Depressione resistente al trattamento: stato dell’arte
Parte II. Trattamento
Treatment-resistant depression: state of the art
Part II. Treatment
FEDERICA LUCHINI, LUCA COSENTINO, LAURA PENSABENE, MAURO MAURI, LORENZO LATTANZI
E-mail: llattanzi@blu.it
UO Psichiatria II, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana,
Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Pisa
RIASSUNTO. Scopo. Questo contributo si prefigge lo scopo di fornire un riassunto completo e aggiornato sulle strategie di trattamento farmacologico e fisico della depressione resistente. Metodi. È stata effettuata una ricerca su PubMed e su altri motori di ricerca scientifici utilizzando le parole chiave “trattamento della depressione resistente”, “terapia elettroconvulsiva”, “antidepressivi”. Sono stati selezionati solo contributi in lingua inglese, italiana e francese e con campioni di popolazione adulta. Risultati. Numerose strategie terapeutiche, sia di tipo fisico sia farmacologico, sono state proposte da ricercatori e clinici esperti per il trattamento della depressione resistente. La letteratura, tuttavia, non fornisce indicazioni univoche circa le loro specifiche indicazioni e la loro efficacia, che appare globalmente ancora insufficiente. Discussione e conclusioni. Ricerche future dovranno pertanto muoversi verso l’individuazione di specifici quadri clinici di depressione resistente al trattamento per lo sviluppo di protocolli di trattamento maggiormente efficaci e selettivi.
PAROLE CHIAVE: depressione resistente, antidepressivi, terapia elettroconvulsiva.

SUMMARY. Aim. This work would give an overall and up-to-date vision of psychopharmacological and physical strategies of treatment for resistant depression. Method. A PubMed search was done using the keywords “resistant depression treatment”, “electroconvulsive therapy”, “antidepressants”, and the inclusion criteria of adult samples, English, French or Italian languages. Results. Lots of psycho-pharmacological and physical treatment strategies for resistant depression exist; anyway there is no consensus about their indications and efficacy, which appears still unsatisfactory. Discussion and conclusion. Further research should move towards the identification of specific clinical picture of treatment resistant depression to develop more efficacious and selective treatment protocols.
KEY WORDS: resistant depression, antidepressants, electroconvulsive therapy.

INTRODUZIONE
L’iter diagnostico della depressione resistente al trattamento (TRD), preliminare a ogni decisione sulle strategie terapeutiche da adottare, prevede, in primis, l’esclusione della cosiddetta “pseudoresistenza”, cioè di quei casi in cui la mancata risposta farmacologica è imputabile a fattori esterni all’azione della terapia in atto, come per esempio un’inadeguata prescrizione e/o assunzione della stessa.
Le cause di pseudoresistenza includono, oltre la non aderenza al trattamento da parte del paziente, anche errori diagnostici, quali un mancato riconoscimento del sottotipo depressivo (alcune forme di depressione, quella psicotica o bipolare, per es., rispondono meno favorevolmente alla terapia antidepressiva), oppure delle sindromi depressive secondarie ad altre condizioni mediche (ivi incluse le depressioni da farmaci) o psichiatriche. Infine, non sono da sottovalutare i casi di pseudoresistenza da errori terapeutici o prescrittivi: per esempio, la dose e la durata del trattamento possono essere inadeguate, o le concentrazioni plasmatiche dell’antidepressivo insufficienti per una condizione genetica di rapido metabolizzatore o per la concomitante prescrizione di farmaci induttori del metabolismo.
Una volta esclusi i casi di pseudoresistenza e rivalutata attentamente la diagnosi e l’adeguatezza, per dose e durata, del trattamento antidepressivo, in caso di non risposta, il clinico ha a disposizione varie strategie psicofarmacologiche.
Per il metodo seguito nella compilazione di questo lavoro si rimanda a un precedente articolo degli stessi autori su questa rivista (Riv Psichiatr 2014; 49: 207-16). Nella ricerca bibliografica abbiamo inserito, oltre alle voci già citate, anche le voci “antidepressivi” e “terapia elettroconvulsivante”.
STRATEGIE PSICOFARMACOLOGICHE DI TRATTAMENTO
Una volta completato l’iter diagnostico per confermare la presenza di una depressione resistente al trattamento, il clinico ha a disposizione varie strategie farmacologiche:
1. l’aumento del dosaggio e/o della durata del trattamento in atto (ottimizzazione);
2. la sostituzione del primo farmaco antidepressivo con un secondo appartenente alla stessa classe farmacologica o a una classe differente (switching intra-classe o inter-classe);
3. l’associazione di un secondo antidepressivo al regime terapeutico già in atto (combinazione);
4. l’aggiunta, al trattamento antidepressivo, di un farmaco ad azione non direttamente antidepressiva (potenziamento).
Ottimizzazione
La cosiddetta “ottimizzazione del regime terapeutico”, che prevede l’aumento del dosaggio o il prolungamento nel tempo dell’uso dell’antidepressivo (anche oltre 6-8 settimane), può rivelarsi particolarmente utile nei pazienti che hanno presentato una risposta parziale al trattamento, senza lo sviluppo di effetti collaterali significativi, oppure in popolazioni speciali come i pazienti in età senile o con comorbilità medica. L’aumento del dosaggio (anche a livelli superiori rispetto a quello standard) può consentire il raggiungimento di livelli plasmatici terapeutici nei pazienti rapidi metabolizzatori del CYP2D6 (circa l’80-94% della popolazione caucasica) oppure permettere un differente profilo d’azione neuro-recettoriale (per es., una stimolazione noradrenergica da parte dell’SNRI venlafaxina, che a basse dosi ha prevalente azione serotoninergica) 1.
Il dosaggio del farmaco dovrebbe essere aumentato, fino al raggiungimento della massima dose raccomandata, finché non si verifichi la remissione dei sintomi o la comparsa di effetti collaterali2.
Per quanto concerne i farmaci triciclici (TCA) è ormai accettata la necessità di raggiungere dosaggi “aggressivi” nei pazienti con TRD (300 mg/die equivalenti di imipramina), e i livelli plasmatici possono essere utilizzati come guida alla prescrizione, in quanto è stato ormai individuato, per ognuno di essi, il range della concentrazione plasmatica efficace.
Come è noto, la maggior parte dei TCA presenta una curva dose-livello plasmatico di tipo sigmoidale. Per es., il metabolita dell’imipramina, la desipramina, presenta un incremento della risposta fino a circa 250 ng/mL, dopodiché si raggiunge un plateau. Per la nortriptilina, invece, è stata descritta una curva a “U” rovesciata con un aumento della risposta per livelli compresi tra 50 e 150 ng/mL e una risposta ridotta per livelli superiori: per la nortriptilina è quindi possibile identificare una ben precisa finestra terapeutica 3.
Per gli SSRI, al contrario, dosaggi elevati (oltre quelli raccomandati) determinerebbero solo un aumento degli effetti collaterali senza tuttavia un incremento dell’efficacia clinica: alcuni studi infatti dimostrano che all’aumento dei livelli plasmatici non corrisponde un eguale incremento dell’effetto antidepressivo. Per la venlafaxina e gli IMAO, invece, sarebbe stata suggerita una correlazione lineare tra dose e risposta4.
Il razionale dell’incremento della durata dell’esposizione a un antidepressivo deriva dall’osservazione che un numero consistente di pazienti depressi sarebbe “late responder”: il 53% dei pazienti trattati con TCA, infatti, risponde oltre la sesta settimana di trattamento antidepressivo5. In letteratura, tuttavia, i dati a supporto del prolungamento della terapia oltre le 6-8 settimane sono contrastanti: per es., nei pazienti che non hanno risposto alla fluoxetina per 4-6 settimane i risultati dell’estensione del trattamento a 8 settimane sono negativi6. In uno studio di Bondareff et al.7, invece, il prolungamento del trattamento sia con sertralina (50-150 mg/die) sia con nortriptilina (25-100 mg/die) da 6 a 12 settimane determinava un aumento statisticamente significativo delle percentuali di risposta (dal 40 al 70% circa) in 210 pazienti depressi di età senile.
Switching
In caso di mancata risposta o di intolleranza al farmaco, una valida opzione è rappresentata dalla sostituzione dell’antidepressivo con un altro della stessa classe farmacologica (switch intra-classe) o di una diversa (switch inter-classe). Rispetto alle strategie di combinazione/potenziamento, lo switch consente di evitare la somministrazione di più farmaci, principale motivo di scarsa compliance, ed è anche vantaggioso dal punto di vista economico. I principali svantaggi consistono nella perdita degli effetti positivi del primo antidepressivo utilizzato, nel ritardo di comparsa dell’effetto terapeutico e nella necessità di un periodo di cross-titolazione o di wash-out.
Fino a qualche anno fa le linee-guida consigliavano in genere lo switching verso un antidepressivo di diversa classe farmacologica, anche al fine di ottenere un diverso effetto neurochimico per un’azione su neurotrasmettitori diversi, oppure per ricercare risposte differenziali nei vari sottotipi depressivi: per es., secondo alcuni dati della letteratura un profilo sintomatologico di tipo melanconico rispenderebbe meglio ai TCA, mentre gli antidepressivi SSRI o IMAO sarebbero più indicati nelle forme depressive atipiche 8. Studi quali quello di Poirier e Boyer9, per es., dimostrano la maggior efficacia dello switch da un SSRI a venlafaxina (SNRI) rispetto allo switch intra-classe. Inoltre, altri studi dimostrano percentuali di risposta terapeutica molto più alte passando da un SSRI a un TCA (dal 16,5 al 48,5%), sebbene con una maggior percentuale di drop-out legati a effetti collaterali2,10.
Altre ricerche, tra cui lo STAR*D, hanno invece dimostrato la sostanziale sovrapponibilità nelle percentuali di risposta tra switch inter- e intra-classe11,12.
Alcuni dati infine sottolineano i benefici, sia in termini di aumento delle probabilità di remissione sia di maggiore tollerabilità, della sostituzione di un SSRI con un altro: secondo una meta-analisi effettuata da Ruhé et al.13, infatti, il 50% dei pazienti che non risponde a un SSRI risponde a un secondo SSRI e il 70% dei pazienti che sospendono un primo SSRI per effetti collaterali, tollera e risponde al secondo. La cross-tollerabilità tra i composti, inoltre, consentirebbe una sostituzione più rapida14.
Una recente meta-analisi di studi clinici controllati, poi, ha dimostrato che lo switch verso un altro antidepressivo non apporta benefici rispetto al proseguimento della terapia già in atto15.
Anche secondo i dati di Souery et al.12,16 la sostituzione di un SSRI con un TCA non apporterebbe alcun vantaggio, in termini di aumento delle probabilità di risposta, nei pazienti che non hanno risposto a un trial con SSRI, né sarebbe utile lo switch da TCA a SSRI in coloro che risultano resistenti ai TCA. Anche lo switch da SSRI verso mirtazapina non aumenterebbe la probabilità di remissione per Thase et al.17.
Tra le strategie di switching, quella che prevede il passaggio a un IMAO è stata molto meno indagata, anche a causa delle restrizioni dietetiche e delle interazioni farmacologiche di questi farmaci, che ne riducono in pratica l’utilizzo a forme depressive multiresistenti; in pazienti con sintomi depressivi atipici, tuttavia, sono state riportate elevate percentuali di risposta (50-60%) dopo switch da un TCA18.
Alcuni studi sembrano dimostrare che in pazienti non responsivi agli SSRI l’uso di un antidepressivo con diverso meccanismo di azione (duloxetina o bupropione) rappresenterebbe una strategia adeguata ed efficace19; anche Baldomero et al.20 riportano percentuali superiori di risposta dopo switch verso venlafaxina piuttosto che verso un altro SSRI.
Dati interessanti sono stati riportati da Lenox-Smith e Jiang21: in uno studio prospettico, in doppio cieco, questa strategia di switching risultava particolarmente efficace nelle forme depressive SSRI-resistenti di maggiore gravità sintomatologica.
Combinazione e potenziamento
Le strategie di trattamento polifarmacologico, come la combinazione e il potenziamento, vengono scelte generalmente in caso di risposta antidepressiva parziale o di non-risposta in assenza di effetti collaterali significativi. Esse offrono alcuni vantaggi rispetto alla monoterapia: in primo luogo consentono di evitare la perdita dei benefici terapeutici del trattamento di prima scelta, inoltre riducono il rischio di sintomi da sospensione del primo farmaco e hanno una minor latenza di effetto. Un ulteriore vantaggio consiste, quindi, nella possibilità di ampliare lo spettro d’azione del trattamento, intervenendo su sistemi neurotrasmettitoriali differenti, associati a dimensioni psicopatologiche diverse 1. D’altro canto la politerapia può ridurre l’adesione del paziente alle prescrizioni, espone al rischio di possibili interazioni tra farmaci e comporta un incremento dei costi economici del trattamento.
Il confronto tra le diverse strategie di combinazione e potenziamento è proposto nella Tabella 1.



Combinazione
La combinazione tra antidepressivi è generalmente indicata come seconda opzione in caso di mancata risposta a due successivi trial farmacologici o come prima scelta nei pazienti con forme gravi di depressione.
Alcuni autori sottolineano come il ricorso in prima battuta a un trattamento combinato possa andare incontro alle esigenze di un trattamento “aggressivo” della depressione, in quanto favorisce una rapida e completa risoluzione dei sintomi, minimizzando il rischio di resistenza al trattamento (connesso, tra l’altro, al prolungarsi dei tentativi) e quello di una ricaduta precoce, associato alla persistenza di sintomi residui22.
La combinazione tra TCA e SSRI è risultata efficace in studi clinici che prevedevano l’associazione desipramina-fluoxetina23. Sono ipotizzabili interazioni farmacocinetiche tra i due agenti con riduzione del metabolismo dei TCA (inibizione del CYP450 1A2 o 2D6 da parte degli SSRI) e aumento dei loro livelli plasmatici: per esempio paroxetina e fluoxetina incrementano di 3-4 volte i livelli di desipramina (mentre sertralina e citalopram determinerebbero un aumento solo del 30-40% dei livelli). Per questo motivo la combinazione TCA-SSRI dovrebbe sempre essere iniziata a bassi dosaggi, monitorando periodicamente i livelli plasmatici del TCA e l’ECG 24.
Alcuni case-report suggeriscono l’efficacia della combinazione tra SSRI: tra gli svantaggi è opportuno considerare il possibile aggravamento di eventuali effetti collaterali già presenti e il rischio di sindrome serotoninergica1.
Studi controllati su campioni numericamente esigui dimostrano l’efficacia della combinazione SSRI-mirtazapina (a un dosaggio di 30 mg/die) con riduzione degli effetti collaterali sessuali tipici degli SSRI25 e delle combinazioni mirtazapina-bupropione e bupropione-SNRI26-28.
Nello STAR*D è stata evidenziata una scarsa efficacia della combinazione mirtazapina-venlafaxina29, che ha invece fornito risultati promettenti in studi in aperto30.
Anche la combinazione SSRI-bupropione è stata valutata in studi in aperto oltre che nello STAR*D: le percentuali di risposta variavano tra il 28% e il 75% e anche in questo caso si assisteva a una riduzione degli effetti collaterali di tipo sessuale oltre che a una riduzione del peso corporeo2.
Due studi, su una casistica però limitata, hanno anche suggerito la superiorità della combinazione mianserina-fluoxetina rispetto al solo SSRI31.
Potenziamento
In caso di risposta assente o parziale, una valida opzione alternativa è rappresentata anche dal potenziamento del trattamento in atto con l’aggiunta di farmaci ad azione non direttamente antidepressiva; in letteratura esistono numerosi studi sul potenziamento degli antidepressivi con l’aggiunta di litio, antipsicotici atipici, tiroxina, dopamino-agonisti, psicostimolanti32,33.
Un giudizio critico sull’efficacia delle strategie di potenziamento è purtroppo reso difficile da alcuni limiti importanti degli studi esistenti in letteratura: la casistica di pazienti trattati per lo più numericamente esigua; l’arbitrarietà frequente nella scelta dell’agente potenziante, che deriva dall’esperienza e dalle preferenze personali del ricercatore; la disponibilità di pochi studi controllati in cui l’antidepressivo “potenziato” era, nella maggioranza dei casi, un TCA 24.
I farmaci più frequentemente utilizzati nelle strategie di potenziamento sono:
• Sali di litio: in una recente meta-analisi di Crossley e Bauer34 è stata confermata l’efficacia dei sali di litio come agenti potenzianti gli antidepressivi TCA (a una concentrazione plasmatica mediamente superiore a 0,4 mEq/L), verosimilmente mediante un potenziamento della trasmissione serotoninergica15,35. Solo uno studio controllato con SSRI (citalopram) ha dimostrato l’efficacia del potenziamento con litio36, risultato non confermato dal più recente STAR*D37, dove tuttavia l’outcome primario era rappresentato dalla remissione (e non dalla risposta come in altri studi) e la dose di litio somministrata inferiore. Eventuali svantaggi di questa strategia sono comunque rappresentati dalla necessità dei monitoraggi dei livelli ematici del litio, dei possibili effetti collaterali renali e tiroidei e il maggior rischio di tossicità rispetto ad altri farmaci.
• Triiodotironina (T3): la meta-analisi di Aronson et al.38 ha mostrato l’efficacia della T3 prescritta come potenziamento ai pazienti non responsivi a TCA, verosimilmente mediante un incremento della trasmissione noradrenergica. Per quanto riguarda gli SSRI, i risultati dello STAR*D mostrerebbero percentuali di risposta migliori dopo l’aggiunta di T3 piuttosto che di litio, tuttavia non in maniera statisticamente significativa (non è previsto il controllo con il placebo). La tollerabilità della T3 sarebbe inoltre superiore a quella del litio.
• Dopaminoagonisti:
Amantadina: è un farmaco antivirale approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) per il trattamento dell’influenza virus A nell’adulto, ma viene utilizzato anche nella malattia di Parkinson e per ridurre i sintomi extrapiramidali indotti da farmaci. Due piccoli studi in aperto hanno riportato un miglioramento della sintomatologia nei pazienti affetti da depressione resistente trattati con amantadina come farmaco potenziante: tuttavia, mentre in uno dei contributi non vengono riportati i tassi di risposta/remissione, nell’altro viene descritto come degli otto pazienti inclusi uno abbia raggiunto la piena remissione e due una riduzione maggiore del 50% nel punteggio alla Hamilton Depression Rating Scale (HAM-D) 39,40.
Pramipexolo: è un dopaminoagonista non-ergolinico usato per la malattia di Parkinson e per la sindrome delle “gambe senza riposo”. Il suo utilizzo come potenziamento di TCA e SSRI in pazienti con depressione resistente sia uni- che bipolare è stato oggetto di due piccoli studi in aperto. Gli autori hanno riportato tassi di risposta pari al 67,7-74,2%41 e il follow-up a 22 settimane mostrava tassi di remissione del 60,9%42. Nessuno di questi studi includeva gruppi di controllo.
Ropirinolo: è approvato dalla FDA per la malattia di Parkinson e per la sindrome delle “gambe senza riposo”. L’analisi di casi clinici43 e i risultati di un piccolo studio in aperto44 su pazienti con depressione resistente (uni- e bipolari) suggeriscono che il ropirinolo abbia una moderata efficacia nel miglioramento dei sintomi, con tassi di risposta compresi tra il 40 e il 44%.
• Buspirone: farmaco ad azione ansiolitica, attualmente non in commercio in Italia, agirebbe come agonista parziale dei recettori 5HT-1. Nello  STAR*D, all’interno di un’analisi secondaria38, è stata valutata la possibilità di un suo utilizzo come agente potenziante una terapia con SSRI e SNRI (venlafaxina) soprattutto nei pazienti con depressione ansiosa, senza, tuttavia, risultati conclusivi32.
• Antipsicotici atipici: l’uso degli antipsicotici atipici come farmaci potenzianti gli antidepressivi scaturisce dalla loro azione antagonista sui recettori serotoninergici 5-HT2. Inoltre, ziprasidone e aripiprazolo sono anche agonisti parziali dei recettori 5-HT1A, mentre ziprasidone e quetiapina (mediante il suo metabolita N-desalchilato norquetiapina) mostrano effetti inibitori sulla ricaptazione della noradrenalina33,45.
Aripiprazolo: esistono tre studi randomizzati che dimostrano l’efficacia come agente potenziante gli SSRI (fluoxetina, sertralina, paroxetina, citalopram) o la venlafaxina al dosaggio medio di circa 10 mg/die in pazienti resistenti a 1-3 trial con antidepressivi46-48. Essi hanno consentito l’approvazione da parte della FDA dell’aripiprazolo come terapia aggiuntiva in pazienti con TRD. È stata inoltre rilevata l’assenza di interazioni farmacocinetiche tra aripiprazolo e antidepressivi. La presenza di caratteristiche atipiche o di consistenti sintomi di ansia non peggiora i tassi di remissione. Gli effetti collaterali più diffusi sono l’acatisia e l’astenia, mentre un significativo aumento di peso è stato osservato nel 6-7% dei pazienti 14,49.
Olanzapina: in tutti gli studi pubblicati a oggi è stata utilizzata la combinazione olanzapina + fluoxetina (OFC) in pazienti resistenti al trattamento con almeno due diversi antidepressivi. In due studi clinici controllati8,50 sono stati osservati tassi di remissione più elevati nei pazienti che assumevano la combinazione rispetto a quelli che assumevano i singoli farmaci. In altri studi la combinazione non ha mostrato percentuali di remissione maggiori rispetto ai singoli farmaci in monoterapia o rispetto alla monoterapia con nortriptilina o venlafaxina. In uno di questi lavori, tuttavia, la combinazione mostrava un vantaggio significativo rispetto alla sola olanzapina51,52. Tra gli effetti collaterali più significativi: l’aumento di peso e le complicanze metaboliche, in alcuni casi superiori rispetto a quanto riscontrato con la sola olanzapina53. In ogni caso la combinazione OFC è stata approvata dalla FDA per il trattamento della TRD.
Quetiapina: due studi clinici controllati con placebo hanno valutato l’efficacia dell’aggiunta di quetiapina XR (a rilascio prolungato), alle dosi di 150 e 300 mg/die, in pazienti depressi resistenti a un trattamento con SSRI, SNRI, bupropione o amitriptilina. Entrambi gli studi hanno confermato la superiorità statistica della terapia aggiuntiva con quetiapina 300 mg XR54,55. Sulla base di questi studi, la quetiapina XR è stata approvata dalla FDA come terapia aggiuntiva del disturbo depressivo maggiore nel 2009. Dati sfavorevoli provengono invece da uno studio che ha utilizzato la formulazione a rilascio immediato56.
Risperidone: due trial farmacologici hanno dimostrato la superiorità rispetto al placebo nel potenziamento del trattamento con antidepressivi57,58, mentre un terzo studio non ha mostrato differenze significative59. Pertanto, a oggi, non può essere considerato come una strategia di potenziamento di prima scelta.
Ziprasidone: a oggi sono stati pubblicati solo due studi in aperto, che hanno fornito risultati contrastanti60,61, pertanto lo ziprasidone non può essere considerato un farmaco di prima scelta nel potenziamento della terapia antidepressiva.
Paliperidone, asenapina: non ci sono dati sulla loro efficacia come strategia di potenziamento della non risposta agli antidepressivi62.
Di recente sono state pubblicate due meta-analisi sull’uso degli antipsicotici atipici come strategie di potenziamento nella depressione resistente. La prima mostrava percentuali di risposta del 57% nei pazienti trattati con antipsicotici atipici contro il 35% di quelli trattati con placebo33. Nella seconda, effettuata includendo solo gli studi controllati, viene confermata la superiorità degli antipsicotici atipici rispetto al placebo, senza che vengano evidenziate differenze significative tra i singoli farmaci antipsicotici63. Tuttavia, i pazienti trattati con l’antipsicotico tendevano più frequentemente a sospendere il farmaco a causa di effetti collaterali, quali aumento di peso, complicanze metaboliche e sintomi extrapiramidali. Studi a lungo termine sulla sicurezza del potenziamento con antipsicotici atipici sono molto limitati e raramente comprendono un confronto con altre strategie di potenziamento62,64.
• Pindololo: inizialmente sviluppato come beta-bloccante, è in realtà un potente antagonista dei recettori 5-HT1 e pertanto è stato studiato come terapia di potenziamento in pazienti depressi non responsivi a SSRI, TCA o trazodone. Una recente meta-analisi di Ballesteros e Callado65 non ha dimostrato differenze significative nei tassi di risposta e remissione in questa popolazione di pazienti rispetto all’aggiunta del placebo. Tuttavia, in alcuni studi, all’interno della stessa meta-analisi, il pindololo ha mostrato un effetto significativo nel ridurre il tempo di latenza della risposta agli SSRI.
• Psicostimolanti: sono stati utilizzati in vari studi come terapie di potenziamento soprattutto per la loro proprietà di stimolare il sistema dopaminergico, noradrenergico e serotoninergico in maniera differenziale.
Psicostimolanti classici (amfetamino-simili): il metilfenidato non ha dimostrato di poter incidere sulle percentuali di risposta e remissione nei pazienti con depressione resistente, sebbene in questi studi sia stato osservato un miglioramento su alcuni sintomi, quali l’astenia e l’apatia66-68. Un importante svantaggio di questo composto è il potenziale rischio di abuso, soprattutto in pazienti con comorbilità tra depressione e uso di sostanze69. Anche gli studi sull’impiego di atomoxetina non hanno fornito risultati incoraggianti70.
Modafinil: agisce con un diverso meccanismo di azione rispetto agli psicostimolanti classici, primariamente sulla trasmissione dopaminergica e noradrenergica e secondariamente sui livelli di serotonina, istamina e glutamato (provocandone un incremento). Inoltre, agirebbe sul sistema delle orexine71. Per il modafinil sono stati riportati dati interessanti in pazienti con depressione resistente caratterizzata da sintomi quali ipersonnia e astenia. In questi soggetti, infatti, i dati della letteratura suggeriscono un ruolo del modafinil nell’incrementare le percentuali di risposta alla terapia antidepressiva72-74.
• Lamotrigina: sembra particolarmente efficace nel trattamento della depressione bipolare resistente al trattamento75. Diversi studi retrospettivi suggeriscono un ruolo interessante della lamotrigina nel potenziamento della terapia antidepressiva, probabilmente grazie alla sua attività inibente il rilascio presinaptico del glutamato76,77. Tuttavia, due trial controllati con il placebo, effettuati su campioni numericamente esigui, non hanno dimostrato differenze nei tassi di risposta e remissione in soggetti con depressione resistente78,79, suggerendo che la lamotrigina non possa essere considerata una strategia di potenziamento di prima linea.
• Ormoni sessuali: gli studi che hanno preso in esame il possibile utilizzo del testosterone in pazienti di sesso maschile con depressione resistente e livelli bassi o borderline di testosterone hanno dato risultati contrastanti80-82. Anche uno studio sull’uso degli estrogeni (eventualmente combinati con il progesterone) in donne in perimenopausa con depressione resistente ha dato risultati di difficile interpretazione83-85. In quest’ultimo lavoro si osservava invece un effetto positivo potenziando l’antidepressivo (venlafaxina) con testosterone86.
• Supplementi dietetici: la supplementazione con omega-3, S-adenosilmetionina (SAM), triptofano e acido folico ha reso possibile, in vari studi, un aumento dei tassi di risposta alla terapia antidepressiva2,87,88.
Omega-3: un recente studio polacco ha riportato una significativa riduzione dei punteggi della Hamilton-Depression Rating Scale (HAM-D) in pazienti con depressione resistente trattati con omega-3 in aggiunta alla terapia antidepressiva89. In due studi randomizzati, controllati con placebo, l’aggiunta di omega-3 alla terapia antidepressiva standard determinava una risposta pari al 53-60% (vs 10-29% del placebo)90,91.
S-adenosilmetionina (SAM): è stata impiegata in piccoli studi in aperto, che hanno riportato tassi di remissione variabili tra il 22 e il 43%92-93. Un recente studio in doppio cieco ha confermato l’efficacia della SAM nel trattamento della depressione resistente (tassi di risposta rispetto al placebo 36,1% vs 25,8%, tassi di remissione rispetto al placebo 17,6% vs 11,7%)94.
Triptofano: sebbene abbia dimostrato in vari contributi capacità di potenziamento della terapia antidepressiva, non è stato studiato approfonditamente nei pazienti con depressione resistente soprattutto per il possibile rischio di sindrome serotoninergica quando associato ad antidepressivi, specie SSRI95.
Acido folico: in un trial randomizzato in doppio cieco, in pazienti di sesso femminile, l’aggiunta di 500 mcg di acido folico alla fluoxetina ha consentito di raggiungere tassi di risposta del 93,9% rispetto al 61,1% del placebo. Negli uomini, al contrario, non si registrava alcuna differenza significativa tra acido folico e placebo. I livelli plasmatici di omocisteina venivano soppressi nelle donne, ma non negli uomini: gli autori concludevano ipotizzando che i pazienti di sesso maschile potrebbero richiedere dosi maggiori di acido folico per osservare gli stessi effetti clinici 96.
• Prospettive future: sono in corso di studio, nell’ambito delle strategie di potenziamento del trattamento antidepressivo:
Farmaci che agiscono sul sistema colinergico: la mecamilamina è un antagonista colinergico che in uno studio ha dimostrato buone proprietà potenzianti la terapia con SSRI (citalopram)97. La vareniclina, agonista parziale colinergico, ha mostrato un buon effetto di potenziamento in soggetti fumatori con depressione resistente98.
Farmaci che agiscono sui recettori NMDA: lo studio della memantina (antagonista NMDA) ha dato risultati deludenti99, mentre la ketamina (antagonista NMDA, utilizzata come anestetico) ha mostrato proprietà antidepressive interessanti, da approfondire in studi futuri in particolare come strategia di potenziamento100. Tuttavia, l’utilizzo per via endovenosa ne limita l’indicazione ai pazienti più gravi; l’efficacia terapeutica della ketamina, inoltre, si esaurisce al termine del periodo di somministrazione, con un tempo medio di ricaduta di circa 18 giorni dall’ultima infusione, pertanto sono in corso di sviluppo strategie che consentano di mantenere l’effetto terapeutico101. Inoltre, non è da trascurare il rischio di importanti effetti collaterali (soprattutto dispercezioni e derealizzazione)102.
Riluzolo: inibitore del rilascio del glutamato utilizzato nel trattamento della sclerosi laterale amiotrofica, ha mostrato un buon effetto di potenziamento sulla terapia antidepressiva in un piccolo studio in aperto103.
STRATEGIE FISICHE DI TRATTAMENTO
Nel trattamento della depressione resistente, oltre alle terapie farmacologiche, possono essere prese in considerazione anche varie terapie di stimolazione cerebrale, che comportano l’applicazione di interventi fisici o mediante corrente elettrica o tramite campo magnetico, e indirizzate a zone cerebrali specifiche o generalizzate.
Terapia elettroconvulsiva (TEC)
Introdotta per la prima volta nel 1934, consiste nell’induzione di una crisi convulsiva mediante l’impiego di uno stimolo elettrico, utilizzando elettrodi posizionati a livello fronto-temporale bilateralmente o esclusivamente a livello dell’emisfero non dominante su paziente curarizzato, in anestesia generale. Fin dai primi anni di utilizzo ha dimostrato una notevole efficacia nel trattamento dei quadri depressivi104. Studi osservazionali hanno riportato un incremento delle onde lente all’EEG dopo l’applicazione della TEC e anche cambiamenti nell’espressione dei recettori serotoninergici indicando una sensibilizzazione serotoninergica. Inoltre, la TEC riduce l’inibizione degli autorecettori noradrenergici e dopaminergici nel locus coeruleus e nella sostanza nera determinando un aumentato rilascio di catecolamine105. Studi di imaging, poi, hanno descritto una ridistribuzione del flusso ematico cerebrale in risposta alla TEC106. Non sono state riscontrate differenze in efficacia e sicurezza tra il posizionamento bifrontale e quello unilaterale destro in pazienti con depressione resistente107. I tassi di risposta sono stimati tra il 50 e il 60% e il miglioramento è in genere molto rapido108,109. Un recente studio svolto presso la Clinica Psichiatrica di Pisa ha dimostrato tassi di risposta e remissione pari rispettivamente al 67,4% e al 41,3% in pazienti bipolari con depressione resistente al trattamento110. Tuttavia, i tassi di ricaduta sono piuttosto elevati, suggerendo la necessità di affiancare un trattamento farmacologico o di ripetere le sessioni di TEC a scopo di mantenimento111-113. Il principale effetto collaterale è la compromissione cognitiva, soprattutto della memoria a breve termine, sebbene alcuni pazienti con pregressi deficit mnesici abbiano riferito un miglioramento dopo la TEC114-116. La gravità degli effetti collaterali di tipo cognitivo dipende in ogni caso da vari fattori, quali il posizionamento degli elettrodi e l’intensità di corrente applicata, il numero totale e la frequenza delle sessioni, il tipo di anestesia e alcune caratteristiche di base del paziente (comorbilità con disturbi neurologici, età, stato socio-economico, quoziente intellettivo)113,117. Altri effetti collaterali includono cefalea, nausea e vomito. Sono stati riportati casi isolati di ictus, edema sovraorbitale e mania2.
Stimolazione del nervo vago (VNS)
Consiste nel posizionamento di elettrodi elicoidali attorno al nervo vago, nell’area del collo e in prossimità della carotide: gli elettrodi vengono connessi a un generatore (posto a livello toracico) mediante un cavo di collegamento nel sottocute. È una tecnica disponibile fin dal 1997 come trattamento per l’epilessia farmacoresistente: in alcuni pazienti epilettici trattati è stato riportato un miglioramento dell’umore118, pertanto la VNS è stata studiata in pazienti con depressione resistente e nel 2005 la tecnica è stata approvata dall’FDA con questa indicazione119. Da un terzo alla metà dei pazienti trattati ha riportato un miglioramento superiore al 50% dei punteggi nella HAM-D. Tuttavia, i vantaggi sembrano evidenziarsi prevalentemente nel lungo periodo (dopo circa un anno di trattamento)120. Studi di imaging hanno mostrato cambiamenti nel flusso ematico, nell’ossigenazione cerebrale, nell’eccitabilità della corteccia motoria e un aumento della scarica a livello di nuclei specifici del tronco encefalico in pazienti depressi trattati con VNS121-124. È stato anche riportato un aumento dei livelli di acido omovanilico dopo trattamento con VNS125. I più comuni effetti collaterali sono raucedine, alterazioni del timbro di voce, tosse, dispnea e dolore al collo126. D’altro canto nei pazienti trattati sono stati osservati miglioramento delle funzioni cognitive e di eventuali sintomi dolorosi127,128.
Stimolazione magnetica transcranica ripetitiva (rTMS)
Approvata recentemente dalla FDA per il trattamento della depressione resistente, è stata sperimentata con questa indicazione fin dal 1987129,130. Consiste nella trasmissione di impulsi magnetici alla corteccia cerebrale per mezzo di un coil applicato direttamente sul capo del paziente e connesso a uno stimolatore. La maggioranza degli studi dimostra che la rTMS è efficace nella terapia della depressione resistente, con tassi di risposta variabili tra il 30,6 e il 64,7%2. La stimolazione ad alta frequenza della corteccia prefrontale dorsolaterale di sinistra e quella a bassa frequenza sulla stessa area destra sembrano avere la stessa efficacia: simili risultati si ottengono anche con la stimolazione bilaterale sequenziale131. Tuttavia, la stimolazione a bassa frequenza sembrerebbe preferibile per il minor rischio di indurre convulsioni. La durata influenza in maniera significativa l’efficacia: in particolare è stato osservato che 4-6 settimane di terapia sono il tempo minimo necessario per ottenere un risultato significativo132. Inoltre, i pazienti più giovani avrebbero tassi di risposta superiori rispetto agli anziani133. Recentemente è stata messa a punto una metodica, basata sulla risonanza magnetica, che consente di stimolare in maniera maggiormente selettiva un sito posto a livello della corteccia prefrontale dorso laterale: ciò ha consentito di aumentare l’efficacia del trattamento134. L’effetto antidepressivo del trattamento sarebbe da correlare con alterazioni della captazione di glucosio in specifiche aree cerebrali, con la redistribuzione del flusso ematico cerebrale e con l’aumento dei livelli sierici di fattore neurotrofico cerebrale (BDNF)135-137. Gli effetti collaterali sono molto rari: è stato riportato un caso di attacco epilettico e casi occasionali di mania, mentre non sono stati evidenziati effetti di tipo cognitivo138,139.
Terapia convulsivante magnetica (MST)
Si avvale della stimolazione magnetica transcranica ripetitiva per avviare un crisi convulsiva dalla corteccia superficiale140 ed è stata ideata al fine di ridurre gli effetti collaterali cognitivi della TEC141. Differisce da quest’ultima per l’induzione di un campo elettrico più focale e per la scarsa capacità di penetrazione delle correnti. Il primo paziente trattato con MST (una ragazza di 20 anni con depressione resistente) ha mostrato un miglioramento del 50% del punteggio HAM-D, senza sviluppare effetti collaterali rilevanti142. Successivamente un gruppo di dieci pazienti è stato sottoposto a un ciclo di terapia convulsivante all’interno del quale le prime 2 sessioni erano costituite da MST e le altre 2 da TEC. Le sessioni di MST sono state meglio tollerate rispetto a quelle di TEC, con recupero dell’orientamento più rapido e minori deficit mnesici, dimostrando un minore impatto delle MST sui lobi temporali. L’esecuzione di prove connesse ai lobi frontali non ha mostrato differenze significative, suggerendo che la MST mantiene l’effetto sulle strutture prefrontali, importante per garantire l’effetto terapeutico 143. La tecnica è ancora in fase di sviluppo per quanto concerne la definizione dei parametri ottimali di stimolazione e l’acquisizione di dati su campioni più ampi di pazienti.
Transcranial direct current stimulation (tDCS)
È una metodica di stimolazione cerebrale non invasiva e non convulsiva, che prevede l’applicazione di una corrente diretta, ma di debole intensità (1-2 mA) mediante due elettrodi applicati sulla cute. Una recente meta-analisi comprendente dieci studi ha riportato che la tDCS è efficace nel ridurre i sintomi depressivi144. Uno studio controllato (con la stimolazione “simulata”), che ha utilizzato il posizionamento bilaterale frontale (stimolazione anodica della corteccia prefrontale dorsolaterale sinistra e stimolazione catodica della regione sovraorbitale controlaterale), ha dimostrato un miglioramento significativo della sintomatologia depressiva nei pazienti che ricevevano la stimolazione “attiva” in un arco di tempo di tre settimane. Gli stessi autori hanno poi presentato uno studio in aperto che prevedeva il prolungamento del follow-up di questi pazienti per altre tre settimane: i soggetti sottoposti a stimolazione “attiva” avevano una maggior probabilità di ottenere una riduzione del 50% dei sintomi depressivi 145. In un altro studio, in aperto, gli elettrodi erano invece posizionati dapprima in posizione bilaterale frontale, e in una seconda fase in posizione monolaterale, con la stimolazione anodica a livello della corteccia prefrontale dorsolaterale (DLPFC) destra e quella catodica a livello del braccio destro146. Gli autori hanno riportato, con questa seconda tecnica, una riduzione del 43,8% della sintomatologia depressiva, con una risposta più rapida rispetto alla stimolazione bilaterale. Alcuni studi in aperto hanno suggerito, tuttavia, che la stimolazione bilaterale possa essere un trattamento efficace nei pazienti con depressione più grave e farmaco-resistente147-149. Gli effetti collaterali più comuni includono una lieve cefalea e prurito nella sede degli elettrodi. È stata segnalata anche la possibile comparsa di lesioni cutanee (ustioni) ed è pertanto necessaria estrema cautela al momento del posizionamento degli elettrodi. Non è stata mai riportata, invece, l’induzione di crisi convulsive150.
Stimolazione cerebrale profonda (DBS)
Approvata dalla FDA per il trattamento dei disturbi motorî refrattari alla terapia medica142, è stata finora sperimentata in piccoli gruppi di soggetti affetti da depressione resistente a causa degli alti rischi correlati alla procedura di impianto degli elettrodi (inseriti chirurgicamente all’interno di specifiche regioni cerebrali e connessi a un generatore posto nel sottocute del torace anteriore), quali sanguinamento, infezione, crisi convulsive151. Ad alte frequenze, la DBS inibisce la trasmissione neuronale delle aree stimolate, mimando l’effetto della lesione tissutale152. All’interno di un gruppo di sei pazienti a cui sono stati impiantati elettrodi a livello della regione cingolata sub-genicolata, quattro sono andati incontro a remissione sintomatologica153. In dieci pazienti con depressione resistente è stata sperimentata la stimolazione profonda del nucleo accumbens, con tassi di risposta del 50% e una particolare selettività di efficacia su sintomi quali l’anedonia e l’ansia154,155. In letteratura è stato descritto anche un caso clinico concernente un paziente con storia ventennale di depressione resistente cui sono stati impiantati 8 elettrodi stimolanti il peduncolo talamico inferiore: si è potuto evidenziare un importante miglioramento della sintomatologia depressiva156.
Infine, ancora sperimentale è da considerare la stimolazione epidurale bilaterale corticale prefrontale (EpCS) descritta da un gruppo di ricerca della South Carolina University157.
Un riassunto delle strategie di trattamento per la depressione resistente con i relativi livelli di raccomandazione è proposto nella Tabella 2.



CONCLUSIONI
La depressione è una patologia molto diffusa nella popolazione generale: nonostante la disponibilità di numerosi protocolli di trattamento, un numero notevole di pazienti (tra la metà e i due terzi) non risponde alla terapia impostata.
Questo contributo si propone di fornire al clinico una revisione della letteratura recente in merito alle strategie psicofarmacologiche e fisiche di trattamento della depressione resistente.
Si possono quindi trarre le seguenti conclusioni:
come prima strategia, verificata la correttezza della diagnosi e l’esclusione di una pseudoresistenza, si consiglia l’ottimizzazione, per dose e/o durata, del trattamento antidepressivo in atto;
dati controversi sono riportati in letteratura dal confronto tra switching intra- o interclasse, pertanto a oggi non è possibile stabilire con certezza quale delle due strategie sia più vantaggiosa;
la combinazione tra diverse classi di antidepressivi (per es., TCA-SSRI) sembra essere una strategia terapeutica promettente;
numerose e diverse strategie di potenziamento sono state prese in considerazione: le più note ed efficaci coinvolgono sali di litio, T3, aripiprazolo, olanzapina e quetiapina XR; un ruolo interessante sembra profilarsi per l’uso di dopaminoagonisti e modafinil;
tra le strategie fisiche, la TEC è quella con il maggior numero di studi che ne sottolineano l’efficacia per la depressione resistente; la VNS e la rTMS hanno un numero di dati molto inferiori e, per la VNS, meno convincenti; promettenti, ma sperimentali, i dati sulla DBS e tDCS.
In sintesi, malgrado il ruolo che la depressione resistente al trattamento riveste a tutt’oggi in termini di morbilità e mortalità, le strategie terapeutiche disponibili risultano ancora insufficienti per le esigenze del clinico e le aspettative dei pazienti. Si avverte quindi la necessità di ulteriori studi, disegnati su casistiche sufficientemente ampie, per sviluppare nuove opzioni terapeutiche basate sull’evidenza clinica.
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