Il medico della peste


A cura di Eleonora Del Riccio
Sapienza Università di Roma
E-mail: elo-dr@hotmail.it






Ecco il Medico della peste o, secondo l’iscrizione che compare in alto, “Der Doctor Schnabel von Rom”. Il personaggio è forse più noto per via del legame che ha con la commedia dell’arte e con il grande panorama delle maschere carnevalesche veneziane. Eppure, l’origine di questa immagine, entrata nell’immaginario popolare come sinonimo di morte imminente, ha le sue radici nelle terribili epidemie che colpirono la Serenissima tra la seconda metà del Cinquecento e il primo trentennio del secolo successivo.
Dal momento che le cause reali della malattia e le modalità di trasmissione erano ancora ignote, si credeva che la trasmissione del morbo dipendesse dal cattivo odore che emanavano i corpi degli appestati. L’inventore di questo paramento protettivo che comprendeva mantello, guanti, cappello, occhiali e stecca lignea per toccare da lontano gli ammalati fu il medico francese Charles de L’Orme. Mise a punto anche la maschera con becco simile a quello di un tucano il cui scopo era quello di contenere erbe profumate come rosmarino e timo e talvolta anche spugne imbevute di aceto, in maniera tale da non respirare l’aria malsana del Lazzaretto. I malati, infatti, erano tutti trasportati al Lazzaretto Vecchio, mentre tutti coloro che avevano avuto rapporti con loro venivano messi in quarantena nel Lazzaretto Nuovo.
La fonte di molte di queste informazioni è la lettera che il medico della peste Alvise Zen scrisse a Monsieur d’Audreville. La lettera racconta anche del voto fatto dal doge Niccolò Contarini che promise di costruire una chiesa intitolata alla Vergine se questa avesse sanato la città dal morbo. Fu così che dopo la sua morte e la fine dell’epidemia, il nuovo doge Francesco Erizzo fece costruire Santa Maria della Salute.
Quanto la peste sia stata argomento di numerosi testi letterari non è un segreto. L’Iliade comincia con la piaga scagliata da Apollo sull’esercito acheo, Tucidide ne La guerra del Peloponneso è il primo ad azzardarne una spiegazione scientifica, le storie che compongono il Decamerone hanno ragione d’esistere solo perche alcuni giovani per scampare al morbo si sono ritirati in una villa di campagna, i Promessi Sposi e la Storia della Colonna Infame sono il giusto evolversi di questo genere di narrativa. Anche la storia delle immagini è piena di esempi riguardanti la peste o la morte provocata dal morbo, citiamo solamente il Trionfo della Morte di Palazzo Sclafani a Palermo (1446) e Napoleone a Jaffa di Gros al Louvre (1804). Molto più rare sono invece le citazioni letterarie del Medico della peste, per non parlare di quelle figurative, che francamente reputiamo introvabili al momento.
L’evoluzione che questa figura ebbe è già stata sottolineata: divenne una delle maschere del carnevale. In questo modo lo spettro della morte si mescolava con la gioia dionisiaca del carnevale, in un incontro che ci fa inevitabilmente pensare alla celebre e ormai anche inflazionata consonanza tra έροσ e θάυατοσ. L’accezione di morte a cui il medico era legato, e che era dovuta all’assenza di una cura per la peste, si trasformò in quella sensazione di lugubre mistero che si prova ancora oggi vedendo le maschere con il becco appese a ingiallire fuori dai negozi. Lo scongiuro della morte a cui allude questa figura decadente è evidente nella satira dell’immagine: sullo sfondo dei bambini fuggono dal medico che ha sulla bacchetta gli spaventosi attributi del Riposo Eterno, le ali di pipistrello e la clessidra. Dall’altro lato si intravede il porto di una città, ma è difficile dire se si tratti di Venezia o di Roma.