CoViD-19 e stress da pandemia:
“l’integrità mentale non ha alcun rapporto con la statistica”

CoViD-19 and stress in the pandemic: “sanity is not statistical”

MASSIMO BIONDI 1* , ANGELA IANNITELLI 2
*E-mail: massimo.biondi@uniroma1.it

1 Dipartimento di Neuroscienze e Salute Mentale, Sapienza Università di Roma
2 Società Psicoanalitica Italiana (SPI) e International Psychoanalytical Association (IPA)

RIASSUNTO. La pandemia da CoViD-19 sta provocando delle conseguenze sulla salute mentale così gravi da spingere l’Organizzazione Mondiale della Sanità ad affermare che la tutela della salute mentale è la priorità assoluta in questa fase dell’evoluzione della pandemia. Alla luce di questa allerta, ciò che ci interessa affrontare in questo lavoro è la condizione specifica di stress da pandemia che sottende e precede i quadri nosografici descritti e in aumento in tutto il mondo, compresa l’Italia. Lo stress da pandemia è una condizione del tutto nuova rispetto a quanto a noi noto nella pratica clinica e descritto nelle classificazioni dei disturbi mentali, a causa di uno stato di stress perdurante e di una miscela di stress non convenzionale, che non colpisce solo il presente ma dissesta il futuro.

PAROLE CHIAVE: CoViD-19, SARS-CoV-2, coronavirus, stress, disturbi mentali, benessere.  

SUMMARY. CoViD-19 pandemic is causing serious consequences on mental health, consequences that are considered that bad that World Health Organization has affirmed that mental health defence is priority in this particular moment of development of pandemic. In light of this alertness, what we are interested in approaching in this work, is the specific stress condition caused by pandemic, which underlies and precedes the described classification of diseases and which is going towards an increase in the entire world, including Italy. The stress caused by pandemic is a new condition in comparison with what is known in clinical practice and with what is included in the classification of mental disorder. The ongoing stress condition and the mixture of different types of unconventional stress, which not only hits the present but also disrupts the future, create an entirely new form of clinical condition given by pandemic.

KEY WORDS: CoViD-19, SARS-CoV-2, coronavirus, stress, mental disorders, well-being.

«Si addormentò mormorando fra sé: “L’integrità mentale non ha alcun rapporto con la statistica”», scrive George Orwell, con le parole di Winston, e aggiunge: «… con la sensazione che in questa frase si celasse una profonda saggezza» 1 . Un romanzo distopico, “1984”, che descrive, in buona parte, l’atmosfera che stiamo vivendo in piena pandemia da CoViD-19. Come sempre, quando le parole non corrispondono alle cose, il perturbante si annida nelle nostre menti e il pensiero agonizza.
LO STRESS DA PANDEMIA
La pandemia da CoViD-19 2 , a partenza da un focolaio sviluppatosi a Wuhan, in Cina, nell’ottobre del 2019, e che ha visto i primi casi in Italia nel mese di gennaio 2020, oltre alle numerose morti e ai contagi (oggi, 12 maggio 2020, si contano nel mondo: 4.088.848 contagiati e 283.153 morti; in Italia: 221.216 contagiati e 30.911 morti), sta provocando delle conseguenze sulla salute mentale così gravi 3 da spingere l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ad affermare che la tutela della salute mentale è la priorità assoluta in questa fase dell’evoluzione della pandemia 4 . Obiettivo di questo lavoro è riflettere sulla condizione specifica di stress da pandemia 5 , che sottende e precede i quadri nosografici descritti e in aumento in tutto il mondo, compresa l’Italia, quali ansia, depressione e disturbi del sonno 6-8 .
Lo stress da pandemia è una condizione del tutto nuova rispetto a quanto a noi noto nella pratica clinica e descritto nelle classificazioni dei disturbi mentali (DSM-5) 9 . Non si tratterebbe, infatti, di un disturbo da stress post-traumatico, che invece sembrerebbe essere presente prima dell’insorgenza della CoViD-19 10 . Non è uno stress analogo a quelli riscontrabili in seguito a eventi estremi previsti nei manuali diagnostici, per es. i traumi da catastrofe naturale localizzata 11 , ma di uno stress individuale comunitario, “non convenzionale”, sospeso, subacuto, persistente, di una situazione stressante perdurante e perturbante , che può evolvere in modi subdoli (secondo picco?) e che si sviluppa attraverso diverse fasi, passando da uno stress acuto (allarme) a un successivo stress cronico , caratterizzato dallo sforzo di adattamento al rischio mortale di contagio che comporta, da una parte, uno sforzo psicosociale ed economico per resistere nella condizione di lockdown e, dall’altra, uno sforzo in primo luogo nella gestione dei danni e, successivamente, nella ricostruzione. La condizione di stress perdurante e di miscela di stress non convenzionale , che non colpisce solo il presente ma dissesta il futuro (“furto del futuro”), fanno dello stress da pandemia una condizione clinica del tutto nuova.



LE LEGGI PSICHICHE
Conoscere le “leggi psichiche” che regolano pensieri, emozioni e comportamenti può tornare utile nel normale fluire della vita; conoscerle, nella situazione di pandemia da CoViD-19, significa possedere strumenti indispensabili per dare ascolto alla propria realtà interna e ai propri vissuti, al fine di organizzarsi meglio, prevenire le situazioni di rischio e i momenti di sofferenza e, infine, per ricostruire.
Centinaia di ricerche condotte sullo stress umano hanno studiato le risposte adattative sia a eventi individuali (life stress events e traumi) sia di comunità (catastrofi e distruzioni) 12,13 , scoprendo risposte “medie” simili nelle popolazioni e, per contro, una certa variabilità inter-individuale dipendente dalla storia del soggetto, cioè dal peso differente giocato nella vita di ciascuno da diversi fattori concomitanti e agenti in serie parallele: fattori di rischio o protettivi; stili di risposta, di comportamento e di pensiero utili a fronteggiare la situazione stressogena o inutili o, alle volte, addirittura dannosi.
Il dato importante è che la “preparedness”, cioè l’attitudine con cui affrontiamo gli stressor, e la resilienza individuale e di comunità possono essere apprese, migliorate e potenziate, per affrontare i momenti di crisi, non solo nel lockdown ma anche nella fase di riapertura e di convivenza con il virus SARS-CoV, la cosiddetta “fase due” nella quale siamo da poco entrati.
GLI STRESSORS DELLA CoViD-19
Sono almeno tre le fonti di stressor legate alla CoViD-19:
1. Pandemia . Il 31 dicembre 2019, l’OMS viene informata della scoperta di una polmonite a genesi sconosciuta nella regione di Wuhan, in Cina, e il 30 gennaio 2020 dichiara l’esistenza di una situazione di emergenza internazionale di salute pubblica, annunciando, l’11 febbraio del 2020, il nome della nuova malattia da coronavirus: CoViD-19. La diffusione mondiale progressiva della malattia porta l’OMS, l’11 marzo 2020, a dichiarare la pandemia. La condizione di pandemia si prefigura come uno stressor in quanto comporta una minaccia invisibile e diffusa (rappresentata dai droplets ) di infettarsi, con il rischio di sviluppare una malattia a esordio improvviso, a evoluzione rapida e poco controllabile in alcuni casi, con morte per polmonite ma anche per interessamento di altri organi. Pandemia, termine che abbiamo usato nell’accezione medica, non strettamente geopolitica, a cui pure si rimanda per una comprensione più ampia non solo del movimento mondiale del virus ma anche delle sue conseguenze post-vaccino, per un impegno della psichiatria in uno scenario fondamentale da conoscere per politiche urgenti del presente e non solo “del futuro prossimo venturo” 14,15 .
2. Infodemia . Si tratta di un neologismo coniato dall’OMS proprio in occasione della pandemia da CoViD-19 per indicare l’eccesso di informazioni dei media, un contagio di informazioni a contenuto soprattutto angosciante, terrorizzante e quasi sempre contraddittorio 16 .
3. Lockdown . Un insieme di provvedimenti presi dal Governo (in Italia, il lockdown è iniziato la sera del 9 marzo 2020) per prevenire e limitare il contagio da CoViD-19. Il “distanziamento sociale” e il blocco di tutte le attività produttive non fondamentali per la vita (come se la cultura non fosse un bene primario!) sono state “come un colpo di cannone” (“Il Barbiere di Siviglia”, Rossini), nella vita di ogni persona, con uno sconvolgimento della realtà del mondo e con una frattura sulla continuità e la “normalità” della vita 17 .
LO STRESS DA CoViD-19
Di fronte a questi stressor così inattesi, traumatici e soprattutto riguardanti l’intera umanità, agenti indipendentemente da differenze sociali, culturali, politiche, l’uomo ha una reazione fisica e psichica volta ad adattarsi alle mutazioni dell’ambiente, per affrontare la nuova condizione e per resistere. In seguito al contagio da CoViD-19, l’uomo reagisce attraversando le classiche fasi di risposta allo stress ma con delle specificità proprie di questa pandemia.
La prima fase, che solitamente, almeno nelle sue espressioni più evidenti dura da 1 a 6 mesi, è caratterizzata inizialmente da sentimenti di incredulità per quanto sta accadendo (“chi lo avrebbe mai detto”, “dopo tutto quello che ho passato, non avrei mai creduto di vivere anche questo”) e di sottovalutazione difensiva di quanto viene riferito o si vive (“è la solita influenza, forse solo un po’ più grave”, “andrà tutto bene”). Ma, quando la realtà si mostra nella sua crudezza non più eludibile (i malati che muoiono senza la carezza di una persona amata, i volti degli operatori sanitari con i segni della fatica e del dolore, le centinaia di bare portate via da camion militari, il silenzio annichilente), l’incredulità si trasforma in paura e angoscia, con la possibilità di sviluppare veri e propri quadri ansiosi 18 . L’angoscia, che in alcune persone si trasforma in terrore, è rinforzata dalla consapevolezza della mancanza di una cura adeguata o dalla sperimentazione di rimedi terapeutici appresi mano a mano che si vengono a conoscere natura e storia della malattia (il plasma di malati infetti e guariti, il plasma dei lama in Perù, farmaci utilizzati nella cura dell’ebola o della malaria, antivirali ma solo nella prima fase della malattia, sperimentazioni farmacologiche, molte delle quali fallite) e dai lunghi tempi per l’utilizzo del vaccino 19 . Inoltre, la nuova consapevolezza dell’impreparazione dei sistemi sanitari e delle popolazioni a gestire il virus, le nulle o scarse conoscenze sulla modalità di tracimazione del virus, le opinioni di esperti in conflitto tra loro su misure da adottare, previsioni e cure, rendono ragione del diritto ad avere paura. L’unico comportamento preventivo resta, in fondo, la medioevale quarantena, la stessa utilizzata per combattere la peste nera del 1347, proveniente dalla Mongolia, e del 1630, proveniente dalla Siberia, e la CoViD-19, del 2020, dalla Cina.
La risposta di allarme e l’avere paura diventano, quindi, le uniche possibili funzioni attive dell’individuo e della collettività che, ancora una volta in maniera difensiva, rispondono con una apparentemente spontanea dimensione di aiuto e di condivisione (“o’ panar” solidale a Napoli: “chi può metta, chi non può prenda”; i canti di solidarietà dalle finestre e dai balconi delle città), embricata a una attesa apprensiva di evoluzione della malattia (l’attesa del comunicato della Protezione Civile delle ore 18.00) e delle prime misure di emergenza. Rappresentano, queste, delle primarie risposte di adattamento individuali e di comunità, embrioni di organizzazione individuale, sociale ed economica, temporanee.
Nella fase acuta è importante ricorrere a rimedi protettivi. Per es., è protettivo avere una sicurezza di base minima rappresentata dal vivere in un luogo riparato, avere del cibo, una coperta, un “tetto”. È protettivo farsi un’idea di cosa sta accadendo perché ciò consente di avere una certa quota di controllo sulla realtà esterna. Fondamentale risulta, in queste prime settimane, mantenere una connettività ( connectedness ) relazionale, sentirsi collegati, connessi agli altri, in una coppia, in un gruppo, nella famiglia, nella comunità. L’uso delle tecnologie digitali 17  ha in qualche modo consentito di accorciare il distanziamento sociale, con attività svolte in spazi costruiti proprio per attività di ginnastica a distanza ma anche per il lavoro, per molte attività mediche e per la stessa attività psicoterapeutica e psicoanalitica. Un altro elemento protettivo è avere un “perché”, per resistere al momento e per costruire lo sforzo di sopravvivere.
È chiaro che in questi primi mesi ognuno ha risposto in base alle risorse psichiche che possedeva. È utile ricordare che si riesce a rispondere per quello che si può, accettando la situazione. Si tratta di rispondere adattandosi ma anche di reagire costruendo , prospettando un progetto che disegni un futuro possibile, coltivando sempre e comunque la speranza 12 .
Questa fase corrisponde alla necessità vitale di soddisfare dei bisogni. L’uomo, inizialmente, cerca la sicurezza ( safety ) per sé e per i propri cari, una sicurezza che viene costruita sulla base di informazioni avute dagli esperti, da quanto si apprende dai mass media, non sempre concordi, ma anche da una conoscenza intrinseca, filogenetica e ontogenetica di cui il nostro corpo ha memoria. La sicurezza, inoltre, viene richiesta e deve essere soddisfatta dalle autorità centrali e locali ( governance ) che hanno il compito di garantirla a tutti i cittadini, con indicazioni chiare, comprensibili, attuabili, veritiere.
In questa fase l’uomo prova, quindi, a inventare strategie di coping per adattarsi alla situazione attraverso una nuova pensabilità, mai sperimentata prima, con nuove capacità di ascoltarsi e di rispondere alle proprie emozioni, nuovi coping di problem solving. L’uomo si scopre a costruire o potenziare la resilienza individuale e di comunità e, nei casi più gravi e di sofferenza, a inventarsi una nuova capacità di gestire le perdite sia affettive (lutti) sia economiche, muovendosi, infine, verso la necessità di recuperare la possibilità di infuturarsi per un possibile ritorno alla normalità 20 .
Dunque, uscire dalla pandemia, obiettivo principe della prima fase, può essere perseguito attraverso l’utilizzo di due obiettivi strumentali, entrambi basati sulla resilienza: il primo, a livello individuale, consiste nel costruire pensieri e comportamenti di cura per sé e per gli altri; il secondo, a livello di comunità, si basa sull’accettazione di comportamenti e azioni collettive (per es., il lockdown) e di altre misure decise dalle autorità nazionali e locali 21 .
Sul fronte della pandemia, gli operatori sanitari, oltre ai fattori di stress generali, esperiscono numerosi stress specifici: la paura di ammalarsi e di morire, soprattutto se sono a rischio per specifiche malattie pregresse, e di contagiare i propri cari; lo stigma di essere percepiti come untori; il dover rispettare misure di sicurezza rigorose e procedure altamente regolamentate, con livelli di attenzione particolarmente alti; la gestione di oneri professionali superiori alla norma; l’avere un supporto sociale ridotto; contattare sentimenti di impotenza nei fallimenti terapeutici o nell’attribuzione errata di sintomi; riattivare esperienze minacciose di epidemie trattate in precedenza; nutrire sentimenti di rabbia verso le autorità sanitarie impotenti e impreparate a gestire la crisi, verso la mancanza di protezione adeguata, verso il lavoro con colleghi nuovi. I rimedi per gli operatori sono rappresentati innanzitutto dall’accettare l’esperienza di stress severo; rispettare i bisogni di base (riposo, nutrirsi di cibi salutari, fare attività fisica); evitare strategie di coping errate (fumo, alcol, sostanze d’abuso); utilizzare strategie di coping che hanno funzionato in altre situazioni di crisi; mantenere i contatti sociali fisicamente o attraverso i social media; ridurre le risposte emotive eccessive; chiedere aiuto se lo stress è eccessivo; mantenere la rotta o costruirne di nuove 22-30 .
LA PLASTICITÀ ADATTATIVA: UNA GRANDE RISORSA UMANA
Superata la prima fase, si entra nella seconda che ha una durata variabile tra i 6 e i 24 mesi. Si tratta di una fase caratterizzata da sofferenza, dolore per le perdite subite, per gli affetti finiti, per le perdite economiche. In questa fase, l’accettazione di quanto accaduto rappresenta il punto di partenza per una seconda risposta di adattamento che si muove tra tentativi di ripresa e di ricostruzione, risposte creative e sfida di rilancio, ma anche possibili fallimenti.
I rimedi o risorse per attraversare questa fase sono noti. A livello individuale, i cosiddetti “stress individuali”, si considerano i fattori di successo e di fallimento che provengono dagli studi di psicobiologia dello stress. Gli studi di gestione e di risposta alle catastrofi, lo stress da trauma e post-trauma (stress collettivi) danno indicazioni sui rimedi per le comunità. Il rimedio in questa fase si ritrova nella plasticità adattativa, una proprietà vitale della mente dell’uomo.
Nei millenni, gli umani si sono adattati a quasi tutte le condizioni di vita più difficili e critiche per la sopravvivenza: temperature estreme, pestilenze, distruzioni, cicloni, guerre, genocidi, vita vicino a vulcani attivi e in zone di terremoti distruttivi ripetuti. La sopravvivenza è stata possibile proprio grazie alla plasticità adattativa, funzione caratterizzata da capacità innate, quali elasticità, flessibilità, resilienza, creatività, resistenza, adattabilità, speranza, capacità di affiliazione e comportamenti pro-sociali, senso della propria storia, ricerca di significato, senso di appartenenza, progettualità, impegno, inventiva, fede.
La risposta di stress, in questa fase, e le sue conseguenze sul piano fisico e psichico dipendono dal rapporto tra la percezione della minaccia e quella di un possibile suo controllo. Se la percezione della minaccia è molto alta e la percezione di possibilità di controllo è bassa, avremo un alto livello di stress con ricadute sulla salute particolarmente gravi; se, invece, la percezione della minaccia è bassa e il controllo è sufficientemente adeguato, avremo una condizione di basso livello di stress. Questa “ricetta della teoria dello stress” ci aiuta a lavorare nelle situazioni stressogene della seconda fase, cercando di guidare il pensiero nel valorizzare tutto ciò che può ridimensionare, attenuare e controllare la percezione oggettiva di minaccia e a potenziare tutto ciò che può migliorare la percezione di controllo. È evidente che le risorse e la possibilità di aiuto alle persone hanno una variabilità inter-individuale molto alta e si esprimono attraverso una “resilienza individuale” e una “comunitaria”. La distribuzione di queste resilienze segue una curva gaussiana: la maggior parte delle persone “fatica” ma resiste agli stressor, una minoranza si confronta ma “regge” ( hardiness ) e, infine, una quota di persone con vulnerabilità “cede”. Le evoluzioni sono dunque molto diverse, variando da persona a persona, e devono essere previste e accettate.
I rimedi per superare la seconda fase consistono nello sviluppare e migliorare le tecniche di coping, cioè nello sviluppare pensieri e comportamenti per affrontare e superare la criticità, mantenere e sviluppare il supporto sociale, sia economico sia di rete relazionale della persona e della comunità, promuovere e sviluppare la resilienza individuale e di comunità. Il supporto sociale appare una variabile fondamentale, come dimostrato da uno studio in cui il personale medico impegnato nella cura dei malati di CoViD-19 ha beneficiato di questo tipo di intervento nel ridurre i livelli di ansia e lo stress e nel migliorare i disturbi del sonno 31 , questi ultimi particolarmente presenti nel lockdown 32 e inversamente correlati all’insorgenza di sintomi da stress post-traumatico 33 . È la governance che deve garantire la sicurezza economica minima. La resilienza individuale può essere potenziata lavorando sulle risorse vitali di ciascuna persona, la resilienza di comunità va protetta attraverso la speranza, la solidarietà e la gratitudine. Un’attenzione particolare deve essere rivolta alla protezione delle persone vulnerabili, già riconosciute come disabili o con disturbi mentali pregressi e al riconoscimento precoce di disturbi mentali prodotti dalla crisi con interventi appropriati e immediati. La formazione degli operatori della salute mentale deve essere appropriata, anche mediante tecniche di apprendimento della resilienza attraverso sistemi tecnologici che ne migliorino il benessere 34 . In questa articolata struttura di interventi, la stampa e i social media devono lavorare per favorire una visione del futuro, centrata sulla costruzione di un orizzonte raggiungibile e condiviso e non nella costruzione di un capro espiatorio (“Chinese virus pandemonium”, “China kids stay home”) su cui convogliare i fisiologici sentimenti di rabbia 35 . Le manifestazioni della rabbia, nelle forme autodirette ed eterodirette, costituiranno sicuramente un’urgenza del prossimo futuro. Uno studio della Link Campus University di Roma segnala, in Italia, tra il 2012 e il 2018, quasi mille suicidi per motivi economici. Nelle settimane del lockdown si sono avuti 42 suicidi e 36 tentativi di suicidio, dato molto allarmante se si confronta con quello dei rispettivi mesi dell’anno precedente, quando erano stati 14. Negli USA si stimano circa 75.000 vittime, classificate come “morti per disperazione”, nei prossimi 10 anni, legate alla pandemia e che comprendono suicidi e decessi per abuso di sostanze. Si ritiene allora fondamentale, fin da ora, un impegno massiccio di prevenzione 36 . Insieme a questi temi urgenti, il massimo del nostro impegno, delle nostre energie, delle risorse di questo Paese e delle risorse del mondo, ora e non domani, devono essere indirizzati sui giovani, sui ragazzi dai 12 ai 20 anni, invisibili, di cui nessuno ha parlato, ragazzi che silenziosamente hanno accettato questo lockdown in un’epoca dello sviluppo in cui lo stare con gli altri, i primi amori, gli errori per crescere sono fondamentali e vitali per la costruzione dell’identità. A essi e ai ragazzi poco più grandi, scalpitanti di entrare nel mondo del lavoro, deve essere indirizzato uno sguardo molto accorto perché questa pandemia rischia di togliere loro il futuro. E sarà una seconda pandemia di cui la governance sarà responsabile 37 .
L’obiettivo della seconda fase è quello di tornare a una “nuova normalità”, facendo tesoro di quanto accaduto, dell’ascolto silenzioso sperimentato durante la quarantena, durante la clausura durata 56 giorni. Lo strumento adattativo è rappresentato dai processi psichici, da quello che viene definito lavoro psichico, ma muovendosi concretamente nell’identificare azioni da realizzare, specifiche per la propria situazione. Occorre acquisire o essere aiutati ad acquisire un’attitudine di costruttività, riportare in questa fase la pro-socialità, il senso della collettività, la solidarietà e la cooperatività, tutte caratteristiche che hanno già documentato di funzionare in situazioni di crisi e di trauma, della prima fase. Una collaborazione globale, come indicato dell’OMS.
Fondamentale è orientare la mente su una visione esistenziale 38 . Questo significa focalizzarsi sul senso di ciò che si fa, su uno scopo, un significato, sviluppare il senso di appartenenza o essere utili a qualcosa di più grande di se stessi; riscoprire il senso della propria storia, della propria famiglia, del gruppo, della propria comunità, paese e riconnettersi a questi; spostare l’energia della rabbia verso i sacrifici per riprendersi; decidere alcuni obiettivi, pochi, possibili da raggiungere e investire sul rilancio 39 . Il dolore, la rabbia devono essere espressi e accolti in un lavoro di impasto con emozioni e pensieri positivi, lavoro personale o facilitato dalla presenza dell’altro per il ritorno a una ”nuova normalità” che tenga conto del cambiamento avvenuto, che possa fare tesoro di quanto abbiamo imparato in questa situazione in cui il perturbante, lo spaesamento e il disorientamento hanno costretto l’umanità a interrogarsi. Bisogna, tuttavia, ricordare che l’uomo esprime sempre, e in maniera strettamente embricata l’una all’altra, due forze opposte ma consustanziali: una forza vitale, erotica, che rimanda ai valori più alti dell’espressione della vita dell’uomo sulla Terra, una forza che spinge alla costruzione di legami tra gli uomini in imprese straordinarie (si pensi solo alla mobilitazione su base volontaria di 2500 professionisti della salute mentale, psicologi dell’emergenza, psicoterapeuti e psicoanalisti che, con il coordinamento del Ministero della Salute e del Dipartimento della Protezione Civile, hanno consentito la costruzione di una rete di ascolto su tutto il territorio nazionale, di supporto al SSN, per raccogliere il disagio emergente in occasione del Coronavirus), e un’altra forza paleo-tribale, fatta di rabbia, di proiezioni distruttive, poco adattativa. Queste due forze devono essere legate, si muovono insieme nel continuo processo di umanizzazione e, in questa fase della pandemia, devono lavorare per un nuovo passo avanti nella costruzione del futuro del mondo.
Non perdiamo questa occasione.

Conflitto di interessi : gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.
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