L’engagement come driver motivazionale nel processo di cambiamento in un dipartimento di salute mentale italiano

Engagement as motivational driver.
Processes of change in an Italian department of mental health

CARMINE FUSCHILLO1, CATELLO ORAZZO2, GABRIELE GENNARO ORAZZO3, ELENA CAPRIOLA4,
ROCCO PALUMBO
5, MANLIO GRIMALDI6
*E-mail: c.fuschillo@libero.it

1DSM ASL Napoli 3 Sud, UOSM Pollena-Cercola
2DSM ASL Napoli 3 Sud, UOSM Castellammare di Stabia
3Economia Aziendale - Amministrazione, Controllo e Finanza, Università Commerciale “Luigi Bocconi”, Milano
4DSM ASL Napoli 3 Sud, UOSM Pollena-Cercola
5Organizzazione Aziendale Dipartimento di Scienze Aziendali - Management & Innovation Systems, Università di Salerno
6DSM ASL Napoli 3 Sud


RIASSUNTO. Le riforme degli ultimi decenni hanno rivoluzionato il Sistema Sanitario Nazionale e comportato l’esigenza di un profondo cambiamento nell’organizzazione del lavoro con la necessità di una gestione sempre più efficiente e dinamica del cambiamento. Tale gestione non può prescindere da un profondo coinvolgimento (engagement) degli operatori, quale presupposto fondamentale per la motivazione. Scopo del presente lavoro è esaminare le principali leve gestionali dell’engagement quale strumento fondamentale di cambiamento in un moderno approccio alla riorganizzazione. Si esaminano i risultati di questo processo promosso dal Dipartimento di Salute Mentale della ASL Napoli 3 Sud nel corso degli ultimi anni, a partire dall’analisi delle principali criticità.

PAROLE CHIAVE: change management, engagement, Dipartimento di Salute Mentale, riforma sanitaria.


SUMMARY. The health care reforms of last years have deeply affected the National Health System, resulting in the need for a change in organizational processes and a more efficient and dynamic change management. An effective change management is not possible without a deep involvement (engagement) of professionals, which is itself a key requisite for motivation. This study aims to examine the main instruments of engagement management, as a tool of change according to a modern reorganization approach. We examine the results of this process in the Mental Health Department of the Local Health Company Naples 3 South in recent years, starting with the analysis of its main weaknesses.

KEY WORDS: change management, engagement, Department of Mental Health, health care reform.

INTRODUZIONE
I disturbi mentali costituiscono, nei paesi industrializzati, una delle maggiori cause di carico assistenziale, di alti costi per il Sistema Sanitario Nazionale (SSN), oltre che un rilevante problema sociale e culturale. Anche la salute mentale ha seguito – e sta seguendo – l’inevitabile processo di aziendalizzazione e regionalizzazione del SSN (iniziato dal Decreto Legislativo (D. Lgs.) 502/92a, proseguito dai D. Lgs. 517/93b, e 229/99c), orientato alla razionalizzazione e ottimizzazione delle risorse disponibili, nonché alla qualità, quantità, efficacia, efficienza, appropriatezza ed equità delle prestazioni. Queste riforme hanno comportato l’esigenza di un profondo cambiamento nell’organizzazione del lavoro, con la necessità di una gestione sempre più efficiente e dinamica. Tale gestione non può prescindere da un profondo coinvolgimento (engagement) degli operatori quale presupposto fondamentale per la motivazione.
La peculiare “fragilità” dei pazienti psichiatrici, per la complessità dei bisogni socio-assistenziali e clinici, richiede il ricorso a modelli organizzativi e percorsi di cura integrati, in un’ottica di “disease management”. In psichiatria è difficile “isolare” la malattia dal malato; la fragilità delle conoscenze e dei metodi non sempre favorisce un intervento orientato alla tecnicalità medica, a differenza delle altre discipline sanitarie. Nel campo della salute mentale vi è l’esigenza di adottare modelli organizzativi che coniughino le logiche di razionalizzazione aziendale con quelle orientate al cliente-utente, all’“accoglienza” e alla “presa in carico”.
Il processo di riforma del SSN ha determinato l’adeguamento anche della Salute Mentale alle politiche gestionali della Sanità moderna. Infatti, accanto alla convinzione «secondo cui la psichiatria difficilmente può essere assoggettata e governata da concetti quali produttività, standardizzazione, obiettivi, risultati e cosi via», si è fatta strada, nel tempo, l’atteggiamento opposto «di chi si fa promotore di un cambiamento nel quale vede necessariamente un’opportunità da cogliere» 1.
Alla sfida che impone l’attuale politica sanitaria (costretta a fare i conti con il peso crescente della cronicità, del costo di nuovi farmaci e tecnologie, in un contesto di risorse limitate che richiedono necessariamente un approccio manageriale per l’erogazione dei servizi), al pari delle altre discipline mediche, non si sottrae la salute mentale, che pure dispone delle risorse cliniche e culturali per sostenerne l’impatto, purché si rivedano alcuni dei suoi processi interni ai Servizi. Occorrono, infatti, modelli d’assistenza che tengano conto della centralità della “presa in carico” del paziente psichiatrico in una logica orientata all’appropriatezza organizzativa, clinica, scientifica, etica, economica e orientata ai processi 2, nonché servizi flessibili, orientati ai bisogni e sulle persone, “recovery-oriented”, e organizzati in équipe multidisciplinari3,4.
CHANGE MANAGEMENT
«Change management is everybody’s business, everyday»: è l’affermazione dell’accademico statunitense della Harvard Business School, Robert Samuel Kaplan5, che bene illustra le caratteristiche della necessaria gestione del cambiamento. Tale cambiamento può essere paragonato a un viaggio, che prima di tutto deve essere culturale e, poi, organizzativo.
Oggi, il change management va perseguito in una prospettiva deontologica, di responsabilità personale e collettiva, non più seguendo un rigoroso schema d’imposizioni top-down, per arrivare a risultati economici finali, di breve periodo5. La necessità, infatti, di restare sempre ancorati alle novità ha indotto le aziende a un rinnovamento necessario, a un cambiamento della cultura aziendale, con una visione più moderna al change management, enfatizzando in maniera dinamica i nessi causali più che i risultati finali. In tal modo il cambiamento diventa mappa dinamica, che guida verso obiettivi sempre rinnovati attraverso il coinvolgimento di tutti i portatori di interesse (stakeholder) coinvolti nelle dinamiche aziendali6. Questo sistema ha il pregio di rendere visibili le relazioni di causa effetto tra risorse, competenze e processi aziendali da una parte e tra clienti, stakeholder e performance economiche finanziarie dall’altra5.
L’efficace implementazione del sistema richiede non solo un atteggiamento propositivo del management, ma anche determinate condizioni tecnologiche, organizzative e culturali. In primis, è necessario formalizzare e strutturare la strategia aziendale, corredandola con indicatori collegati in relazioni di causa-effetto. Il passo successivo consiste nell’esplicitare e condividere la strategia formalizzata. Implementare la nuova strategia significa incentivare tutti gli stakeholder a seguire la nuova mission aziendale, anche con un sistema di incentivi, che migliorino la loro motivazione intrinseca. Infine, è importante un sistema informativo e di business intelligence dinamico, che consenta la continua gestione e il monitoraggio della mappa del cambiamento7.
La gestione del cambiamento aziendale, in conclusione, è passata da un’ottica finalistica e orientata soltanto al risultato finale in un sistema top-down, a un cambiamento dinamico, sociale, responsabile e distribuito, di tipo win-win, che permette la partecipazione, durante il processo stesso, di tutte le categorie di portatori d’interesse e che vede come elemento chiave l’intensità di engagement aziendale verso il cambiamento stesso5,8.
ENGAGEMENT
È importante distinguere il “work engagement” dal cosiddetto “employee engagement”. Il primo termine considera la relazione tra il dipendente e il proprio lavoro, mentre il secondo quella tra il lavoratore e l’organizzazione. Kahn9,10, uno dei primi studiosi in materia, descrive l’engagement come il legame tra la personalità dei membri dell’organizzazione e i compiti che questi svolgono all’interno della stessa. Il dipendente “engaged” esprime il suo impegno a livello fisico, cognitivo, emotivo ed è coinvolto psicologicamente e fisicamente nel ruolo che svolge all’interno dell’organizzazione.
Rothbard11 ritiene che l’engagement sia un costrutto bidimensionale composto da due elementi: attenzione e coinvolgimento. Baumruk12 e Richman13 sostengono che esso rappresenti l’impegno e la dedizione, a livello emotivo e intellettuale, verso l’organizzazione. Maslach et al.14 si distaccano dalla scuola di Kahn e considerano l’engagement l’antitesi positiva del burnout, con le caratteristiche peculiari di energia, coinvolgimento ed efficacia. La differenza principale tra l’approccio di Maslach e quello di Kahn consiste nel fatto che il primo fonda la definizione di engagement sull’attività lavorativa realizzata dall’individuo, mentre il secondo sul ruolo svolto dall’individuo all’interno dell’organizzazione.
Schaufeli et al.15 considerano l’engagement uno stato mentale positivo rispetto al proprio lavoro, che porta a essere appagati, flessibili e impegnati nei confronti dell’organizzazione. L’engagement, in sostanza, può essere concepito come uno stato psicologico positivo, che prende forma in entusiasmo, passione, energia e vigore16.
È fondamentale considerare l’engagement come un riflesso della motivazione intrinseca. Il lavoratore engaged, infatti, è disposto a investire la propria energia sugli obiettivi e sul successo dell’organizzazione17. Anche Demerouti et al.18 ritengono che l’engagement consista in «alto livello di energia e forte identificazione con il proprio lavoro». Tale motivazione intrinseca assume importanza cruciale e rende il dipendente engaged in grado di lavorare per il gusto di farlo, indipendentemente dalla valutazione del capo; ciò comporta la formazione di un circuito rinforzante, che può rappresentare un driver fondamentale sul quale puntare nel processo di cambiamento aziendale.
CONDIZIONI PSICOLOGICHE E CONSEGUENZE ORGANIZZATIVE DELL’ENGAGEMENT
Kahn9,10 e Maslach et al.14 identificano diversi presupposti necessari per ottenere un personale engaged. Durante i suoi studi, infatti, Kahn ha evidenziato che la percezione di significato da parte dei dipendenti verso il compito svolto è un importante driver per l’engagement. Secondo l’autore, infatti, la percezione di significato può essere raggiunta attraverso l’assegnazione di compiti sfidanti e vari. Ciò rende il dipendente continuamente stimolato e gli permette di dare un apporto significativo rispetto al compito svolto all’interno dell’organizzazione.
Dal lavoro di Maslach et al.14 si evince che la percezione di autonomia, la ricezione di un feedback dall’ambiente lavorativo e il coinvolgimento nella promozione attiva del valore dell’organizzazione nei diversi contesti di azione rappresentano fattori fondamentali per l’engagement. Kahn riporta, inoltre, che i dipendenti si sentono diversamente coinvolti in funzione della percezione dei benefici derivanti dal loro ruolo. In questo senso, premi e riconoscimenti sono positivamente correlati all’engagement.
Successivi elementi individuati da Kahn per l’engagement sono la percezione di competenza e la sicurezza psicologica all’interno dell’organizzazione. L’autore, inoltre, ha rilevato che la creazione di relazioni di supporto e di fiducia all’interno dell’organizzazione incentiva la formazione di un personale engaged. Anche secondo Maslach et al.14, il supporto percepito derivante dall’organizzazione è uno dei maggiori vettori verso l’engagement. Infatti, quando i lavoratori percepiscono che l’organizzazione si preoccupa e si prende cura di loro, sono più propensi ad adempiere gli obblighi nei confronti della stessa, manifestando un maggiore coinvolgimento. In aggiunta, poiché i lavoratori tendono a percepire l’interesse dei supervisori nei loro confronti come specchio del supporto aziendale, è importante considerare anche questo elemento come leva per un maggiore coinvolgimento. Il ruolo dei supervisori è cruciale anche perché rappresenta un importante elemento per la prevenzione del burnout.
La giustizia percepita nel contesto aziendale, infine, è l’ultima delle variabili trovate negli studi di Kahn9,10, positivamente collegata all’engagement. Quando i dipendenti hanno un’elevata percezione di giustizia all’interno dell’organizzazione, si sentono più obbligati a essere altrettanto equi nell’espletamento della propria funzione, dando tutto il loro impegno attraverso elevati livelli di engagement. Al contrario, una percezione d’iniquità può causare un minore coinvolgimento, con possibile conseguente burnout.
Analizzando le conseguenze organizzative dell’employee engagement, c’è da dire che questo aspetto ha, probabilmente, contribuito a rendere l’argomento popolare e, allo stesso tempo, rappresenta il principale interesse per numerose aziende. L’attenzione per questo argomento deriva dalla correlazione tra empolyee engagement e i risultati economici. Se, infatti, l’engagement oggi occupa un posto rilevante nei piani decisionali dei manager, è soprattutto perché è emersa la consapevolezza del suo valore economico. Sebbene negli studi di Kahn9,10 e May et al.19 non ci sia una sezione concernente i risultati economici collegati a un personale engaged, ci sono diverse ragioni per aspettarsi questo tipo di correlazione positiva. Innanzitutto, l’engagement permette un’esperienza lavorativa positiva e uno stato mentale altrettanto positivo; tutto ciò porta a benessere psichico e a un approccio win-win nei confronti dell’attività lavorativa, che si traduce in migliori risultati economici. In aggiunta, come dimostrato da Schaufeli e Bakker 20, il dipendente motivato avrà un forte attaccamento all’azienda, che si traduce in una bassa propensione a lasciare l’organizzazione di cui fa parte. Cropanzano e Mitchell21 analizzano come il susseguirsi di scambi reciproci e favorevoli tra organizzazione e lavoratore porti alla creazione di relazioni di qualità e fiducia tra le parti, che incentivano attitudini positive nei confronti dell’organizzazione e si traducono in risultati economici positivi.
Nel complesso, l’engagement promuove l’efficace funzionamento dell’azienda e permette di sostenerla durante i continui processi di cambiamento con i quali le moderne organizzazioni si confrontano. Se si paragona il processo di cambiamento aziendale a un viaggio, si capisce quanto sia fondamentale, affinché si arrivi alla meta, rendere tutti i partecipanti responsabili, coinvolti e consapevoli dell’itinerario. Affinché ciò avvenga, è necessario che in tutti i portatori d’interesse maturi la sensazione di valere per l’organizzazione e di avere un ruolo di cittadinanza attiva all’interno del contesto di riferimento. Allo stesso tempo, è importante che tutti gli stakeholder abbiano la sensazione di trarre un vantaggio tangibile dall’accompagnare l’organizzazione nel processo di cambiamento 5.
L’Engagement Dashboard è uno strumento utile per monitorare, rilevare e sviluppare il livello di coinvolgimento delle persone. Esso, infatti, attraverso la divisione del personale in cluster organizzativi, consente di comparare, per una determinata performance, i livelli di engagement dichiarati rispetto a quelli realmente realizzati. In questo modo, l’azienda è in grado di sviluppare processi decisionali tempestivi ed efficaci, che permettono di accompagnare una strategia dinamica e di medio-lungo periodo 5.
LEVE DI ENGAGEMENT E ASPETTI MOTIVAZIONALI
Gli strumenti di engagement che vanno a toccare le principali dimensioni rilevanti per gli aspetti motivazionali (percezione di significato, di autonomia, di competenza e la sensazione di coinvolgimento nella promozione attiva del valore dell’organizzazione) sono essenzialmente rappresentati dai seguenti fattori5,22:
• Informazione e comunicazione: tale categoria di strumenti permette l’allineamento e l’aggiornamento costante sul processo di cambiamento e, in questo modo, il coinvolgimento nella promozione attiva dell’azienda. Questi strumenti comprendono reportistica, pubblicazioni istituzionali, testate informative, portali internet, bilanci, report di sostenibilità e newsletter. Nell’ultimo periodo, inoltre, sta crescendo molto la cross-medialità, anche grazie alle grandi innovazioni tecnologiche di questi anni.
• Eventi di comunicazione: workshop aziendali, meeting di allineamento, conferenze stampa, convention annuali, open day, roadshow esterni sono leve che consentono di entrare in confronto diretto con i portatori d’interesse. Durante questi eventi, viene stimolata la percezione di significato grazie al fatto che l’azienda è rappresentata direttamente dal personale, sia durante le fasi di scambio e trattativa con gli stakeholder esterni, sia durante quelle di resoconto e di celebrazione dei risultati raggiunti.
• Community: gli strumenti di web 2.0, tra cui blog, social network interni e forum permettono lo sviluppo di partnership per la realizzazione di fasi di processo e prodotto; in aggiunta, permettono la costruzione di messaggi nelle strategie di storytelling aziendale23. Attraverso questo strumento, infatti, è possibile coinvolgere il personale nella promozione attiva della storytelling aziendale. Siffatti strumenti multimediali permettono al personale di sentirsi coinvolti in un processo di cambiamento aziendale che è allo stesso tempo online e dinamico, dove la voice di ogni stakeholder è rilevante e considerata tale da tutta la community.
• Leadership: la percezione di significato e il senso di autonomia sono leve attivabili attraverso strumenti di envisioning, coaching e attraverso la leadership communication. Attraverso il coaching si ha, infatti, la responsabilizzazione del management nella guida e nella crescita delle persone nel cambiamento. La leadership communication, invece, è uno strumento che dimostra l’esposizione diretta e costante delle figure apicali di business in contesti esterni per testimoniare il cambiamento in corso.
• Sviluppo professionale: per rafforzare la percezione di competenza dei dipendenti, è indispensabile l’uso di programmi di rafforzamento delle competenze; tra questi, particolare rilievo assumono i programmi di job rotation e mobilità intra e interfunzionale. Anche i programmi di talent management possono essere un buon volano per creare figure coerenti ed engaged nell’evoluzione organizzativa.
• Responsabilizzazione e inclusione: l’utilizzo di cantieri di miglioramento e tavoli multi-stakeholder possono servire a rendere il personale ancora più coinvolto nel processo di cambiamento, poiché dimostrano la disponibilità e l’apertura dell’azienda a modificarsi in ottica futura e di cambiamento.
• Innovazione: il senso di autonomia e la percezione di competenza possono essere ancora una volta stimolati grazie a challenge o contest per la generazione di idee su temi, prodotti o servizi legati alla nuova strategia di sviluppo del cambiamento. Allo stesso modo, anche la creazione di taskforce interfunzionali può aiutare al raggiungimento degli stessi fini e a implementare l’innovazione creata con i challenge/contest per la generazione di idee.
• Recognition e rewarding: il miglior modo per attivare la percezione di significato negli stakeholder è sicuramente lo sviluppo di adeguati sistemi d’incentivazione legati ai risultati raggiunti durante il processo di cambiamento. Questi sistemi possono essere utilizzati sia riguardo agli stakeholder interni, sia riguardo a quelli esterni. È altrettanto importante dare visibilità ai protagonisti fornendo loro l’opportunità di raccontare di persona il contributo dato e i risultati raggiunti.
• Work environment: rientrano in questa categoria gli strumenti di attenzione al benessere organizzativo (welfare, people care, work life balance) e i servizi specifici per la persona quali la flessibilità oraria, assistenza sanitaria e convenzioni. Queste leve dimostrano l’attenzione dell’impresa ai propri portatori d’interesse e stimolano, senz’altro, la percezione di significato di questi ultimi.
• Work experience: ambienti interni, strutture esterne e territorio sono, infine, una leva rilevante per ottenere un personale engaged. Oggigiorno, nelle politiche manageriali rientrano sempre più argomenti che toccano l’ergonomia, l’estetica e la funzionalità degli ambienti di lavoro. L’utilizzo di un ambiente consono e funzionale al processo di cambiamento è fondamentale per accompagnare gli stakeholder durante il processo modificativo e svolge un ruolo importante nei programmi di engagement aziendali.
IL PROCESSO DI CAMBIAMENTO DEL DSM DELLA ASL NAPOLI 3 SUD
Nel corso degli ultimi anni è stato attivato un intenso processo di cambiamento presso il DSM dell’ASL Napoli 3 Sud della Regione Campania. Tale ASL si estende su un territorio di circa 620 km2, suddiviso in 57 Comuni e 13 distretti sanitari, con una popolazione di oltre un milione di abitanti. Il DSM è articolato in 10 Unità Operative di Salute Mentale (UOSM) e un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC), che offrono diversi servizi territoriali e residenziali, in una logica di integrazione con le Linee di Indirizzo Nazionali e con le esigenze e i bisogni socio-assistenziali del contesto territoriale.
Questo processo di cambiamento ha rappresentato una scelta coraggiosa, ma anche una necessità, a causa del grave disagio e della sofferenza avvertita e verbalizzata da quasi tutti gli operatori della salute mentale. Il processo è coinciso con un avvicendamento delle figure apicali alla direzione del DSM e delle singole UOSM. Sono stati programmati incontri quindicinali per il gruppo dirigenziale. Presso ogni UOSM si sono tenute riunioni periodiche (in genere settimanali) con la partecipazione di tutti gli operatori. In alcuni casi tali incontri sono stati notevolmente incrementati rispetto al periodo precedente.
In tali contesti è stato effettuato un esame del quadro organizzativo e funzionale del DSM, con evidenziazione delle principali aree problematiche. Gli aspetti critici emersi nel corso delle riunioni delle UOSM sono stati poi riportati dai rappresentanti delle rispettive UO alla riunione quindicinale del DSM. Di seguito si riportano le principali aree di problematicità evidenziate:
a) Grave disagio per le modalità di espletamento degli interventi di emergenza/urgenza: è stata evidenziata una sovrapposizione tra Servizio 118 e DSM con difficoltà nel raccordo e conseguenti disservizi. Il Servizio 118, vista la disponibilità a 360° della Salute Mentale, tendeva a sottrarsi alle chiamate di emergenza, configurandosi in questo modo, oltre al disservizio, anche un atteggiamento discriminatorio nei confronti dei sofferenti psichici, ai quali veniva negato il diritto di usufruire di un servizio di emergenza. Si era instaurato un circolo vizioso, all’interno del quale la grande disponibilità in termini temporali per l’attività di emergenza riduceva l’impegno nella prevenzione del disagio psichico, con conseguente incremento delle ricadute di malattia e quindi delle emergenze psichiatriche. Gli operatori del DSM si sentivano svalutati nella propria professionalità e frustrati per l’impossibilità di potersi dedicare nella misura adeguata a un’opera di prevenzione del disagio psichico e nella cura dello stesso.
b) Le sedi dei vari servizi di salute mentale apparivano deteriorate e degradate. Nella maggior parte dei casi, l’arredo appariva logoro, insufficiente o inadeguato. In molti casi si rendevano necessari interventi di tinteggiatura o di ristrutturazione. In alcuni casi mancava un impianto di condizionamento con conseguente grave disagio, soprattutto nel periodo estivo. Per alcune sedi, l’inadeguatezza della struttura imponeva la necessità di trasferimento presso altra sede.
c) Molti gruppi di lavoro presentavano al loro interno dinamiche relazionali interpersonali disfunzionali e fonte di gravi tensioni, con conseguente stress psichico per gli operatori e con inevitabili ripercussioni sulla qualità del lavoro. Per tali fenomeni sono state evidenziate molteplici cause, tra cui: la carenza di personale, il sovraccarico lavorativo, la mancanza di motivazione e una comunicazione insufficiente o inadeguata.

È apparsa fin da subito l’intenzione della direzione di non volere intervenire con modalità impositive di tipo top-down, così come era accaduto in precedenza, ma di coinvolgere – attraverso un approccio di engagement – tutto il personale al fine di renderlo attivamente partecipe al processo di cambiamento che si intendeva promuovere.
Gestione delle emergenze
Per quanto riguarda la riorganizzazione della gestione delle emergenze, sono stati realizzati diversi incontri tra gli operatori delle singole UOSM e il Direttore del DSM, nel corso dei quali sono state evidenziate le principali difficoltà relative alla contingenza locale. Da tali incontri è emerso che in molte realtà era privilegiata l’attività di emergenza/urgenza rispetto a un lavoro ordinario e di prevenzione. Spesso, nell’organizzazione dei turni di lavoro era prevista un’unità medica per ogni turno lavorativo, esclusivamente dedicata a eventuali interventi di urgenza/emergenza. Pur non demonizzando tale modello organizzativo e in assenza di imposizioni, è stata stimolata una riflessione sull’opportunità di considerare un modello alternativo, nel quale l’emergenza perdeva la priorità avuta fino allora, essendo considerata come un’eventualità eccezionale e, pertanto, non programmabile. Il recupero di forza lavoro avrebbe consentito un’intensificazione dell’attività di assistenza domiciliare e territoriale con potenziamento della prevenzione delle ricadute e quindi delle emergenze.
L’équipe della UOSM di Castellammare di Stabia, stimolata da tali input, ha messo in atto una riorganizzazione dell’attività lavorativa che prevedeva l’eliminazione dai turni del cosiddetto “medico di emergenza”. Dopo un periodo di prova, si è potuto osservare una rilevante riduzione degli interventi di emergenza, soprattutto dei ricoveri in regime di TSO. In particolare, il numero di TSO è sceso da 28, nel corso del 2012, a soli 5 ricoveri, nel corso del 2015. Tali risultati hanno ulteriormente motivato gli operatori a confermare il nuovo modello operativo. È apparso altresì chiaro che tale modello non poteva essere mantenuto, se non migliorando la comunicazione tra gli operatori, i quali dovevano accettare l’idea di un interscambio operativo al di fuori di schemi rigidi e standardizzati.
A distanza di quattro anni dall’introduzione del nuovo modello, è possibile constatare un notevole miglioramento delle dinamiche relazionali tra gli operatori con riduzione delle tensioni nei rapporti interpersonali e conseguente minore stress lavorativo. Al momento, altri gruppi di lavoro stanno valutando la possibilità di adottare tale modello organizzativo. Contemporaneamente, è stato aperto un tavolo istituzionale con la partecipazione del DSM, del Servizio 118 e della Direzione Sanitaria dell’ASL, per la stesura di un protocollo operativo finalizzato alla gestione delle emergenze psichiatriche. Tale protocollo, ispirandosi al DPR 1 novembre 1999, prevede l’intervento del Servizio 118 per i casi di emergenza psichiatrica, con l’eventuale intervento specialistico (di secondo livello) degli operatori del DSM. Nelle ore notturne e festive è prevista un’integrazione con un servizio di pronta disponibilità dei medici e degli infermieri della salute mentale. Come centro di riferimento per le consulenze psichiatriche è stato individuato l’unico SPDC dipartimentale, ubicato a Torre del Greco.
Il protocollo di recente siglato, attualmente in uso, rappresenta il punto d’arrivo di un percorso iniziato circa dieci anni fa, quando alcuni operatori “osarono” mettere in discussione il modello utilizzato per le emergenze/urgenze. All’epoca, la direzione dipartimentale non ritenne di dover prendere in considerazione tali proposte. Queste ultime erano sostenute solo da una parte degli operatori della salute mentale: l’innovazione proposta sarebbe stata economicamente svantaggiosa per alcune categorie di dipendenti. Sono occorsi parecchi anni per consentire a tutti gli operatori di acquisire la piena consapevolezza dell’inadeguatezza del precedente modello, quando anche economicamente vantaggioso. L’approvazione del nuovo protocollo operativo ha contribuito a incrementare la motivazione degli operatori, che hanno percepito la capacità dell’azienda di superare pregiudizi molto radicati, prendendo in considerazione le proposte operative dei dipendenti e aumentandone, in questo modo, il senso di coinvolgimento attivo, la motivazione e l’engagement.
Il processo di cambiamento che ha consentito l’adozione del nuovo protocollo operativo è stato possibile grazie a un incremento dei canali di comunicazione e di scambio d’informazioni, con l’attuazione di quel confronto necessario ad appianare le divergenze di opinioni che caratterizzavano la platea e a consentire la convergenza verso un modello unico condiviso.
Riorganizzazione delle sedi
Molte UO erano situate in sedi che presentavano gravi mancanze strutturali o carenze nell’arredamento. Per alcune di queste sedi è stata valutata la necessità di trasferimento presso altra sede; a tal fine, è stata attivata una ricerca delle stesse e dei finanziamenti necessari. Presso la sede della UOSM di Castellammare di Stabia, in attesa di trasferimento in altra sede, è stato comunque valutato opportuno attivare una ristrutturazione con riorganizzazione degli spazi, anche al fine di consentire l’attuazione del nuovo modello operativo. Gli spazi sono stati rimodulati in modo da garantire una maggiore privacy all’utenza e di consentire un primo filtro e un’accoglienza degna di questo nome. A tale scopo, è stato ricavato un vano antistante allo sportello di accettazione, in cui gli utenti possono incontrare gli operatori della prima accoglienza per esporre in riservatezza i propri problemi.
Gli infermieri professionali sono stati opportunamente formati, al fine di attuare una prima valutazione dell’utenza in entrata. A tal fine, è stata predisposta un’apposita modulistica. Per la scelta degli arredi, sono stati attivamente coinvolti tutti gli operatori. I colori per la tinteggiatura delle pareti sono stati scelti in base ai gusti personali degli occupanti. Molti operatori hanno potuto personalizzare la propria stanza con poster e fotografie. Al fine di migliorare il confort degli utenti e degli operatori è stato chiesto e ottenuto un impianto di condizionamento per ogni ambiente. Tale riorganizzazione rientra nella categoria di strumenti di attenzione al benessere organizzativo (quali strumenti di welfare e di people care) e svolge un ruolo importante in quanto leva di impatto sulla qualità di work experience (ambienti interni, strutture esterne, territorio sono infatti al centro da tempo di politiche di attenzione responsabile in termini di ergonomia, estetica e funzionalità) 5. Questi accorgimenti strutturali hanno prodotto dei feedback immediati da parte degli utenti, che hanno riferito di percepire un maggiore confort nell’accedere al Servizio. Tale percezione si riferiva – oltre all’aspetto estetico e al benessere termico – al maggiore rispetto della riservatezza, e agio nell’attesa della visita/prestazione.
Le difficoltà relazionali
Al momento dell’insediamento del nuovo Direttore del DSM, molti gruppi riferivano difficoltà relazionali al loro interno, tali da ripercuotersi sulla qualità del lavoro e fonte di grave stress e talvolta di burnout. Gli operatori della UOSM di Castellammare di Stabia hanno richiesto un incontro col Direttore del DSM, al quale sono stati esposti i problemi e le dinamiche del gruppo. In tale contesto è stato deciso di intraprendere un lavoro di supervisione del gruppo. È stato interpellato un supervisore esperto con competenze sistemico-relazionali, con cui sono stati fatti più incontri, nel corso dei quali ogni operatore ha potuto esprimere liberamente i propri vissuti e confrontarsi con i colleghi. Alla fine degli incontri, il supervisore ha fornito indicazioni e consigli che sono stati prontamente accolti e attuati. In particolare è stato consigliato di tenere in maggiore considerazione la comunicazione scritta, al fine di evitare fraintendimenti e di consentire una maggiore diffusione delle informazioni. È stato anche consigliato di dedicare più tempo alla condivisione della programmazione delle attività e alla discussione dei casi clinici che maggiormente impegnano i singoli operatori. Tali consigli sono esitati nella decisione di programmare riunioni di gruppo due volte la settimana, oltre a briefing quotidiani per la programmazione delle attività giornaliere. Recentemente è stata completata una programmazione di altre supervisioni per i gruppi di lavoro che ne hanno fatto richiesta. Presso il SPDC dipartimentale il lavoro di supervisione di gruppo è al momento in atto.
L’IMPEGNO DEL DIPARTIMENTO
Gli interventi fin qui esposti hanno innescato un processo di cambiamento che ha contribuito a distendere il clima lavorativo e a rendere il lavoro più fluido e gratificante. Il cambiamento di un’organizzazione, di fatto, trova sempre nelle persone il punto di contatto con la realtà concreta, in quanto esse rappresentano la variabile fondamentale del percorso per raggiungere l’obiettivo: le persone decidono l’esito del cambiamento e ne influenzano la velocità e l’efficacia; è fondamentale, quindi, spostare il baricentro verso le persone, creare un sistema di confronto continuativo, che consenta di monitorare il livello di engagement e ottenere feedback migliorativi5.
In questo senso, il Dipartimento ha cercato di ricondurre la gamma delle leve di employee engagement ai seguenti principi:
• generazione di consapevolezza rispetto al sistema organizzativo dipartimentale e alle sue scelte;
• sviluppo di conoscenza e competenza per il rafforzamento del ruolo degli operatori;
• offerta di spazi di espressione di sé e di contribuzione;
• coinvolgimento degli operatori nella promozione attiva del valore dell’organizzazione dipartimentale nei diversi contesti.

Per raggiungere tali obiettivi sono stati utilizzati/implementati diversi strumenti di engagement, tra cui, in particolare:
• informazione e comunicazione;
• sviluppo della percezione di significato e del senso di autonomia degli operatori;
• sviluppo professionale per rafforzare la percezione di competenza degli operatori;
• responsabilizzazione e inclusione per aumentare il livello di allineamento con la cultura e la mission del Dipartimento, nonché il livello di identificazione degli operatori.

Nello specifico, il Dipartimento ha intrapreso una serie di iniziative, di seguito specificate, che ha coinvolto tutte le figure professionali con risultati positivi sia in termini di engagement sia di efficacia e di efficienza.
Obiettivi di performance
È stata programmata una serie di obiettivi di performance, che ha coinvolto tutte le figure professionali, ognuna con le specifiche competenze. Il comune denominatore di tali obiettivi è stato rappresentato dal coinvolgimento e dalla responsabilizzazione. Le varie UOSM hanno assegnato gli obiettivi di performance ai singoli operatori tenendo conto delle attitudini e delle propensioni degli stessi al fine di consentire una percezione di autonomia e di valorizzarne le competenze. Il tasso di conseguimento degli obiettivi è stato, nel complesso, molto soddisfacente, con una percentuale media superiore al 90%.
La formazione
Sono state organizzate numerose attività formative di cui la maggior parte accreditate come educazione continua in medicina (ECM). Tali attività sono state indirizzate sia ai dirigenti sia alle varie figure professionali del comparto (Tabella 1 e 2).



La supervisione
A livello dipartimentale, è stata organizzata un’attività di supervisione dei casi clinici con supervisori esperti esterni all’azienda, alla quale sono stati invitati tutti i dirigenti dell’area sanitaria. Le dimensioni approfondite sono state quella clinica, psicologica e relazionale, interagenti nella presa in carico del paziente e inerenti alla relazione di aiuto e al processo di cura. Contestualmente, per sostenere la centralità del lavoro in équipe, quanto mai indispensabile per la gestione della complessità, di cui sono portatori molti dei pazienti assistiti dal DSM, particolare attenzione è stata data alle dinamiche di gruppo, con momenti d’interattività realizzata attraverso la presentazione e discussione di casi clinici. L’indice di presenza nel 2015 è stato pari all’85% (Tabella 3). Gli operatori, in tal modo, hanno potuto ottenere il sostegno necessario per i casi clinici più complessi e difficili, ma è stata anche l’occasione per far emergere eventuali difficoltà relazionali all’interno dei singoli gruppi di lavoro o tra i vari gruppi, fornendo così utili spunti per iniziative di cambiamento o di rimodulazione delle attività.



I gruppi presso l’SPDC
Nel corso dell’ultimo triennio è stato attuato un programma di miglioramento della qualità d’assistenza erogata dal SPDC. Un team costituito da quattro psicologi provenienti da varie UUOO territoriali ha costantemente lavorato con il personale del SPDC sui casi clinici, programmando incontri settimanali focalizzati sulle criticità più rilevanti (per es., distacco tra UUOO territoriali e SPDC, mancanza di una dimensione maggiormente integrante non solo gli aspetti diagnostici e terapeutici, dettati dall’acuzie, ma anche di quelli relazionali e di vita del paziente ricoverato).
Work experience
Il DSM ha sostenuto – e sostiene tuttora – un progetto denominato “Potenziamento dei piani Terapeutici Riabilitativi attraverso le work experience”. Esso è nato allo scopo di favorire i programmi riabilitativi personalizzati di pazienti psichiatrici in carico ai vari Servizi di Salute Mentale dell’ASL NA 3 Sud attraverso la formazione, l’orientamento e l’accompagnamento all’inclusione sociale. Gli utenti coinvolti nel corso del 2015 sono stati 20, di cui 8 impegnati nel settore della grafica e serigrafia, 8 nell’agricoltura e giardinaggio e i restanti 4 in attività turistiche e ricreative.
Risvolti economici
È interessante notare come la nuova organizzazione, oltre alle evidenti ripercussioni sulla motivazione degli operatori e sul clima lavorativo, abbia anche comportato benefici sul piano economico. A tal proposito, si riportano i dati riferiti alla spesa per le strutture residenziali del privato e per le cliniche neuropsichiatriche e quelli riferiti ai ricoveri presso l’SPDC dipartimentale.
Progetti terapeutici presso strutture residenziali esterne
Alla fine del 2015 gli utenti assistiti in strutture residenziali al di fuori del DSM erano 103, di cui 53 in strutture ad alta intensità (AI) assistenziale, 50 in strutture a bassa intensità (BI) assistenziale. La spesa per queste attività, complessivamente, è stata pari a € 1.988.432,83, cifra sostanzialmente inferiore a quella del 2013 (-268.702,76 euro) e leggermente inferiore a quella del 2014 (-36.699,08 euro), pur assistendo rispettivamente 15 e18 utenti in più rispetto ai due anni precedenti. Il dato più interessante, però, non è solo il mero contenimento della spesa, quanto piuttosto la definizione di PTRP a bassa intensità d’assistenza o addirittura di progetti territoriali (Tabella 4, Figure 1 e 2).






Attività clinica di ricovero ospedaliero presso il SPDC di Torre del Greco
• Durante l’anno 2013 sono stati effettuati 280 ricoveri, di cui 149 in regime di TSO (n. 145 TSO per utenti afferenti al DSM ASL Napoli 3 Sud);
• Nell’anno 2014 su 285 ricoveri, 134 sono avvenuti in regime di TSO (130 TSO per gli utenti del DSM ASL Napoli 3 Sud);
• Nell’anno 2015, dei 266 ricoveri, 91 sono stati in regime di TSO (87 per gli utenti del DSM ASL Napoli 3 Sud) (Figura 3).



Il gruppo diagnostico più rappresentato è quello delle psicosi schizofreniche (43,4%), seguito da quello dei disturbi dell’umore (29,5%) e infine un gruppo che raccoglie varie diagnosi (27,1%) (disturbi di personalità, sindromi psicorganiche, etc.). I dati mostrano un miglioramento della qualità dell’assistenza psichiatrica del DSM evidenziata dal progressivo calo negli ultimi 3 anni dei ricoveri dei pazienti in TSO.
Ricoveri presso strutture neuropsichiatriche
Nonostante il DCA 94/2014d abbia sancito la riconversione delle case di cura neuropsichiatriche in strutture residenziali, esse – in questa fase di regime transitorio – continuano a eseguire ricoveri in regime ordinario e DH (circolare n. 817/C del 27/2/2015e).
I ricoveri presso queste strutture avvengono solo nei casi in cui non sia praticabile un’adeguata assistenza territoriale (ambulatoriale e/o domiciliare) o presso il SPDC dipartimentale. Il medico responsabile autorizza l’eventuale ricovero, stabilendone la durata prevista, mantiene il contatto con il paziente e con i medici della struttura ospitante ed effettua, inoltre, periodici controlli presso la struttura valutando l’opportunità o meno di prorogare il ricovero.
Questa metodica di lavoro va nella direzione di prediligere l’assistenza nei luoghi di vita delle persone, ricorrendo allo strumento del ricovero nel modo più appropriato possibile (per es., acuzie e revisione del programma terapeutico). Dai dati emerge una progressiva riduzione delle giornate di degenza degli utenti (in regime sia di ricovero ordinario sia di DH) e un significativo risparmio economico. Nell’anno 2014, per es., le giornate di degenza in regime ordinario sono state 21.224 per una spesa pari a € 3.215.911,00. Le degenze in regime di DH sono state 215 con una riduzione del 29% rispetto al 2013 e con una spesa di € 33.670 con una riduzione del 20,5%. Nelle Figure 4-8 vengono rappresentati nel dettaglio i dati.






I risultati di questi quattro anni di gestione sono senza dubbio incoraggianti per un prosieguo nella direzione tratteggiata. Non è possibile, però, omettere l’individuazione di punti di criticità e di debolezza del modello. Si ritiene auspicabile una maggiore attenzione alla programmazione dell’engagement degli operatori e alla successiva valutazione e monitoraggio del livello di coinvolgimento rispetto agli obiettivi di performance per ogni cluster. Attraverso l’uso di strumenti come l’engagement dashboard si potrebbero rilevare parametri obiettivi (grado di assenteismo e turnover, proattività, rispetto dei tempi, innovazione e qualità) e soggettivi (autodichiarazioni rispetto a stato d’animo e coinvolgimento, senso di appartenenza), il cui rapporto rappresenta l’engagement index utile per monitorare l’evoluzione del fenomeno ed eventualmente intervenire in modo adeguato sui cluster meno performanti. Tale strumento consentirebbe anche di creare un processo di governo sistemico dell’engagement e delle relazioni con gli stakeholder che lo generano. I risultati evidenziati potrebbero poi essere oggetto di workshop e/o di incontri nelle diverse sedi aziendali.
CONCLUSIONI
Come argomentato sopra, questo lavoro propone un’analisi dell’utilizzo della leva “engagement” all’interno dei processi di cambiamento aziendali, vista la sua sempre maggiore rilevanza nei piani strategici delle principali organizzazioni. L’azienda, come struttura osmotica volta a interagire con tutte le categorie di portatori d’interesse in un’ottica win-win, ben si presta per una visione conclusiva di quanto detto finora. Infatti, è proprio in una struttura organizzativa che assegna eguale importanza e rilievo ai diversi stakeholder, che un buon utilizzo della leva dell’engagement può prendere atto e concretizzarsi al meglio.
Aziende dinamiche sono l’esempio di come, oggi, le organizzazioni non possano esimersi dal sostenere e mettere in atto continue trasformazioni dei programmi aziendali, dovute alle oscillazioni delle contingenze esterne, che portano alla necessità di una continua rielaborazione delle strategie di lungo termine. Pertanto, un’azienda all’avanguardia deve essere pronta a gestire in maniera positiva il cambiamento, coinvolgendo tutti i portatori d’interesse e rendendoli partecipi, autonomi ed entusiasti del cambiamento stesso. Attraverso strumenti quali l’engagement dashboard è possibile, quindi, tenere sotto controllo il livello di engagement e stimolarlo qualora carente. In questo modo, anche grazie all’utilizzo di management meeting, si raggiunge la vera ed efficace osmosi aziendale. In questo modo, i diversi portatori d’interesse saranno in grado di scambiarsi efficientemente informazioni e di sentirsi autonomi portavoce della “storytelling” aziendale nel quale si sentono rappresentati.
Considerando, quindi, la gestione del cambiamento in una prospettiva dinamica e deontologica, risulta fondamentale ottenere portatori d’interesse intrinsecamente motivati per permettere alle aziende di interfacciarsi in maniera vincente al cambiamento. In letteratura si rinvengono numerosi report relativi ad aziende con esperienze di cambiamento grazie alle teorie sopra esposte5,8. Solo da poco tempo si parla di engagement in sanità24-26 e sono ancora rare le esperienze relative ad aziende sanitarie pubbliche o private. In tal senso, l’operazione svolta presso il DSM dell’ASL Napoli 3 Sud può essere considerata pionieristica. È evidente che si tratta di un approccio ancora iniziale e che richiede un successivo sviluppo. Occorre, per esempio, che la valutazione dell’engagement sia fatta in modo più strutturato e organico, utilizzando – fra gli altri – lo strumento dell’engagement dashboard. Si è, comunque, ritenuto utile analizzare l’esperienza in oggetto alla luce dei risultati positivi che tale lavoro ha prodotto, e anche in considerazione dell’originalità dell’approccio: per quanto noto e diffuso in altri settori, infatti, esso è ancora poco utilizzato in ambito sanitario.
Possibili sviluppi futuri potrebbero trovare ispirazione dal presente lavoro. È importante divulgare i dati ottenuti a tutti gli stakeholder, utilizzando i mezzi di comunicazione disponibili, al fine di aumentare la consapevolezza del metodo, ottenere una più ampia adesione allo stesso e, quindi, ribadire l’importanza della leva dell’engagement quale strumento critico per il cambiamento organizzativo.

Ringraziamenti. Si ringraziano per la collaborazione: il dott. Franco Campana, dirigente psichiatra DSM ASL Napoli 3 Sud, responsabile SPDC c/o Ospedale “Maresca” Torre del Greco; il dott. Mariano De Furio, dirigente psichiatra DSM ASL Napoli 3 Sud; il dott. Silvestro La Pia, dirigente psichiatra DSM ASL Napoli 3 Sud; il dott. Pasquale Saviano, dirigente psichiatra DSM ASL Napoli 3 Sud.

Conflitto di interesse: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interesse.
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