Come curare un’epidemia? La soluzione di Napoleone

A cura di Eleonora Del Riccio
Storica dell’arte
E-mail: eleonoradelriccio@gmail.com


Fino alla metà dell’Ottocento, nella gerarchia dei generi pittorici il soggetto di Historia occupava stabilmente il primo posto. Giovan Pietro Bellori (1613-1696) arrivò a codificare, in pieno Seicento, questa superiorità. Costui riteneva necessaria per l’artista l’acquisizione di una certa erudizione storico-letteraria, nonché il riconoscimento del primato dell’Antico e dei grandi maestri del passato, esempi su cui esercitarsi al fine di guadagnare la necessaria padronanza del mezzo pittorico.
Nel Settecento l’Accademia di San Luca a Roma e l’Académie Royale di Parigi ratificarono nei fatti questo primato affidando al grado più alto e complesso dei concorsi una prova consistente nel comporre una Historia. Gli eventi protagonisti di questo genere erano tratti da narrazioni appartenenti alle fonti auree della letteratura latina e greca (Omero, Tito Livio, Ovidio, Virgilio), ma facenti riferimento anche alle vicende bibliche (Jacopo da Varazze) e a eventi di cronaca bellica. Le scene tratte da queste fonti nella stragrande maggioranza dei casi erano volte a esaltare il committente, la sua famiglia, il rango sociale cui apparteneva o le imprese da lui compiute.
Il Settecento illuminista vide nella pittura di storia la possibilità di poter raccontare non solo qualcosa di meritevole ma anche di utile, cosicché la pittura potesse assurgere ancora una volta quale strumento di educazione e conoscenza, capace di trasmettere valori morali e virtù civili che andavano oltre alla Biblia pauperum di Gregorio Magno. Gli exempla virtutis parlavano, infatti, della pietas del mitico Enea, del coraggio e del disprezzo del nemico di Giuditta o della fedeltà a un uomo nel caso di Lucrezia, del sacrificio di Attilio Regolo per amore di Roma o di quello di Orazio Coclite.
In Francia, la ricerca di legittimazione e visibilità spinse la restaurata monarchia di Napoleone a chiedere alla pittura di storia la celebrazione del condottiero còrso al fine di poter accostare al nome di Bonaparte e a quello dell’Impero tutti gli epiteti apologetici che alludevano al bene della res publica. Naturalmente, una richiesta di questo tipo comportava anche la dissimulazione di quanto avrebbe ostacolato la costruzione di quest’immagine ideale. Pertanto, alcuni eventi bellici furono manomessi nelle rappresentazioni pittoriche ufficiali con lo scopo di costruire una verità storica più attraente.
Antoine-Jean Gros fu certamente un interprete appassionato di questa nuova verità storica, diventando il pittore delle battaglie di Napoleone, pur non avendo mai visto uno scontro in prima persona.
Nel suo disegno di espansione e conquista, proprio nello stesso pugno di anni in cui aveva luogo la breve campagna d’Egitto, Napoleone decise di muovere alla conquista della Siria. Se la prima si era conclusa con un fallimento, la seconda lo divenne ancor prima di cominciare perché durante il viaggio si diffuse tra le fila dell’esercito una terribile piaga pestilenziale che decimò le truppe.
Gros immortalò l’evento facendolo diventare un capolavoro (Figura 1). Napoleone tocca i bubboni senza guanti, come i re taumaturghi curavano la scrofola con la sola imposizione delle mani. L’ufficiale medico dell’esercito, René-Nicolas Desgenettes, si avvicina rispettosamente toccandogli la spalla per dissuaderlo dal contatto con gli appestati, mentre un altro ufficiale si tura il naso, nauseato dal tanfo fetido che emanano i corpi. In primo piano compare un nudo gigantesco al quale stanno incidendo un bubbone, a sinistra la biblica distribuzione dei pani, dall’altra parte la guardia a cavallo e il porto di Jaffa. L’immagine è quella di un generale misericordioso che rialza il morale delle truppe con il coraggioso gesto di visitare gli ammalati, quando nella realtà Bonaparte si era limitato ad attraversare le stanze del lazzaretto dove erano ricoverati i soldati e chissà se si era davvero avvicinato per toccarne uno.



Gros costruisce vividamente l’atmosfera, sfruttando appieno l’esotismo dei colori caldi d’Oriente anche se, come è stato già ricordato, non ebbe occasione di vederli. Probabilmente, per ricostruire la particolarità della luce si servì dei ricordi dell’Italia, dove aveva abitato, e dei racconti che gli fece Dominique Vivant-Denon (1747-1825), futuro direttore generale del Musée Napoléon. Costui aveva seguito Bonaparte durante la Campagna d’Egitto e aveva redatto al suo ritorno il Viaggio nell’Alto e nel Basso Egitto, pubblicato in due volumi nel 1802.
Anche Desgenettes diede alle stampe un’opera una volta tornato in patria, si trattava della Storia medica dell’Armata d’Oriente. Secondo questo resoconto, mentre era in corso l’assedio di Acri, Napoleone ordinò che i feriti e gli ammalati fossero soppressi con una dose letale di oppio, con il duplice scopo di scongiurare la diffusione del morbo e di evitare che fossero tratti in prigionia dal nemico. Desgenette si oppose fermamente. Pressato dall’avanzata nemica, Bonaparte decise allora di spostare tutti gli ammalati a Jaffa, dove un distaccamento dell’esercito avrebbe provveduto alla loro difesa. Poco dopo però ordinò di avvelenarli tutti con il laudano per evitare che soffrissero ancora. Con l’esercito decimato e la mancata presa di Acri, la campagna fu definitivamente persa ed è lecito credere che, una volta tornato in patria, Bonaparte non avesse intenzione di rendere pubblico quanto accaduto a Jaffa.
La gravità dell’accaduto fu sottolineata non solo dal resoconto del medico dell’esercito francese, ma anche dalla vignetta satirica di James Gillray, emulo di William Hogarth – autore già trattato in questa rubrica – e riconosciuto come uno dei caricaturisti più felici in ambito inglese. Gillray mostra un risoluto Napoleone che intima al vecchio dottore di avvelenare tutti gli ammalati agonizzanti che s’intravedono oltre la tenda verde (Figura 2). Il vecchio medico indica con un ghigno la fiala che ha in mano, in un ambiente in cui affiorano gli strumenti del suo mestiere: il pestello, gli intrugli sulla parete, il mitico coccodrillo impagliato che pende dal soffitto.
Gros realizzò almeno altri due oli su tela come quello degli appestati di Jaffa, uno per la campagna d’Egitto e uno per battaglia di Eylau, dipinti che esaltavano la figura pubblica di Napoleone come sintesi di propaganda, mito e realtà.



Le arti figurative, in questo caso i dipinti di Gros, diventarono il solo mezzo funzionale per la costruzione di un’immagine idealizzata e per questo debitrice alla grande tradizione di pittura storica che principia almeno con la Colonna Traiana. Gros ha aggiunto a tutto questo un tocco personale, drammatico e cupo in alcuni casi, a tal punto che si può cominciare a parlare di Pittura Romantica. Del resto, Napoleone fu il primo soggetto Romantico: l’“uomo straordinario” a cui il destino aveva fatto balenare davanti agli occhi mete ritenute irraggiungibili da chiunque altro.
BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO
• Del Riccio E. Me pinxit, me fecit. Riv Psichiatria 2015; 50: 253.
• Geoffroy-Schneiter B,  Jover M,  Sefrioui A. A guide to the Louvre. Paris: Musée du Louvre Editions, 2005.
• Gombrich EH. A cavallo di un manico di scopa: saggi di teoria dell’arte. Torino: Einaudi, 1976.
• Lemonnier H. Gros: biographie critique. Les grands atistes, leur vie, leur œuvre. Paris: Henry Laurens, 1928.
• Mollaret H. À propos des “Pestiférés de Jaffa” de A. J. Gros. Jaarboek Koninklijk Museum voor Schone Kunsten, 1968.