Disagio mentale in un campione comunitario di giovani adulti:
l’help-seeking in un modello generalista di salute mentale

Emerging mental disorders in a community sample of young adults in Italy: help-seeking in a Generalist Community Mental Health setting

Paolo Fiori Nastro1, Marco Armando1,2,3, Valentino Righetti1, Riccardo Saba1,
Claudia Dario1, Rossella Carnevali4, Max Birchwood2, Paolo Girardi4,5
E-mail: paolo.fiorinastro@uniroma1.it.

1Dipartimento di Neurologia e Psichiatria, Sapienza Università di Roma
2School of Psychology, University of Birmingham
3Dipartimento di Neuroscienze, Unità Operativa di Neuropsichiatria Infantile, Ospedale Bambino Gesù, Roma
4NESMOS, Ospedale Sant’Andrea, Sapienza Università di Roma
5Dipartimento di Neuropsichiatria, Villa Rosa, Suore Ospedaliere del Sacro Cuore di Gesù, Viterbo



RIASSUNTO. Scopo. Il ritardo nell’accesso alle cure rappresenta uno dei principali ostacoli alla presa in carico dei giovani adulti con disturbi mentali all’esordio. Questo ritardo, troppo spesso osservato nella pratica clinica, ha diverse cause. Una di queste è la richiesta di aiuto inespressa (unexpressed help-seeking), che è influenzata da fattori di ordine storico-culturale, dalle caratteristiche della patologia stessa, ma anche dalle modalità con le quali sono organizzati i servizi di salute mentale. Gli obiettivi dello studio sono quelli di individuare: il livello di stress e di disagio mentale, le determinanti principali dell’unexpressed help-seeking all’interno di un campione comunitario di giovani adulti in un contesto nazionale in cui vige un modello generalista di salute mentale. Metodi. Il campione è costituito da 3446 studenti universitari. Sono stati somministrati contestualmente: un questionario esplorativo, la scala SVS per la valutazione dello stress percepito e il GHQ-12 per la valutazione del disagio mentale. È stata condotta un’analisi descrittiva seguita dalle correlazioni tra l’unexpressed help-seeking e le altre variabili. È stata effettuata una regressione logistica sul sottocampione con punteggi GHQ-12 ≥4 utilizzando la richiesta d’aiuto inespressa come variabile dipendente. Risultati. Il 46,8% del campione ha avuto un punteggio GHQ-12 ≥4. L’unexpressed help-seeking è pari al 63,6% e risulta significativamente correlata a: sesso maschile, status di fuorisede, elevato punteggio SVS, assenza di servizi di salute mentale specificamente dedicati ai giovani adulti, sfiducia nei confronti dei servizi esistenti. Conclusioni. Una riorganizzazione dei servizi di salute mentale, nel senso della creazione di contesti più appropriati per utenti giovani, potrebbe portare a una riduzione della richiesta di aiuto inespressa.

PAROLE CHIAVE: help-seeking, giovani adulti, servizi di salute mentale, intervento precoce.


SUMMARY. Aim. Delays in the admission to care of young adults with emerging mental disorders represent one of the current major concern in psychiatry. This delay, often experienced in clinical practice, has several determinants. One of these is “unexpressed help-seeking” that is influenced by cultural and historical backgrounds and by the characteristics of the disorder itself, but most of all by the way community mental health services are developed. The aims are to identify: level of stress and mental unease and main determinants of unexpressed help-seeking within a community sample of young adults in a national contest of generalist community mental health model. Methods. the sample is made up of 3,446 university students. An explorative questionnaire together with SVS (Stress related Valuation Scale) for the assessment of subjective stress and GHQ-12 for the evaluation of mental health status were given. A descriptive analysis was carried out followed by correlations between unexpressed help-seeking variable and other variables. A logistic regression was carried out on the subsample with GHQ-12 ≥4 utilizing “non help-seeking” as a dependent variable. Results. 46.8% of the sample had a GHQ-12 ≥4 score. The amount of unexpressed help-seeking is equal to 63.6% and ends up being significantly correlated to: male sex, nonresident student, high SVS score, absence of Youth Mental Health Services, distrust manifested in relation to existing Services. Conclusions. A modification of the Community Mental Health Services in the sense of setting up more appropriate contexts for young users, could lead to a reduction of unexpressed help-seeking.

KEY WORDS: help-seeking, young adults, community mental health, early intervention.

INTRODUZIONE
Gli ultimi dieci anni hanno visto il fiorire di una letteratura scientifica che ha notevolmente contribuito a spostare l’attenzione degli psichiatri dalla difficile gestione di pazienti con sintomi conclamati, e molto spesso cronici, alla presa in carico di quanti sono, invece, all’esordio psicopatologico (1,2). Così, anche in psichiatria, le idee di prevenzione e di intervento precoce stanno assumendo grande importanza come strumenti efficaci per ridurre la prevalenza e l’incidenza delle malattie (3). A tal proposito, recenti studi attestano l’insorgenza del 75% dei disturbi psichiatrici gravi prima dei 24 anni (4), mentre lo studio condotto da Kessler et al. (5) aveva già evidenziato, nel gruppo di età compreso tra 18 e 29 anni, un tasso di prevalenza del 15,4% per il disturbo depressivo maggiore, del 30,2% per i disturbi d’ansia e del 5,9% per i disturbi bipolari. Molto spesso, inoltre, è stato osservato come un ritardo nella presa in carico dei pazienti (6), indipendentemente dai fattori che lo hanno determinato (7), rappresenti un importante fattore prognostico negativo (8). Per questi motivi, le ricerche che hanno per oggetto i giovani adulti (9) e che mirano a individuare i motivi per i quali essi troppo spesso ritardano la ricerca di un aiuto psichiatrico hanno suscitato un sempre maggiore interesse (10).
Entrando nel merito, diversi studi hanno messo in evidenza come solo una minoranza di giovani adulti con problematiche di salute mentale cerchi un aiuto specialistico: la percentuale di unexpressed help-seeking (richiesta di aiuto inespressa) nei giovani adulti si attesta infatti intorno al 60% (11), laddove il problema dell’accesso alle cure è un punto chiave nell’ottica dello sviluppo di strategie preventive e di intervento precoce. I fattori che influenzano questo fenomeno possono essere suddivisi in due categorie principali: la prima è relativa alle variabili socio-demografiche e cliniche del soggetto, la seconda, invece, è relativa alle caratteristiche dei servizi di salute mentale. Per quanto concerne la prima categoria, la percezione soggettiva di malattia e del bisogno di cure rappresenta il fattore alla base del help-seeking (12), ma spesso non è di per sé sufficiente a indurre un’effettiva richiesta di aiuto (13). Anche la tipologia e la gravità delle problematiche percepite svolgono un ruolo importante nella formulazione della domanda (14,15). Per quanto concerne la seconda categoria, ovvero quella delle “barriere” che ostacolano l’effettiva richiesta d’aiuto, alcuni studi sottolineano l’influenza negativa attribuita al costo delle cure (16), facendo quindi ipotizzare che, come luoghi idonei alla formulazione della domanda, siano preferite le strutture private e non quelle pubbliche esistenti, che a differenza delle prime non comporterebbero eccessivi oneri sul piano della spesa. Anche il sentimento di sfiducia nei confronti dell’intervento psicologico o psichiatrico si ripercuote negativamente sulla richiesta d’aiuto (17), tanto che genitori e amici sono preferiti agli addetti ai lavori (18). La disinformazione sui temi generali che riguardano la salute mentale, l’accessibilità ai servizi e il tipo di assistenza che gli stessi offrono rappresentano un’altra barriera implicata nel fallimento delle condotte di help-seeking (17). Si è visto, infatti, come brevi interventi psico-educazionali, volti a spiegare le possibili cause dei disturbi mentali e a mettere in risalto la responsabilità personale di ognuno nel chiedere aiuto, portino a un migliore atteggiamento nei confronti del help-seeking (19). Al contrario, l’idea che il disagio psichico sia una sorta di colpa individuale che possa essere controllata senza alcun trattamento porta a rifiutare il pensiero che sia necessario richiedere un sostegno per affrontarlo (20). Infine, l’ostacolo probabilmente più significativo all’accesso alle cure è rappresentato dalla paura di essere stigmatizzati dalla propria comunità di appartenenza (21).  
Tutti questi ostacoli sono influenzati da contesti culturali e storici, ma soprattutto da come i servizi di salute mentale vengono sviluppati. In questo senso è in atto un dibattito su quali siano le politiche e gli strumenti più efficaci per affrontare il problema dell’unexpressed help-seeking all’interno delle categorie degli adolescenti e dei giovani adulti con disturbi mentali all’esordio (22-24). A tal fine, due diversi modelli di servizi di salute mentale possono essere identificati: un modello “generalista” (25) in cui ogni servizio deve essere in grado di gestire qualsiasi richiesta di “impegno psichiatrico” con una netta differenziazione tra servizi per bambini e adolescenti e quelli per adulti; un modello “specialistico” o “sub-specialistico” in cui vengono sviluppati servizi specializzati per adolescenti e giovani adulti con disturbi mentali all’esordio (26). Mentre in molti paesi l’applicazione del paradigma incentrato sull’intervento precoce ha portato nelle ultime due decadi a riforme dei servizi di salute mentale, con lo sviluppo di servizi specializzati per i giovani (3,42,43), in Italia dopo le modifiche legislative del 1978, si è mantenuto un modello generalista, con una rete di Dipartimenti di Salute Mentale diffusa sul territorio nazionale, che offre un servizio sia ambulatoriale sia ospedaliero (27-28), e, a esclusione di qualche eccezione (25), sono ancora pochi i servizi specializzati nell’intervento precoce sui giovani adulti.
Questo studio, a partire dalle suddette considerazioni, focalizza l’attenzione sui giovani adulti e, in particolare, su una popolazione di studenti universitari, all’interno della quale si sono voluti esaminare i livelli di stress e di sintomi psichiatrici non psicotici e l’eventuale correlazione di questi con le condotte di help-seeking, in un contesto caratterizzato da un modello generalista di servizi di salute mentale.
METODI
Campione
Questo studio multicentrico è stato condotto su un campione di 3446 studenti. I partecipanti sono stati reclutati in due diverse università: la Sapienza di Roma e la Gabriele d’Annunzio di Chieti-Pescara. Il campione è stato valutato attraverso la somministrazione di questionari anonimi durante le lezioni. Assistenti appositamente formati erano presenti in aula per rispondere alle eventuali domande degli studenti, insieme a psichiatri o psicologi con specifica conoscenza degli strumenti e delle finalità dello studio. Il campione comprende tutti gli studenti disponibili al momento della somministrazione dei test, effettuata su base volontaria, durante l’anno accademico 2008/2009. Esso non può essere considerato casuale, tuttavia la sua ampia dimensione e un controllo sulle principali variabili strutturali rispetto ai valori della popolazione lo fanno ritenere altamente rappresentativo. Tutti i partecipanti hanno fornito il consenso informato.
Strumenti
È stato utilizzato un apposito questionario costituito da 19 domande a risposta multipla per indagare le variabili socio-demografiche e cliniche (età, sesso, provenienza, livello di istruzione dei genitori, clima familiare, delusioni sentimentali, esigenza percepita di supporto psi­co­lo­gico/psichiatrico, effettiva richiesta di aiuto, cause della mancata richiesta di aiuto, valutazione dei servizi psichiatrici presenti sul territorio).
Il livello di stress percepito è stato valutato attraverso la Stress-related Vulnerability Scale (SVS), test a risposta multipla composto da 13 item, ognuno con quattro possibili risposte che vanno da “niente affatto” a “molto”, corrispondenti a un punteggio che va da 0 a 3. Rispetto ad altri questionari già esistenti, questo strumento dà maggior risalto agli aspetti emotivi dello stress. La SVS è composta da tre sottoscale: Demoralizzazione (5 item), Tensione (5 item) e Ridotto Supporto Sociale (3 item). La scala risulta essere valida, affidabile, estremamente flessibile e di facile somministrazione, rendendola particolarmente adatta a collettivi statistici di media-elevata numerosità come nel caso campione preso in esame (11,29-31).
Il General Health Questionnaire-12 (GHQ-12) è uno dei più diffusi strumenti di screening autosomministrati per le malattie mentali di natura non psicotica, e indaga, in particolare, i sintomi ansiosi e quelli depressivi (32). La validità e l’affidabilità della sua versione italiana sono state confermate (33). La scala è costituita da 12 item a quattro risposte ed è stata utilizzata secondo il metodo GHQ, con punteggio binario 0011: un punteggio totale ≥4 è stato utilizzato come cut-off per l’identificazione di un disturbo mentale non psicotico (34).
Analisi dei dati
Le analisi sono state effettuate utilizzando il software Statistical Package for Social Science (SPSS) 13.0®. I dati sono stati inizialmente controllati per valutare i valori mancanti e la validità degli assunti di normalità, linearità e omogeneità. Precedentemente, è stata condotta un’analisi descrittiva delle variabili relative ai dati raccolti attraverso il questionario a risposta multipla, poi è stata condotta una correlazione univariata tra i punteggi ottenuti al SVS e al GHQ-12, e le altre variabili esplorate.
Infine, nel sottogruppo costituito dai soggetti con GHQ-12 ≥4, sono stati messi a confronto gli help-seeker con i non help-seeker, utilizzando il test del chi-quadro e il T-test per campioni indipendenti per valutare le differenze tra i due gruppi rispetto alle variabili socio-demografiche e psicopatologiche. È stata, inoltre, condotta una regressione logistica multivariata, al fine di identificare le variabili indipendenti che influenzano le condotte di help-seeking: la selezione delle variabili indipendenti da inserire nel modello regressivo finale è stata operata con metodica hierarchical forward e valore alpha =0,05 per la valutazione del test di Wald, utilizzato sulla variabile indipendente di volta in volta proposta dalla procedura forward per l’aggiornamento del modello.
RISULTATI
Caratteristiche socio-demografiche del campione
L’età media del campione è di 21,2 anni (σ ± 3,25), il 71,9% è composto da femmine e il 28,1% da maschi. Gli studenti fuorisede sono il 55,4%. Per quanto riguarda il livello culturale del contesto familiare d’appartenenza, il 32% delle madri e il 34,2% dei padri sono laureati. Il clima familiare viene descritto nel 55,5% dei casi come sereno, mentre nel 44,5% come conflittuale o molto conflittuale (Tabella 1).
Caratteristiche psicopatologiche del campione
Per quanto riguarda i punteggi ottenuti al SVS, sono stati identificati tre gruppi in base alla media e alla deviazione standard: low stress (83%), medium stress (12,9%) e high stress (4,1%). Inoltre, il 2,5% ha mostrato un livello di tensione patologico, il 2,3% un livello di demoralizzazione patologico e il 2% un livello di ridotto supporto sociale patologico (Tabella 1). È emersa una correlazione significativa tra livello di stress percepito e sesso femminile (p<0,0001), così come tra livello di stress ed essere fuorisede (p<0,0001). Infine, il livello di stress aumenta all’aumentare dell’età (p<0,05) (Tabella 1).
Per quanto riguarda i punteggi ottenuti al test GHQ-12, sono stati identificati due gruppi in base al cut-off ≥4: un primo gruppo con punteggio <4 (53,2%) e un secondo gruppo con punteggio ≥4 (46,8%). È emersa una correlazione significativa tra punteggi elevati al GHQ-12, sesso femminile (p<0,0001) ed essere fuorisede (p<0,0001) (Tabella 1). Infine, gli studenti che hanno avuto delusioni sentimentali nell’ultimo anno hanno punteggi più elevati al GHQ-12 (p<0,0001).
Condotte di help-seeking nel sottogruppo con GHQ-12 ≥4
Andando ad analizzare il sottogruppo con GHQ-12 ≥4, la percentuale di help-seeker è pari al 22,3%, il che significa che il 77,7% non ha effettuato una richiesta di aiuto specialistico pur avendo un punteggio alla GHQ-12 indicativo di un disturbo mentale non psicotico. L’help-seeking è significativamente associato al sesso femminile (p<0,05), a una conflittualità nel contesto familiare (p<0,05), all’essere fuorisede (p<0,05), e tende ad aumentare con l’aumentare dell’età (p<0,05). Per quanto riguarda le potenziali barriere che portano a non richiedere un aiuto specialistico, le principali sono il costo, la sfiducia e la paura di essere stigmatizzati (p<0,05); inoltre, il mancato help-seeking è significativamente associato all’assenza di servizi di salute mentale dedicati esclusivamente ai giovani adulti (p<0,05) ( Tabella 2). Per quanto riguarda le variabili psicopatologiche, le condotte di help-seeking sono associate al livello di stress percepito (p<0,05) (Tabella 2).
Infine, mediante regressione logistica multivariata, sono stati identificati i seguenti fattori favorenti la richiesta di aiuto (inducing factors): l’essere fuorisede, la maggiore età e il livello di stress percepito, e in particolare quello dovuto al ridotto supporto sociale. Mentre i fattori che scoraggiano la richiesta di aiuto (barrier factors) sono la paura di essere stigmatizzati, la disinformazione e l’assenza di servizi di salute mentale dedicati esclusivamente ai giovani adulti (Tabella 3).









DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Il 46,8% del campione preso in esame ha ottenuto punteggi alla GHQ-12 ≥4, indicativi della presenza di un disturbo mentale non psicotico, dato in linea con altri studi su campioni analoghi (35). Ciò non significa che tutti questi studenti siano realmente affetti da un disturbo mentale, ma che quantomeno si trovano in circostanze in cui una certa vulnerabilità, associata a fattori di stress ambientale, ha determinato un notevole livello di disagio mentale. Infatti, il 45,8% di questo sottogruppo ha sviluppato l’esigenza di ricevere un supporto psicologico o psichiatrico, alla quale però, il più delle volte, non è conseguita una reale richiesta di aiuto: solamente il 22,3% degli studenti in difficoltà si è poi effettivamente rivolto a uno specialista. Questi dati sembrano confermare che da un lato l’esigenza di supporto da parte dei giovani adulti risulta elevata, dall’altro la quota di help-seeker risulta in proporzione molto più bassa. Il dato riguardante la “domanda inespressa”, quindi, sembra essere in linea con altri studi sull’argomento: nel lavoro di Eisenberg et al. (21), il 30% del campione analizzato ha manifestato l’esigenza di un supporto specialistico, ma solamente il 50% lo ha poi richiesto. Anche il lavoro di Bergeron et al. (36) sottolinea come solo il 25% dei giovani con problematiche di salute mentale cerchi aiuto, e il lavoro di Blanco et al. (37) riporta che meno del 25% degli studenti di college con un disturbo mentale viene adeguatamente trattato. Questi dati sono confermati anche da una recente rassegna (38) e da ampi studi sulla popolazione generale, come quello condotto da Mojtabai et al. (39). Gli inducing factors dell’help-seeking, da parte dei giovani adulti con disturbi mentali all’esordio, sono stati un aumento del livello di stress, lo status di fuorisede e l’aumentare dell’età, dati anche questi in accordo con quelli ottenuti da altri studi (11,12,21). Al contrario, un elevato punteggio alla GHQ-12 è risultato avere una correlazione negativa, anche se non significativa, con l’help-seeking. Su questo possiamo speculare che la deriva sociale (essere fuorisede e avere elevati livelli di stress in particolar modo correlati al ridotto supporto sociale) sia un forte induttore per la richiesta di aiuto, mentre un intensificarsi della sintomatologia psichiatrica può amplificare l’effetto dei fattori  “barriera”. Le barriere su cui si sono infranti molti studenti con disturbi mentali all’esordio sembrano essere tutte legate alla tipologia dei servizi psichiatrici e all’opinione che gli studenti hanno di questi. Così, le variabili più strettamente correlate con la mancata richiesta di aiuto sono state la disinformazione e la stigmatizzazione, in linea con i lavori di Zivin et al. (12) ed Eisemberg et al. (21), e in minor misura la sfiducia e il costo, in linea con lavori di Schomerus et al. (40) e di Sturm et al. (16). Infine, l’assenza di servizi esclusivamente dedicati ai giovani adulti, come emerso anche in diversi studi precedenti (41), si è dimostrata avere un forte peso nell’alimentare la domanda inespressa.
Il nostro studio ha alcuni limiti comuni alle indagini di screening di questo tipo. In primo luogo, lo studio prende in considerazione solo la popolazione universitaria, anche se in altri studi con campioni di giovani non universitari della stessa età non sono emerse differenze sostanziali (37); inoltre, si può ipotizzare che i non help-seeker rappresentino una stima in difetto nella popolazione di giovani adulti non universitari, considerando che l’help-seeking aumenta di pari passo con il livello culturale. In secondo luogo, gli studi trasversali non consentono di attribuire alcuna direzione di causalità alle associazioni rilevate tra disturbi psichiatrici ed help-seeking. In terzo luogo, le informazioni sui dati socio-demografici, lo status clinico e la ricerca di aiuto si sono basati su test autosomministrati e non confermati da garanzie reali o da interviste strutturate; tuttavia, il numero ponderato degli studenti combacia strettamente con le iscrizioni annuali alle due università da cui sono stati selezionati.
Nonostante questi limiti, il nostro studio mette l’accento sul fatto che esiste una notevole quota di unexpressed help-seeking fra i soggetti giovani che vivono una condizione di intenso disagio mentale e di stress. Così, mentre l’esigenza di aiuto specialistico sembra direttamente proporzionale al proprio stato di sofferenza psichica, questa non corrisponde in modo altrettanto proporzionale alla richiesta di aiuto. Pertanto sembrerebbe che le condotte di help-seeking risentano in maggior misura di variabili non strettamente correlate allo stato di salute, ovvero variabili ambientali come quelle correlate alla realtà dei servizi di salute mentale. Inoltre, proprio i ragazzi con un più alto punteggio alla GHQ-12, associato con un decorso peggiore di malattia (42), sono quelli meno propensi a richiedere aiuto per il proprio disturbo.
Infine, ricordiamo che le principali barriere per l’help-seeking sono rappresentate dalle caratteristiche degli attuali servizi psichiatrici esistenti, dalla disinformazione e dalla paura di essere stigmatizzati. Questi dati appaiono particolarmente significativi dato che fanno riferimento al contesto italiano, nel quale, per ragioni storiche e culturali e a differenza di quanto accaduto in altri paesi nel corso degli anni (43,44), la psichiatria di comunità è stata strutturata su un modello generalista al fine di gestire al meglio sul territorio la prevenzione terziaria e in parte quella secondaria (27,28,45). Proprio quest’ultima osservazione rappresenta un’evidenza di quanto sia determinante, al fine di ridurre la domanda inespressa e i frequenti fenomeni di cronicizzazione, da un lato promuovere culturalmente un’immagine di malattia mentale suscettibile di cura,  dall’altro strutturare servizi psichiatrici in maniera più attraente per i giovani, maggiormente orientati verso le popolazioni giovanili, e quindi alla prevenzione primaria e alle prime fasi di malattia.
Ringraziamenti: gli autori ringraziano il prof. Federico Masini (Prorettore alle Politiche per la didattica della Sapienza Università di Roma), il prof. Luigi Frati (Magnifico Rettore della Sapienza Università di Roma), il prof. Gaetano Bonetta (Preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università G. d’Annunzio di Chieti-Pescara) e il prof. Michele Vacca (Preside della Facoltà di Farmacia dell’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti-Pescara), per il sostegno alla nostra ricerca.
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