Esperienze di switch a cariprazina in pazienti schizofrenici
con comparsa di effetti collaterali/comorbilità mediche

Switch to cariprazine in patients with schizophrenia with side
effects/medical comorbidities


MARIO AMORE 1,2 , ANDREA AGUGLIA 1,2
E-mail: mario.amore@unige.it

1 Dipartimento di Neuroscienze, Riabilitazione, Oftalmologia, Genetica e Scienze Materno-Infantili, Clinica Psichiatrica, Università di Genova
2 IRCCS Ospedale Policlinico San Martino, Genova

RIASSUNTO. La schizofrenia è un disturbo psichiatrico grave e cronico con un background genetico e neurobiologico eterogeneo che influenza lo sviluppo precoce del cervello, ed è espressa come una combinazione di sintomi psicotici – come allucinazioni, deliri e disorganizzazione – e di sintomi negativi e cognitivi. Il trattamento dei pazienti con schizofrenia prevede l’utilizzo di antipsicotici, in accordo con i recenti dati di letteratura. Sulla base del meccanismo d’azione, gli antipsicotici vengono suddivisi in tipici (o “di prima generazione”) e atipici (o “di seconda generazione”). Differiscono, anche, per la manifestazione di effetti collaterali, dovuti alla diversa affinità recettoriale caratteristica del singolo principio attivo. In questo caso clinico, presentiamo un giovane paziente di 24 anni con diagnosi di schizofrenia trattato prima con olanzapina e poi con risperidone, che ha manifestato significativi effetti collaterali di tipo metabolico e sessuali. La strategia terapeutica utilizzata è stata lo switch a un antipsicotico di terza generazione, cariprazina, con risoluzione delle collateralità e una migliore gestione dei sintomi negativi riportati. In conclusione, il modello di trattamento personalizzato sulla base delle condizioni cliniche e delle esigenze del paziente rappresenta l’approccio maggiormente adeguato nella gestione di ogni singolo caso.

PAROLE CHIAVE: antipsicotici, cariprazina, schizofrenia, effetti collaterali, dislipidemia..


SUMMARY. Schizophrenia is a chronic psychiatric disorder with a heterogeneous genetic and neurobiological background that influences early brain development, and is expressed as a combination of psychotic symptoms - such as hallucinations, delusions and disorganization - and negative and cognitive symptoms. According to literature data, the treatment of schizophrenic patients involves the use of antipsychotics. Based on the mechanism of action, antipsychotics are divided into typical (or even first-generation) and atypical (or even second-generation). They also differ on side effects, due to the different receptor affinity. In this case report, we present a young 24-year-old patient diagnosed with schizophrenia and treated with second-generation antipsychotics (olanzapine and risperidone). The patient showed significant metabolic and sexual side effects. So, a third-generation antipsychotic, such as cariprazine, has been used to solve the side effects and manage better the negative symptoms reported. In conclusion, the personalized treatment model, based on the clinical conditions and the patient’s needs, represents the most appropriate approach in the management of each individual case.

KEY WORDS: antipsychotics, cariprazina, schizophrenia, side effects, dyslipidemia.

INTRODUZIONE
La schizofrenia è un disturbo psichiatrico caratterizzato da vari cluster sintomatologici, in particolare la dimensione dei sintomi positivi e negativi: i primi includono i deliri, le allucinazioni e l’eloquio-pensiero disorganizzato; i secondi includono invece l’affettività coartata, l’isolamento sociale, l’appiattimento emotivo, l’anedonia, l’abulia e l’avolizione. Si tratta di un disturbo cronico progressivo, denominato dementia praecox  già dai tempi di Kraepelin, a esordio in adolescenza-prima età adulta, caratterizzato da rapido deterioramento cognitivo sin dalle prime fasi di malattia; gli obiettivi terapeutici sono la remissione clinica della fase acuta, la prevenzione delle ricorrenze psicotiche e il mantenimento della riserva cognitiva, il controllo della sintomatologia negativa nelle fasi tardive di malattia, il recupero funzionale e la gestione degli effetti collaterali dei farmaci antipsicotici e delle comorbilità mediche.
Il trattamento di tale patologia è stato rivoluzionato verso la metà del secolo scorso, dopo l’introduzione del primo farmaco antipsicotico, la clorpromazina, con significativi progressi sul controllo sintomatologico delle alterazioni comportamentali di tali pazienti. Successivamente sono stati introdotti diversi farmaci antipsicotici, denominati “di prima generazione”, la cui azione principale si caratterizza per un’elevata affinità per il recettore dopaminergico D 2 . Ciò, se da un lato ha portato alla risoluzione dei quadri psicotici, dall’altro ha determinato effetti collaterali di tipo extra-piramidale quali parkinsonismi, discinesie acute e tardive, distonie e aumento dei livelli sierici di prolattina mediati dal blocco della via dopaminergica tubero-infundibolare, determinando una riduzione dell’azione inibitoria tonica della dopamina sulle cellule lattotrope dell’adenoipofisi, con conseguente aumento dei livelli sierici di prolattina.
Agli inizi degli anni ’90, sono stati introdotti in terapia i cosiddetti “farmaci antipsicotici di seconda generazione” o “atipici”, il cui capostipite è la clozapina, seguita da olanzapina, risperidone, quetiapina, paliperidone, asenapina, ziprasidone e lurasidone. Le principali differenze tra le due classi di antipsicotici (prima vs seconda generazione) sono una differente affinità di legame a livello dei recettori D 2 , ma soprattutto una significativa azione di bilanciamento recettoriale che consiste in un antagonismo sui recettori serotoninergici 5HT 2A nel sistema nervoso centrale e nella corteccia cerebrale prefrontale, a differenza dei cosiddetti “tipici”. Tale bilanciamento viene definito armonico perché l’assetto recettoriale del cervello umano è un sistema dinamico, il cui fine ultimo è quello di mantenere la migliore condizione possibile sia in termini energetici sia esistenziali per quel sistema vivente in quel momento con quel metabolismo e in quelle date condizioni: il cervello si adatta, esercita una continuativa azione di coping, e lo fa attraverso le sue enormi capacità di neuroplasticità 1,2 .
Gli antipsicotici di seconda generazione, grazie alla diversa azione farmacodinamica, consentono di diminuire il rischio e l’intensità delle citate collateralità extrapiramidali e iperprolattinemia, caratteristiche degli antipsicotici di prima generazione. È noto altresì che gli antipsicotici di seconda generazione, seppur con significative differenze tra un principio attivo e l’altro, siano responsabili dell’induzione di effetti indesiderati di derivazione metabolica tra cui aumento ponderale, iperglicemia e alterazioni del profilo lipidico. La spiegazione di tale fenomeno risiede prevalentemente nelle differenze farmacodinamiche tra i vari composti che riguardano l’affinità per altri sottotipi recettoriali, tra cui quelli serotoninergici, alfa-adrenergici, istaminergici e muscarinici. Nonostante ciò, a oggi, gli antipsicotici di seconda generazione sono considerati i farmaci di prima scelta nel trattamento dei disturbi psicotici, per il più favorevole profilo di tollerabilità e un più ampio spettro di efficacia clinica rispetto alle molecole di prima generazione 3,4 .
I dati di letteratura però rilevano come l’efficacia in determinate fasi di malattia possa essere limitata e condizionata da un basso profilo di tollerabilità: basti pensare alle alterazioni patologiche a carico delle funzioni cognitive, in particolare esecutive e attenzione (target farmacologico poco esplorato a oggi) e alla sintomatologia negativa della patologia schizofrenica, che porta il paziente a un progressivo ritiro sociale e a una mancanza di empatia. In aggiunta, gli effetti collaterali di natura metabolica hanno un inevitabile forte impatto non solo sull’aderenza al trattamento farmacologico ma anche sulla qualità di vita e sul funzionamento complessivo dei pazienti.
Di recente introduzione nel trattamento della schizofrenia è cariprazina, che presenta un meccanismo d’azione innovativo volto a migliorare non solo il trattamento dei sintomi positivi ma anche dei sintomi negativi, spesso sottovalutati, e la riserva cognitiva, il tutto con una buona tollerabilità. Ciò è dovuto principalmente alla peculiare attività agonista parziale sui recettori dopaminergici di tipo D 3 , con un’azione favorevole persino sulla sintomatologia cognitiva, spesso sottovalutata nel trattamento farmacologico dei pazienti con schizofrenia.
Il seguente caso clinico valuta la possibilità di utilizzazione di cariprazina in un paziente giovane affetto da schizofrenia.
CASO CLINICO
Riportiamo il caso clinico di un paziente di 24 anni con diagnosi di schizofrenia in trattamento con farmaci antipsicotici di seconda generazione i quali, pur determinando una remissione sintomatologica, hanno indotto alcuni effetti collaterali a livello metabolico e sessuale.
Il paziente ha esordito con un primo episodio psicotico acuto all’età di 21 anni per cui è stato ricoverato presso il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova, in regime di trattamento sanitario obbligatorio; gli fu somministrata terapia con olanzapina fino al dosaggio massimo di 20 mg e lorazepam fino a 7,5 mg, successivamente ridotto a 2,5 mg a scopo ipnoinducente.
Grazie a tale trattamento farmacologico, la sintomatologia acuta è andata in remissione completa e il paziente ha sempre aderito al progetto terapeutico intrapreso presentandosi puntualmente alle visite di controllo presso il centro di salute mentale di competenza e mantenendo un atteggiamento adeguato al contesto socio-culturale e una buona relazione medico-paziente. Durante le visite ambulatoriali di follow-up, in termini di monitoraggio, si è assistito a un progressivo e significativo incremento ponderale, tollerato dallo stesso paziente sino alla manifestazione di difficoltà e maggiore fatica nello svolgimento della propria attività lavorativa. A tal proposito nei primi 12 mesi di trattamento, è stato registrato sia un incremento di peso di circa 15 kg con aumento della circonferenza addominale, sia l’alterazione di alcuni parametri metabolici quali il colesterolo totale e i trigliceridi. Ciò ha portato a una discontinuità nell’adesione alle cure prescritte e alla insistente richiesta di riduzione dei dosaggi dei farmaci assunti, che il paziente ha sospeso autonomamente nel breve termine.
Nel gennaio 2018, questi ha sperimentato una nuova ricaduta psicopatologica con la manifestazione della stessa sintomatologia psicotica acuta del primo episodio e successiva ospedalizzazione, questa volta in regime volontario. Durante l’ospedalizzazione è stata impostata una terapia farmacologica con risperidone fino a 5 mg nella ipotesi di effettuare successivamente una terapia con long-acting. Dopo circa 15 giorni di trattamento, si è assistito a un maggiore controllo della sintomatologia psicotica, che veniva vissuta con sempre minore partecipazione affettiva, con remissione sintomatologica e conseguente dimissione dal reparto dopo circa 25 giorni di ricovero. Il paziente però ha iniziato rapidamente a lamentare riduzione della libido con incremento dei livelli di prolattina ai controlli ematici successivi, lieve tremore fine distale agli arti superiori e lieve incremento ponderale che però, a suo dire, non incideva particolarmente sul proprio attuale funzionamento complessivo. Accanto a ciò, il paziente riportava peggioramento del tono dell’umore associato a riduzione della capacità di iniziativa e della progettualità per il futuro. Pertanto nelle visite successive lo psichiatra curante ha ridotto il dosaggio di risperidone fino a 3 mg con beneficio solo sugli effetti collaterali extrapiramidali e sessuali, con parziale decremento dei livelli di prolattina. Alla successiva visita ambulatoriale il paziente presentava il seguente esame psichico: tranquillo sul piano psicomotorio, collaborante e disponibile al colloquio; vigile, lucido e orientato nei parametri di realtà. L’espressione mimica era trascinabile, anche se a tratti si riscontrava una certa fatuità. L’eloquio era rallentato con latenza nelle risposte. La capacità di mantenere l’attenzione, in particolar modo la componente attiva, e la concentrazione era significativamente ridotta, tale da dover richiedere durante il colloquio la ripetizione della domanda. Non erano presenti elementi clinici riconducibili ad alterazione patologica della senso-percezione, non erano presenti franchi atteggiamenti di ascolto. La forma del pensiero si caratterizzava per allentamento dei nessi associativi con frequenti deragliamenti. Il contenuto del pensiero mostrava la presenza di un lieve ampliamento dell’alone interpretativo su sfondo persecutorio, parzialmente criticato. Il tono dell’umore veniva riferito come deflesso a cui si associavano alcuni sintomi negativi quali apatia, abulia, avolizione e una sensazione soggettiva di ottundimento affettivo: a tal proposito i familiari riferivano che nell’ultimo periodo il proprio figlio aveva progressivamente ridotto le interazioni con i pari, sospendendo altresì sia l’attività fisica sia alcuni interessi personali come la lettura, fino a un quasi completo ritiro sociale.
Pertanto si è deciso di passare a un antipsicotico di terza generazione, cariprazina, prescritta inizialmente al dosaggio di 1,5 mg e successivamente aumentata a 3 mg, dopo circa due settimane e con contemporanea riduzione e successiva interruzione di risperidone. Alle visite ambulatoriali successive, il paziente ha mostrato una ripresa dell’iniziativa e buona capacità di infuturazione con ripresa delle attività di vita quotidiana, ritenute da lui stesso, gratificanti e del tono dell’umore. Inoltre, il paziente ha manifestato ridimensionamento della sintomatologia psicotica con critica rispetto ai contenuti ideici e restitutio ad integrum , ma soprattutto degli effetti collaterali lamentati.  
DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
Il caso clinico sopradescritto pone l’attenzione su problematiche attuali e ricorrenti nella pratica clinica del trattamento farmacologico dei pazienti affetti da schizofrenia, ovvero il manifestarsi di collateralità di tipo metabolico e sessuale. Tali effetti indesiderati si ripercuotono negativamente su due importanti aspetti clinici: da un lato il funzionamento e la qualità di vita dei pazienti e dall’altro l’aderenza al trattamento farmacologico. Infatti è noto che gli antipsicotici di prima e seconda generazione, benché efficaci su determinati cluster sintomatologici, in particolare i sintomi positivi, presentano inconvenienti in termini sia di efficacia nel trattamento dei sintomi negativi e cognitivi sia di profilo di tollerabilità ( Tabella 1 ) 5 . Tra gli antipsicotici di seconda generazione i composti maggiormente associati a un significativo incremento ponderale e alterazioni del profilo lipidico, sono clozapina e olanzapina seguiti da asenapina, quetiapina e risperidone 6 .
Mentre il meccanismo eziopatogenetico degli effetti collaterali di natura sessuale è per lo più legato all’iperprolattinemia per elevata affinità di antagonismo ai recettori dopaminergici D 2 , i meccanismi riconducibili alle alterazioni metaboliche indotte da tali trattamenti farmacologici non sono del tutto noti.
È stato ipotizzato che l’influenza negativa dei farmaci antipsicotici sulle adipochine, citochine prodotte e secrete dal tessuto adiposo, associata all’attività affine su alcuni recettori (istaminergici – H 1 , serotoninergici 5HT 2C , muscarinici) possa portare allo sviluppo delle alterazioni metaboliche sopracitate 7 .



L’antagonismo dei recettori dell’istamina H
1 era stato identificato come la causa principale dell’obesità indotta da antipsicotici di seconda generazione, ma i meccanismi molecolari associati a tale meccanismo rimangono poco chiari. Una rassegna, condotta da He et al. 8 , esplora il potenziale ruolo dei recettori dell’istamina H 1 a livello ipotalamico nei diversi stadi di aumento di peso per valutare gli effetti a breve e a lungo termine. Nel breve termine, gli antipsicotici di seconda generazione bloccano i recettori H 1 ipotalamici e attivano una proteina chinasi a livello centrale che attiva una cascata di eventi che portano all’aumento dell’appetito mediato dalla segnalazione AMPK-carnitina palmitatotransferasi 1. Nel lungo termine, l’antagonismo del recettore H 1 ipotalamico può portare alla riduzione della termogenesi del tessuto adiposo bruno, possibilmente inibendo gli input simpatici verso il tronco cerebrale rostrale pallido e il midollo ventrolaterale rostrale. Infine, il blocco dei recettori H 1 ipotalamici può anche contribuire all’accumulo di grasso diminuendo la lipolisi e aumentando la lipogenesi nel tessuto adiposo bianco. Pertanto, da un lato gli antipsicotici di seconda generazione, attraverso l’antagonismo dei recettori H 1 ipotalamici, influenzano direttamente i circuiti cerebrali dei centri regolatori dell’alimentazione mentre dall’altro contribuiscono all’incremento ponderale riducendo il dispendio energetico 8 .
Il tessuto adiposo produce leptina e adiponectina per regolare il comportamento alimentare; esse generano adipochine pro e anti-infiammatorie per modulare le risposte infiammatorie 9 . L’accumulo di tessuto adiposo rappresenta l’obiettivo più vulnerabile che contribuisce all’infiammazione sistemica e all’insulino-resistenza 10 . È stato di recente dimostrato come l’obesità addominale può comportare alterazioni significative dei segnali di trasduzione intracellulari per la produzione di insulina come danno diretto o indiretto delle cellule β del pancreas, che potrebbero anche essere indipendenti dall’aumento del peso corporeo 11 . Un recente studio, condotto su 1050 pazienti con disturbi psichiatrici maggiori e 112 controlli sani, rileva un’associazione significativa diretta e indiretta tra l’utilizzo di antipsicotici e il rapporto leptina/adiponectina, indipendentemente dall’indice di massa corporea, suggerendo pertanto un’influenza diabetogena da parte di tali farmaci 12 . L’insulino-resistenza, pertanto, potrebbe essere il nucleo eziopatogenetico alla base delle alterazioni metaboliche indotte dagli antipsicotici di seconda generazione, seppur con differenze tra i vari composti per le differenti affinità recettoriali. Sono state formulate varie ipotesi per spiegare tale fenomeno: una di queste è l’alterazione della regolazione parasimpatica dell’attività delle cellule β del pancreas dovuta all’affinità degli antipsicotici per i recettori muscarinici. A tal proposito, per esempio, è stato dimostrato 13 come l’aumento di peso indotto da olanzapina sia un fattore che contribuisce significativamente al rischio di sviluppare diabete con un meccanismo ipotetico mediato tramite i recettori muscarinici M 3 . Un’altra spiegazione potrebbe risiedere nell’alterazione della funzionalità del trasportatore del glucosio nelle cellule, regolato dall’insulina, grazie al quale viene trasferito attivamente il glucosio all’interno delle cellule dei tessuti periferici (fegato, muscolo, adipe). Infatti gli antipsicotici porterebbero a un’attenuazione diretta delle funzioni di tale trasportatore con conseguente aumento dei livelli di glucosio circolante e ipersecrezione compensatoria di insulina: ciò porterebbe nel medio-termine a una progressiva riduzione della sensibilità all’insulina, che innescherebbe una cascata di eventi con conseguente sviluppo di sindrome metabolica e diabete di tipo 2 14 .
In conclusione, l’innovativo meccanismo d’azione di cariprazina porta a una riduzione degli effetti collaterali anti-adrenergici, anti-istaminergici, metabolici e cardiovascolari con un conseguente migliore profilo di tollerabilità che favorisce l’aderenza e la continuità terapeutica, fattori che costituiscono una delle principali criticità nel trattamento antipsicotico.
Conflitto di interessi : gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.
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