della funzione esecutiva, rispetto ai pazienti con depressione non melanconica 8. Inoltre, la gravità della sintomatologia depressiva3,9,10, la durata cumulativa degli episodi11 e la presenza di comorbilità6 sono indipendentemente e negativamente correlate con le performance cognitive. Le disfunzioni cognitive12-14 e le alterazioni funzionali14,15 sono tra le più comuni lamentele che persistono in pazienti depressi che raggiungono la remissione sintomatologica. Tali alterazioni, congiuntamente a quelle inerenti l’attività lavorativa, si riflettono sulla compromissione della qualità della vita16. Buist-Bouwman et al.17 riportano che oltre un quarto delle ripercussioni della malattia depressiva sulla perdita di lavoro è direttamente attribuibile ai sintomi cognitivi lamentati, in particolare, ai deficit della memoria e alla difficoltà di concentrazione e di pensare lucidamente.
La relazione esistente tra la presenza di alterazioni cognitive e l’esordio della malattia depressiva è supportata da evidenze contrastanti. Alcuni autori riportano che le disfunzioni cognitive siano correlate a un esordio più precoce della malattia e a una maggiore durata dell’episodio depressivo18, altre, invece, rilevano che l’entità dei deficit osservati appare generalmente modesta quando vengono esclusi i casi a esordio tardivo. I cosiddetti “adult-onset” sembrano presentare, infatti, deficit cognitivi molto più pronunciati, con particolare riferimento alla memoria verbale, alla velocità di elaborazione delle informazioni e ad alcune funzioni esecutive, suggerendo pertanto, il coinvolgimento di possibili fattori vascolari e neurodegenerativi in un numero sostanziale di questi pazienti 19.
La presenza di deficit cognitivi sembra influenzare l’efficacia dei trattamenti antidepressivi e il recupero funzionale globale in seguito a un episodio depressivo18. Infatti, sebbene circa il 50% dei pazienti con disturbo depressivo maggiore (DDM) raggiunga una buona risposta terapeutica, molti dei responder lamentano sintomi cognitivi residui. Tale sintomatologia, quindi, persisterebbe nonostante un adeguato trattamento antidepressivo20.
In letteratura, in merito alla relazione tra disturbo depressivo e alterazioni delle funzioni cognitive, vengono formulate diverse ipotesi. Alcuni autori sostengono che le alterazioni cognitive possano persistere nonostante la risoluzione dei sintomi affettivi21-23 (Figura 1), altri ritengono che siano gli episodi depressivi multipli a causare le alterazioni del funzionamento cognitivo tanto che alcuni sintomi della malattia depressiva (ritardo psicomotorio, mancanza di motivazione, astenia e insonnia) possano agire come mediatori della disfunzione cognitiva24. Inoltre, Elgamal et al.25 hanno dimostrato che il quoziente intellettivo (QI) premorboso e fattori legati alla gravità della malattia (intesa come durata di malattia depressiva e numero di ricoveri) sono forti predittori indipendenti di disfunzione cognitiva nei pazienti con depressione maggiore. Il basso quoziente intellettivo sembra, infatti, contribuire significativamente alla riduzione delle prestazioni cognitive. L’obiettivo di questa revisione è di esaminare la letteratura scientifica relativa alle anomalie cognitive presenti in corso di DDM e identificare quali strumenti vengono maggiormente adottati dallo specialista per riconoscere tali disfunzioni.



METODOLOGIA
La ricerca è stata condotta grazie all’utilizzo di Embase e PubMed/Medline (www.pubmed.org). Essa ha incluso studi clinici, meta-analisi e revisioni sistematiche. I termini utilizzati in combinazione con “depressive disorders” sono stati “cognition”, “cognitive dysfunction”, “memory”, “psychomotor processing” ed “executive function”. Ulteriori studi sono stati identificati utilizzando note bibliografiche degli articoli trovati e tramite la sezione “citazioni correlate”, presente su PubMed. I termini “bipolare” e “psicosi” sono stati esclusi dalle ricerche. Dagli stessi articoli sono stati estrapolati gli strumenti utilizzati per la valutazione delle funzione cognitiva in pazienti affetti da malattia depressiva. La selezione degli studi è stata limitata ad articoli disponibili in lingua inglese ed è stata posta particolare attenzione agli studi pubblicati negli ultimi cinque anni (2010-2015).
RISULTATI
I deficit cognitivi sono i principali sintomi che caratterizzano gli episodi acuti depressivi, e la ridotta capacità di pensare o di concentrazione, così come l’indecisione, rientrano tra i principali item per effettuare la diagnosi di DDM26. Le alterazioni cognitive maggiormente presenti nella patologia depressiva riguardano le funzioni esecutive, il problem solving, l’attenzione e la memoria a breve termine e di lavoro27-30. La letteratura scientifica inerente altre performance cognitive in depressione, come l’apprendimento, la fluidità verbale, la velocità di elaborazione visiva e uditiva e il funzionamento motorio, rimane ancora molto incerta27.
Le funzioni esecutive, coinvolte nei processi di problem solving mediante la coordinazione di un insieme di sotto-processi cognitivi, permettono di pianificare, prendere decisioni, iniziare e portare a termine comportamenti diretti a uno scopo, attraverso la scelta di un insieme di azioni coordinate e strategiche31. Dati scientifici evidenziano che, nei pazienti affetti da DDM, particolarmente compromessa è la set-shifting task. Tale funzione esecutiva garantirebbe la flessibilità cognitiva permettendo al soggetto di spostare l’attenzione tra compiti diversi. Questa capacità faciliterebbe l’adattamento del soggetto a nuove e inusuali situazioni in modo rapido ed efficiente31. Profondamente correlata al deficit delle funzioni esecutive è l’attenzione32-41. Essa viene considerata come l’insieme di velocità di risposta “processing speed”, attenzione selettiva ed elaborazione automatica22. L’attenzione, rientrando a far parte delle funzioni esecutive42,43, viene considerata una funzione del lobo frontale33.
Alcuni autori evidenziano, nei pazienti affetti da DDM, soprattutto una marcata compromissione della velocità di risposta, a differenza dell’attenzione selettiva che spesso risulta inalterata44. Tuttavia, altri autori non hanno riscontrato deficit dell’attenzione nei pazienti affetti da depressione lieve o moderata28,37. Si ipotizza che i risultati divergenti possano originare dall’utilizzo di strumenti di valutazione poco specifici che, per esempio, non siano in grado di distinguere, nell’ambito del funzionamento cognitivo, la velocità di esecuzione dalle capacità attentive e di concentrazione45. L’alterazione dell’attenzione così come quella della memoria immediata possono interferire con quasi ogni aspetto della vita quotidiana.
Numerosi studi confermano l’associazione tra DDM e alterazione della memoria33,36,38,43,46-50, tuttavia non è ancora del tutto chiara la natura di tale relazione. Studi neuropsicologici sulla depressione maggiore hanno ipotizzato che il deficit di performance della memoria di lavoro (working memory) sia frutto della disfunzione della corteccia prefrontale dorsolaterale29. Le alterazioni della memoria nei pazienti depressi riguarderebbero sia la memoria verbale sia la memoria visiva51,52, ma i risultati inerenti la memoria verbale sono incoerenti. Infatti, alcuni studi hanno osservato un chiaro deficit della memoria verbale tra i pazienti depressi rispetto ai controlli sani53, mentre altri studi non riportano alcun deficit in questo settore54,55.
Alcuni autori rilevano anche un legame tra la disabilità di apprendimento non verbale e la depressione maggiore. Gli individui con disabilità di apprendimento non verbale presentano deficit nella percezione tattile, nella coordinazione psicomotoria e nell’organizzazione visuo-spaziale e manifestano difficoltà ad adattarsi a situazioni nuove e complesse, difficoltà significative nella percezione e nel giudizio sociale e nelle abilità d’interazione sociale con conseguente forte tendenza a ritirarsi socialmente 56. Deficit della fluidità verbale così come disfunzioni delle capacità psicomotorie sono stati riportati in pazienti con grave sintomatologia depressiva33,36,54,57. Tuttavia, tali risultati non sono universali e non vengono condivisi da altri autori che non riscontrano tali alterazioni58,59.
Evidenze scientifiche tratte da studi di meta-analisi provano che i deficit cognitivi che si verificano in corso di depressione possano migliorare con il trattamento e con la risoluzione dei sintomi depressivi, ma possano essere individuati anche in periodi di remissione della psicopatologia60,61. I sintomi residui più frequenti riguardano alterazioni di alcune abilità cognitive, quali la scarsa concentrazione e l’indecisione. In uno studio con follow-up di 3 anni su pazienti con depressione, la percentuale di tempo in cui i pazienti presentavano lamentele cognitive durante gli episodi depressivi acuti sembra, infatti, scendere solamente del 50% con la piena o parziale remissione dei sintomi durante trattamento12. Test atti alla valutazione della performance cognitiva indicano come la memoria immediata, l’attenzione62 e la velocità di elaborazione56 siano ridotte nei pazienti che soddisfano i criteri per la remissione depressiva, rispetto ai soggetti sani. A conferma di questo dato, una recente revisione sul ruolo degli antidepressivi nel trattamento dei deficit cognitivi ha evidenziato che il solo trattamento dei sintomi affettivi non sembra essere sufficiente a modificare le disabilità funzionali del paziente depresso e che il miglioramento dei sintomi cognitivi è fondamentale per un sostanziale miglioramento del funzionamento globale 63. Inoltre, tali sintomi cognitivi residui possono aumentare la probabilità di ricaduta depressiva12 mentre il loro miglioramento si è visto avere effetti positivi sulla qualità e quantità del sonno, probabilmente a causa della riduzione dei processi di ruminazione61.
Questi sintomi persistenti spiegherebbero la compromissione psicosociale in fase di remissione del disturbo depressivo. Le disfunzioni cognitive, le difficoltà lavorative e le limitazioni psicosociali sono, infatti, frequenti nei pazienti con depressione sia in fase acuta sia in remissione12.
Nella malattia depressiva è importante la distinzione tra le alterazioni delle funzioni “hot cognition” (influenzate dalle emozioni) e “cold cognition” (indipendenti dalle emozioni). Tale distinzione deriva dall’osservazione del modo in cui il cervello, con (hot) o senza (cold) l’influenza delle emozioni, registra le informazioni, elabora i ricordi e formula giudizi60.
Pertanto, cold cognition si riferisce all’elaborazione delle informazioni in assenza di qualsiasi influenza emotiva. Teoricamente, l’elaborazione cognitiva cold è impegnata in prove in cui gli stimoli sono emotivamente neutri e l’esito della prova non è emotivamente rilevante; tuttavia, le funzioni cognitive hot e cold non sono indipendenti l’una dall’altra: infatti, feedback negativi (spiacevoli) possono alterare le performance delle funzioni cognitive cold. La presenza di alterazioni cognitive cold nella depressione unipolare può essere, in parte, spiegata ipotizzando che in questi pazienti vi sia un’alterazione della hot cognition, in particolar modo nelle attività che utilizzano un circuito feedback; infatti, i pazienti depressi hanno mostrato una “risposta catastrofica” alla percezione del fallimento.
Ricerche sulla hot cognition in pazienti depressi non trattati, rispetto ai controlli, hanno evidenziato tempi di reazione agli stimoli positivi significativamente più lunghi e più brevi per gli stimoli negativi64.
In letteratura, numerose evidenze sostengono che alcune anomalie cognitive cold non scompaiono del tutto con la remissione della sintomatologia depressiva e che siano associate a scarsa risposta al trattamento farmacologico antidepressivo65.
Oltre ai deficit cognitivi, i disturbi depressivi sono caratterizzati anche dalla presenza di alterazioni che alcuni autori definiscono “depressive cognitive distorsions”, ovvero distorsioni cognitive intese come elaborazioni distorte delle informazioni, che inducono pensieri poco aderenti alla realtà, di tipo depressivo. Per esempio, l’attenzione è spesso focalizzata su stimoli spiacevoli ed è più facile per i pazienti depressi memorizzare informazioni negative66. Nonostante in letteratura sia ampiamente nota la presenza di alterazioni cognitive nei disturbi depressivi, poco si sa circa le correlazioni fisiopatologiche che legano la depressione alla compromissione delle funzioni cognitive. Nuove tecniche di indagine biologica e di neuroimaging (strutturali e funzionali) hanno consentito una migliore definizione di questa correlazione. Dagli studi effettuati è emerso che la depressione e le disfunzioni cognitive a essa associate condividono una piattaforma neuropatologica comune, localizzata nelle aree cerebrali corticali e sottocorticali implicate nell’elaborazione emotiva e cognitiva, che potrebbero essere sotto il controllo di fattori genetici e ambientali 67. Alcuni autori confermano, altresì, che i deficit della memoria e l’indecisione, presenti soprattutto nelle prime fasi del DDM, possano essere associati ad anomalie strutturali dell’ippocampo e della corteccia. Tra le alterazioni cognitive, la difficoltà di concentrazione e la scarsa capacità decisionale rappresentano i sintomi più preoccupanti nei pazienti affetti da DDM e la loro presenza sembra limitare il recupero funzionale.
STRUMENTI DI VALUTAZIONE
Dato il crescente interesse dei clinici e dei ricercatori nello studiare le disfunzioni cognitive che accompagnano le patologie psichiatriche, diviene necessario individuare quali strumenti utilizzare per effettuare adeguate e sensibili valutazioni di tali alterazioni. Tra gli strumenti a disposizione, alcuni valutano una sola abilità cognitiva, mentre altri costituiti per lo più da una batteria di quesiti, esplorano un numero maggiore di funzioni cognitive. Tali strumenti vengono suddivisi in oggettivi e soggettivi. Gli strumenti oggettivi sono i test neuropsicologici, implementati al fine di valutare la performance delle diverse abilità cognitive; i test soggettivi vengono, invece, impiegati nella valutazione dei sintomi cognitivi che il paziente lamenta e/o che il clinico osserva.
In letteratura sono citati circa 150 strumenti differenti; tuttavia, solo 30 di questi (20%) vengono ritenuti appropriati per i disturbi depressivi, per il disturbo bipolare e per la schizofrenia68. Nel DDM la working memory rappresenta una delle funzioni cognitive maggiormente compromesse69,70. Lo strumento più frequentemente utilizzato per la sua valutazione è il California Verbal Learning Test (CVLT)71 seguito dal Trail Making Test A (TMT-A)72 e dal Cambridge Neuropsychological Test Automated Battery (CANTAB)73.
Il CVLT esplora, inoltre, la comprensione verbale mediante l’utilizzo di due liste di parole. La prima lista, comprendente 16 nomi di cose (4 nomi per 4 diverse categorie: frutta, spezie, strumenti e abbigliamento), viene letta cinque volte e successivamente a ciascuna lettura viene chiesto di rievocare il maggior numero di parole. A seguire si presenta una lista “di confondimento” con altri 16 nomi (8 presi dalla lista precedente e 8 nomi di cose di altre categorie: pesci e utensili) e al soggetto viene chiesto di rievocare i nomi di questa seconda lista. Dopo un intervallo di 20 minuti, al soggetto viene chiesto di rievocare quanti più nomi possibili della prima lista. Per la valutazione delle capacità attentive e di pianificazione spaziale nell’esecuzione di compiti visuo-motori viene spesso utilizzato il TMT-A, utile, altresì, per indagare l’abilità nel passare velocemente da uno stimolo di tipo numerico a uno alfabetico. Il test comprende due prove. La “prova A” i cui stimoli sono costituiti da una serie di numeri (da 1 a 25), cerchiati e stampati in ordine sparso su un foglio formato A4; il numero 1 corrisponde all’inizio, il 25 alla fine. La “prova B” i cui stimoli sono formati sia da numeri sia da lettere; il numero 1 corrisponde all’inizio e il 13 alla fine, le lettere vanno dalla A alla N. Altro strumento utile per la valutazione di diverse funzioni cognitive (memoria di lavoro, funzione esecutiva, memoria visiva, attenzione, tempo di reazione, memoria semantica/verbale, processo decisionale e controllo della risposta) è il CANTAB, sistema digitale costituito da 22 test neuropsicologici a cui i pazienti rispondono attraverso un computer touch screen.
Altri test neuropsicologici sensibili alle variazioni del funzionamento delle abilità cognitive inficiate nei disturbi depressivi sono il Digit Symbol Substitution Test (DSST)74 e il Rey Auditory Verbal Learning Test (RAVLT)75. Il DSST valuta la funzione esecutiva, la memoria di lavoro e la velocità di elaborazione, esplorando, nello specifico, l’abilità di imparare schemi visuo-motori da esperienze ripetitive. Tale strumento, basato sul test di intelligenza Wechsler Adult Intelligence Scale-Revised (WAIS-R)76, analizza la capacità di associare il più rapidamente possibile un determinato segno grafico a ciascun numero di una serie. Il DSST è costituito da una serie di caselle contenenti numeri (da 1 a 9), sotto le quali viene riportato un simbolo corrispondente. Il paziente ha a disposizione 90 secondi (o 120) per riportare sotto ogni casella, contenente un numero della serie, il simbolo corrispondente. Il RAVLT, test di facile somministrazione, consente di studiare l’apprendimento verbale, i processi di ritenzione, di confrontare i processi di codifica versus quelli di recupero e l’organizzazione soggettiva del materiale da ricordare. Inoltre, comprendendo sia la rievocazione immediata sia quella differita, permette di valutare tanto la memoria a breve termine quanto la memoria a lungo termine e l’ampiezza della memoria di lavoro. Mentre la rievocazione differita è espressione unicamente di processi di memoria a lungo termine episodica, la rievocazione immediata coniuga processi di memoria a breve e a lungo termine. Al paziente si legge una lista di 15 parole al ritmo di una parola al secondo e, alla fine, gli si chiede di ripetere il maggior numero possibile di parole che ricorda tra quelle appena udite, senza preoccuparsi dell’ordine con cui erano state presentate. Questa procedura, con la stessa lista di parole, ma in ordine differente, viene ripetuta per altre tre volte consecutive a intervalli di 30 minuti, registrando, ogni volta, le parole ricordate dal paziente.
Questi test esplorano, quindi, l’attenzione, le funzioni esecutive, l’apprendimento, la memoria e la velocità di elaborazione77,78. Altro test neuropsicologico è lo Stroop Colour Word Test79 atto a valutare le capacità attentive e le funzioni esecutive, mettendo in evidenza la presenza di difficoltà nel sopprimere una risposta di tipo automatico (effetto interferenza), rilevando eventuali disturbi dell’attenzione selettiva. Il test si articola in tre tavole. Nella prima viene richiesto di leggere semplicemente ciò che è scritto, ossia i nomi di colori scritti in nero. Nella seconda bisogna definire il colore delle figure geometriche e, nella terza, il colore con cui è scritto ciascun nome. Tuttavia, in quest’ultima tavola il colore da pronunciare risulta incongruente con il nome del colore scritto. Leggere è per noi un’attività automatica; fare attenzione al colore con cui è scritta una parola fa insorgere un conflitto cognitivo per cui la corteccia prefrontale interviene inibendo i processi automatici di lettura a favore di quelli percettivi (il colore). I segnali di conflitto vengono notati dalla corteccia cingolata anteriore. L’effetto Stroop si basa sulla variazione dei tempi di reazione nell’esecuzione di un compito. I tempi di risposta negli stimoli incongruenti (parole di colore diverso a quello semantico) sono più lunghi rispetto a quelli congruenti (nomi di colori o colori percepiti). Pazienti affetti da depressione, rispetto ai controlli sani di pari età, presentano risultati peggiori a questo test 61.
Insieme al DSST, al RAVLT e al TMT-A, il Stroop Colour Word Test è stato utilizzato nello studio FOCUS per la valutazione della performance cognitiva dei pazienti depressi, prima e dopo il trattamento con un nuovo antidepressivo (vortioxetina)80. La molecola agisce attraverso l’inibizione della ricaptazione della serotonina, ma funziona anche come 5HT1A agonista, così come agonista parziale del recettore 5HT1B e antagonista dei recettori 5HT1D, 5HT3 e 5HT7. Inoltre, essa modula la neurotrasmissione anche dei sistemi della noradrenalina, dopamina, istamina, acetilcolina, GABA e glutammato. Tale attività multimodale è considerata responsabile degli effetti antidepressivi e ansiolitico-simili e del miglioramento di funzioni cognitive come l’apprendimento e la memoria.
Per la misurazione delle alterazioni della memoria visuo-spaziale nei pazienti depressi è possibile utilizzare il Rey-Osterrieth Complex Figure (ROCF)81. Dapprima sviluppato dallo psicologo svizzero A. Rey nel 1941 e in seguito standardizzato da P.A. Osterrieth nel 1944, tale strumento è spesso utilizzato per esplorare lesioni cerebrali secondarie in pazienti neurologici o per valutare lo sviluppo cognitivo nei bambini. Con il ROCF viene chiesto, in un primo momento, di copiare a mano libera un complesso disegno composto da linee (fase di riconoscimento), e in un secondo momento di rievocare dalla memoria il disegno e riprodurlo (fase di richiamo). L’esecuzione corretta di questo test fa leva sul buon funzionamento di diverse abilità cognitive (memoria, attenzione, pianificazione, funzioni esecutive e abilità visuo-spaziali). Il ROCF è stato utilizzato in uno studio finalizzato al confronto tra antidepressivi serotoninergici e noradrenergici nella valutazione dell’efficacia terapeutica degli antidepressivi sui deficit della memoria nei pazienti depressi 82.
Il Wisconsin Card Sorting Test (WCST)83 è un test neuropsicologico in grado di esplorare le abilità di ragionamento astratto e di cambiamento delle strategie cognitive al mutare delle circostanze ambientali. I pazienti depressi rispetto agli individui sani presentano significativi deficit di tali performance cognitive84. Tale test rappresenta una valida misura della funzione esecutiva in una popolazione neurologicamente compromessa ed è particolarmente sensibile alle lesioni della corteccia prefrontale. Il WCST consiste di 4 carte-stimolo e 128 carte-risposta (2 mazzi da 64 carte), su cui sono rappresentate figure variabili per numero (da 1 a 4 per carta), forma (cerchi, triangoli, croci o stelle), colore (rosso, blu, giallo e verde). Al soggetto viene consegnato un mazzo di 64 carte-risposta da abbinare a quelle stimolo, seguendo il criterio che ritiene più opportuno. Ogni carta-risposta può essere abbinata a una carta-stimolo soltanto per un parametro o per una combinazione dei tre parametri; tramite i feedback da parte dell’esaminatore sulla sua correttezza il soggetto deve scoprire il criterio di classificazione corretto. Durante la prova, il criterio viene modificato senza avvertimento, richiedendo di sviluppare una nuova strategia di classificazione.
Tra gli strumenti soggettivi, esistono diversi questionari atti alla registrazione e valutazione di sintomi riferiti dai pazienti in corso di un disturbo psichiatrico. Il Perceived Deficits Questionnaire (PDQ)85, sviluppato specificamente per la sclerosi multipla, è tra i più impiegati questionari auto-somministrati per la valutazione di diversi ambiti del funzionamento cognitivo (attenzione, memoria retrospettiva, memoria prospettica, pianificazione e organizzazione). Esso prevede una versione completa (20 item) e una breve (5 item). Il PDQ, non essendo uno strumento di valutazione oggettiva, non valuta le disfunzioni cognitive di per sé, ma altri fattori legati al modo in cui il paziente percepisce il proprio funzionamento cognitivo. Recentemente questo test è stato validato anche per la valutazione della percezione dei deficit relativi al funzionamento cognitivo nei pazienti depressi (PDQ-D) ed è ritenuto uno strumento affidabile e sensibile 86.
Come il PDQ-D, il Massachusetts General Hospital Cognitive and Physical Functioning Questionnaire (CPFQ)87 è un questionario implementato appositamente per la valutazione delle disfunzioni cognitive in disturbi dell’umore e d’ansia. Il CPFQ è composto da 7 domande, relative alla presenza di sintomi cognitivi e al benessere fisico del soggetto, le cui risposte prevedono 6 livelli di gravità.
Oltre ai test neuropsicologici e ai diversi questionari auto-somministrati, è possibile esplorare le funzioni cognitive utilizzando specifici item estrapolati da rating-scale per la depressione come la Montgomery-Asberg Depression Rating-Scale (MADRS)88 e la Bipolar Depression Rating Scale (BDRS)89.
La MADRS, per espressa dichiarazione degli autori, valuta principalmente i fattori di cambiamento nell’ambito della patologia depressiva. Viene, infatti, utilizzata dai clinici per valutare la gravità della patologia o impiegata negli studi clinici per monitorare le variazioni sintomatologiche in corso di trattamento. I 10 item della MADRS vengono valutati con punteggi da 0 a 6 (0=assenza del sintomo; 6=massima gravità). L’item 6 di tale scala valuta la funzione cognitiva, in particolare, la difficoltà di concentrazione. Essendo sviluppata come un’intervista clinica, il medico chiede al paziente di considerare le difficoltà presentate nel raccogliere le idee e valutarne la gravità in base alla frequenza, all’intensità e al grado di compromissione. Le possibili risposte possono variare in una scala da 0 (nessuna difficoltà) a 6 (l’incapacità di leggere o conversare senza difficoltà).
Anche la BDRS, scala etero-somministrata (20 item) volta a valutare specificamente la depressione bipolare, presenta un item per la valutazione del funzionamento cognitivo. La BDRS, recentemente tradotta anche in italiano90, permette di valutare in maniera accurata il profilo dei pazienti depressi includendo argomenti specifici per le caratteristiche miste e risulta molto sensibile a quegli elementi psicopatologici comunemente ritrovati nei pazienti bipolari, come l’ipersonnia o l’iperfagia. L’item 7 valuta la capacità di concentrazione e la memoria, intese come riferita soggettiva riduzione dell’attenzione, della concentrazione o della memoria, e la conseguente compromissione del funzionamento. Le possibili risposte possono variare in una scala da 0 a 3 (0=nessuna compromissione; 3=grave compromissione).
Mentre la presenza di alterazioni delle funzioni cognitive nei pazienti affetti da disturbi affettivi è ormai accertata, il rapporto tra le compromissioni cognitive oggettivamente misurate e i deficit cognitivi lamentati dai pazienti risulta controverso85. A tal proposito, uno studio con un campione misto di pazienti (N=15 bipolari; N=15 depressi e N=15 controlli) è stato sottoposto a valutazioni cognitive mediante il CPFQ87 e lo Screen for Cognitive Impairment in Psychiatry (SCIP)91. Per la sintomatologia affettiva, al campione sono state somministrate la Hamilton Depression Rating Scale (HDRS)92 e la Young Mania Rating Scale (YMRS)93. Dai risultati ottenuti si evince che non vi è correlazione tra i sintomi cognitivi lamentati dai pazienti e le oggettive alterazioni delle abilità cognitive riscontrate mediante i test neuropsicologici. Se tale risultato venisse confermato da studi su campioni più ampi, ciò indicherebbe che i test neuropsicologici sono uno strumento indispensabile per chiarire il peso che può avere una disfunzione cognitiva nella vita quotidiana dei pazienti e per pianificare mirate strategie di trattamento 94.
CONCLUSIONI
I deficit cognitivi all’interno dei disturbi dell’umore vengono continuamente studiati, ma i risultati riportati dagli autori non sono sempre omogenei. I pazienti con depressione unipolare hanno mostrato alterate prestazioni prevalentemente ai test per la valutazione delle funzioni esecutive, della memoria e dell’attenzione. I sintomi cognitivi riportati dai pazienti affetti da malattia depressiva inficiano la quantità e la qualità delle relazioni sociali, il funzionamento lavorativo, nonché la gestione delle proprie risorse economiche. Si ritiene, infatti, che la compromissione delle abilità cognitive sia una delle principali cause del ridotto funzionamento sociale e lavorativo dei pazienti depressi 3,4.
Dati di letteratura riportano che una maggiore compromissione cognitiva è spesso associata a una maggiore severità dei sintomi depressivi. Tuttavia, i deficit cognitivi possono persistere, indipendentemente dal miglioramento della depressione, anche durante gli stati eutimici/di remissione95 e sembra possano essere un fattore di rischio per una ricaduta o un nuovo episodio depressivo. La ripresa delle funzioni cognitive sembra, quindi, essere più lenta rispetto alla risoluzione dei sintomi dell’umore e il solo trattamento dei sintomi affettivi insufficiente a garantire una buona ripresa del funzionamento sociale e lavorativo96. Dalla revisione dei dati presenti in letteratura emerge uno scarso utilizzo, nella pratica clinica, di idonei strumenti di valutazione delle diverse funzioni cognitive97. Le alterazioni delle funzioni cognitive sono parte integrante del quadro psicopatologico dei disturbi depressivi; tuttavia, spesso non viene posta sufficiente attenzione a esse ritenendole unicamente secondarie alle alterazioni dell’umore.
La poca chiarezza in merito a tali dati e lo scarso utilizzo di specifici strumenti di valutazione può privare i pazienti di una adeguata opportunità di cura con antidepressivi. Vi è, infatti, la necessità di una terapia antidepressiva che non solo sia efficace sulle alterazioni dell’umore, ma che agisca anche sui sintomi cognitivi e sulle conseguenti compromissioni funzionali. L’antidepressivo vortioxetina ha dimostrato un miglioramento globale della performance cognitiva e delle funzioni esecutive, valutate mediante l’utilizzo di test oggettivi neuropsicologici, sia nei pazienti giovani sia negli anziani affetti da depressione 80,98.
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