Salienza: clinica, psicopatologia e neurobiologia
The clinical, psychopathological and neurobiological features of salience

LUCIA GODINI1, LORENZO LELLI1, BEATRICE CAMPONE1, ELEONORA CIAMPI1, ELISA CORSI1,
VALENTINA RAMELLA CRAVARO
1, ANDREA BALLERINI1
E-mail: luciagodini@yahoo.com

1Dipartimento di Neuroscienze, Psicologia, Farmacologia e Salute del Bambino, Università di Firenze


Riassunto. La salienza costituisce un processo di integrazione grazie al quale oggetti e stimoli provenienti dall’ambiente esterno o dal nostro stato interno raggiungono l’attenzione, acquistano rilevanza e diventano in grado di influenzare pensieri e comportamenti. Al contrario, la salienza aberrante rappresenta un’incorretta attribuzione di significato a stimoli neutri o innocui. Essa possiede un ruolo fondamentale durante la formazione di sintomi psicotici, soprattutto nella strutturazione della “rivelazione” e, come molti studi hanno riportato, sembra collegata anche al mantenimento di tali disturbi. La valutazione tramite l’Aberrant Salience Inventory rappresenta, a oggi, lo strumento più recente e specifico per individuare la salienza aberrante in campioni clinici e di controllo. Poiché da un punto di vista neurobiologico la salienza aberrante sembra essere spiegata da una disfunzione del sistema dopaminergico mesolimbico, implicato a sua volta nella regolazione del reward, si comprende anche la possibile interazione fra sostanze d’abuso, salienza aberrante e sintomi psicotici. La valutazione della salienza aberrante durante l’inquadramento di individui che hanno sviluppato sintomi psicotici o soggetti a un possibile rischio costituisce un elemento di notevole utilità clinica in senso diagnostico e prognostico. Lo scopo del presente lavoro è quello di analizzare il concetto di salienza: definizione, background storico e psicopatologico, correlati neurobiologici, legami con uso e abuso di sostanze, strumenti di valutazione e caratteristiche cliniche.

PAROLE CHIAVE: salienza aberrante, psicosi, Aberrant Salience Inventory, sistema dopaminergico, sostanze d’abuso.


SUMMARY. Salience is an integration process that allows to give attention to internal or external stimuli which grow in relevance becoming able to influence thoughts and behaviors. On the contrary, aberrant salience leads to the attribution of significance to innocuous or natural stimuli. Aberrant salience plays a basic role in the early phases of psychosis, mainly in the development of “revelation”, but it also contributes to maintain the disorder. Nowadays, the current and specific instrument to assess this symptom is the Aberrant Salience Inventory (ASI) both in clinical and non-clinical samples. Furthermore, the documented interrelation between the dysregulation of the salience attribution and the dopamine system could explain the correlation between aberrant salience, substance abuse and development of psychotic symptoms. The assessment of aberrant salience in people with prodromal symptoms or at risk to develop them, could be a noteworthy clinical tool both for diagnostic and prognostic purposes. The aim of this review is to analyze the concept of salience: definition, historical and psychopathological background, neurobiological underpinnings, association with substance abuse, assessing instruments and clinical features.

KEY-WORDS: aberrant salience, psychosis, Aberrant Salience Inventory, dopaminergic system, addictive drugs.

Introduzione
La salienza può essere definita come «un processo nel quale gli oggetti e gli stimoli, attraverso un meccanismo di integrazione, giungono all’attenzione catturando i pensieri e guidando i comportamenti»1.
La salienza aberrante, ovvero l’assegnazione di salienza o significato a stimoli altrimenti neutri o innocui, rappresenta uno dei principali meccanismi patogenetici dei sintomi psicotici2 e ha una lunga storia nella ricerca scientifica relativa alla psicosi.
La presente rassegna nasce con lo scopo di mettere in luce il concetto di “salience” come tratto dimensionale (appartenente ai sintomi psicotici e non solo), gli aspetti fisiologici correlati, il legame con la funzione dopaminergica, i fattori neurobiologici e genici che la influenzano e infine fornire delucidazioni sulla complessità del suo ruolo all’interno della clinica e della psicopatologia.
METODI
La ricerca della letteratura disponibile sull’argomento ha incluso lavori scritti in lingua inglese che riportassero dati relativi ad alterazioni della salienza in campioni di pazienti con e senza sintomi psicotici.
Gli studi revisionati sono stati ottenuti dal database informatico PubMed combinando le parole “Salience” & “Psychosis”, “Salience” & “Addiction”, “Salience” & “Dopaminergic system”. Per la presente rassegna scientifica, sono stati inclusi gli articoli il cui proposito era valutare la salienza e le eventuali alterazioni in soggetti con sintomi psicotici o con vulnerabilità a essi. Gli articoli sono stati scelti inoltre sulla base di: 1) anno di pubblicazione: compreso tra il 1995 e il 2015 (sono presenti eccezioni in base all’attinenza dei lavori); 2) focus dell’indagine: valutazione della salienza aberrante e dei corrispettivi neurobiologici; 3) articoli che fornissero dati empirici e non solo revisioni di risultati già disponibili; 4) articoli pubblicati su giornali peer-reviewed; 5) età: i soggetti studiati erano di età compresa tra i 18 e i 65 anni. Non sono state condotte restrizioni relativamente all’etnicità o al genere dei pazienti.
Aggiungendo il filtro “Clinical trials” sono stati ottenuti 31 studi clinici.
È stata condotta inoltre una ricerca con le stesse modalità, relativamente alle revisioni della letteratura già pubblicate su questo argomento e nello stesso periodo, utilizzando come filtro “Review” e sono state individuate quindi 43 revisioni.
Infine, sono stati aggiunti altri articoli analizzando la bibliografia presente nelle pubblicazioni trovate nella ricerca iniziale per un numero totale di 50 studi clinici e 60 revisioni della letteratura.
La maggior parte dei lavori individuati includeva adulti con schizofrenia, con disturbo schizoaffettivo o con sintomi psicotici di altra origine o soggetti a rischio di sviluppare sintomi psicotici.
COS’È LA SALIENZA E COME FUNZIONA: VISIONE, ATTENZIONE E COMPORTAMENTO DIRETTO ALL’OBIETTIVO (GOAL DIRECTED BEHAVIOUR)
Una delle più grandi sfide per ogni organismo che interagisce in un mondo sensorialmente complesso è riuscire a distinguere in maniera efficiente gli stimoli rilevanti (che siano attrattivi, avversivi o potenzialmente di sostegno) rispetto a quelli neutri, e rispondere adeguatamente a essi. Il mondo che circonda l’individuo è particolarmente complesso e apparentemente senza limiti, mentre gli stimoli percettivi che provengono dall’esterno competono per risorse cognitive e motorie limitate.
Per questi motivi la gestione degli stimoli rappresenta una funzione fondamentale e prevede il coinvolgimento di numerosi processi come attenzione3 (filtraggio, orientamento sensoriale e comportamentale), motivazione, selezione dell’azione ed esecuzione4. Grazie a questa intricata serie di operazioni, viene assegnata una priorità agli stimoli secondo una sorta di valuta comune, la loro “salienza”4: gli stimoli vengono recepiti, confrontati con il contesto e ne viene valutata la relativa rilevanza. Per la visione, per esempio, alcune caratteristiche tendono a essere più salienti5: luminosità, movimento, colore, contrasto e orientamento si combinano all’interno di una mappa topografica, in una scena che assume significato e attira l’attenzione6. Allo stesso modo funzionano gli altri sensi e gli stimoli con elevata salienza, come uno scoppio rumoroso o un lampo di luce.
Il processo di attribuzione di salienza a uno stimolo in un dato punto del tempo e dello spazio coinvolge non solo le percezioni sensoriali, ma anche fattori interni del soggetto (obiettivi, credenze personali, storia di vita e così via). Nel loro complesso essi costituiscono un richiamo per attenzione e cognizione e sono in grado di guidare il comportamento dell’individuo.
Inoltre, il procedimento di attribuzione di priorità agli stimoli non è un qualcosa di statico, ma si caratterizza per la sua dinamicità e il continuo adattamento. Per esempio, un topo di campo affamato tende a ignorare tutto ciò che non odora o assomiglia a cibo, fino a che un evento inaspettato e potenzialmente pericoloso, come l’ombra di un uccello predatore sopra la testa, non avrà la precedenza sulla sua ricerca7. Ogni input ricevuto viene costantemente relazionato al contesto e alle sue variazioni, stabilendo, di volta in volta, qual è quello con maggiore salienza.
SALIENZA E PSICOSI (DA JASPERS A KAPUR)
La maggior parte dei pazienti con sintomi psicotici (in questo testo intendiamo come sintomi psicotici i sintomi di primo rango schneideriani, ovvero deliri, allucinazioni ed esperienze di influenzamento del pensiero) giunge all’attenzione dei clinici diverso tempo dopo il loro esordio, pertanto la ricostruzione fenomenologica dell’insorgenza della psicosi appare piuttosto complessa, essendo spesso aneddotica e condotta a posteriori. Attraverso i racconti stessi dei pazienti, le analisi fenomenologiche sull’esordio 8-11 e i progetti di individuazione precoce della psicosi12-14 è stato possibile risalire a ciò che viene considerato “il periodo prodromico” della psicosi, cioè un processo che evolve attraverso una serie di passaggi, caratterizzati prima da una fase di maggiore emotività combinata con un senso di ansia e di impasse, che determina l’esigenza di “dare un senso” alla situazione, tramite la progressiva strutturazione del delirio15-19. Il periodo prodromico era già noto ai primi fenomenologi che si occuparono di esordi psicotici, già dalla fine dell’Ottocento: Bleuler ritenne l’autismo e l’Ich-Spaltung le due caratteristiche principali delle fasi prodromiche20 che Kraepelin descrisse con la metafora dell’“orchestra senza direttore”, per descrivere il tipico senso di stranezza e di vaghezza esperito da questi pazienti; Jaspers introdusse il termine “Whanstimmung” per indicare l’atmosfera delirante in cui la demarcazione, l’unità, la vitalità e l’identità del Sé del paziente iniziano a essere compromesse21; Conrad definì la medesima condizione “Trema” (paura del palcoscenico)22,23, mentre Jaspers l’aveva definito come «un’atmosfera delirante generale in cui tutta la sua vaghezza di contenuto è emotivamente insopportabile e, ovviamente, i pazienti soffrono terribilmente nel momento in cui affrontano tale esperienza», altrimenti detta appunto “Wahnstimmung”24. Allo stesso modo Minkowsky coniò il termine “le trouble générateur” per descrivere la perdita del contatto vitale con la realtà e l’attitudine interrogativa caratteristiche delle fasi prodromiche25, mentre Blankenburg parlò di perdita della naturale evidenza di sé e della realtà circostante, cioè quell’aspecifica specificità di non sentirsi più in grado di cogliere il normale significato delle cose26.
L’esperienza centrale di questa fase potrebbe essere in relazione con una salienza aberrante, per cui stimoli che normalmente appaiono neutri diventano “salienti”, significativi e in grado di catturare l’attenzione contribuendo a strutturare la “rivelazione”16,17. Queste esperienze percettive di accresciuto interesse per certi dettagli sono spesso accompagnate dalla sensazione che i sensi si acuiscano e i pazienti riferiscono vissuti così descritti: “ho sviluppato una maggiore consapevolezza di...”, “i miei sensi erano affinati”, “sono rimasto affascinato da piccole cose insignificanti intorno a me”16. Inoltre, i soggetti segnalano un aumento del senso di significato e la sensazione di essere sull’orlo di qualche importante passo avanti, forse proprio quella rivelazione, o “Eureka”, che dovrebbe contribuire a spiegare perché dettagli innocui improvvisamente sembrano così significativi. Alcuni pazienti riferiscono accresciute capacità cognitive, come se questo senso di maggiore consapevolezza fosse determinato da un loro effettivo aumento. Inoltre, quando si ha la sensazione che alcune importanti rivelazioni potrebbero essere imminenti, i soggetti spesso riferiscono una maggiore emotività, che può variare dall’estasi, o eccitazione, per l’epifania attesa fino all’angoscia e alla paura per qualcosa di sconosciuto e al di fuori di ogni possibilità di controllo che potrebbe accadere. La maggior parte dei pazienti riferisce che qualcosa nel mondo intorno a loro sta cambiando, lasciandoli confusi e alla ricerca di una spiegazione. Se questo accadesse in un momento isolato, forse non sarebbe diverso da quell’esperienza di vita di tutti i giorni in cui si percepisce l’attenzione focalizzata su qualcosa, che risulta in quel momento più saliente e che si esaurisce spontaneamente. Ciò che rende uniche le esperienze di salienza aberrante che portano alla psicosi è la loro persistenza in assenza di stimoli che le sostengano 19. Per giorni fino ad anni (il prodromo)15, i pazienti permangono in questo stato di esperienza del mondo sottilmente alterata, accumulando esperienze di salienza aberrante senza una ragione chiara o una spiegazione per il paziente. È in questa condizione di perplessità che si realizza la crisi dell’intersoggettività e della capacità di storicizzarsi, la dimensione del tempo tende a ridursi a una semplice successione di momenti non articolati fra loro, l’esserci del perplesso non può che essere 27.
Negli ultimi decenni una crescente attenzione è stata dedicata alle fasi prodromiche28,29. Storicamente i primi a definire la condizione mentale a rischio di psicosi (at-risk mental states - ARMS) sono stati Yung et al.30, i quali individuarono specifici criteri (ultra-high risk - UHR criteria) utilizzati e modificati negli anni, sia dallo stesso sia da altri gruppi di ricerca. Tali criteri richiedono la presenza di sintomi psicotici attenuati (attenuated psychotic symptoms - APS) quali idee inusuali, pensiero magico, disturbi percettivi, paranoia, sospettosità, o di sintomi psicotici purché limitati nel tempo (brief limited psychotic symptoms - BLIPS), di un peggioramento nel funzionamento interpersonale e/o socio-lavorativo e di una vulnerabilità genetica o personologica (soprattutto disturbo schizotipico di personalità). Un altro tipo di approccio ha invece focalizzato la ricerca sullo studio dei sintomi di base (basic symptoms - BS) definibili come alterazioni subcliniche, soggettivamente esperite ma non manifeste, dell’umore, del pensiero, dell’eloquio, delle percezioni fisiche, delle funzioni vegetative e della tolleranza allo stress. I soggetti affetti da tali sintomi descrivono la strana sensazione che qualcosa di difficilmente comprensibile e comunicabile sta cambiando, un vissuto simile a quello descritto dai fenomenologi sopra citati 31. Più recentemente, riprendendo la tradizione psicopatologica e fenomenologica, Parnas et al.32 hanno approfondito l’area delle esperienze anomale del sé (anomalous self experiences - ASE,) che costituirebbero degli indicatori di vulnerabilità psicotica e che si sovrapporrebbero parzialmente ai sintomi di base. L’esperienza anomala del Sé può essere definita come un’alterazione pervasiva o ricorrente in cui la percezione di sé come soggetti in grado di agire, esperire, essere nel mondo è in un qualche modo distorta. Tutti i sintomi suddetti sono stati inseriti all’interno di un modello di “clinical staging” in cui lo sviluppo dell’episodio psicotico prevede diversi livelli di intensità e gravità sintomatologica crescente (ASE/BS→APS→BLIPS), dove l’attribuzione patologica di salienza nei confronti di stimoli interni e/o esterni sarebbe presente sin dalle prime fasi 33.
In questo contesto i deliri diventano una spiegazione cognitiva di tipo “top-down” che l’individuo impone alle esperienze di salienza aberrante, nel tentativo di dare un senso a ciò che percepisce. Binswanger34 ha descritto i deliri come fenomeni che prendono vita su un “palcoscenico delirante”, dove contenuti interni della mente del paziente sono messi in scena di fronte loro. Più recentemente questo fenomeno è stato anche descritto come il “segno di Truman”, intendendo questa esperienza come simile a quella vissuta dall’eroe eponimo nel film The Truman Show35. In questo film, il protagonista vive senza saperlo su un set cinematografico, dove tutte le persone della sua realtà sono attori, e la sua vita è stata filmata per il divertimento degli altri. La lenta presa di coscienza dell’eroe che quello che crede sia la realtà è invece finzione è ciò che molti dei pazienti paragonano all’esperienza vissuta durante il periodo prodromico delle psicosi.
I deliri che caratterizzano la psicosi emergono in questa atmosfera, quando, nel corso di molti mesi, a volte anni, il paziente finisce per elaborare una propria spiegazione di fronte alla preoccupante e angosciante esperienza di sovrastimolazione. L’interpretazione che ogni singolo individuo attribuirà al suddetto fenomeno probabilmente rifletterà le sue convinzioni e le sue precedenti esperienze2,36. Non sorprende quindi che i pensieri deliranti siano spesso personali, influenzati da esperienze accumulate nel corso della vita, e che il contenuto dei deliri varii a seconda della propria cultura e dei fattori socio-culturali37. Le allucinazioni, che ugualmente possono comparire in questa fase, nascono probabilmente da un processo concettualmente simile e più diretto: la salienza aberrante di rappresentazioni interne di percezioni e ricordi16,17.
LA MISURAZIONE DELLA SALIENZA: LA ABERRANT SALIENCE INVENTORY
Nonostante la notevole importanza della salienza aberrante nello spiegare lo sviluppo e il mantenimento dei sintomi psicotici, attualmente i clinici dispongono di scarsi strumenti per misurare tale parametro sia fra i pazienti sia nella popolazione sana. Alcuni fra i questionari più utilizzati sono la Scala di Ideazione Magica, la Perceptual Aberration Scale, e la Referential Thinking Scale38-40; tuttavia nessuna di queste scale misura la salienza aberrante, che invece è stata proposta come meccanismo di insorgenza della psicosi2 e tutte tendono spesso a dare falsi positivi41.
La misurazione della salienza aberrante in campioni non clinici appare importante per numerose ragioni, la prima delle quali è il possibile aiuto nell’individuare i soggetti potenzialmente a rischio di sviluppo di psicosi, che potrebbero beneficiare di una prevenzione di un trattamento precoce42,43. La seconda ragione riguarda la linea di continuum tra sintomi psicotici subclinici e psicosi conclamata, dove i primi rappresentano gli elementi prodromici per la seconda: comprendere i sintomi psicotici subclinici potrebbe portare maggiore consapevolezza verso i sintomi psicotici conclamati41,44. Terzo, una maggiore caratterizzazione della vulnerabilità psicotica potrebbe aiutare nella comprensione dei sintomi psicotici e degli effetti dei farmaci coinvolti nel trattamento45. Quest’ultimo punto sembra essere anche in linea con il concetto che la salienza aberrante sembra essere associata ai livelli di DA sottocorticali, che sono il bersaglio dei trattamenti antipsicotici45. Per tutti questi motivi appare evidente la necessità di uno strumento in grado di misurare la salienza aberrante, che sia facilmente utilizzabile e che fornisca valutazioni attendibili.
Nel 2010, Cicero et al.46 hanno validato la scala Aberrant Salience Inventory (ASI), costruita per misurare la salienza aberrante e con essa la vulnerabilità alla psicosi. Il questionario è costituito da 29 item con risposta sì/no e implica una valutazione lifetime. Indaga 5 fattori correlati fra loro che sono in linea con la concettualizzazione di Kapur2: l’incremento del significato, la qualità/intensità delle percezioni sensoriali, l’alterazione della comprensione, l’incremento dell’emotività e l’acuità delle funzioni cognitive.
Poiché da un punto di vista fenomenologico2 l’esperienza psicotica sembra essere guidata dalla salienza aberrante, è stata indagata la relazione tra i punteggi dell’ASI e un’altra esperienza simil-psicotica che ha un ruolo fondamentale e una stretta correlazione con i sintomi psicotici: il pensiero magico. È emerso non solo che l’ASI è in stretta relazione con il pensiero magico (e quindi con i sintomi psicotici), ma anche che è specifica per essi; infatti l’associazione con altri sintomi individuabili nella schizofrenia o in altri disturbi mentali è molto meno evidente.
Un esempio ne sono i sintomi negativi, spesso presenti nei soggetti con disturbi schizofrenici, ma anche in altre patologie47. L’anedonia sociale (intesa come la mancanza di piacere durante le interazioni sociali) sembra essere associata a un maggiore sviluppo dei disturbi dello spettro schizofrenico, ma non con lo sviluppo specifico dei sintomi psicotici48,49. In linea con questo, l’ASI sembra avere un’associazione con l’anedonia sociale, ma non così strettamente come lo è con altre misure come il pensiero magico. Infine, oltre a essere correlata con il pensiero magico, l’aberrazione percettiva, il pensiero referenziale, l’assorbimento e la dissociazione, l’ASI ha presentato una correlazione significativa con scale indicative del funzionamento dopaminergico.
La validazione della scala effettuata da Cicero et al.46 ha previsto la realizzazione di 4 studi attraverso cui è stato confermato che l’ASI possiede buone proprietà psicometriche e rappresenta uno strumento riproducibile e valido per la misurazione del costrutto della salienza aberrante in campioni sani e in campioni clinici di soggetti con storia di psicosi. Gli studi di Cicero et al. hanno mostrato come l’esperienza di una salienza aberrante sia in qualche modo un evento comune nella popolazione generale, ma anche come si possa parlare di vulnerabilità psicotica solo se i punteggi totali alla ASI sono superiori a 14 (cut-off).
Recentemente l’ASI è stata validata in lingua italiana50. La versione italiana dell’ASI ha confermato le buone proprietà psicometriche della scala (consistenza interna e validità discriminante), così come il test-retest (condotto a distanza di 15 giorni senza modifiche farmacologiche), sia nei pazienti sia nel gruppo di controllo44. Lo studio ha inoltre anche messo in evidenza le proprietà discriminanti dell’ASI tra pazienti e controlli e tra pazienti con sintomi psicotici e pazienti senza di essi. L’introduzione del cut-off a 14, emerso dalle precedenti ricerche, risulta fondamentale nell’individuazione dei soggetti a rischio di sviluppo di sintomi psicotici sia nei campioni clinici sia nella popolazione generale46,50. L’affidabilità della scala nell’individuazione dei soggetti a rischio è stata confermata anche grazie al test-retest. Secondo un approccio dimensionale ai sintomi psicotici, dove la salienza aberrante rappresenta un fattore di vulnerabilità psicotica, una sua misurazione, sia come tratto lifetime sia come elemento episodico, costituisce uno strumento fondamentale per individuare i soggetti a rischio e di conseguenza potrebbe rappresentare un elemento utile nel miglioramento dei programmi di prevenzione, nella diagnosi precoce e nell’impostazione del trattamento 42,43.
SALIENZA INCENTIVANTE, “REWARD” E SISTEMA DOPAMINERGICO
L’ipotesi della salienza aberrante all’interno della psicosi è in parte derivata dalle ricerche sui normali processi di attribuzione di salienza incentivante.
Nel corso degli ultimi 20 anni è emerso come la salienza svolga un ruolo fondamentale in uno specifico componente del reward: l’attribuzione di salienza incentivante a uno stimolo altrimenti neutrale51,52. Questa tesi, detta “teoria della sensibilizzazione incentivante dell’addiction”, prevede che una ripetuta esposizione a sostanze potenzialmente additive possa, in individui suscettibili e in circostanze normali, determinare modifiche persistenti nelle cellule neuronali e nei circuiti che normalmente regolano l’attribuzione della salienza agli stimoli51.
Quando uno stimolo viene ripetutamente associato a una gratificazione, acquista a sua volta proprietà incentivanti, ovvero lo stesso stimolo condizionante viene a essere imbevuto di salienza incentivante53,54. Si assiste, quindi, a un incremento della salienza connessa all’incentivo, cioè, allo stimolo associato alla gratificazione: lo stimolo diventa in qualche modo predittivo per la gratificazione stessa. A livello neuronale tutto questo corrisponde a progressivi adattamenti, dove i circuiti cerebrali diventano ipersensitivi (“sensibilizzati”) di fronte a certi stimoli, per cui finiscono per attribuire livelli patologici di salienza incentivante non solo alle sostanze, ma anche agli stimoli associati a esse.
Se osserviamo gli effetti di queste modifiche a livello comportamentale, vedremo che la sensibilizzazione incentivante produce un errore nel processo attentivo, avremo cioè uno spostamento dell’attenzione verso lo stimolo associato alla sostanza, creando una motivazione patologica per essa (compulsive wanting).
Durante questa fase appetitiva (fase del “wanting”) il comportamento del soggetto è guidato da stimoli percepiti attraverso i sensi; ne risulta che suoni, luci, immagini, di per sé neutri, diventano salienti, cioè collegati in modo predittivo a uno stimolo consumatorio capace di dare piacere. Essi acquistano così la forza di attrarre l’attenzione e guidare il comportamento.
Se combinata con un danneggiato controllo sul comportamento esecutivo, la sensibilizzazione incentivante culmina nei sintomi cardine dell’addiction51,55,56.
La dopamina (DA) sembra svolgere un ruolo fondamentale relativamente alle proprietà incentivanti di uno stimolo57,58. Essa costituisce il mediatore neurochimico del “piacere della vita”, stimolato da esperienze ricompensanti (come cibo, sesso e sostanze d’abuso) e appare coinvolta nei processi dell’addiction57. Tutte le sostanze che creano dipendenza, come cocaina, eroina, amfetamine, tetraidrocannabinolo, ecc., sono in grado di aumentare i livelli di da nel nucleo accumbens, e in particolare nello shell di tale struttura59. È stato rilevato che il rilascio di DA nell’accumbens codifica per il piacere appetitivo, consistente nell’eccitazione motivazionale (‘incentive arousal’) scatenata da stimoli condizionati predittivi della fase consumatoria. Come abbiamo descritto sopra, la mera presentazione dello stimolo condizionato per la cocaina o per le amfetamine scatena un’attivazione dopaminergica, per cui i neuroni DA risultano più attivi nella fase del wanting di una sostanza (fase appetitiva) di quando la ricevono (“liking”, fase consumatoria)60.
Poiché un incremento fasico di DA nello striato ventrale è associato all’attribuzione della “incentive salience” agli stimoli che predicono la ricompensa, se ne deduce che la DA medi la conversione di uno stimolo esterno nella corrispondente rappresentazione neurale, da neutrale e freddo punto d’informazione a una entità attrattiva o avversiva; questo renderà l’individuo motivato alla ricerca o all’allontanamento della specifica ricompensa51,61. Tale rilascio dopaminergico, che avviene in maniera fasica ed è correlato all’uso della sostanza, è però diverso da quello che si verifica nei pazienti con sintomi psicotici dove l’alterazione della salienza è generalizzata (di fronte a stimoli neutri e non) (Tabella 1).



La scarica dopaminergica relativa alle sostanze d’abuso che si riscontra nei soggetti con addiction è prodotta da un’interazione tra la salienza incentivante e i meccanismi di apprendimento associativo che normalmente dirigono la motivazione verso obiettivi specifici e appropriati. Bisogna tuttavia specificare che l’apprendimento può definire l’oggetto del desiderio, ma non è di per sé sufficiente a stimolare la motivazione patologica a ricercarlo51. Ne consegue che la motivazione patologica deriva dalla sensibilizzazione dei circuiti neurali che mediano i processi motivazionali incentivanti (per es., la sensibilizzazione incentivante)51.
SALIENZA, NEUROTRASMISSIONE DOPAMINERGICA E NEUROIMAGING NELLA PSICOSI
La connessione tra salienza, DA e psicosi è stata a lungo dibattuta e numerosissimi sono stati gli studi che hanno cercato di chiarire questo rapporto (Tabelle 2 e 3).



Per una migliore comprensione è necessario innanzitutto tenere presente il ruolo critico della DA sottocorticale nella salienza incentivante. Partendo da questo presupposto è stato proposto (e poi evidenziato) che la salienza aberrante (tipica delle psicosi) potesse essere determinata da un danneggiamento nei normali processi di salienza incentivante, cioè da una disregolazione dopaminergica2. Heinz62,63 applicò la teoria dall’attribuzione della “salienza incentivante” agli stimoli condizionati, alla psicosi, e fu ipotizzato che incrementi caotici o stress-correlati delle scariche dopaminergiche afferenti allo striato nei pazienti con schizofrenia attribuissero un incremento della salienza incentivante a stimoli altrimenti neutri2.
A dimostrazione di questo, sono stati condotti oltre 50 studi di neuroimaging per chiarire il funzionamento della neurotrasmissione dopaminergica nei soggetti con sintomi psicotici. La trasmissione dopaminergica striatale è stata indagata in tutte le sue fasi, a partire dalla fase pre-sinaptica fino a quella post-sinaptica64.
Poiché il primo passo per la neurotrasmissione è la sintesi della DA che viene preparata per il rilascio dalle terminazioni neuronali, è stata misurata la capacità di sintesi della DA usando il radioligando 3,4-l-diidrofenilalanina (L-DOPA). Studi che usano questa tecnica hanno riportato un’elevata capacità di sintesi nei pazienti con schizofrenia65-67. Il passo successivo nella neurotrasmissione è il rilascio di DA nella sinapsi. Negli studi che hanno utilizzato challenge con amfetamine per testare la capacità di rilascio di DA nei pazienti con schizofrenia, è emersa una maggiore responsività del sistema dopaminergico non solo relativamente alle amfetamine, ma anche di fronte a challenge di diverso tipo, come uno stress psicosociale, mostrando che il sistema dopaminergico in questi pazienti è generalmente iper-responsivo 68. È interessante notare che tale aumento appare più evidente in pazienti con psicosi in fase acuta e meno marcato in pazienti in fase di remissione stabile69. Altre ricerche hanno evidenziato che l’occupazione basale dei recettori D2/3 da parte della DA è elevata nei pazienti con schizofrenia e ciò suggerisce che le concentrazioni extracellulari della DA siano elevate già a livello basale70. Un’elevata capacità di sintesi della DA e un elevato rilascio indotto dallo stress sono stati riscontrati inoltre in soggetti ad alto rischio che hanno presentato sintomi prodromici71, prima dell’esordio conclamato della patologia36,72. Un’elevata capacità di sintesi della DA non è stata riscontrata in persone con sintomi a lungo termine che non hanno sviluppato un quadro di schizofrenia, suggerendo un ruolo più specifico nelle fasi di insorgenza del disturbo72,73. La capacità di sintesi della DA inoltre sembra incrementare con l’esordio della psicosi74.
Infine, il processo di conclusione della trasmissione dopaminergica, che avviene in maniera predominante grazie ai trasportatori di DA, appare inalterato nella schizofrenia e indica pertanto l’assenza di un incremento compensatorio, con funzione di “tampone” sugli effetti di una neurotrasmissione dopaminergica disordinata75,76.
Attraverso studi condotti tramite la risonanza magnetica funzionale (fMRI) (Tabella 3) è emerso inoltre che le alterazioni dopaminergiche non solo sembrano associate con i sintomi positivi e negativi della schizofrenia77-82, ma anche con stimoli neutri. Varianti dei task per il reward hanno mostrato che in soggetti con schizofrenia sono presenti alterazioni della risposta dello striato ventrale di fronte a stimoli neutri. Questo è stato interpretato come il correlato neurale della salienza motivazionale assegnata in maniera aberrante a stimoli irrilevanti/neutrali81 (Tabella 1).
Anche in un’altra variante di studio sull’attribuzione della salienza, pazienti ad alto rischio di psicosi attribuivano maggiore rilevanza a stimoli innocui e le attivazioni nella zona dello striato ventrale sembravano correlare con i punteggi dei deliri82,83.
Risposte incrementate di fronte a stimoli neutri, analoghe a quelle riscontrate con gli stimoli per il reward, sono presenti anche nei paradigmi della salienza relativi all’anticipazione degli stimoli avversivi84 e di fronte alla visione di scene e parole emotivamente rilevanti85,86.
Tuttavia, come un disturbo biochimico nel sistema dopaminergico cerebrale conduca a idee deliranti, dispercezioni e al fenomeno della psicosi rimane ancora da chiarire, sebbene i processi del reward e dell’errore di predizione del reward coinvolgano specificatamente i sistemi striatali ventromediali, che sono attivati dalle amfetamine. I modelli preclinici della schizofrenia hanno evidenziato soprattutto un interessamento dello striatum dorsolaterale87, corrispondenti alla regione dove le alterazioni nei prodromi della psicosi e nei pazienti con schizofrenia appaiono più consistenti64,65. Quest’area è funzionalmente connessa alle aree associative corticali come la corteccia prefrontale dorsolaterale e sembra essere coinvolta negli stimoli della salienza attentiva88, suggerendo che questo possa giocare un ruolo nello sviluppo della psicosi.
Nel complesso, è possibile comprendere grazie agli studi di imaging molecolare e funzionale, che la neurotrasmissione dopaminergica striatale è alterata nella schizofrenia e in soggetti a rischio di psicosi, e che le regioni cerebrali implicate nell’attribuzione della salienza siano disfunzionali nella psicosi fin dall’esordio64,89.
LE SOSTANZE D’ABUSO E I SINTOMI PSICOTICI
Di particolare rilevanza, relativamente allo sviluppo di sintomi psicotici, sono gli effetti dell’esposizione alle sostanze d’abuso, soprattutto nella giovane età.
Nel 1987 Andreasson et al.90 descrissero un’associazione tra uso di cannabis ed esordio di schizofrenia. Questo studio, che coinvolse oltre 45.000 maschi svedesi (di età tra i 18-20 anni) seguiti per un follow-up di circa 15 anni, mostrò che un pesante uso di marijuana all’età di 18 anni incrementava di 6 volte il rischio di sviluppare schizofrenia nel corso della vita. C’era una relazione dose-risposta tra l’uso della cannabis a 18 anni e la diagnosi di schizofrenia circa 15 anni dopo. Tuttavia, poiché solo il 3% dei soggetti aveva sviluppato un quadro di schizofrenia, fu ipotizzato che la cannabis esercitasse questo ruolo scatenante solo in individui già vulnerabili. Il rischio è infatti significativamente più grande in quei soggetti che presentano una predisposizione alla psicosi come sintomi psicotici attenuati e/o una storia familiare positiva per psicosi 91,92.
Anche il tempo dell’uso appare di fondamentale importanza: un uso in adolescenza, infatti, sembra essere più pericoloso93.
Le proprietà psicotogeniche della cannabis sono quasi certamente attribuibili al suo principale componente psicoattivo, il delta 9 tetraidrocannabinolo (delta9-THC) che agisce attraverso la stimolazione dei recettori per i cannabinoidi CB1 presenti nell’encefalo. Il delta9-THC sembra in grado di indurre sintomi psicotici nei soggetti sani94,95, esacerbare preesistenti sintomi psicotici in pazienti con schizofrenia96 e incrementare il rischio di sviluppo di schizofrenia con l’uso a lungo termine97. Sotto l’influenza della cannabis, gli utilizzatori riportano che banali stimoli sensoriali o comuni conversazioni finiscono per acquistare nuovi significati98 e che è possibile si verifichino alterazioni della percezione. Questi fenomeni sono stati interpretati come un riflesso di un alterato processamento della salienza99,100.
I recettori CB1 sono diffusi nella corteccia frontale, nei gangli della base, nell’ippocampo e nel cervelletto. La loro interazione con il sistema dopaminergico è stata a lungo studiata, supportando l’ipotesi che il 9tetra-THC legandosi ai recettori CB1 sia in grado di incrementare il rilascio di DA a livello striatale nei soggetti a rischio di sviluppo di psicosi101. A sostegno di questa teoria, lo studio di Bhattacharyya et al.102 ha indagato gli effetti del 9tetra-THC sulla funzione delle regioni cerebrali durante il processamento della salienza attraverso l’uso della fMRI. È emerso che il delta9-THC ha un effetto significativo sulla modulazione del funzionamento delle aree prefrontali e striatali durante lo stimolo e che gli effetti relativi ai sintomi psicotici potrebbero essere attribuibili a un’azione attivante della sostanza sulle aree striatali coinvolte nel processamento della salienza attentiva 103,104.
Oltre alla cannabis, anche le altre sostanze d’abuso sono in grado di determinare un incremento dei livelli extracellulari di DA nel mesencefalo, in particolar modo nell’NAcc, durante la fase volitiva dell’uso delle stesse105.
L’aumento dei livelli di DA nello striato ventrale ha effetti a livello cellulare e in particolar modo nucleare: le sostanze sono in grado di modulare la trascrizione genica e la sintesi di nuove proteine, determinando importanti effetti sulla plasticità neuronale a lungo termine106. Ciò avviene principalmente a livello dei neuroni spinosi di medie dimensioni (MSN) che costituiscono la maggiore popolazione dello striato107. I MSN striatali esprimono recettori di tipo dopaminergico e glutammaergico (NMDA), entrambi coinvolti nei processi di neuroplasticità.
Quando le sostanze d’abuso, tramite l’aumento dei livelli di DA, attivano i recettori D1 si innesca una cascata del segnale detta “via diretta” che culmina nel coinvolgimento della proteina enzimatica detta “ERK” (extracellular-signal-regulated kinases). Sotto l’azione della sostanza, la ERK attivata trasloca nel nucleo dove controlla i programmi genetici ed epigenetici, con conseguenti espressione di geni precoci, trascrizione genica e adattamenti a lungo termine108. Tali adattamenti sono responsabili della facilitazione anomala di alcuni circuiti che favoriscono un’attribuzione aberrante della salienza.
CONCLUSIONI
Dalla presente rassegna della letteratura emerge come un sostanziale corpo di ricerche abbia supportato la presenza di anormalità dopaminergiche nei soggetti con sintomi psicotici e come queste ultime possano essere collegate all’esordio e al mantenimento del disturbo.
Studi preclinici negli animali e nell’uomo indicano che i neuroni dopaminergici hanno numerose funzioni, tra cui segnalare stimoli inaspettati, codificare per la loro salienza, rispondere a stimoli di novità e stimoli avversivi così come agli stimoli di ricompensa. I neuroni dopaminergici coinvolti in tutti questi processi appartengono al mesencefalo e le loro proiezioni sono dirette allo striato ventrale e dorsale e alle regioni corticali frontali e temporali.
Alterazioni nella funzione di questi circuiti sono state identificate attraverso studi di neuroimaging funzionale in soggetti con sintomi psicotici, facendo ipotizzare che esse rappresentino il substrato neurale dei sintomi stessi. Di conseguenza si sono delineate sempre più evidenze cliniche e precliniche che supportano il ruolo centrale della DA nei processi di elaborazione della salienza e che la processazione della salienza e il sistema dopaminergico sono entrambi alterati nella psicosi.
Di fondamentale importanza rimane il fatto che, nella comprensione di tali aspetti, sia necessario un approccio dimensionale nella ricerca dei disturbi psichiatrici, come è stato elaborato nel sistema Research Domain Criteria (RDoC) emergente. Questo tipo di indagine non solo consente una visione dinamica e di processualità dei sintomi, ma incorpora anche i principi e gli approcci del neurosviluppo. Secondo quanto proposto dal National Institute of Mental Health (NIMH) nel progetto RDoC, le nuove linee-guida per la ricerca in psicopatologia tendono oggi a privilegiare un approccio diagnostico e di indagine che non sia più basato su categorie, ma sia di tipo dimensionale 109. Questo metodo, finalizzato all’ampliamento e arricchimento dei RDoC, è volto a mettere in evidenza i processi di sviluppo dei comportamenti e delle funzioni mentali, che evolvono integrandosi da semplici a complessi, secondo processualità e variazioni interindividuali, e andando a costituire specifici tratti o abilità104. Per questi motivi, una loro migliore comprensione può essere concepita come una sorta di continuum (ossia una dimensione), dove tali aspetti si distribuiscono secondo livelli di maggiore o minore funzionalità e adattamento110.
Se fino agli inizi del Novecento la “spedizione psichiatrica”, volta all’esplorazione della fenomenologia, sembrava destinata a non incontrarsi mai con quella neurobiologica («È come se un continente sconosciuto sia esplorato da due parti senza che gli esploratori si incontrino mai, perché fra loro rimane sempre un largo tratto di territorio inesplorabile…», affermava Jaspers nella sua “Psicopatologia Generale” del 1942), l’applicazione delle ricerche dimensionali, come quelle finalizzate alla comprensione delle alterazioni della salienza, consente di mettere in relazione fenomeni di ambito neurobiologico (come le alterazioni dopaminergiche) con vissuti di tipo psicopatologico (come i deliri e altri sintomi psicotici), superando così tale divario.
Attraverso una migliore comprensione dell’eziologia delle patologie psichiatriche, l’identificazione più precoce dei processi a rischio, dei nuovi target di intervento e la definizione di quando, durante lo sviluppo, l’intervento risulti più efficace, sarà inoltre possibile arricchire significativamente la fase di trattamento delle patologie psichiatriche110.
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