L’embitterment: caratteristiche cliniche

The post-traumatic embitterment disorder: clinical features

CARLOTTA BELAISE¹, LETIZIA maria BERNHARD¹, MICHAEL LINDEN²
E-mail: carlotta.belaise@unibo.it

1Dipartimento di Psicologia, Università di Bologna
2Research Group Psychosomatic Rehabilitation, Departement of Behavioural and Psychosomatic
Medicine at the Rehabilitation Centre Seehof, Teltow, Berlin


RIASSUNTO. Introduzione. Nell’ultimo decennio il post-traumatic embitterment disorder (PTED) si è affermato nell’ambito della ricerca internazionale come una forma specifica di disturbo dell’adattamento che si sviluppa in seguito a eventi di vita negativi (conflitti sul posto di lavoro, licenziamento, morte di un familiare, divorzio, grave malattia). Le sue peculiarità sintomatologiche, il decorso cronico e le difficoltà di trattamento hanno permesso di considerarlo un quadro clinico con specifici criteri diagnostici. L’obiettivo di questo lavoro è descrivere le principali caratteristiche del PTED sia a scopo diagnostico sia a scopo terapeutico. Metodo. Un’attenta analisi della letteratura, che ha incluso anche la lingua tedesca, ha permesso di definire un preciso quadro psicopatologico del disturbo, la sua eziologia e la sua diagnosi differenziale rispetto al disturbo post-traumatico da stress, disturbo dell’adattamento e umore irritabile. Risultati e Conclusioni. Il PTED è un quadro clinico con caratteristiche specifiche che si differenziano dalle caratterizzazioni sintomatologiche attualmente più riconosciute. Il suo inserimento nei principali sistemi di classificazione diagnostica consentirebbe di affinare l’inquadramento diagnostico dei disturbi che si sviluppano in seguito a eventi di vita negativi.

PAROLE CHIAVE: post-traumatic embitterment disorder, embitterment, eventi di vita negativi, disturbo dell’adattamento, stress.


SUMMARY. Background. In the last decade, post-traumatic embitterment disorder (PTED) has been internationally recognised as a specific form of adjustment disorder which arises after severe and negative, but not life threatening, life events (conflicts at work, unemployment, death of a relative, divorce, severe illness). More recent research on its specific symptomatologic features, its chronic course, and the difficulties of treatment, have lead to the definition of distinct diagnostic criteria for PTED. The aim of this paper is to describe its main clinical features for both diagnostic and therapeutic purposes. Methods. The literature that is available allows to define specific psychopathological symptoms and etiology, and to distinguish PTED from post-traumatic stress, adjustment disorders and irritable mood. Results and Conclusions. PTED is a disorder with a specific psychopathological framework. The introduction of PTED in the diagnostic manuals of mental disorders would be of help to better diagnose the spectrum of disorders following negative life events.

KEY WORDS: post-traumatic embitterment disorders, embitterment, negative life events, adjustment disorders, stress.

Introduzione
Lo studio delle reazioni psicologiche in risposta a eventi di vita negativi è stato per lungo tempo, ed è tuttora, oggetto di notevole interesse sia nell’ambito della ricerca psicologica sia in quello psichiatrico.
L’ICD-10 (1) distingue i disturbi mentali dovuti a una reazione traumatica in 3 gruppi: il disturbo acuto da stress (F 43.0), il disturbo da stress post-traumatico (Post-Traumatic Stress Disorder, PTSD) (F 43.1) e il disturbo dell’adattamento (DA) (F 43.2). Inoltre, viene descritta una categoria che si riferisce a prolungati cambiamenti di personalità in seguito a un evento traumatico (F 62.1).
Il DSM-IV (2) riporta il PTSD e il disturbo acuto da stress all’interno dei disturbi d’ansia, mentre il DA viene identificato come categoria a parte.
Tra i disturbi che insorgono come reazione del soggetto a un evento stressante, il PTSD e il disturbo acuto da stress sono gli unici che hanno raggiunto una chiara definizione e un inquadramento diagnostico specifico e non ambiguo (3,4). Entrambi i quadri clinici si sviluppano in risposta a eventi e situazioni di vita particolarmente minacciose, anche se nel primo il decorso risulta essere più rapido (il disturbo dura minimo 2 giorni e massimo 4 settimane e si manifesta entro 4 settimane dall’evento traumatico, come evidenziato dal criterio F) e nel secondo è più protratto nel tempo (il disturbo ha una durata superiore a un mese, come evidenziato dal Criterio E) (5). Il PTSD è un disturbo dovuto all’esposizione diretta a un evento traumatico in cui il soggetto sperimenta o è testimone diretto di una situazione che comporta rischio di morte, lesioni gravi o minaccia all’integrità fisica o psichica, accompagnato da stati di intensa paura, sentimenti di impotenza e orrore (criterio A). Sintomi collegati sono la tendenza a rivivere l’evento traumatico sotto forma di ricordi ricorrenti e intrusivi, sogni spiacevoli, tendenza a rivivere l’esperienza sotto forma di flashback, disagio intenso di fronte a situazioni che ricordano l’evento (criterio B). Si manifestano comportamenti di evitamento degli stimoli associati al trauma (criterio C) e sintomi persistenti di aumentato arousal (criterio D). La durata è superiore a un mese (criterio E) e il disturbo causa una compromissione marcata del funzionamento generale dell’individuo (criterio F).
Anche se i criteri diagnostici per la diagnosi di PTSD (Criterio A) prevedono che vi sia uno specifico evento traumatico che determini la risposta traumatica, è stato osservato che il disturbo può svilupparsi anche in seguito a una varietà di eventi che non hanno rappresentato direttamente una minaccia alla vita del soggetto (6-8). Esempi possono essere la perdita del lavoro, perdita di una persona cara, divorzio, malattia grave. Sembra, perciò, che soddisfare il criterio A del DSM-IV per il PTSD non sia una condizione né necessaria né sufficiente per produrre una sintomatologia post-traumatica in quanto esistono anche altri eventi di vita che, sebbene non arrivino a provocare sensazioni estreme di paura, possono comunque essere all’origine di un’intensa sofferenza psicologica (9). Di fronte a eventi che non hanno significato una reale minaccia alla vita, è particolarmente importante cogliere il significato e l’intensità del vissuto per il soggetto, in quanto quello che può essere utile ai clinici nel procedimento diagnostico non necessariamente lo è per la piena comprensione delle problematiche del paziente.
Anche per quanto riguarda il DA, i fattori eziologici rivestono una particolare importanza, in quanto l’esordio di questo quadro clinico è attribuibile alla presenza di eventi critici chiaramente identificabili. Secondo i criteri del DSM-IV (2), per effettuare diagnosi di DA è previsto che i sintomi emotivi o comportamentali in risposta a uno o più fattori stressanti si manifestino entro 3 mesi dall’insorgenza del fattore (criterio A) e che i sintomi o comportamenti siano clinicamente significativi come evidenziato da uno dei seguenti criteri: 1) marcato disagio che va al di là di quanto prevedibile in base all’esposizione al fattore stressante oppure 2) compromissione significativa del funzionamento sociale, scolastico o lavorativo (criterio B). Inoltre, l’anomalia correlata allo stress non soddisfa i criteri per un altro disturbo specifico (criterio C) e i sintomi non corrispondono a un lutto (criterio D). Una volta che il fattore stressante o le sue conseguenze sono superati, i sintomi non persistono per più di altri 6 mesi (criterio E).
A differenza di altri quadri psicopatologici descritti nel DSM-IV (2) e nell’ICD-10 (1), il DA non è tuttavia identificabile come una sindrome a cui segue una descrizione dettagliata dei sintomi. Tale categoria risulta quindi imprecisa e soggetta a giudizi talvolta divergenti da parte dei clinici. Risulta innanzitutto poco chiaro come si possa operazionalizzare il concetto di “sintomi o comportamenti clinicamente significativi” riportato nel criterio B. Le difficoltà sociali, emozionali e lavorative, a cui va incontro un individuo con DA, non sono qualitativamente e quantitativamente definite. Strain e Diefenbacher (10), in una rassegna della letteratura sulle difficoltà di diagnosi del DA come definito nel DSM-IV, fanno emergere come principali criticità la scarsa definizione e descrizione clinica del disturbo, la frequente sovrapposizione dei sintomi con altri quadri diagnostici e una sintomatologia indefinita. Queste criticità sarebbero perciò responsabili sia di interventi clinici inadeguati sia di ricerche scarse o poco accurate. Inoltre, i criteri diagnostici dei principali manuali in uso specificano che non dovrebbe essere fatta diagnosi di DA nel caso in cui fossero soddisfatti i criteri per un altro disturbo. Questi aspetti contribuiscono perciò a rendere il DA una categoria residua (11). Infine, il DA ha un durata limitata nel tempo (i sintomi non persistono per più di 6 mesi, come evidenziato dal Criterio E), per cui, se il quadro psicopatologico persiste nel tempo deve essere presa in considerazione un’altra categoria dell’Asse I. Nel caso in cui il soggetto si sia trovato di fronte a un evento di vita che non ha significato una reale minaccia alla vita, ma che comunque ha comportato cambiamenti psicologici persistenti, è importante cogliere le specifiche reazioni, il significato e l’intensità del vissuto. In questo senso, né la categoria diagnostica del PTSD, né quella del DA sembrano cogliere tali aspetti, in quanto sono entrambe diagnosi che considerano primariamente la natura e l’intensità dell’evento esterno (12).
Post-traumatic Embitterment Disorder
A partire da queste premesse, il gruppo di ricerca tedesco guidato dal prof. Linden del Dipartimento di Medicina Psicosomatica dell’Università di Berlino e del Reha-Zentrum “Seehof” ha condotto, nell’arco di quasi dieci anni, numerosi studi in ambito clinico su una categoria diagnostica alternativa e specifica: il Post-traumatic Embitterment Disorder (PTED).
Nel decennio successivo alla caduta del muro di Berlino (1989), gli autori hanno osservato un aumento significativo di pazienti che, a causa di eventi che hanno comportato notevoli cambiamenti nella loro storia personale, manifestavano reazioni psicologiche intense e negative (13-15). Milioni di cittadini tedeschi, che vivevano nella precedente Repubblica Democratica Tedesca, si sono trovati costretti a riorganizzare completamente la loro vita. L’immigrazione dalla Germania dell’Est verso la Germania dell’Ovest ha avuto inizio subito dopo la caduta del muro e molti di questi immigrati sono stati a lungo mal visti ed emarginati dal contesto sociale in cui si erano stabiliti, a causa di evidenti differenze socio-politiche, economiche e culturali. Molti cittadini tedeschi hanno dovuto affrontare importanti cambiamenti anche dal punto di vista economico: chi precedentemente aveva ricoperto ruoli di prestigio nella società, si ritrovava improvvisamente senza alcun riconoscimento e con un presente da ricostruire. Inoltre, i cittadini della Germania dell’Est erano spesso ritenuti “cittadini di seconda categoria”. In un sondaggio pubblico condotto nel 2002, il 59% degli intervistati ha riconosciuto l’esistenza di grandi differenze tra Est e Ovest. Solamente il 20% riferiva di percepirsi cittadino della Repubblica Federale Tedesca a tutti gli effetti. Il 30% degli intervistati era andato incontro a un declassamento socio-economico (16), circa il 10% si era scontrato con seri eventi negativi e circa il 30% aveva una percezione fallimentare di se stesso (17). Mentre nell’immediato seguito della caduta del muro non si era verificato un incremento dei disturbi psicopatologici (18), negli anni successivi è stato osservato un aumento di gravi e prolungati stati di malessere psicologico, per i quali sempre più spesso venivano richiesti trattamenti. L’esordio del problema era spesso collegato a uno specifico evento percepito come frustrante, umiliante e denigratorio in seguito al quale il soggetto sviluppava un persistente e logorante senso di amarezza. Questa specifica reazione è stata successivamente osservata anche in altri soggetti e altre situazioni e non solamente in relazione all’unificazione tedesca. Il fattore scatenante per il manifestarsi di questa specifica sintomatologia era un evento particolarmente negativo (conflitto sul posto del lavoro, disoccupazione, morte di un familiare, divorzio, grave malattia o una situazione di perdita o separazione da una persona cara) che, seppur eccezionali nella vita delle persone, fanno parte della vita degli individui (15). L’evento critico, percepito dal soggetto come ingiusto e umiliante, poteva scatenare in breve tempo un profondo stato di amarezza, rabbia e perdita di speranza che comportava una progressiva compromissione in tutte le aree di funzionamento della vita. Non essendo il quadro psicopatologico di questi soggetti (per causa, decorso e sintomatologia) riconducibile a nessuno dei quadri diagnostici proposti dal DSM-IV e dall’ICD-10, Linden et al. (12) hanno proposto una nuova definizione, quella di PTED.
METODO
È stata condotta un’accurata analisi della letteratura pubblicata sul tema del PTED attraverso l’uso dei principali motori di ricerca scientifici (PsycINFO, PubMed, Google scholar) utilizzando le seguenti parole chiave: “post-traumatic embitterment disorder”, “embitterment”, “negative life events”, “stress”, “adjustement disorder”, “verbitterungsstörung”. Sono state prese in considerazione anche le pubblicazioni originali in lingua tedesca che hanno permesso un ulteriore approfondimento e integrazione alla letteratura già esistente in lingua inglese. Sono stati inoltre consultati documenti non pubblicati o in fase di pubblicazione che potevano avere attinenza e risultare di interesse per l’approfondimento del PTED (tesi di dottorato, atti di progetti di ricerca in corso). Questa ricerca ha consentito di definire un preciso quadro psicopatologico del disturbo, la sua eziologia e la sua diagnosi differenziale rispetto al PTSD, al DA e all’umore irritabile.
Risultati
Embitterment
La giustizia è un aspetto di fondamentale importanza pressoché per tutti gli individui. Situazioni che includono un vissuto di ingiustizia possono portare a forti reazioni emotive quali rabbia, ostilità, colpa e vergogna. L’embitterment (letteralmente= “amarezza”) è uno stato emotivo caratterizzato da una persistente e logorante sensazione di aver subìto un torto e di essere vittima di una profonda ingiustizia a cui seguono sentimenti di umiliazione, impotenza e desiderio di vendetta. Questo stato psicologico si sviluppa in seguito a eventi che il soggetto ritiene particolarmente ingiusti, umilianti e denigratori. È uno stato emozionale che in molti casi non cessa autonomamente, ma prosegue senza sosta. Si distingue da stati emotivi quali depressione, disperazione o rabbia nonostante possa condividerne alcuni tratti o svilupparsi contemporaneamente. Una persona può essere arrabbiata con un’altra persona o verso una situazione senza esserne amareggiato. A differenza della rabbia, l’embitterment si accompagna a un forte vissuto di colpa e alla sensazione di aver subìto una grave ingiustizia. La reazione psicologica è perciò una sensazione prolungata di amarezza, caratterizzata da sentimenti di sconfitta e di ingiustizia accompagnati dall’impeto di reagire ma dall’incapacità di individuare gli obiettivi adeguati per farlo. Si tratta di uno stato mentale persistente e duraturo nel tempo, in cui la persona richiama continuamente alla mente l’evento scatenante. Questo aspetto assomiglia molto al PTSD, per via dei frequenti pensieri intrusivi. La differenza rilevabile è che nell’embitterment i pensieri possono essere sia dolorosi e spiacevoli sia gratificanti, specialmente se accompagnati dall’idea che possa esser fatta vendetta per il torto subìto. L’embitterment è uno stato emotivo persistente che si intensifica nel tempo e in cui si può creare un circolo vizioso, in cui il soggetto è continuamente impegnato a rimuginare sull’evento scatenate. Ciò potrebbe esser dovuto al fatto che il soggetto sente il bisogno di convincere gli altri della gravità del proprio vissuto e di difendere la sua causa e il motivo della sua rabbia. Queste persone possono cambiare repentinamente umore e passare dalla disperazione a sorridere al pensiero che possa esser fatta vendetta. Lo spettro psicopatologico con cui tale emozione si manifesta è perciò molto vasto e complesso (13,15,19).
Il profondo stato di amarezza potrebbe anche rappresentare una difesa emotiva del soggetto in seguito alla difficoltà a esprimere i suoi reali sentimenti relativamente all’accaduto. Un rapporto ancora del tutto inesplorato è quello tra embitterment e inibizione affettiva, un concetto sviluppato nell’ambito della medicina psicosomatica, e ritenuto responsabile dello sviluppo di molte malattie mediche (20).
Fino a oggi il termine “embitterment” non è stato introdotto nella nomenclatura psicologica e psichiatrica dei dizionari di psicologia e nei principali manuali diagnostici. Sono state, inoltre, condotte pochissime ricerche su questo argomento. Nel linguaggio colloquiale quotidiano il termine ha assunto molteplici significati che non possono essere inclusi in un’unica definizione. Schaad (21) lo ha definito un “comportamento emozionalmente guidato e il termine viene ricondotto a un ampio spettro di emozioni, che vanno da ostilità/ odio/indignazione, alla delusione/pessimismo/sfiducia, fino a tratti di ossessività/dogmatismo/fanatismo”.
Pirachova (22) ha parlato di “embitterment” come conseguenza dell’aver subìto un’ingiustizia sociale. Zemperl e Frese (23) hanno rilevato questo stato emotivo in seguito a disoccupazione prolungata. Baures (24) lo ha riferito a soggetti che hanno vissuto situazioni di trauma estremo. Nel 2003, Linden et al. (13) hanno introdotto il concetto di PTED delineandone per la prima volta un quadro clinico completo e le sue conseguenze psicopatologiche.
Criteri diagnostici
In base alle considerazioni teoriche e all’esperienza diretta nella pratica clinica, Linden et al. (13) hanno messo a punto dei criteri diagnostici specifici per il PTED. Gli autori hanno definito il PTED un quadro psicopatologico la cui caratteristica fondamentale è il persistente e logorante senso di amarezza che si sviluppa in seguito a eventi di vita negativi. Ulteriore criterio fondamentale è la presenza, nella vita del soggetto, di un evento eccezionalmente negativo, seppur normale (conflitti o perdita del posto di lavoro, morte di una persona cara, divorzio, malattia grave o un’esperienza di separazione) ritenuti dal soggetto responsabili del suo stato di malessere. Caratteristica comune è che questi eventi sono percepiti dal soggetto come ingiusti e come un’offesa personale e rappresentano una violazione delle credenze e dei valori di base dell’individuo (15,19). La reazione psicologica che ne consegue è una sensazione prolungata di amarezza, in cui i sentimenti di sconfitta e di abbattimento si accompagnano al desiderio di reagire e di ottenere vendetta per il torto subìto. Il disturbo è quindi strettamente legato a un contesto specifico di insorgenza e si tratta di uno stato mentale persistente e duraturo nel tempo, in cui la persona richiama continuamente alla mente l’evento scatenante. Sintomi aggiuntivi sono la presenza di pensieri intrusivi e l’evitamento delle situazioni o degli oggetti correlati all’evento, sentimenti di colpa, rabbia, depressione, impotenza, sintomi fobici e somatici e ideazione suicidaria. Se il soggetto richiama alla mente l’evento, reagisce solitamente con acute risposte di attivazione emotiva ma, se distratto, l’affettività può risultare del tutto normale. La sintomatologia non è spiegata da un disturbo mentale preesistente, né da un disturbo di personalità e da eventi precedenti all’accaduto e il funzionamento del soggetto non risulta compromesso prima dell’evento. L’approccio diagnostico deve essere pragmatico. Si esclude la presenza di una patologia premorbosa o di un disturbo funzionale prima dell’evento critico, e si deve manifestare un significativo cambiamento rispetto ai livelli di adattamento precedenti. La durata del disturbo supera i 6 mesi e il funzionamento nelle attività quotidiane risulta compromesso (13).
Di seguito sono riportati i criteri diagnostici sviluppati da Linden et al. (13) in seguito all’osservazione clinica diretta dei pazienti (Tabella 1). Tali criteri sono stati suddivisi in principali e aggiuntivi, più un criterio temporale.
A partire dalla definizione dei criteri diagnostici, Linden et al. hanno sviluppato successivamente la PTED Self-Rating Scale (14), uno strumento autovalutativo non-diagnostico, utilizzato per rilevare l’intensità e la gravità dei sintomi di embitterment. La PTED Self-Rating Scale è costituita da 19 item, per ciascuno dei quali sono presenti quattro livelli di risposta possibile. Lo strumento è stato utilizzato dagli autori sia in ambito clinico sia in quello di ricerca, e un punteggio <2 è indicativo della presenza di sintomi di embitterment.




Studi di validazione
Il gruppo di ricerca guidato da Linden ha delineato e sviluppato il concetto di PTED a partire dall’osservazione clinica e dalle difficoltà emerse nel trattamento di questa specifica sintomatologia. Dopo la prima descrizione del quadro clinico del PTED (13), è stato condotto uno studio-pilota (12) su 21 pazienti che, in base alla valutazione clinica, presentavano uno spettro sintomatologico caratterizzato da una varietà di segni e sintomi psicopatologici non corrispondenti ad alcun quadro clinico noto. I pazienti, giunti all’attenzione clinica in seguito a un prolungato periodo di malattia, riferivano di aver vissuto almeno un evento critico che li aveva profondamente feriti e amareggiati tanto da comportare una compromissione significativa nel funzionamento generale. In ordine di prevalenza, i soggetti avevano subìto il licenziamento (38%), vissuto una situazione di conflitto in ambito lavorativo (24%) o in ambito familiare (14%), perso una persona cara (14%) e subìto altri eventi negativi (10%). Quasi tutti percepivano la situazione come profondamente ingiusta, si sentivano impotenti e incapaci di reagire di fronte all’accaduto e provavano sentimenti di tristezza e rabbia. Quasi la metà dei soggetti (43%) riferiva di sentirsi rassegnata dopo l’accaduto e riteneva che non avesse senso impegnarsi per migliorare la propria condizione di vita. L’81% dei soggetti aveva comportamenti di evitamento nei confronti di specifici luoghi e situazioni, e significative limitazioni nel funzionamento lavorativo (70%), sociale (65%) e familiare (57%). Questo studio preliminare ha consentito al gruppo di ricerca di Linden di affinare le caratteristiche cliniche del PTED e di definirne i criteri diagnostici ( Tabella 1).
In uno studio successivo (15), sono emersi dati ancora più specifici sul profilo psicopatologico del PTED. Lo studio è stato condotto su un campione di pazienti, ricoverati presso il Dipartimento di Medicina Psicosomatica del centro riabilitativo “Seehof” di Berlino, affetti da molteplici disturbi mentali. La maggior parte dei pazienti era stata inviata dal medico di base o dalle compagnie assicurative in seguito a un prolungato periodo di malattia e/o assenza dal lavoro. La valutazione psichiatrica, basata sui criteri diagnostici del PTED, è stata condotta da due professionisti (psichiatri e psicoterapeuti di maturata esperienza clinica), che hanno diagnosticato 50 casi (30 donne, 20 uomini) tra i 30 e i 61 anni (M=49,7) in un arco di tempo di circa 20 mesi. Il gruppo di controllo era costituito da un gruppo di pazienti di età e sesso simile per i quali era stata esclusa la diagnosi di PTED. Non vi erano differenze significative tra i due gruppi per status socio-familiare, mentre i due gruppi differivano significativamente per la situazione lavorativa. L’87,5% del gruppo di controllo aveva un lavoro stabile, rispetto al 46,9% del gruppo sperimentale. Tutti i soggetti della ricerca sono stati successivamente valutati in cieco da un altro professionista, attraverso la Mini International Neuropsychiatric Interview (MINI; German Version, 4.4) (25) e l’intervista clinica standardizzata per il PTED (26). Sono stati inoltre utilizzati la Symptom Checklist-90-Revision (SCL-90-R) nella versione tedesca (27) e la Impact of Event Scale (IES-R) nella versione modificata da Maercker e Schützwohl (28). In base ai risultati ottenuti dalla MINI, entrambi i gruppi, soddisfacevano i criteri per molti disturbi psichiatrici (tra cui episodio depressivo maggiore, depressione cronica, distimia, episodi maniacali, disturbo da attacchi di panico, agorafobia, fobia sociale, disturbo d’ansia generalizzato, dipendenza da alcool, tentativi di suicidio, disturbo post-traumatico da stress, DA, disturbi di personalità, ipocondria). I dati hanno evidenziato un’elevata comorbilità psichiatrica del PTED con altri disturbi tra i quali il DA (66%), depressione maggiore (50%), distimia (40%), disturbo d’ansia generalizzato (34%), tentativi di suicidio (20%), fobia sociale (18%), agorafobia (18%) e disturbo da attacchi di panico (12%). Tutti i pazienti hanno riferito la presenza di un evento negativo, percepito come ingiusto e offensivo, a cui era possibile attribuire il vissuto di malessere e l’assenza di benessere. L’evento ritenuto responsabile era nel 73% dei casi legato alla dimensione lavorativa, nel 12,5% a situazioni relazionali o familiari, nell’8% era attribuibile alla morte di una persona cara e nel 6% a una malattia. L’evento più frequentemente riportato riguardava la perdita del lavoro o situazioni di mobbing. Questi dati hanno confermato che gli eventi negativi legati al contesto lavorativo rivestono un ruolo importante nell’esordio di un quadro di PTED. Dai risultati ottenuti all’intervista clinica standardizzata per il PTED, è emerso che la durata del disturbo includeva un intervallo temporale dai 6 ai 144 mesi. In un terzo dei casi (31%) la durata della malattia ha superato i 2 anni e in 6 soggetti (12,5%) i 5 anni. Un’analisi più dettagliata dei sintomi ha consentito di rilevare che tutti i pazienti avevano avuto pensieri intrusivi e ricordi anche nei mesi successivi. Quasi tutti (98%) presentavano un persistente umore negativo e il 92% riferiva di sentirsi irrequieto e agitato in seguito all’evento. Il 77% evitava luoghi, persone e situazioni che potessero ricordare l’evento accaduto e il 75% mostrava rassegnazione e sentimenti di sconfitta. L’83%, oltre a una generale inibizione, riferiva di non avere più interessi. Nel 79% dei casi si presentava anche risveglio mattutino precoce. Nel 92% dei soggetti, se distratti, l’umore risultava normale. A livello di manifestazioni emotive, tutti i soggetti hanno riferito la percezione di ingiustizia in aggiunta ad amarezza (98%), collera (92%), incapacità di reagire (92%) e rabbia (85%). Inoltre, è stata riscontrata una generale riduzione delle attività sociali, quali attività lavorative (79%), attività del tempo libero (75%) e attività familiari (54%).
I dati hanno evidenziato significative differenze tra i due gruppi rispetto alla qualità e intensità dei sintomi psicopatologici. I risultati ottenuti dalla SCL-90-R hanno evidenziato che i pazienti con PTED presentano una sintomatologia marcatamente più grave rispetto al gruppo di controllo. Il gruppo sperimentale ha riportato punteggi significativamente maggiori nelle tre scale dei punteggi globali della SCL-90 (Global Severity Index, Positive Symptom Total, e il Positive Symptom Distress Index) come anche nelle nove sottoscale della SCL-90, con differenze significative in sette di esse. Le differenze più marcate sono state riportate nella sottoscala della somatizzazione (p≤0,001) e in quella della rabbia-ostilità (p≤0,001), in cui il gruppo sperimentale ha ottenuto punteggi significativamente maggiori. Il gruppo con diagnosi di PTED ha ottenuto punteggi significativamente più alti anche nelle sottoscale della IES-R (intrusioni, iperarousal ed evitamento). I dati dimostrano che i soggetti che in seguito a un evento negativo reagiscono con stati prolungati di amarezza possono sviluppare una grave sintomatologia psicopatologica. Questo sta a indicare che il PTED non è da considerarsi solamente un “problema” ma un quadro psicopatologico con caratteristiche ben specifiche che comporta gravi conseguenze nella vita delle persone. Questo studio ha riportato i primi dati empirici riguardo le caratteristiche cliniche del PTED, ancora poco esaminate in letteratura.
PTED e disoccupazione
Come emerso dai primi studi condotti da Linden et al. (12,15), gli eventi critici maggiormente associati allo sviluppo della sintomatologia del PTED risultano essere il licenziamento e conflitti in ambito lavorativo.
La crisi economica globale che ha investito negli ultimi anni la maggior parte dei settori produttivi ha portato a un significativo aumento del tasso di disoccupazione in molti paesi del mondo (29). La rottura del rapporto lavorativo con l’organizzazione, in seguito a licenziamento, include tre diversi tipi di attribuzioni: i lavoratori dipendenti attribuiscono più frequentemente la rottura del rapporto lavorativo a un’intenzionale inosservanza degli obblighi dell’organizzazione nei loro confronti ( reneging), mentre i datori di lavoro più frequentemente la attribuiscono a fattori economici o ad altri fattori esterni (disruption) oppure a una reale incomprensione tra il lavoratore e l’organizzazione stessa (incongruence) (30). Presumibilmente, è meno probabile che l’embitterment si sviluppi se la persona riesce a considerare il suo licenziamento come conseguenza di un fattore esterno (disruption) piuttosto che come un’ingiustizia subìta da parte dell’organizzazione (reneging) (29). Sensky (29) ha suggerito che due dei criteri per l’identificazione dei sintomi di PTED (Tabella 1) potrebbero presentarsi in forma diversa rispetto a come sono stati proposti da Linden et al.: il senso di colpa, provato dal soggetto, non è da intendere come una colpa verso se stessi (più tipica dei quadri depressivi) ma piuttosto come un’attribuzione di colpe ad altri per essere stati trattati ingiustamente. Un altro aspetto per cui il PTED potrebbe differire dalla sua originale definizione è relativo al fatto che non si è verificato un solo evento negativo responsabile dello stato psicopatologico del soggetto, ma si potrebbero esser presentati una serie di eventi con effetto cumulativo. Per poter includere in questo quadro diagnostico anche casi di questo tipo, sarebbe probabilmente più accurato parlare di embitterment cronico piuttosto che di embitterment post-traumatico.
Recentemente, Rotter (31) ha condotto uno studio preliminare su un campione di 102 soggetti (42 donne e 60 uomini) di età compresa tra i 19-61 anni (M=36,6) reclutati nella sala d’attesa dell’agenzia per il lavoro di Potsdam in Germania. Nei soggetti è stato valutato il benessere generale, i livelli di embitterment e come gli intervistati valutavano la loro condizione di disoccupati (unemployment appraisal). Per misurare il livello di benessere generale è stato utilizzato il General Health Questionnaire (GHQ-28) (32), mentre per misurare i livelli di embitterment è stata utilizzata la PTED Self-Rating Scale. Agli intervistati è stato inoltre richiesto di indicare su una scala a 6 punti come valutavano il fatto di essere disoccupati. Per quanto riguarda il GHQ, il 40,2% dei soggetti ha ottenuto un punteggio ≥6 che indica la presenza di alcuni disturbi psichici. I punteggi più alti sono stati ottenuti nella sottoscala dell’ansia/disturbi del sonno, seguiti da quelli relativi alla sottoscala della somatizzazione, del funzionamento sociale e della depressione.
Considerando i punteggi ottenuti alla PTED Self-rating Scale, il 54,9 % del campione presentava sintomi di embitterment. Il 25,5% ha invece riportato un punteggio ≥2 che indica la presenza clinicamente significativa di embitterment e l’8,8% dei soggetti non ha riportato alcun sintomo di embitterment. Al termine dello studio, essere disoccupati è risultato un evento positivo per il 10,8% degli intervistati, non ha avuto conseguenze negative per l’11,8%, ha avuto alcune conseguenze negative per il 16,7%, ha avuto conseguenze negative significative per il 12,8%, ha avuto gravi conseguenze per il 26,5% e per il 16,7% ha avuto conseguenze molto gravi. L’indagine ha evidenziato che età e durata del periodo di disoccupazione sono risultate statisticamente correlate con il punteggio ottenuto alla PTED Self-Rating Scale e alla valutazione soggettiva della disoccupazione, ma non con i punteggi ottenuti al GHQ-28. Considerando specificatamente il senso di ingiustizia in relazione al fatto di essere disoccupati (Item 3 della PTED Self-Rating Scale), sono emerse correlazioni significative tra l’età e la valutazione soggettiva della disoccupazione.  
I risultati di questo studio indicano che i sintomi di embitterment e sentimenti di ingiustizia sono frequentemente presenti nelle persone che vivono una situazione di disoccupazione lavorativa. Il modo in cui i soggetti hanno valutato la loro condizione di disoccupazione è risultato statisticamente associato al punteggio ottenuto alla PTED Self-Rating Scale ma non a quello ottenuto al GHQ. Ciò sembra confermare le ipotesi di Miller e Hoppe (33) secondo cui il malessere legato al fatto di essere senza lavoro deriva principalmente dal senso di ingiustizia e dalla percezione di aver subìto un torto. La relazione tra la durata della disoccupazione e la presenza di sintomi di embitterment suggerisce che questi ultimi tendono a crescere di intensità e ad aggravarsi in relazione alla durata della disoccupazione (34). Si tratta comunque solo di una correlazione e sarebbe necessario condurre studi longitudinali per chiarire se l’embitterment è la causa o la conseguenza di un periodo prolungato di disoccupazione.
PTED e conflitti lavorativi
Negli ultimi anni sono cresciute le richieste di aiuto medico-psicologico e di consulenze giuridico-legali da parte di soggetti coinvolti in conflitti in ambito lavorativo. Oltre che gli aspetti puramente medici (danni alla salute) vengono valutati anche gli aspetti psico-sociali più ampi come la qualità di vita, il livello di benessere, interessi e abitudini e i danni che il conflitto può aver recato alla vita della persona. Per gli specialisti di psicologia del lavoro è pertanto utile trovare strumenti oggettivi per distinguere diverse forme di conflitti e garantire accuratezza a livello diagnostico, così come per gli psicologi clinici è necessario ottimizzare le conoscenze a riguardo e migliorare il trattamento e la riabilitazione di questi pazienti (35). Soggetti vittime di conflitti sul posto di lavoro presentano frequentemente un ampio spettro di sintomi psicofisici come per esempio disturbi del sonno, mancanza di concentrazione, problemi nell’apparato gastro-intestinale, ansia, depressione e disfunzioni sessuali. Questi sintomi inducono spesso i professionisti a porre diagnosi di depressione, DA o PTSD e a intraprendere percorsi terapeutici non sufficientemente specifici e adeguati per il quadro psicopatologico presentato dal paziente.
Mosso dall’interesse per una maggiore accuratezza diagnostica, Ege (35) ha recentemente condotto uno studio in Italia su un campione di soggetti vittime di conflitti lavorativi (mobbing, straining e forme di conflitto non strutturato) con l’obiettivo di verificare se la diagnosi di PTED potesse essere adeguata per la spiegazione dei sintomi presentati dai soggetti. A questo scopo un gruppo di 118 pazienti che si erano rivolti all’associazione PRIMA (Associazione Italiana contro Mobbing e Stress Psicosociale) sono stati valutati con il Leymann Inventory of Psychosocial Terrorism (LIPT) (36) e con la PTED Self- Rating Scale. Il primo passo è stato quello di definire il tipo di conflitto in base a un modello per la quantificazione del danno da mobbing basato su 7 parametri (37). Secondo tale parametro, è risultato che il 16,1% dei soggetti era stato vittima di mobbing, il 54,4% vittima di straining e il 30,5% era stato vittima di altri tipi di conflitti (per es., dimissioni scorrette, stress dovuto a disorganizzazione, conflitti quotidiani). La seconda fase dello studio prevedeva un confronto dei risultati ottenuti con quelli ottenuti alla PTED Self- Rating Scale. 108 persone su 118 (91,5%) hanno soddisfatto i criteri per il PTED di cui il 94,7% era vittima di mobbing, il 92,1% vittima di straining e l’88,9% vittima di altre forme di conflitto sul posto di lavoro. I risultati hanno quindi evidenziato che persone vittime di conflitti sul lavoro molto spesso soddisfano i criteri diagnostici per il PTED presentando sentimenti di profonda amarezza e ingiustizia, livelli elevati di arousal, pensieri intrusivi, disturbi del sonno, umore depresso, perdita dell’autostima e sintomi psicosomatici. Gli uomini sembrano più predisposti a tale disturbo, così come le vittime di conflitti “strutturati” come il mobbing e lo straining.
Diagnosi differenziale
Considerate le elevate comorbilità del PTED con altri quadri clinici, Linden et al. hanno successivamente proposto riflessioni approfondite sulle principali diagnosi differenziali (15,38).
PTED e DA
In accordo con i principali manuali diagnostici (ICD-10 e DSM-IV-TR), la caratteristica essenziale del DA è lo sviluppo di sintomi emotivi e comportamentali in risposta a un evento stressante identificabile, caratteristica attribuibile anche all’esordio della sintomatologia del PTED (presenza di un evento di vita negativo). In entrambi i quadri clinici è perciò individuabile un fattore eziologico che risulta fondamentale per il processo diagnostico. Tuttavia, per il DA non sono indicati criteri per definire la qualità degli eventi negativi o il significato che questi assumono nella vita di un soggetto, nel PTED l’evento di vita negativo viene descritto dal soggetto come ingiusto. Per chi lo subisce, l’evento rappresenta un’offesa personale e a livello psicologico può essere compreso come una violazione delle credenze di base e dei valori del soggetto. Gli esempi di stressor che sono indicati nel DSM-IV e nell’ICD-10 come possibili cause di un DA (fine di una relazione sentimentale, significative difficoltà a livello lavorativo) possono esserlo anche per l’esordio di PTED. Nel PTED l’aspetto determinante però, non è tanto il tipo o la caratteristica dell’evento in sé, quanto piuttosto il grado di umiliazione e frustrazione che comporta per il soggetto. Inoltre, mentre il DA ha una durata limitata nel tempo e tende alla remissione spontanea dopo che sono state superate le conseguenze, la sintomatologia del PTED non sembra andare incontro a remissione spontanea.
PTED e depressione
Alcuni pazienti con PTED possono, al primo impatto, avere molti aspetti in comune con una sintomatologia di tipo depressivo. Linden et al. hanno infatti individuato un’elevata comorbilità con il disturbo depressivo maggiore (15) che, come noto, può essere determinato, come anche il PTED, da eventi di vita negativi (39). Roberts et al. (40) sostengono inoltre che la ruminazione mentale (pattern di pensiero e comportamento ripetitivo centrato sui propri stati mentali) possa aumentare la vulnerabilità per lo sviluppo della depressione. Inoltre, nella letteratura scientifica è stata progressivamente posta maggiore attenzione alla presenza nei quadri depressivi di dimensioni psicopatologiche quali irritabilità, aggressività e ostilità (41,42). Tuttavia, a differenza del disturbo depressivo, nel PTED la regolazione degli stati affettivi non risulta compromessa, in quanto i pazienti riferiscono di provare stati affettivi normali e positivi se distratti dall’accaduto. Nel caso di PTED c’è una relazione diretta tra un singolo evento negativo e l’esordio della sintomatologia rispetto alla diagnosi di depressione, in cui gli eventi negativi risultano piuttosto prolungati nel tempo oppure sono sintomi depressivi precoci a predire possibili eventi negativi futuri (43). Inoltre, oltre alla relazione diretta tra evento negativo ed esordio di PTED si osserva la presenza di pensieri intrusivi, evitamento fobico e rabbia che possono essere giustificati solo dalla presenza di un evento precipitante. Lo spettro emotivo del PTED si caratterizza anche per la presenza di rancore, pensieri vendicativi e scoppi di rabbia quando il soggetto ricorda l’evento, aspetti che non sono tipicamente presenti nei quadri depressivi.
PTED e PTSD
Elementi di somiglianza tra il PTSD e il PTED sono la natura reattiva dei sintomi, la presenza di pensieri e memorie intrusive, la tendenza a rivivere l’evento e le condotte di evitamento. Per fare diagnosi di PTSD la persona deve essere stata esposta a un evento traumatico che ha comportato una seria minaccia alla sua integrità fisica e psicologica. Dalla letteratura sono tuttavia emerse riflessioni, che devono ancora essere sufficientemente confermate, riguardanti il fatto che anche il PTSD possa svilupparsi in seguito a una varietà di eventi che non abbiano rappresentato direttamente una minaccia alla vita del soggetto (6-8). Nel PTED l’evento scatenante, seppur acuto e negativamente connotato, non ha comportato una minaccia grave alla vita della persona, ma può esser considerato un evento “normale” nell’arco della vita. Entrambi i quadri clinici sono caratterizzati da un vissuto definito dal paziente come “traumatico” al quale fa seguito una specifica risposta sintomatologica. Un importante elemento di distinzione è che per quanto riguarda il PTSD, l’evento elicitante scatena una risposta di panico e di intensa paura, per cui il disturbo è ben inquadrabile come un disturbo d’ansia, mentre la principale risposta emotiva in caso di PTED è l’amarezza e la sensazione di ingiustizia accompagnata a sentimenti di ostilità e rabbia. Il meccanismo patogenetico alla base del PTED, inoltre, non è riconducibile esclusivamente alle caratteristiche dell’evento in sé, ma emerge dalla relazione tra le credenze di base del soggetto e la loro violazione da parte dell’evento. La violazione, da parte dell’evento, di credenze e valori profondamente radicati nel soggetto costituisce un fattore fortemente traumatico a livello psicologico.
PTED e umore irritabile
Snaith e Taylor (44) hanno definito l’irritabilità come uno stato emotivo spiacevole caratterizzato da un ridotto autocontrollo; il soggetto può manifestare scoppi di ira che possono esprimersi sia a livello verbale sia a livello comportamentale. La durata di questa condizione è variabile e può andare da brevi episodi fino a manifestazioni decisamente più prolungate. L’irritabilità sembra inoltre uno stato d’animo indipendente dalle condizioni depressive e ansiose, sebbene possa presentarsi associata a numerosi disturbi psichiatrici sia di Asse I sia di Asse II (44). Più recentemente, l’umore irritabile è stato inserito tra le nuove “sindromi psicosomatiche” dei Criteri Diagnostici per la Ricerca in Psicosomatica (Diagnostic Criteria for use in Psychosomatic Research, DCPR), strumenti diagnostici elaborati da Fava et al. (45,46) allo scopo di sopperire alle lacune e alle carenze esistenti in questo ambito. Secondo i DCPR, l’umore irritabile può essere sperimentato sia per brevi periodi di tempo e in particolari circostanze sia come uno stato d’animo prolungato e generalizzato a più contesti. L’individuo fa molta fatica a controllare i propri comportamenti oppure manifesta degli scoppi d’ira sia a livello verbale sia a livello comportamentale. L’umore irritabile viene vissuto dal soggetto come esperienza spiacevole e le sue manifestazioni non producono quell’effetto catartico che, invece, caratterizza uno scatto di rabbia giustificato. Questo stato emotivo conduce a risposte fisiologiche legate alla condizione stressante e acutizza i sintomi di un disturbo medico.
Il sentimento che tipicamente accompagna il quadro psicopatologico del PTED è la rabbia sia nei confronti di se stessi sia verso gli altri, che si manifesta poi sotto forma di irritabilità e aggressività soprattutto nelle fasi iniziali di una terapia. In letteratura non esiste allo stato attuale la diagnosi differenziale tra PTED e umore irritabile, come definito dai DCPR. Tuttavia si deduce che, nonostante l’irritabilità rappresenti uno stato riscontrabile anche nel PTED, la sua peculiarità è la caratteristica sensazione di amarezza indotta dalla natura umiliante e frustrante dell’evento. Inoltre, seppure anche l’umore irritabile possa essere sperimentato per brevi episodi e in particolari circostanze, la rabbia tipicamente espressa dai soggetti con PTED è ricollegabile a un evento specifico che ha rappresentato una profonda violazione delle credenze di base del soggetto. I pazienti con PTED si percepiscono vittime di ingiustizia, e nel momento in cui percepiscono l’impossibilità di una vendetta adeguata, l’aggressività può diventare anche autodiretta e il senso di colpa può diventare il principale stato psicologico. Sia l’umore irritabile sia il PTED sono caratterizzati da stati d’animo vissuti dal soggetto come profondamente spiacevoli, ed entrambi rappresentano un ostacolo per la strutturazione dell’alleanza terapeutica. L’irritabilità può essere adeguatamente misurata tramite un’item della Clinical Interview for Depression (CID) (47), uno strumento clinico che valuta un ampio spettro di sintomi ed è particolarmente utile per la valutazione della sintomatologia depressiva, anche nelle forme subcliniche (48, 49).
Tuttavia, nei soggetti con PTED la difficoltà che si incontra soprattutto nel processo terapeutico è il rifiuto di ricevere aiuto oppure un risarcimento, in quanto ciò significherebbe per il paziente dimenticare o sminuire il torto che ha subìto. Rappresentando l’evento negativo una profonda violazione delle credenze di base, il soggetto esperisce una costante sensazione di minaccia che spiega la durata prolungata del disturbo.
Terapia
Dall’esperienza clinica di Linden et al., è emerso che i pazienti con PTED, generalmente, giungono all’attenzione clinica su invio dei medici di medicina generale dopo un prolungato periodo di malattia e per il progressivo cronicizzarsi dello stato psicopatologico. Il trattamento di questi pazienti si è dimostrato particolarmente difficile in quanto il quadro emotivo, caratterizzato da sentimenti di amarezza, coincide la maggior parte delle volte con il rifiuto di qualsiasi forma di aiuto. Inoltre, l’attitudine aggressiva e fatalistica tipica di questi pazienti impedisce di sviluppare prospettive alternative e di stimolare la volontà al cambiamento, rendendo il trattamento molto costoso in termini di tempo ed energia (15,29). Linden et al. (50,51) hanno sviluppato uno specifico approccio terapeutico rivolto al trattamento di pazienti con PTED, la Wisdom Therapy, che integra i principi della terapia cognitivo-comportamentale con specifici compiti per favorire le competenze legate alla saggezza. La saggezza è stata definita come la capacità delle persone di gestire e affrontare situazioni di vita particolarmente difficili e problematiche (52,53) e può essere considerata una “competenza” (come anche l’assertività o la competenza sociale) che aiuta le persone a meglio tollerare e a superare situazioni di vita particolarmente difficili. Il protocollo terapeutico basato sui principi della saggezza, come proposto dalla Wisdom Therapy in aggiunta a strategie per l’ incremento del benessere psicologico, è stato recentemente testato su un campione di pazienti affetti da PTED e confrontato con un protocollo cognitivo-comportamentale standard (54). I risultati hanno confermato un miglioramento globale della sintomatologia nei pazienti con PTED sottoposti al protocollo basato sulla Wisdom Therapy, anche se l’aggiunta di strategie orientate al benessere è risultato un ingrediente ridondante.
Ulteriori studi controllati di follow-up su campioni più ampi di popolazione potranno confermare il ruolo specifico della Wisdom Therapy per la prevenzione e il trattamento del PTED o del disagio psicologico legato a eventi di vita negativi.
CONCLUSIONI
Nell’ultimo decennio sono stati effettuati sforzi notevoli per identificare, definire nel dettaglio e portare sul panorama scientifico internazionale il PTED. Gli studi condotti in questo ambito hanno permesso di identificare in modo sempre più accurato e differenziato il suo quadro clinico caratterizzato da sintomi, comorbilità e decorso specifici. Le caratteristiche principali del PTED, quali la rabbia, l’amarezza, il costante rimuginare sul torto subìto, sono state associate a un aumentato rischio di conseguenze fisiche negative (55,56) e la natura intrusiva e cronica di questo disturbo aggrava il carico allostatico, un importante ed emergente concetto della medicina psicosomatica (57-60). La presenza di eventi critici significativi come anche l’effetto cumulativo di piccoli eventi quotidiani possono infatti superare le capacità dell’individuo di far fronte alle richieste di adattamento all’ambiente (omeostasi) e comportare un aumento dei parametri fisiologici collegati allo stress. La valutazione del carico allostatico è stata principalmente oggetto di interesse della fisiologia, ma, recentemente, sono stati proposti criteri clinimetrici per effettuarne la valutazione anche in ambito clinico (61). Le prime ricerche in ambito psicosociale hanno dimostrato quanto le conseguenze psicopatologiche del PTED possano influenzare il benessere individuale, sociale e lavorativo (62). Il decorso cronico, l’assenza dal lavoro che spesso ne consegue e la generale resistenza al trattamento rendono questo disturbo un quadro clinico estremamente complesso e con elevati costi sia in termini economici sia in termini di benessere individuale. L’embitterment può essere considerato un fenomeno dimensionale, come l’ansia o la depressione, che diviene patologico nel momento in cui aumentano intensità e durata, quando si accompagna ad altri sintomi e quando il funzionamento quotidiano è compromesso. Per questa ragione è necessario considerare che l’embitterment non si presenta solo nei quadri conclamati di PTED come risultato di un singolo evento negativo (come l’ansia presente nei quadri di PTSD), ma piuttosto si presenta articolato lungo un continuum. In questo senso l’embitterment potrebbe essere inteso: a) come un’emozione normale limitata in intensità e durata; b) una predisposizione a reazioni di questo tipo dovuta ad aspetti relativi alla personalità; c) un sintomo in relazione ad altri disturbi mentali; d) la conseguenza di una serie di eventi minori che si sono accumulati piuttosto che di un solo evento (PTED di secondo tipo) (31).
Data la rilevanza che questo disturbo potrebbe avere specialmente in seguito a conflitti in ambito lavorativo, licenziamento e disoccupazione, sarebbe auspicabile condurre ulteriori studi a scopo diagnostico, preventivo e terapeutico.
Nello specifico vi sono alcune questioni aperte che necessitano di essere approfondite.
Innanzitutto, è necessario approfondire la relazione tra gli eventi critici e la vulnerabilità individuale. Allo stato attuale si ritiene che il meccanismo patologico alla base dello sviluppo del PTED sia riconducibile alla relazione tra le credenze di base e l’evento critico esperito dal soggetto. L’inflessibilità delle credenze di base, che di per sé non rappresenta un disturbo, potrebbe essere un fattore di rischio per il PTED. Inoltre, sarebbe interessante comprendere se esistono variabili o tratti di personalità predisponenti per lo sviluppo dell’embitterment, che renderebbero le persone particolarmente sprovviste delle capacità di gestire situazioni di vita critiche e le difficoltà che ne conseguono.
Anche le caratteristiche degli eventi critici alla base dello sviluppo del PTED necessitano di essere approfondite così come il fatto che, come l’ansia nel PTSD, anche l’amarezza nel PTED non rappresenta l’unica risposta possibile agli eventi critici.
Specialmente negli ambiti lavorativi e in tutte quelle condizioni in cui il oggetto è coinvolto in situazioni caratterizzate da ingiustizia, offesa e danno personale, è possibile che si possa sviluppare il PTED. L’intento di Linden et al. è stato quello di dare attenzione clinica a una categoria di pazienti che presentano un quadro psicopatologico specifico, seppur limitato, ma spesso non riconoscibile o confuso con altri, e per il quale è stato spesso difficile fornire un adeguato sostegno terapeutico.
Ulteriori studi controllati condotti su campioni diversificati provenienti da altri paesi potranno contribuire ad arricchire la letteratura attualmente disponibile sul PTED.
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