Dettagli significanti


A cura di Eleonora Del Riccio
Sapienza Università di Roma
E-mail: elo-dr@hotmail.it





Generalmente, chi ha sentito nominare Giovanni Morelli non è un medico. Questo dipende dal fatto che lo studioso, seppure laureato in medicina ed esperto anatonomo comparato, non esercitò mai la professione che in un primo momento si era scelto.
Il suo vero interesse era la pittura. O meglio, come fare ad attribuire con scientifica certezza un quadro a un grande autore o a un suo allievo e, soprattutto, come fare a distinguere un’opera autentica da una contraffatta. L’aver studiato medicina contribuì a porsi questo grande interrogativo perché Morelli – che pubblicò i suoi studi in età avanzata sotto lo pseudonimo di Ivan Lermolieff – costruì un metodo che si basava sull’analisi formale di determinati dettagli anatomici per raggiungere lo scopo che si era prestabilito. Per questo il metodo di Morelli ha il grande pregio di essere stato il primo con pretesa di scientificità in un ambito, quale quello dell’attribuzionismo, circondato storicamente da un’aura di magia.
Il metodo consisteva nell’osservazione di quei particolari apparentemente insignificanti all’interno della rappresentazione come le unghie, i lobi delle orecchie e le mani. Tale focalizzazione comportava l’indagine di quelle “minuzie” che il maestro realizza per inerzia e che diventano per questa ragione la sua cifra distintiva. Gli allievi, la scuola più in generale, il copista, concentrandosi sui punti forti della rappresentazione e cercando di renderla nel suo insieme coerente con quella di partenza, tralasciano questi dettagli proprio perché giudicati, e lo sono oggettivamente, insignificanti.
In anni più o meno recenti sono stati fatti numerosi collegamenti tra il metodo di Morelli e altri ambiti disciplinari tra loro molto diversi. Per esempio, con la psicoanalisi; Freud conobbe gli scritti di Morelli prima ancora di occuparsi di psicoanalisi, come ricorda nel saggio sul Mosè:
«Molto tempo prima ch’io potessi sentir parlare di psicoanalisi, venni a sapere che un esperto d’arte russo, Ivan Lermolieff […] aveva provocato una rivoluzione nelle gallerie d’Europa rimettendo in discussione l’attribuzione di molti quadri ai singoli pittori […]; egli era giunto a questo risultato prescindendo dall’impressione generale e dai tratti fondamentali di un dipinto, sottolineando invece l’importanza caratteristica di dettagli secondari, di particolari insignificanti […]».
Altri collegamenti sono stati fatti con i romanzi gialli di Sir Arthur Conan Doyle, per via dell’analisi minuziosa degli indizi durante la risoluzione dei casi, e con Cesare Lombroso, padre della moderna criminologia, fondatore dell’antropologia criminale e convinto sostenitore del fatto che l’origine del comportamento criminale fosse insita nelle caratteristiche anatomiche:
«Non si trattò di una semplice idea, ma di una rivelazione. Alla vista di quel cranio, mi sembrò di vedere all’improvviso, illuminato come una grande pianura sotto un cielo infuocato, il problema della natura e del criminale: un essere atavistico che riproduce nella propria persona i feroci istinti dell’umanità primitiva e degli animali inferiori. Così si spiegavano da un punto di vista anatomico le enormi mandibole, gli zigomi alti, gli archi sopraccigliari prominenti, i solchi palmari disgiunti, l’eccessiva dimensione delle orbite, le orecchie a manubrio riscontrate nei delinquenti, nei selvaggi e nelle scimmie, l’ipersensibilità al dolore, la vista acutissima, i tatuaggi, l’estrema pigrizia, la passione orgiastica e l’irresponsabile bramosia per il male in sé, il desiderio non solo di sopprimere la vita delle proprie vittime ma di mutilarne il cadavere, di strapparne la carne a pezzi e di berne il sangue».
Per non parlare, sempre sulla scia della criminologia, di Alphonse Bertillon, fondatore nel 1870, del primo laboratorio di identificazione criminale e inventore dell’antropometria giudiziaria. Non bisogna tacere il triste collegamento che si potrebbe evidenziare anche con l’antropologia razziale, la cui diffusione risale a poco dopo la metà dell’Ottocento. Secondo queste teorie pseudoscientifiche, in maniera analoga alla classificazione delle razze animali, anche il genere umano poteva essere classificato zoologicamente in base alle qualità intellettive. Così prese corpo l’idea che ci fosse al mondo una razza superiore da salvare attraverso un processo di eugenetica e che, specularmente, esistessero delle razze inferiori riconoscibili – come i criminali di Lombroso – da caratteristiche anatomiche peculiari.
PER APPROFONDIRE
– Freud S. Il Mosè di Michelangelo. Opere, vol. VII. Torino: Bollati Boringhieri, 1989.
– Ginzburg C. Miti, emblemi, spie. Morfologia e storia. Torino: Einaudi, 1986.
– Lombroso C. L’uomo delinquente, studiato in rapporto all’antropologia, alla medicina legale e alle discipline carcerarie. Milano: Hoepli, 1876.
– Morelli G. Della pittura italiana: studi storico-critici. Le gallerie Borghese e Doria Pamphilj in Roma. Milano: Fratelli Treves, 1987.