L’omicidio. Profili comparatistici Italia-USA
Murder. Italy-USA comparative profiles

GEORGE B. PALERMO1, VINCENZO MASTRONARDI2
E-mail: vincenzo.mastronardi@gmail.com

1University of Nevada, Medical School Las Vegas. Medical College of Wisconsin and Marquette University Milwaukee WI, USA
2Cattedra di Psicopatologia forense, Dipartimento di Neurologia e Psichiatria, Sapienza Università di Roma


RIASSUNTO. Il lavoro, prendendo l’avvio da alcuni casi esemplificativi di tipologie omicidiarie, esamina le teorie universalmente accettate sul tema, che sono: 1) quelle sociologiche da Lorenz a Sutherland e Cressey, da Berkowitz a Wolfgang e Ferracuti e altri ancora; 2) quelle neurobiologiche, con coinvolgimento dell’area limbica, dell’ippocampo e dei lobi parietali del cervello; 3) quelle psicologiche (psicodinamiche) non disgiunte dalle tipologie dei singoli omicidi e dai relativi aspetti penali. Nella disamina delle tipologie di omicidio, vengono presi in considerazione gli omicidi familiari, extrafamiliari con i vari significati di vendetta, sfida, oppure per ragioni legate a rapine, furti, regolamenti di conti fino a giungere alle bande giovanili e ai drive-by-shooting degli adolescenti emarginati, nonché ai delitti legati al fenomeno droga e, non ultimi, ai disturbi mentali. L’infanticidio e l’omicidio multiplo, inclusi i serial killer e i mass murder, concludono il lavoro unitamente alle statistiche degli omicidi volontari e in famiglia in Italia in confronto con la maggior parte degli Stati degli USA, miratamente al Crime Clock.

PAROLE CHIAVE: omicidio, serial killer, mass murder, crime clock, profiling.


SUMMARY. This paper, through illustrative cases of homicidal typologies, examines the generally accepted theories on the subject: 1) sociological ones by Lorenz to Sutherland and Cressey, by Berkowitz to Wolfgang and Ferracuti and others; 2) neurobiological ones, which include the involvement of the limbic, hippocampal and parietal lobes of the brain; 3) the psychological (psychodynamic) ones which are not disjoint from the types of individual criminal homicide and related aspects. In the discussion of the types of murders, family and extrafamilial murders are then taken into consideration, with the various meanings of revenge, challenge, other reasons linked to robbery, theft, settling scores leading to youth gangs and drive-by-shootings of marginalized adolescents, crimes related to drugs and to mental disorders. Infanticide and multiple murder, including mass murder and serial killer, conclude the work together with the statistics of murders and family murders in Italy compared to USA, specifically to the crime clock.

KEY WORDS: murder, serial killers, mass murder, crime clock, profiling.

INTRODUZIONE
L’omicidio, se non si tratta di criminalità organizzata e di regolamenti di conti per ragioni, per esempio, di traffici illeciti, è la conseguenza di emozioni negative, quali paura, odio, ansia e rabbia, frustrazione e disperazione, gelosia e desiderio smodato di ricchezza, umiliazione e vendetta, repressione e risentimento, e in persone malate di mente con deliri di persecuzione, di grandiosità oppure mistici.
L’omicidio (dal latino homicidium, composto di homo, «uomo», e -cidium, dal tema di caedo, «tagliare, uccidere») è l’atto di sopprimere una o piu vite umane, massima manifestazione di violenza interpersonale. Rappresenta un fenomeno complesso, con molteplici cause; per comprenderne la genesi, sono state formulate numerose teorie esplicative, ma nessuna di esse appare in grado di fornire, da sola, una spiegazione esaustiva della violenza omicida.
Da un punto di vista epidemiologico, si riscontrano periodi con alti picchi omicidiari dovuti a diversi fattori. La frequenza degli atti omicidiari rispecchia non soltanto il carattere dell’omicida ma anche lo stato socioeconomico e morale della società in disamina.
Da un punto di vista storico, l’omicidio data sin dal principio della storia umana (vedi Caino e Abele), e attraverso i secoli è assurto da semplice metodo predatorio a mezzo di vendetta, non soltanto per l’uomo comune, bensì anche per i personaggi storici. Grandi scrittori, come Sofocle, Dante, Shakespeare, Dostoevskij, hanno immortalato l’omicida nelle loro opere.
LE TEORIE
Le teorie universalmente accettate sono le seguenti:
1. Teorie sociologiche
2. Teorie neurobiologiche
3. Teorie psicologiche (psicodinamiche)
• Tipologie dei singoli omicidi
• Aspetti penali
1. Teorie sociologiche
Le teorie che hanno cercato d’interpretare la violenza omicida sono assai diverse: Lorenz (1) parla di meccanismi di liberazione scatenanti l’aggressività; per altri, come Sutherland e Cressey (2) è determinante la cattiva influenza dell’ambiente sociale cui l’omicida appartiene, poiché la violenza si apprende dai violenti; secondo Berkowitz (3), invece, all’origine dell’aggressività vi sarebbe la frustrazione di un desiderio; per Wolfgang e Ferracuti (4) la tendenza omicida è parte della cosiddetta sottocultura della violenza, tipica di zone ghettizzate. Di fatto, dalle statistiche emerge che l’omicidio è piu frequente nelle grandi e medie città, dove lo stress puo scatenare impulsi violenti e quindi omicidiari, specialmente quando l’individuo è sotto l’effetto disinibente di droghe illecite e di alcol; comparirebbe, quindi, un forte nesso fra urbanizzazione e reati violenti. Anche se nessun ceto sociale ne è risparmiato, esiste invece un rapporto inverso fra lo stato sociale e la tendenza alla singola modalità omicidiaria: secondo molti autori, gli individui a rischio provengono da famiglie con problematiche di diverso genere, presentano difficoltà scolastiche e comportamenti antisociali, vivono in condizioni economiche scadenti, sono inclini all’uso della droga e dell’alcol, sono, insomma, dei disadattati e degli emarginati sociali (5,6). Questo rapporto fra classe socioeconomica bassa, emarginazione sociale e alta percentuale di reati violenti fu rilevato in Italia già alla fine del XIX secolo da E. Morselli ed E. Ferri. Altre correlazioni sono state attribuite a un livello scolastico scadente, alla mancanza di specializzazione e alla disoccupazione; inoltre, si è rilevato che gli indiziati di omicidio presentano una percentuale di matrimoni inferiore del 50% a quella del resto della popolazione (7). Sono ritenuti responsabili di circa la metà di tutti gli omicidi dolosi uomini giovani, di età compresa fra i 14 e i 34 ani. Spesso le donne agiscono nell’ambito domestico, dove subiscono soprusi e maltrattamenti e uccidono per difendersi dal marito o dal convivente.
Già nel 1988, Wilson (8) effettuò un’attenta disamina sul rapporto fra omicidio e parentela, quello che oggi viene catalogato nel capitolo “omicidio tra persone intime”, e riscontrarono un rapporto inverso fra omicidio e parentela, quantunque i casi intradomestici omicidiari diventino spesso notizia da prima pagina. Già riportò, infatti, che le vittime di omicidio da parte di parenti non superavano il 33% circa di tutti i casi di omicidio inseriti nelle statistiche nazionali USA. Ma, sorprendentemente, scoprirono che la maggior parte di questi omicidi non includeva consanguinei. Infatti, l’omicidio compiuto da persone conviventi nello stesso ambiente familiare era spesso commesso nei confronti di parenti acquisiti (moglie o marito, suoceri, ecc.), e l’omicidio tra consanguinei risultava invece in un rapporto di 1 a 10.
Abraham Maslow (9), psicologo e sociologo di fama internazionale, propose negli anni Settanta la sua teoria dei cosiddetti basic needs, ovverosia necessità fondamentali in ogni individuo per poter progredire verso una maturità sociale. Egli le elencò come fisiologiche (fame, sete, sonno, ecc.); sicurezza personale, bisogno di affetto, stima di se stesso e infine la possibilità di raggiungere il pieno sviluppo del proprio sé. Anche se questa gerarchia di stadi si riferisce allo sviluppo personale di un individuo, si può arguire che frustrazioni a ciascuno di questi livelli possano generare una gamma di reazioni antisociali, incluse quelle omicidiarie. In altre parole, la teoria di Maslow può rafforzare le teorie summenzionate come causa di violenza omicida. Infatti, l’uomo può uccidere quando è privato di quei mezzi necessari per la sua sopravvivenza, quando la sua sicurezza e quella della sua famiglia vengono messe a repentaglio, quando si sente rifiutato o tradito nei suoi affetti più cari; quando si sente non rispettato e disonorato. L’importanza del rispetto da parte degli altri emerge abitualmente fra i giovani detenuti nelle carceri americane e, se maltrattati da altri condetenuti o carcerieri, essi esprimono animosità rivendicativa, specialmente durante i colloqui psichiatrici, puntualizzando il tutto con: «I was dissed» («Non sono stato rispettato»).
Konrad Lorenz e Robert Ardrey (1) riportarono, dopo diversi studi sui primati, l’importanza di crearsi un rifugio, e perciò una casa, per se stessi e per il proprio gruppo, per difendersi in occasione di ogni invasione da parte di estranei. Ben sappiamo l’importanza di un proprio focolare e di uno spazio adeguato. Il sovraffollamento può dar luogo non soltanto a contenziosi verbali ma a volte a scontri fisici con conseguenze purtroppo letali. A volte coloro che coabitano, sia per fattori psicologici sia per ristrettezze economiche e mancanza di spazio, raggiungono stadi di esasperazione tali verso i propri familiari da giungere all’omicidio. L’importanza di uno spazio vitale è stata riconosciuta anche per lo stato di detenzione (40 piedi quadri o 3,7 metri quadri per ogni detenuto).
Sempre rimanendo in ambito sociologico, Colin Wilson (8) ha descritto il violento come il right man, ossia “l’uomo che ha sempre ragione”. Anche se si può supporre che il right man abbia dei tratti paranoicali, generalmente non si tratta di malato di mente ma di persona con un alto senso di amor proprio, un idealista, che purtroppo camuffa il suo senso di inferiorità facendo sua la strana logica di lesa persona, giustificando in tal modo il suo desiderio sfrenato di ottenere quel che desidera a ogni costo, usando anche atti violenti come espressione di affermazione di sé. Tale modello comportamentale in persone intelligenti, ma psicologicamente contorte, si evidenzia in molti casi di esplosione omicida.
2. Teorie neurobiologiche
Da un punto di vista neurobiologico, la violenza omicida è attribuita a disfunzioni neuroumorali a livello cerebrale, con coinvolgimento dell’amigdala, dell’ippocampo, dell’ipotalamo, dell’area preottica e dei lobi frontali del cervello. Vi contribuirebbero, inoltre, disfunzioni dei neurotrasmettitori come l’acetilcolina e la serotonina: quest’ultima sarebbe presente in modesta quantità nel sistema nervoso centrale. Si suppone, infine, che a livello cerebrale ci siano scariche limbiche di tipo epilettoide. Comunque, una predisposizione psicobiologica a situazioni ambientali è essenziale per lo scatenarsi della violenza.
La sindrome disfunzionale dei lobi prefontali non è infrequente nell’omicida. Si presenta con impulsività, mancanza di controllo, incapacità di modificare o inibire il proprio comportamento antisociale, mancanza di un corretto giudizio e incapacità di prevedere le consequenze del proprio operato, o di non tenerle in alcun conto (10).
Alcol, cocaina e, in genere, tutte le sostanze stupefacenti agiscono come cofattori scatenanti. Nel controllo dell’aggressività risultano di qualche efficacia i betabloccanti e la carbamazepina, poiché aumentano la serotonina a livello cerebrale, e in certi casi alcuni antidepressivi (fluoxetina, fluvoxamina), neurolettici (tioridazina, clotiapina, aloperidolo, clorpromazina), o anche sali di litio, alcune anfetamine e il ciproterone acetato (come antiandrogeno nel controllo dell’aggressività compulsivo-sessuale).
3. Teorie psicologiche (psicodinamiche)
Da un punto di vista psicologico e psichiatrico l’omicidio è la conseguenza di uno scompenso dell’omeostasi di un individuo, sotto stress interno o esterno. La mente umana ha la capacità di controllare i propri impulsi, i propri desideri inopportuni, le spinte negative che provengono dall’inconscio o dal preconscio. Karl Menninger (11) parlò di uno stato di omeostasi psicologica necessaria per mantenere un comportamento stabile, predicibile e socializzato. Purtroppo, a volte l’individuo non è capace di esercitare o non vuole esercitare questo controllo e manifesta quella che possiamo definire la “sindrome del discontrollo” e che si può tradurre in atti violenti (omicidiari), unici, o atti ripetitivi. Inoltre, è da tenere in considerazione che manifestazioni di violenza, generalmente, progrediscono attraverso il tempo. Ciò significa che da un semplice furto si può passare a un furto con scasso, durante il quale, per esempio, possono avvenire violenze sessuali e perfino omicidio, o da un semplice diverbio si può passare alle mani e dalle mani a colpi di arma (da fuoco, da taglio o corpo contundente), con lesioni gravi, fino all’omicidio preterintenzionale.
Fra i numerosi tratti di personalità riscontrabili in persone violente, e specialmente persone che sono a rischio di divenire omicidi, troviamo tratti quali: egocentricità, impulsività, narcisismo, ossessività e compulsione, paranoia, sadismo, aggressività, ambivalenza, labilità emotiva.
Questi si intrecciano in vari modelli di comportamento, rispecchiando il tipo di omicida, pur rispettandone la sua singolare personalità (12).
Tipologie dei singoli omicidi
Anche se la violenza omicida si scatena spesso nell’ambito familiare, la maggior parte dei delitti avviene al di fuori della famiglia. Gli omicidi possono avere origine da impulsi violenti, da desideri di vendetta o di sfida, o essere riti di iniziazione imposti da bande di quartiere, o avvenire durante rapine, furti, regolamenti di conti; in alcuni casi sono espressione ludica di violenza giovanile gratuita. Sono questi ultimi i delitti senza scopo, come i drive-by shootings (quelli, cioè, commessi sparando da una macchina in corsa), che, negli Stati Uniti, sono commessi spesso da adolescenti emarginati che vivono nei ghetti cittadini, dove il tasso di disoccupazione è assai elevato e frequente l’assunzione di bevande alcoliche e di stupefacenti o di sostanze psicodeliche, come l’hashish, la marijuana, la cocaina, il crack, l’estasi, ecc. Spesso l’omicida ha una condotta antisociale, caratterizzata da impulsività, rabbia, mancanza di rimorso, propensione alla menzogna; molti sono soggetti squilibrati, ansioso-depressi, paranoici o schizofrenici (13), oppure presentano disturbi psicotici, cognitivi o ritardo mentale. Il più delle volte gli omicidi sono commessi utilizzando un’arma da fuoco. Quest’ultima accresce lo stimolo aggressivo, e il binomio insicurezza personale e presenza di un’arma da fuoco è spesso letale, specialmente quando la persona è paranoica o in preda al panico.
I mezzi usati piu comunemente sono armi da fuoco, accoltellamento, percosse, strangolamento, veleno o gas, questi ultimi generalmente in casi in cui sono coinvolti i familiari.
Omicidio-suicidio per gelosia
Il piu frequente omicidio-suicidio di natura amorosa è quello in corso di delitto di gelosia paranoide, detto anche “complesso di Otello”. Tipicamente questo killer suicida è un uomo che convive con moglie, o amante, e figli, ha un rapporto sentimentale burrascoso, contraddistinto da violenza fisica e da frequenti separazioni e rappacificazioni; è depresso, a volte paranoico, affetto talvolta da alcolismo o da tossicomania, con propensione per l’azione impulsiva (acting out), ma senza precedenti penali. In genere, appartiene alla classe socioeconomica media. L’omicidio-suicidio non sempre viene portato a termine con successo, in quanto a volte l’autore sopravvive al proprio tentativo di suicidio. Altri tipi di omicidio avvengono nell’ambiente familiare.
Infanticidio
L’infanticidio, in molti casi, è compiuto dalla madre sofferente di nevrosi o psicosi paranoide, con una profonda ambivalenza verso il prodotto del concepimento o con un rapporto infelice con il partner.
Figlicidio, matricidio, parricidio
Il figlicidio può essere compiuto dalla madre o dal padre: nella madre spesso si riscontra una psicosi depressiva o schizoaffettiva e, nella paranoia, un delirio di tipo altruistico; il padre autore del figlicidio spesso soffre di depressione e il suo omicidio puo essere seguito dal suicidio e rientrare perciò nella sindrome dell’omicidio-suicidio. Nel matricidio spesso esiste una relazione simbiotica tra madre e figlio o figlia: se si tratta del figlio, sembra che egli tenti, con il gesto disperato, di liberarsi della sua dipendenza dalla madre che non gli ha permesso di “crescere” e di divenire autonomo. Nel parricidio, invece, il figlio, spesso adolescente, detesta il genitore in quanto lo recepisce come un’autorità restrittiva, punitiva, priva di manifestazioni d’affetto e di comprensione. Sia nel matricidio sia nel parricidio, intendendo per quest’ultimo non soltanto l’uccisione del padre ma anche quella di suoi consanguinei, l’autore del reato è frequentemente affetto da psicosi, schizofrenia, deliri paranoidei, da follia depressiva, o da psicopatia antisociale.
Omicidio multiplo
L’omicida multiplo uccide una o piu persone e il fatto viene commesso durante un periodo di tempo piu o meno lungo. In questo caso, le vittime non hanno una tipologia caratteristica. L’assassino spesso si accanisce sui cadaveri: è uno psicolabile, un ossessivo con delirio paranoideo, però non va confuso con un serial killer (14).
Gli omicidi multipli si dividono in: spree killer, serial killer e mass killer (12,15,16). Lo spree killer uccide un numero indefinito di persone di diversa età, di diverso sesso, spesso a lui sconosciute, in luoghi diversi, durante un lasso di tempo di giorni o settimane. Non dimentichiamo che la traduzione della parola spree è “baldoria”. Un classico esempio è fornito dal film Arancia meccanica. Altro esempio è dato da Andrew Cunanan, l’omicida dello stilista Gianni Versace che, dal 27 aprile al 1 maggio, si dedicò a una vera orgia omicidiaria uccidendo 5 persone in quel lasso di tempo e in diverse città rientrando nella categoria degli “assassini compulsivi”, i quali si distinguono in quanto è come se fossero colti da un raptus omicida.
Il serial killer è per lo più, ma non sempre, un giovane di età compresa tra i 22 e i 34 anni. Non è affetto da sindrome schizofrenica paranoica con deliri ben sistematizzati, e neppure da malattia bipolare, se non nel 5% dei casi dei serial killer disorganizzati. Egli soffre di disturbi della personalità di tipo misto, con aspetti antisociali, ossessivo-compulsivi, sadici, feticistici, borderline e necrofilici, e può presentare dipendenza da alcol. I serial killer si possono distinguere secondo la classificazione fornita dall’FBI (Federal Bureau of Investigation) (17) in cinque tipi:
1. il visionario, che uccide, in modo bizzarro e disorganizzato, in seguito a ordini ricevuti da allucinazioni uditive (le cosiddette voci, spesso provenienti da Satana) o in preda a deliri paranoidei;
2. il missionario, che crede fermamente di essere stato scelto per il compito di eliminare dal mondo persone indesiderabili (prostitute, vagabondi, o spacciatori di droga) e nella sua convinzione paranoide ritiene quindi di eseguire una missione utile alla società;
3. l’edonista, che prova invece piacere nell’uccidere, in quanto l’omicidio in sé e per sé gli procura una sensazione così piacevole da essere simile a un “orgasmo emotivo”;
4. il lussurioso (lust killer), che è interessato a un piacere di carattere meramente sessuale. Questo tipo di assassino vuole esercitare un controllo totale sull’altro essere umano, fino al punto da deciderne il destino. L’FBI statunitense classifica i serial killer lussuriosi in due gruppi: il primo è rappresentato da quelli “asociali disorganizzati”, abitualmente psicotici, caotici, bizzarri nel comportamento sessuale; il secondo è rappresentato da quelli “asociali organizzati”, che si distinguono per metodicità, accuratezza di esecuzione e astuzia, pienamente consapevoli della criminalità delle proprie azioni, nonché del loro impatto sulla società e desiderosi dell’eccitamento che deriva dalla pubblicità fornita dalle loro azioni omicide. Le fantasie giocano un ruolo importante nel comportamento di questi omicidi: infatti, elocubrazioni mentali e fantasticherie su futuri programmi distruttivi sono particolarmente frequenti. Il loro sadismo si spiega con l’arresto dello sviluppo psicosessuale o con la regressione a uno stadio pregenitale e preedipico. Il comportamento sadico, sia prima sia dopo la morte della vittima, sembra confermare la mancanza di freni inibitori e la profonda immaturità dei soggetti. Il numero dei delitti è generalmente molto alto per ogni serial killer, che può arrivare anche a decine di vittime. I delitti sono perpetrati contro uomini e donne. Generalmente c’è una tipologia di vittime, caratterizzata da tratti comuni quali l’età, l’apparenza esteriore, il comportamento. Il killer stesso ha la sua tipologia: relativamente giovane, come già detto, piuttosto intelligente, con un grado d’istruzione abbastanza elevato, capacità lavorative discrete, maniere civili e abilità nello stabilire relazioni con gli altri. La sua sessualità è distorta e pervasa da desiderio di controllo della vittima: spesso raggiunge l’orgasmo attraverso la feroce mutilazione del corpo di questa. I delitti sono metodici, programmati. Alle fantasie sessuali e al dominio sulla vittima s’intrecciano desideri di poter tenere con sé parti del cadavere come cimeli e ricordi, e spesso di dilettarsi a fotografare le vittime in posizioni sessuali oscene (firma). Il killer lussurioso a volte è antropofago: mangia parte dei corpi delle vittime. Il suo esasperato narcisismo trova gratificazione nei mass media e, raccontando il suo gesto criminoso, si alimenta di atteggiamenti reattivi di superiorità, compensando così il suo profondo sentimento d’inferiorità; egli vive, infatti, nel timore del rifiuto e dell’abbandono. Il killer è solo apparentemente razionale, poiché vive nelle sue fantasie di dominare e possedere sessualmente le sue vittime; è, inoltre, ostile, dedito alla menzogna, all’aggressività, è fondamentalmente incapace di adeguarsi ai dettami morali e sociali. Nell’ordinamento legislativo italiano questa categoria di omicidi risulta abitualmente imputabile in quanto caratterizzata da «anomalie del carattere [...] ma in possesso di quelle condizioni psicobiologiche richieste dalla legislazione vigente affinché l’azione del soggetto venga ritenuta come causa eticamente e psichicamente voluta» (sentenza della Cassazione italiana del 27 giugno 1969, e delle Sezioni riunite della Corte di Cassazione italiana n. 9163 del 25 gennaio 2005 depositata l’8 marzo 2005). La proposta di vizio parziale di mente da parte della difesa è raramente accettata.

Un’altra tipologia molto importante – sempre più frequente nella società occidentale – è quella del mass killer, che a volte fa seguire all’omicidio il suicidio. L’omicidio di massa, detto anche Berserk syndrome – dal nome del leggendario guerriero norvegese che combatteva con ira cieca (12,18) – consiste nell’uccisione intenzionale di più di una persona allo stesso tempo. I killer possono annientare la propria famiglia o innocui gruppi di persone, di solito in posti pubblici. Sono per lo più uomini di razza bianca, impulsivi, senza un programma preciso, in preda a “ruminazione” mentale, incuranti del pericolo e di essere catturati; sono, inoltre, dei frustrati narcisisti, ciclotimici, ribelli, psicolabili, spesso sofferenti di depressione agitata, consumatori, prima dell’atto omicida, di alcolici o di droga. Agiscono imprevedibilmente e sembrano spinti da un senso di disperazione, di vendetta e dal desiderio di notorietà. Il loro comportamento è un misto d’impotenza e di complesso del superuomo. Il più delle volte il loro gesto si configura come messaggio di protesta sociale per cui richiedono alla stessa società un “payback-time” o “ricompensa a posteriori”.
Aspetti penali
Si parla di omicidio quando un soggetto cagiona volontariamente la morte di un altro e l’uccisione non è sancita da leggi approvate dalla società. Dal punto di vista del diritto penale, si tratta di un delitto contro la persona. L’omicidio puo essere commesso con un’azione o con un’omissione, utilizzando mezzi sia fisici sia psichici (per es., provocare spavento, sofferenza psichica o dolore in un soggetto cardiopatico) o anche indiretti (per es., causare la morte di una persona aizzandole contro un cane). Possono sussistere alcune circostanze aggravanti relative: all’elemento soggettivo del reato (avere premeditato il delitto o avere agito per motivi abbietti o futili); alle modalità stesse dell’azione criminosa o ai mezzi usati (avere compiuto sevizie o atti di crudeltà sulla vittima, avere utilizzato veleni o altro mezzo insidioso); alla connessione con altri reati (avere commesso il delitto nell’eseguirne od occultarne un altro); alle caratteristiche dell’omicida (omicidio commesso dal latitante o dall’associato a delinquere per sottrarsi alla cattura o alla detenzione); ai rapporti tra il colpevole e l’offeso (aver commesso il reato nei confronti di ascendenti, discendenti diretti o di adozione). L’omicidio si dice preterintenzionale quando si cagiona la morte della vittima senza averla di fatto voluta. L’omicidio è invece colposo quando la morte è cagionata per negligenza, imprudenza o imperizia, oppure per violazione di leggi, regolamenti, ecc.; è doloso se l’uccisione della vittima è volontaria e l’intento dell’omicida era veramente quello di uccidere. Nell’ordinamento giuridico di alcune nazioni si parla di omicidi senza dolo e omicidi giustificabili: rientrano in queste ultime categorie l’esecuzione di una persona condannata a morte o l’uccisione in combattimento, a guerra dichiarata. La giurisprudenza della maggior parte delle nazioni del mondo sancisce che l’atto omicida non è imputabile (e quindi non punibile) quando una malattia incide sullo stato mentale dell’omicida al momento stesso del delitto; in questo caso, nella disamina metodologica della psicopatologia forense, si configura il quadro dell’incapacità di intendere e di volere.
Va considerato che, in tema di recidivismo, il criminale violento, a parere di molti criminologi clinici, anche dopo intense cure psicoterapiche e l’apparente acquisizione di un certo insight (conoscenza) della sua problematica psichica, tende il più delle volte a ritornare, una volta scarcerato, alla sua precendente attività criminale.
LE STATISTICHE E IL CRIME CLOCK (“orologio del crimine”) DEGLI OMICIDI VOLONTARI (2008) E DEGLI OMICIDI IN FAMIGLIA



I principali ambiti degli omicidi volontari
nel 2008 sono stati (EURES-ANSA) (19)
• Famiglia per il 28%
• Criminalità comune per il 22,1%
• Criminalità organizzata per il 20,9%
• Omicidi tra conoscenti per il 12,8%
• Lavori/rapporti economici 3,4%
• Abitazione/vicinato 2,8%
• Criminalità organizzata straniera 0,0%
• Non disponibile 10,0%
L’arma utilizzata (2008) (EURES-ANSA) (19)
• Arma da fuoco 38,3%
• Arma da taglio 33,6%
• Arma impropria 11,2%
• Percosse 3,8%
• Strangolamento 3,6%
• Soffocamento 2,2%
• Speronamento/investimento 1,9%
• Fuoco 1,4%
• Annegamento 1,1%
• Precipitazione 1,1%
• Veleno/farmaci 0,3%
• Altro 0,5%
Luogo del delitto (omicidi volontari 2008) (EURES-ANSA) (19)
• Abitazione 37,2%
• Centro abitato 23,6%
• Campagna 10,5%
• Locale pubblico 8,5%
• Posto di lavoro 5,6%
• Strada extraurbana 3,2
• Luogo isolato 2,4%
• Edificio abbandonato 1,9%
• Giardini/parchi/spiaggia 1,4%
• Stazione 1,0%
• Negozio 0,7%
• Ospedale/studio medico 0,7%
• Luogo ricreativo 0,5%
• Cimitero 0,5%
• Canale/discarica 0,2%
• Carcere 0,0%
• Altro 1,9%
• Non disponibile 3,6%
Area geografica (omicidi volontari 2008) (EURES-Polizia Criminale) (19)
• Sud e Isole 52,4
• Nord 31,8
• Centro 15,9
Il maggior numero dei delitti 2008 (30,6%) avviene tra le 18:00 e le 23:59.
Il giorno della settimana più a rischio si presenta il lunedì, con 97 omicidi sul totale (2008).
Il mese più a rischio è gennaio (11,1%); seguono a distanza scalare gli altri mesi fino a dicembre.
Scena del delitto: delitto in autoveicolo (10,6%), occultamento di cadavere (5,1%), cadavere nudo o parzialmente nudo (4,4%), scena del crimine alterata (3,4%), distruzione del cadavere (2,8%), cadavere legato (2,5%), overkilling (2,3%), cadavere mutilato (0,5%), vilipendio di cadavere (0,2%).
Età dell’autore: 25-34 anni (25,4%), 35-44 anni (21,1%), 45-54 anni (13,4%), 18-24 anni (12,8%), oltre i 64 anni (8,5%).
Disagio psichico dell’autore: totale 7,6% (depressione 2,9%, disturbo mentale non specificato 2,5%, in cura psichiatrica 1,0%, disturbi sessuali 0,6%, disturbo della personalità 0,4%, schizofrenia 0,2%).
Dipendenze: totale 2,5% (droga 1,2%, alcol 1%, gioco 0,2%).
Stili di vita: totale 4,8% (problemi economici 2,7%, senza fissa dimora 1,4%, estrema povertà 0,6%).
Comportamento dell’autore nell’arco di 48 ore: si allontana/si nasconde 33,1%, riprende la vita quotidiana 16,9%, rimane sul luogo del delitto 11%, si suicida 6,6%, si costituisce 5,8%, informa la polizia 5,4%, tenta il suicidio 2,3%, conflitto a fuoco 0,8%, ucciso nella sparatoria 0,4%.
Stato dell’autore in relazione all’arresto: arrestato 84%, costituito 14,9%, non ancora arrestato 0,9%.
Tempo di arresto dell’autore dell’omicidio: entro le 48 ore (59,1%), da 8 giorni a 1 mese (12,4%), da 3 a 7 giorni (11,7%), da 1 a 3 mesi (6,7%), da 3 a 6 mesi (5,8%), da 7 a 12 mesi (2%).
Percentuale su 100.000 abitanti degli omicidi volontari compiuti in Italia e negli Stati Uniti (2008)






In definitiva lo Stato con il più alto numero di omicidi volontari in fatto di frequenza è la California con 1 omicidio volontario ogni 4 ore, 5 minuti, 22 secondi (5,8 omicidi ogni 100 mila abitanti) (36.756.666 abitanti); il più basso è il North Dakota con 1 omicidio volontario ogni 121 giorni, 15 ore, 59 minuti e 59 secondi (0,5 omicidio ogni 100 mila abitanti) (641.481 abitanti).
Il più aggressivo sotto il profilo omicidiario è invece il Distretto della Columbia con 31,4 omicidi per ogni 100.000 abitanti a fronte di appena 591.883 abitanti.
L’Italia per fortuna, da sempre, si colloca al di sotto del North Dakota come percentuale di omicidi ogni 100.000 abitanti e a un’altezza similare come frequenza (Crime clock: ogni 14 ore, 20 minuti e 13 secondi) del North Carolina (14 ore, 30 minuti, 11 secondi).
Le città con la più alta percentuale di omicidi
per 100 mila abitanti in Italia
• Nuoro 9,9
• Crotone 6,4
• Reggio Calabria 6
• Vibo Valentia 6
• Ogliastra 5,2
• Catanzaro 3,8
• Caserta 3,1
• Foggia 2,3
• Grosseto 2,2
• Napoli 2
Nella fascia intermedia (da valori di 1,9 a 0,5) vi troviamo: Genova, Oristano, Savona, Pistoia, Enna, Lecco, Catania, Livorno, Benevento, Lodi, Gorizia, Rimini, Verona, Prato, Taranto, Sassari, Arezzo, Isernia, Trapani, Latina, Salerno, Milano, Siracusa, Pisa, Roma, Cosenza, Viterbo, Bari, Perugia, Avellino, Cagliari, Modena, Padova, Ferrara, Bologna, Firenze, Messina, Bergamo, Brindisi, Caltanissetta, Palermo, Parma, Torino, Varese, Como, Olbia, Cuneo, Pordenone, Brescia, Agrigento, Teramo, Ragusa, Reggio Emilia, Vicenza, Pavia, Vercelli, Cremona, Novara, Pesaro, Urbino, Ravenna, Potenza, Mantova, Biella, La Spezia, Belluno, Imperia, Lecce, Massa Carrara.
Per ultimi (da valori 0,4 a 0,0) vi troviamo: Terni, Campobasso, Piacenza, Pescara, Ascoli Piceno, Lucca, Venezia, Alessandria, Ancona, Bolzano, Frosinone, Trento, Udine, Treviso, L’Aquila, Trieste, Aosta, Iglesias, Rieti, Sondrio, Forlì, Cesena, Chieti, Rovigo.
L’OMICIDIO IN FAMIGLIA IN ITALIA (2008)



Area geografica
• Nord 45,6%
• Sud e Isole 32,7%
• Centro 21,6%
Profilo della vittima negli omicidi in famiglia (2008)
• Femmina 60,8% (maschio 39,2%)
• Tra i 25 e i 34 anni (77,4%), oltre 64 anni (66,7%), tra i 18 e i 24 anni (60,0%), tra i 45 e i 54 anni (59,3%), fino a 17 anni (57,1%), tra i 55 e i 64 anni (50,0%), tra i 35 e i 44 anni (46,4%)
Profilo dell’autore degli omicidi in famiglia (2008: dei 171 omicidi 159 autori sono stati individuati) 
Maschio (coniugato 37,7%)
Oltre i 64 anni (20,8%), da 25 a 34 anni (20,0%), da 35 a 44 anni (19,2%), da 45 a 54 anni (16,9%), da 55 a 64 anni (10,8%), da 19 a 24 anni (9,2%), fino a 18 anni (0,8%).
Femmina (coniugata 37,9%)
Tra i 35 e i 44 anni (24,1%), tra i 25 e i 34 anni e tra i 45 e i 54 anni (20,7%), tra i 55 e i 64 anni (13,8%), tra i 19 e i 24 anni (6,9%), oltre i 64 anni (3,4%), fino a 18 anni (0,0%).

• Maschio uccide femmina nel 92,6%; femmina uccide femmina nel 7,4%
• Maschio uccide maschio nel 67,8%; femmina uccide maschio nel 32,2%






L’arma del delitto (omicidi in famiglia) (19)
• Arma da taglio 36,8%
• Arma da fuoco 36,3%
• Arma impropria 9,9%
• Strangolamento 7,0%
• Soffocamento 3,5%
• Percosse 2,3%
• Precipitazione 1,8%
• Annegamento 1,2%
• Fuoco 0,0%
• Altro 0,6%
• Non rilevato 0,6%
Luogo degli omicidi in famiglia (19)
• Abitazione 77,8%
• Luogo isolato 6,4%
• Centro abitato 2,3%
• Campagna 2,3%
• Cimitero 2,3%
• Edificio abbandonato 1,8%
• Albergo 1,8%
• Ospedale/studio medico 1,2%
• Strada extraurbana 0,6%
• Stazione 0,6%
• Posto di lavoro 0,6%
• Centro d’accoglienza 0,6%
• Spiaggia 0,6%
• Informazione non disponibile 1,2%
Stanze della casa (19)
• Camera da letto 31,6%
• Immediate vicinanze 9,8%
• Salone 9%
• Cucina 7,5%
• Ingresso 4,5%
• Altri vani 3,8%
• Bagno 2,3%
• Pertinenza 0,8%
• Non rilevato 30,8%
Vittime di omicidio in famiglia in base
alla relazione con l’autore (19)



Disagio psichico dell’autore: totale 10,1% (disturbo mentale non specificato 4,4%, in cura psichiatrica 2,5%, depressione 1,9%, disturbo di personalità 0,6%, schizofrenia 0,6%).
Dipendenze: totale 2,5% (droga 1,3%, alcol 1,3%, gioco 0,0%).
Estrema povertà/problemi economici: 5,7%.
Comportamento dell’autore subito dopo l’omicidio in famiglia in base al sesso:
Maschio: si suicida il 20,8%, si allontana/si nasconde il 17,7%, rimane sul luogo del delitto il 16,9%, informa la polizia il 10,8%, riprende la vita quotidiana il 10,0%, si costituisce il 7,7%, tenta il suicidio il 6,2%, conflitto a fuoco lo 0,8%, altro 0,8%.
Femmina: rimane sul luogo del delitto il 27,6%, si costituisce il 13,8%, riprende la vita quotidiana e/o tenta il suicidio il 10,3%, si allontana/si nasconde il 6,9%, si suicida il 3,4%, altro 6,9%.
Stato dell’autore in relazione all’arresto: arrestato 61%, costituito 21,4%, suicidato 17,6%.
Bibliografia
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