Evoluzione, emozione, linguaggio e coscienza
nell’approccio postrazionalista alla psicoterapia
Evolution, emotion, language and conscience in the postrationalist psychotherapy
ADELE DE PASCALE
Dipartimento Scienze e Biotecnologie Medico Chirurgiche, Facoltà di Farmacia e Medicina, Sapienza Università di Roma

RIASSUNTO. Un approccio cognitivista costruttivista e postrazionalista alla psicologia e alla psicopatologia, orientato in termini di processi sistemici complessi, sottolinea la stretta interdipendenza di processi quali l’evoluzione, l’emozione, il linguaggio e la coscienza. Con l’evoluzione si sarebbero specializzate e raffinate le emozioni – le cui basi biologiche condividiamo con i primati superiori – e con questo si sarebbe resa necessaria una sempre più astratta modalità di ordinare l’enorme mole di dati di cui il cervello poteva via via disporre. Le abilità cognitive radicate nella qualità emotiva della esperienza consentono, man mano che si sale nella scala filogenetica, forme sempre più complesse di riflessività, fino alla necessaria abilità di riconoscere l’intenzione dell’altro e di conseguenza di usare la possibilità di “mentire”. Il linguaggio – astratta abilità necessaria a fornire l’ordinamento di dati di esperienza sempre più numerosi, e probabilmente evolutasi a partire da competenze motorie – comporta di pari passo la possibilità, per un sistema conoscitivo, di avere coscienza di sé, e per far questo di doversi contemporaneamente “distaccare” da sé ovvero di dovere esperire una profonda condizione di solitudine. Ecco che il progressivo sviluppo delle abilità cognitive si lega alla possibilità di “ingannare” e di “autoingannarsi” di pari passo all’acquisizione di sempre più avanzati e ulteriori livelli di consapevolezza.

PAROLE CHIAVE: postrazionalista, evoluzione, emozione, linguaggio, coscienza.


SUMMARY. A complex system process oriented approach, in other words a constructivistic postrationalist cognitive one to psychology and to psychopathology, stresses the close interdependency among processes as evolution, emotion, language and conscience. During evolution, emotions, whose biological roots we share with superior primates, should be specialized and refined. Along this process should become necessary a more and more abstract way of scaffolding the enormous quantity of data a brain could manage. Cognitive abilities, rooted in the emotional quality of experience, allow – during the phylogenetic development – more and more complex patterns of reflexivity until to the necessary ability of recognizing other’s intention and consequently of lying. Language, abstract ability usefull to give increasing experiential data scaffolding, probably coming from motor skills development, brings at the same time the possibility, for a human knowing system, of self-consciousness: to do this it’s owed to detach from itself, that is experience a deep sense of loneliness. Here it is that the progressive cognitive skills development is linked to the possibility of lying and of self-deception as long as the acquiring of advanced levels of selfconsciousness.

KEY WORDS: postrationalist, evolution, emotion, language, conscience.
INTRODUZIONE
La scelta di dare alla mia presentazione lo stesso titolo del Convegno, da me organizzato insieme con il prof. Mario Reda, vuole indurre alla riflessione e sottolineare la stretta interdipendenza dei fenomeni e degli elementi citati e, al tempo stesso, come tale interdipendenza e sequenzialità evolutiva siano concettualizzate alla luce di un approccio cognitivista costruttivista e postrazionalista alla psicologia e alla psicopatologia, orientato in termini di processi sistemici complessi. Si vuole altresì rimarcare come a tutt’oggi questo approccio – di seguito brevemente descritto, prima degli sviluppi menzionati nel titolo – sembri essere il più promettente e in grado di raccogliere in modo coerente e ordinato il maggior numero di dati di cui disponiamo, provenienti dalle attuali numerose e complesse convergenze disciplinari.
L’APPROCCIO POSTRAZIONALISTA
ALLA PSICOTERAPIA
L’approccio postrazionalista prende forma per lo più nell’opera di Guidano (1,2), che è stato uno dei massimi teorici ed esponenti di quel cambiamento epistemologico che si realizza nel rendere «la conoscenza dal punto di vista di chi la possiede» metodo per la psicoterapia e modello concettuale per intendere lo sviluppo e la conoscenza individuale.
Con l’ampliamento della prospettiva epistemologica, empirista associazionista e tradizionale, e l’elaborazione di una psicologia del Sé che utilizza la cibernetica, la teoria dei sistemi, l’intelligenza artificiale, ovvero i settori emergenti della “rivoluzione cognitiva” esplosa negli anni ’70-’80 nel mondo anglosassone, Guidano arriva a formulare la nozione di identità personale intesa come un’organizzazione gerarchica di conoscenza, emozioni, percezioni e memoria, una vera e propria teoria strutturale del Sé e del mondo cosciente, in cui gli eventi del passato, del presente e del futuro si connettono in una sorta di continuum che si articola dalla normalità alla psicopatologia.
All’inizio degli anni ’80 si andava, inoltre, sempre più evidenziando la discrepanza tra la “linearità” logica dell’impostazione della psichiatria descrittiva e la “complessità” multiforme dell’esperienza umana che si incontrava nella pratica clinica, mentre in ambito cognitivista e relazionale si tentava un’integrazione delle ipotesi di sviluppo che vedessero l’interfaccia dei processi familiari con quelli individuali.
La convergenza interdisciplinare, che costituisce il paradigma della complessità (3), e che si stava verificando tra la 2a cibernetica, la termodinamica irreversibile, il pluralismo evolutivo, la scienza cognitiva, l’epistemologia evolutiva o naturale, ecc., cambiava in modo radicale la relazione tradizionale tra osservatore e osservato, permettendo l’elaborazione di un’epistemologia costruttivista: più che la rappresentazione di un ordine esterno, l’ordinamento della realtà – che comunemente chiamiamo esperienza personale – viene visto come la costruzione attiva e autonoma di un sistema, che plasma il suo proprio ordine interno a partire da un flusso di stimoli variabili e imprevedibili, definendo allo stesso tempo la sua individualità e identità come sistema: «Questa prende forma gradualmente nel corso dello sviluppo individuale, e […] ognuno di noi, pur vivendo in una realtà sociale “oggettivamente” condivisibile, costruisce attivamente, a livelli estremamente articolati, di ordinamento percettivo individuale, il suo punto di vista “dall’interno” assolutamente unico ed esclusivamente soggettivo» (2).
Quello che è ormai dichiaratamente un approccio cognitivista-sistemico vuole sottolineare ed evidenziare il ruolo fondamentale svolto dai processi attraverso i quali l’individuo – e con esso le sue funzioni cerebrali – per sua stessa natura, non può fare altro che costruire e attribuire alla realtà i suoi personali significati.
L’infanzia, la fanciullezza, l’età adulta, compresa la senescenza, costituiscono le diverse fasi di quello sviluppo irreversibile della vita individuale, caratterizzate dalle loro peculiarità organizzative, biologiche, affettive e cognitive, determinanti nella costruzione, nel mantenimento e nel cambiamento dei propri significati personali. Ed è qui che il cognitivismo sistemico trova uno dei più promettenti ambiti di integrazione con gli approcci tradizionalmente relazionali e con tutta la psicologia del Sé: come Scabini (4) aveva già sottolineato (da un’ottica psicodinamica), le fasi dello sviluppo individuale si integrano in modo coerente o discrepante con quelle dello sviluppo dei sovrasistemi familiari, contribuendo alla normalità o alla patologia.
La condivisione di una epistemologia sistemica, come premessa di un dialogo tra diversi modelli di intervento, consente una concezione relazionale e interattiva della formazione e dello sviluppo della mente nella quale è possibile ritrovare i presupposti epistemologici comuni ad alcune correnti della psicoanalisi (5) come a diversi modelli di molte altre aree della psicologia del profondo e della psicologia clinica (6,7). I processi cognitivi si articolano, nel corso dello sviluppo individuale, ordinando i vari sottosistemi di reazioni e di significati che costituiscono tutta l’identità personale, in uno specifico processo autoreferenziale di costruzione del significato personale.
Come in un sistema vivente, ciò che rende possibile la sopravvivenza è il mantenimento della sua organizzazione biologica; così per un sistema conoscitivo ciò che consente il più corretto funzionamento è il mantenimento della propria organizzazione o coerenza o identità.
Proseguendo la ricerca sui modelli di sviluppo e di dinamica del Sé, l’approccio postrazionalista si concentra verso l’elaborazione di un modello evolutivo e processuale della psicopatologia e sulla definizione delle corrispondenti strategie di intervento psicoterapeutico, arrivando così a definire le relazioni complesse tra emozione, pensiero e identità, nel corso della vita individuale, unitarie e instabili nel tempo, per la continua trasformazione dovuta all’incessante assimilazione dell’esperienza che si verifica nel corso della vita, in termini di “organizzazione di significato personale”. Gli scompensi clinici, nevrotici o psicotici, possono pertanto essere “riletti” come riorganizzazioni critiche, problematiche, che il significato personale può aver incontrato nelle varie fasi del ciclo di vita individuale.
Secondo l’approccio fin qui descritto e dalla posizione epistemologica che lo stesso consente, le attuali evidenze sperimentali sembrano far intravedere la possibilità di gettare un ponte fra la psicologia clinica e la psichiatria biologica, quando sottolineano il ruolo evolutivo dei processi di autoregolazione emozionale alla luce della condivisione del riconoscimento della natura interattiva della specie umana, e del ruolo di regolatori biologici svolto dai processi relazionali precoci durante lo sviluppo individuale, sulla base di evidenze scientifiche che provengono da ambiti disciplinari diversi (8).
EVOLUZIONE
L’ordinamento della realtà è un principio inerente alla dinamica della vita stessa e assume pertanto forme crescenti di complessità, e dunque di autorganizzazione, man mano che si procede lungo la scala evolutiva, fino all’acquisizione delle capacità di autodeterminazione, come pure della plasticità e apertura dei processi di sviluppo individuali umani.
La realtà dunque, come la qualità e le caratteristiche dell’autorganizzazione, sono il prodotto della relazione che il sistema stabilisce con il suo ambiente, quindi relative non solo alle caratteristiche biologiche, ma anche all’interazione.
Per non perdere l’enorme e indispensabile quantità di informazioni di cui ormai disponiamo – tra il livello genotipico e l’ultimo livello fenotipico di un organismo, e con uno specifico richiamo all’acquisizione di un fondamentale e comune punto di vista che focalizzi l’attenzione sulle somiglianze nel cervello, nel comportamento e nei vari tratti psicologici di base tra le specie di mammiferi, in accordo con Panksepp (9,10) –, auspichiamo la costruzione di un approccio capace di collegare la disciplina emergente della psicologia evoluzionistica ( evolutionary psychology) (11) con le limitrofe discipline scientifiche, quali la biochimica, la fisiologia, la genetica molecolare, la biologia dello sviluppo e l’analisi neuroscientifica del comportamento animale, per sottolineare come l’organizzazione biologica sia la continua attività dei sistemi neurobiologici.
Il contributo delle neuroscienze, estesosi ormai anche a temi quali la regolazione affettiva, la mentalizzazione, lo sviluppo del Sé, la coscienza e l’emergenza del linguaggio, fornisce le evidenze a quanto era stato fino a pochi anni fa di competenza esclusivamente filosofica; il meccanismo con cui le informazioni relative al mondo esterno e gli eventi che vi accadono sono organizzati comincia a essere oggi più chiaro.
Uno di questi contributi è per esempio quello relativo alla scoperta della plasticità cerebrale: questa è fondata sugli studi delle connessioni neurali che indicano come le cellule afferenti, dopo essere state danneggiate, possono produrre nuove connessioni basate su un processo chiamato di riorganizzazione sinaptica (12,13). Alleva e Francia (14) hanno ben studiato le neurotrofine, come il Nerve Growth Factor (NGF) e il Brain-Derived Neurotrophic Factor (BDNF), implicate nella neurogenesi, nella differenziazione, nella crescita e nel mantenimento di popolazioni selezionate centrali e periferiche di neuroni durante lo sviluppo e l’età adulta. Le neurotrofine, insieme con l’asse Hypotalamic-Pituitary-Adrenal (HPA), giocano un ruolo importante nel modulare la plasticità cerebrale e il comportamento di coping, specialmente durante i periodi critici della ontogenesi, ovvero quando il cervello è particolarmente sensibile alle stimolazioni esterne: gli eventi precoci della vita, come lo stress psicofisico, influenzano i livelli di NGF e di BDNF e inducono una disregolazione dell’asse HPA. Le prime esperienze della vita, dunque, possono influenzare lo sviluppo cerebrale contribuendo alla formazione delle differenze individuali nella vulnerabilità allo stress fino allo sviluppo di disturbi psichiatrici (15,16). L’interruzione della relazione madre-cucciolo produce cambiamenti neuroendocrini, neurochimici e comportamentali nell’organismo adulto, sebbene i meccanismi di base che sottendono tali cambiamenti non siano ancora del tutto chiari (17). Cambiamenti nei livelli dei fattori neurotrofici durante le fasi critiche dello sviluppo possono esitare in cambiamenti a lungo termine nella plasticità cerebrale e portare a un aumento della vulnerabilità all’invecchiamento e alla psicopatologia (18-20).
Sembra dunque, per dirla con Siegel (21), che la mente umana emerga dalle attività del cervello, le cui strutture e funzioni sono direttamente influenzate dalle esperienze interpersonali, da processi che modulano flussi di energia e di informazioni all’interno del cervello e fra cervelli diversi, all’interno delle interazioni fra processi neurofisiologici interni ed esperienze ambientali. Lo sviluppo delle strutture e delle funzioni cerebrali dipende dalle modalità con cui le esperienze, e in particolare quelle legate alle relazioni interpersonali, sempre più frequenti e complesse, nel corso dell’evoluzione filogenetica, influenzano e modellano i programmi di maturazione geneticamente determinati del sistema nervoso: le “connessioni/relazioni” umane plasmano lo sviluppo delle connessioni nervose che danno origine alla mente.
Il carattere relazionale comune a ogni forma di intersoggettività è inoltre sostenuto, a livello cerebrale, da reti neurali condivise, come i sistemi dei neuroni specchio (22). Mentre assistiamo al comportamento intenzionale degli altri, esperiamo uno specifico stato fenomenico di “consonanza intenzionale”. La simulazione incarnata (embodied simulation), meccanismo funzionale cruciale dell’intelligenza sociale, caratterizzata neurobiologicamente, è probabilmente il meccanismo più antico da un punto di vista evolutivo, fondamento di forme più sofisticate e linguisticamente mediate della nostra capacità di interpretare il comportamento altrui in termini di stati mentali.
Nell’uomo, l’attività specchio, dimostrata solo indirettamente, sembra riguardare un sistema neuronale ben più complesso di quello animale e interverrebbe nella capacità di imitare, nell’empatia, come pure nello sviluppo del linguaggio, ma con ogni probabilità nello stretto meccanismo che regola sia biologicamente sia psicologicamente lo sviluppo delle strette e precoci relazioni affettive fino forse, e addirittura, agli effetti pragmatici di una relazione e di come intervenga la relazione nel processo evolutivo così come in quello terapeutico (23-25). Osservando l’espressione facciale di qualcun altro, ne identifichiamo lo stato affettivo; l’emozione dell’altro è costruita, esperita e compresa attraverso una simulazione incarnata che produce uno stato corporeo condiviso dall’osservatore e che comprende l’attivazione di meccanismi viscero-motori, neurovegetativi e neurali (26), quasi a definire biologicamente l’usuale modo di dire: “teniamoci in contatto!”.
L’integrazione di diverse modalità di elaborazione delle informazioni in un insieme coerente e unitario può costituire uno degli obiettivi centrali dello sviluppo della mente durante il corso della nostra vita e dell’evoluzione. I rapporti interpersonali possono facilitare o inibire le rappresentazioni delle nostre diverse esperienze, e le relazioni che caratterizzano le fasi precoci dello sviluppo possono avere un ruolo fondamentale nel plasmare le strutture di base che ci permettono di avere una visione coerente del mondo: queste influenze sarebbero mediate principalmente dalla comunicazione di emozioni (21).
EMOZIONE
In accordo con il cognitivismo postrazionalista che sottolinea, a differenza dei cognitivismi classici, il primato delle emozioni rispetto alle cognizioni, le emozioni costituiscono processi centrali nelle attività del cervello e le capacità dell’individuo di organizzare le proprie emozioni – capacità che derivano, almeno in parte, dalle precoci esperienze di attaccamento/distacco – influenzano direttamente le modalità con cui la mente integra le varie esperienze e reagisce a successive situazioni di stress. I diversi meccanismi che la mente, in quanto sistema complesso, utilizza per coordinare e organizzare le sue attività costituiscono i processi di autoregolazione: quest’ultima è strettamente legata alla modulazione delle emozioni. Questo processo prevede la regolazione dei flussi di energia e di informazioni attraverso la modulazione degli stati di arousal e l’attribuzione di significati alle rappresentazioni cognitive derivate dalle esperienze. La regolazione delle emozioni si sviluppa inizialmente nell’ambito delle relazioni interpersonali, e si evolve nel corso della filogenesi, in un complesso processo di autorganizzazione che porta ad acquisire le capacità di organizzazione del Sé.
La condivisione del riconoscimento della natura interattiva della specie umana sottolinea il ruolo evolutivo dei processi di autoregolazione emozionale e quello di regolatori biologici svolto dai processi relazionali precoci nello sviluppo individuale.
Le situazioni di reciprocità, dunque, assumono la caratteristica di elementi centrali e ordinatori dello sviluppo, come viene evidenziato anche nelle numerose ricerche svolte su gruppi di primati antropomorfi (27-32).
In un contesto di reciprocità stabile e sicura anche le scimmie adulte, selezionate come famiglia di sviluppo, per neonati selezionati di ceppo ”ansioso”, mostrano alcune modificazioni biologiche: incremento delle concentrazioni di ormoni progestinici plasmatici e ricambio migliorativo del manto nelle femmine; aumento dei tassi plasmatici di ormoni steroidei con ripresa delle erezioni, della produzione di spermatozoi e ricrescita del pelo nei maschi (28).
Se si considera la conoscenza come un processo che si autorganizza, la spiccata propensione a strutturare un’intensa reciprocità emotiva con i genitori (caregivers) appare come il vincolo ontologico alla base di ogni possibile ordinamento dell’esperienza, sottolineando così il ruolo organizzativo e regolatore svolto dai processi emotivi e affettivi, primi fra tutti quelli di attaccamento nello sviluppo individuale.
Questa possibilità è data dall’opportunità di sviluppare, all’interno dei primi rapporti significativi (di solito quelli familiari), un senso di appartenenza e di similarità unitamente a un senso di separazione e di differenziazione o autonomia.
Le teorie dell’attaccamento studiano anche e soprattutto gli aspetti di regolazione biologica e di sviluppo neuronale, avvalendosi recentemente anche dei contributi provenienti dalle neuroscienze. I processi di attaccamento e distacco concettualizzano, dunque, la propensione degli esseri umani a stabilire e mantenere, più che la prossimità, un’intensa reciprocità affettiva con le figure significative e a stringere, con queste, forti legami affettivi che costituiranno la base degli stili affettivi adulti. Tali processi hanno luogo grazie alla partecipazione di sistemi comportamentali innati (per es., piangere, succhiare, ridere, aggrapparsi) e costituiscono nelle prime fasi dello sviluppo la maggiore fonte di informazioni per un sistema conoscitivo, umano, collocandosi come punto di integrazione tra l’innato e l’acquisito, come «sistema biologico di regolazione di tutte le relazioni strette» (33).
Il sistema dell’attaccamento è uno dei sistemi preprogrammati biologicamente che consente la sopravvivenza delle specie animali con crescenti livelli di complessità e durata fino a quella umana, le cui funzioni non si esauriscono nell’infanzia bensì caratterizzano gli stili affettivi dell’adulto e che accompagnano l’uomo in tutto l’arco della sua vita.
Alla formazione, al mantenimento e alla rottura dei legami affettivi significativi, sono collegate le emozioni basilari e l’importanza fondamentale di entrambi i genitori nel determinarne il corretto sviluppo. Alle modalità con cui si stabilisce l’attaccamento e il reciproco sistema del distacco, in età infantile e alle emozioni a esse relative, corrisponde la formazione di una struttura di personalità che parteciperà alle successive tappe di sviluppo (34-35).
A partire dalle primissime fasi dello sviluppo, la qualità dell’interazione si integra con le caratteristiche biologiche e le abilità emergenti nelle diverse fasi dello sviluppo. Dal punto di vista emotivo, a partire dalle prime sensazioni di base (o basic feelings, processi globali e diffusi, e come tali non facilmente decodificabili e controllabili) espressi attraverso i primi e rudimentali schemi espressivi motori (1), il bambino inizia la sua attività di conoscere e riconoscersi. Tali sensazioni di base devono acquisire, sul piano dello sviluppo anche neuronale, certe connessioni specifiche con le percezioni e le azioni per essere percepite come prime esperienze emotive individuali. L’emozione è un processo complesso che implica l’integrazione di molte componenti biologiche ed esperienziali e che dà la direzione alla qualità dello sviluppo cognitivo che, a sua volta, continua a influenzare l’emozione stessa in un complesso processo interattivo che accompagna tutta la vita.
Se l’ordinamento del mondo è inseparabile dal nostro esserci, allora esistere significa conoscere, e il significato è il modo in cui tale esistere diviene esperibile e valutabile: il significato è parte integrante dell’intera capacità di autorganizzazione, una sorta di comprendere ontologico in cui la recorsività percepita nel fluire della propria modulazione affettivo-psicofisiologica è riconosciuta e valutata in modo coerente come unitaria e continua nel tempo attraverso la strutturazione di categorie basiche di ordinamento capaci di produrre – vedi la nozione di autopoiesi di Maturana (36) – e assimilare (37) esperienze coerenti (1,2).
Gli aspetti qualitativi di questa ricerca di coerenza interna dipendono dalla struttura interattiva dell’esperienza umana per cui ogni senso di sé è legato all’esperienza di essere parte della consapevolezza degli altri (autostima).
Sembra, infatti, probabile che, con l’emergere delle abilità riflessivo-astratte, la tendenza dei primati per lottare per un rango sociale elevato si sia evoluta in un livello corrispondente di autoreferenzialità più astratta ovvero nel bisogno di mantenere l’autostima.
La costruzione dell’organizzazione dell’identità personale, ovvero l’insieme dei sistemi di significati personali, nel corso del processo evolutivo, dipenderà dal ruolo svolto dalle interazioni strutturate con gli altri significativi (i processi di attaccamento-distacco).
Ecco che al dispiegarsi dei processi emotivi si affianca l’attenzione e lo studio di quelli cognitivi che non sono primari bensì, sulla base di quelli emotivi, si radicano e si strutturano (38). «Nel campo della psicologia evolutiva e della psicopatologia, le emozioni e la loro modulazione sono viste come processi strettamente intrecciati: le emozioni sono regolate e al tempo stesso svolgono funzioni regolative; tutti i processi di elaborazione delle informazioni sono basati sull’emozione, nel senso che l’emozione è l’energia che dirige, organizza, amplifica e modula l’attività cognitiva e, a sua volta, costruisce l’esperienza e l’espressione di tale attività» (21).
Possiamo considerare dunque, come fa Siegel (21), l’emozione come un sistema di valutazione dei significati, e il cervello come un sistema complesso formato da circuiti neurali, «deve possedere meccanismi che gli consentano di determinare quali profili di eccitazione sono utili, neutri o dannosi; per poter coordinare le sue funzioni, deve essere capace di attribuire valori e significati».
La posizione paradigmatica della complessità è applicata allo studio di percorsi evolutivi in una sintesi efficace delle teorie dell’attaccamento con quelle dello sviluppo cognitivo di matrice piagetiana fino a tutti i contemporanei contributi delle scienze cognitive, primi fra tutti quelli relativi allo sviluppo delle abilità di metacognizione, come formulati da Fonagy et al. (39), ovvero la capacità di “vedere” i fenomeni e gli eventi dal punto di vista dell’altro. Questa capacità si fonda sullo sviluppo delle abilità di mentalizzazione (autoriflessiva e interpersonale), ovvero di quel processo attraverso il quale i bambini comprendono le menti degli altri e alla fine la loro stessa mente e in conseguenza del quale, dalla qualità affettiva della relazione con il caregiver, emerge il senso di sé di un bambino parimenti alla possibilità di distinguere fra realtà esterna e interna.
Così pure la capacità di modulare gli stati affettivi è strettamente legata alla mentalizzazione, tanto da poter supporre che l’attaccamento esista allo scopo di produrre un sistema rappresentazionale evolutosi come aiuto alla sopravvivenza, in quanto assicura lo sviluppo di quelle strutture cerebrali utili alla cognizione sociale e a equipaggiare l’individuo alla collaborazione con gli altri. L’attaccamento sembra funzionare come uno dei principali organizzatori dello sviluppo cerebrale e della mente umana (40-43).
Sorprendentemente, ciò che Virgilio (Bucoliche, Ecloga IV) aveva poeticamente scritto: «Incipe, parve puer, risu conoscere matrem» acquista oggi significato scientifico.
LINGUAGGIO
Soprattutto negli ultimi due decenni, l’idea tutt’altro che nuova – e che concorda con le “teorie motorie” della mente, coerenti con un approccio postrazionalista – di un’origine gestuale, e dunque motoria, del linguaggio ha raccolto nuovi e molteplici dati sperimentali che la sostengono, provenienti dalla paleontologia, dall’etologia, dalla neurofisiologia e dall’anatomia comparata, trovando molti sostenitori, specie nell’ambito delle cosiddette teorie sensori-motorie della produzione e della percezione del linguaggio. In accordo con Rizzolatti e Sinigaglia (22), l’individuazione di un meccanismo capace di realizzare un’immediata comprensione delle azioni altrui e lo studio comparato dei sistemi dei neuroni specchio nella scimmia e nell’uomo sembrano gettare luce sulle basi neurofisiologiche, oltre che dei vari tipi di imitazione, delle differenti modalità di comunicazione, consentendo così di delineare un possibile scenario sull’origine del linguaggio. Molti dei gesti comunicativi più diffusi tra le scimmie, come lo schioccare o il protrudere delle labbra (possibili antenati di suoni e vocalizzazioni), durante l’ingestione di cibo o di parassiti durante l’attività di grooming, sono il frutto di una ritualizzazione utile per l’affiliazione e il consolidamento delle alleanze all’interno di un gruppo, mentre molti neuroni specchio della bocca si attivano sia durante l’esecuzione di azioni ingestive sia durante l’osservazione di atti comunicativi oro-facciali. A questi si uniscono gesti e movimenti delle mani e delle braccia che già le scimmie usano a scopo comunicativo, lasciandoci la possibilità di ipotizzare che sia stata la progressiva evoluzione del sistema dei neuroni specchio, originariamente deputati al riconoscimento di atti manuali e oro-facciali, a fornire il substrato neurale necessario per la comparsa delle prime forme di comunicazione fra gli individui. In considerazione del fatto che le aree di Broca, notoriamente deputate al linguaggio, posseggono proprietà motorie non riconducibili solo a funzioni verbali e sono molto simili anche nella scimmia, gli autori suggeriscono che le origini del linguaggio andrebbero ricercate, prima ancora che nelle primitive forme di comunicazione vocale, nell’evoluzione di un sistema di comunicazione gestuale controllato dalle aree corticali laterali e che lo sviluppo del complesso sistema dei neuroni specchio abbia costituito una componente chiave nella comparsa e nell’evoluzione della capacità umana di comunicare, a gesti prima e a parole poi. Agli stessi sembra probabile che nel corso dell’evoluzione, la pressione selettiva per forme di comunicazione sempre più complesse abbia favorito lo sviluppo di un meccanismo neurale di controllo della fonazione altamente sofisticato, il quale a sua volta avrebbe consentito non solo di controllare l’emissione specifica dei suoni, bensì di creare un insieme sempre più ampio di combinazioni possibili, aprendo la via a un progressivo affrancamento del sistema vocale da quello gestuale. In ogni caso, è ragionevole ipotizzare che un tale processo sia stato caratterizzato da profonde trasformazioni corticali, riguardanti in particolare i centri motori deputati alla ricezione e alla produzione del materiale verbale (44-45). Lungi dal voler esaurire un tema così ampio e controverso, ma nel tentativo di fornire solo qualche spunto alla riflessione, sottolineando come in modo suggestivo molte attuali e condivise teorie si mostrino coerenti con una impostazione postrazionalista, numerosi dati sperimentali sembrano indicare che il lungo processo evolutivo che conduce al linguaggio sia stato scandito da una serie di tappe, ciascuna delle quali sembrerebbe legata allo sviluppo di un meccanismo, come quello dei neuroni specchio, in origine deputato – al servizio della sopravvivenza della specie – al riconoscimento delle azioni altrui e privo inizialmente di alcuna effettiva funzione comunicativa di tipo intenzionale (22). Solo in un ulteriore salto evolutivo, che lega il linguaggio alla comparsa della coscienza e con essa alla capacità di mentire (agli altri, come pure a sé stessi nel processo di costruzione del significati), questo raggiungerebbe forme e scopi sempre più astratti, compreso quello di narrare e di narrarsi per costruire e mantenere la coerenza e la continuità della coscienza e della propria identità, a partire dall’enorme e sempre crescente quantità di dati sensoriali ed emotivi che il cervello doveva organizzare e regolare.
Nel bambino, nel quale con ogni probabilità l’ontogenesi riassume la filogenesi, il primo linguaggio è un linguaggio emotivo. Trevarthen (46) mostra come il linguaggio materno (motherese) si incontri con il protolinguaggio dell’infante, fino a sintonizzarsi sulla stessa tonalità e seguendo gli stessi ritmi, nella intersoggettività della relazione madre-bambino, alla base della regolazione delle emozioni.
COSCIENZA
Attualmente la massima sfida delle neuroscienze, e di tutte le discipline psicologiche, sembra essere costituita dal tentativo di capire il modo in cui le strutture cerebrali producano la consapevolezza di sé, di come il cervello riesca a produrre una funzione astratta a partire da un’attività concreta. Denton (47) avanza un’ipotesi, su questo tema dibattuto fin dall’inizio del pensiero filosofico, che sembra molto vicina a un modo di vedere postrazionalista, ovvero orientato in termini di processi sistemici complessi: la coscienza si sarebbe progressivamente manifestata nel corso dell’evoluzione animale sotto forma di “emozioni primordiali” come la fame, la sete, il bisogno di aria, il desiderio sessuale (e forse più avanti i sistemi motivazionali quali il gioco e la cooperazione e tutte quelle attività che soddisfano e specializzano le abilità e le necessità di interazione), ovvero tutte quelle forme impellenti di attivazione-eccitamento che sono altamente funzionali alla sopravvivenza di un organismo, in quanto lo costringono ad agire. L’ipotesi avanzata da Denton che le emozioni primordiali costituiscano la prima comparsa della coscienza primaria lo induce ad approfondire quanto sostenuto da Damasio (38), ovvero che «l’emozione e l’esperienza dell’emozione rappresentano le espressioni dirette dei livelli più alti di bioregolazione negli organismi complessi» tanto da sottolineare come le emozioni e lo sviluppo dei loro processi di regolazione muovano il Sé verso stati funzionali sistemici sempre più complessi. Ancora Damasio distingue tra “coscienza nucleare”, la forma più semplice che fornisce all’organismo un senso di sé nel qui e ora, per un attimo, e la “coscienza estesa”, fenomeno biologicamente più complesso che possiede numerosi livelli di organizzazione ed evolve durante tutto l’arco di vita dell’organismo, partecipando a quella continuità che mantiene come tale il senso di identità personale. È evidente al lettore l’assonanza con quanto James prima e Guidano poi nel suo approccio post-razionalista aveva descritto a proposito del fluire della coscienza, come la continua reciprocità fra «Io e Me», ovvero tra l’immediatezza dell’esperienza e il continuo spiegarsela (2).
Un sistema conoscitivo umano dovrebbe dunque essere inteso come una complessità organizzata in modo autoreferenziale, la cui caratteristica di assoluto rilievo consiste proprio nella sua capacità di autorganizzazione. L’esperienza umana non è altro che il prodotto di questo processo di autorganizzazione che in termini evolutivi va avanti da milioni di anni.
La capacità di modulare emozioni e relativi stati di attivazione attraverso i cosiddetti “processi di regolazione affettiva” svolge un ruolo cruciale nelle attività interne dell’individuo, e molte patologie psichiatriche possono essere viste come disturbi di tali processi di regolazione; per questa ragione approcci terapeutici diretti ai vari livelli di attività del cervello e della mente possono essere essenziali per aiutare l’individuo a raggiungere forme di autoregolazione più equilibrate e funzionali, e la relazione terapeuta-paziente può in questo senso fornire “vincoli esterni” – e ormai anche modificazioni biologiche (48) – che contribuiscono a modificare le sue capacità e abilità di autorganizzazione.
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