Trattamento a lungo termine del disturbo bipolare:
quale impiego dei sali di litio nella pratica clinica?

Long-term treatment of bipolar disorder: how should we use lithium salts?

CLAUDIA DEL GRANDE¹, MATTEO MUTI², LAURA MUSETTI¹, IRENE PERGENTINI¹,
MARTINA CORSI¹, MILO TURRI², ILARIA SOLDANI², GIOVANNI UMBERTO CORSINI²,
LILIANA DELL’OSSO¹

E-mail: laura.musetti@med.unipi.it

¹Dipartimento di Psichiatria, Neurobiologia, Farmacologia e Biotecnologie, Università di Pisa
²Dipartimento di Neuroscienze, Università di Pisa


RIASSUNTO. Obiettivi. Nonostante il gran numero di dati a sostegno dell’efficacia del litio nel trattamento di mantenimento del disturbo bipolare (DB), si rilevano spesso una serie di criticità e di problematiche relative alla gestione di questo composto. Obiettivo dello studio è stato quello di valutare le modalità con cui il litio viene impiegato nella pratica clinica e di individuare eventuali relazioni tra andamento nel tempo dei valori di litiemia e decorso del DB. Metodi. Sono stati reclutati presso il Day Hospital della Clinica Psichiatrica di Pisa 98 pazienti con diagnosi di DB (DSM-IV-TR), in trattamento di mantenimento con sali di litio. Le valutazioni diagnostiche e sintomatologiche hanno previsto l’utilizzo della SCID-I e della CGI-BP. Risultati. Il campione è composto prevalentemente da BI (87,8%) e nel 63% dei soggetti il litio è utilizzato in associazione con un antiepilettico. Meno della metà del campione (48%) presenta valori di litiemia media compresi nel range terapeutico (0,5-0,8 mEq/L); valori di litiemia ≥0,50 mEq/L sono stati riscontrati più frequentemente in pazienti con episodio in atto e/o polarità di esordio maniacale/mista, con un maggior numero di pregressi episodi, con una più elevata percentuale di rapida ciclicità e nei soggetti in trattamento con litio associato ad antiepilettico. Durante il periodo di osservazione i pazienti con litiemia media ≥0,50 mEq/L sono andati incontro a un miglioramento clinico in percentuale significativamente superiore rispetto al resto del campione. Discussione. Nella pratica clinica il litio viene spesso impiegato a dosaggi che determinano livelli ematici ai limiti inferiori del range terapeutico. I dati relativi al decorso prospettico, benché preliminari, confermano l’importanza di mantenere i valori di litiemia entro l’intervallo terapeutico.

PAROLE CHIAVE: disturbo bipolare, trattamento a lungo termine, sali di litio.


SUMMARY. Despite the great quantity of evidence supporting the efficacy of lithium in the maintenance treatment of bipolar disorder (BD), its use has often been limited because of issues about the management of this compound. We aimed to evaluate the use of lithium in common clinical practice and to identify possible relationships between the trend over time of serum lithium levels and clinical course of the illness. Methods. 98 patients with bipolar I and bipolar II disorder (DSM-IV-TR) on maintenance treatment with lithium salts were recruited and followed up in a naturalistic trial at the Day Hospital of Psychiatric Clinic of Pisa. Diagnosis was confirmed using a structured interview, the SCID-I. During symptom assessment, the Clinical Global Impression-Bipolar Version Scale (CGI-BP) was used. Results. The sample is made up mainly of BI patients (87.8%) and lithium is used in association with anticonvulsants in 63%. Less than half of the sample (48%) presents average serum lithium levels in the therapeutic range (0.5-0.8 mEq/L); serum values of lithium within the range were seen more frequently in patients with manic/mixed episode, with manic/mixed polarity of onset, with a greater number of previous episodes, with a higher percentage of rapid cycling and in subjects treated with lithium associated with anticonvulsants. During the follow-up patients with average serum lithium levels within the therapeutic range obtained a clinical improvement in a significantly greater proportion compared to patients with average serum lithium levels lower than 0.50 mEq/L. Discussion. In clinical practice, lithium is often used at doses determining serum levels at the lower limits of the therapeutic range. Preliminary data on the prospective course of the illness support the importance of maintaining serum values of lithium within the therapeutic range.

KEY WORDS: bipolar disorder, long-term treatment, lithium salts.

INTRODUZIONE
Il disturbo bipolare (DB) è un disturbo complesso, eterogeneo e ricorrente, associato con un alto tasso di comorbilità e di mortalità, caratteristiche che si riflettono nella necessità ma anche nella difficoltà di instaurare un precoce e adeguato trattamento farmacologico (1,2). È caratterizzato dall’alternanza di episodi depressivi, maniacali, ipomaniacali o misti intervallati da periodi variabili di parziale o completa eutimia (1). Negli ultimi anni sono stati allargati i confini di quest’area nosografica con l’adozione del modello di spettro (3-5), che meglio consente di cogliere la complessità delle molteplici manifestazioni psicopatologiche, a differenza delle attuali categorie diagnostiche proposte dai sistemi internazionali di classificazione dei disturbi mentali. Lo spettro bipolare è oggi definito da un continuum di condizioni cliniche che vanno da forme di bipolarità sottosoglia attenuate, come i tratti temperamentali e di personalità (ipomania breve, ciclotimia, ipertimia), a quadri clinici più gravi con sintomi psicotici incongrui all’umore al confine con i disturbi dello spettro schizofrenico (5-9).
Il DB è caratterizzato da frequenti ricadute che causano una significativa compromissione della qualità della vita dei pazienti e importanti ripercussioni sul piano dell’adattamento socio-familiare e lavorativo; di conseguenza, costituisce una delle più importanti cause di invalidità nella fascia di età compresa tra i 15 e i 44 anni (10,11).
Trattamento a lungo termine del DB con sali di litio
Il tempestivo riconoscimento di tutte le manifestazioni di malattia appartenenti allo spettro dei DB e una corretta gestione terapeutica risultano fondamentali al fine di migliorarne il decorso clinico e limitare l’invalidità che ne deriva. Tuttavia, la gestione terapeutica di questi pazienti è spesso problematica, sia perché la diagnosi viene formulata con un ritardo medio di 5-10 anni dall’esordio dei sintomi nella metà circa dei casi, sia per l’elevato tasso di comorbilità con disturbi d’ansia e disturbi da abuso di alcol e sostanze, che interferiscono negativamente con il trattamento, sia per la scarsa coscienza di malattia, l’incostante adesione alle cure e la persistenza di sintomi residui in una percentuale elevata di soggetti (12-18).
Data la natura cronica e ricorrente del disturbo e l’alto rischio di suicidio, uno degli obiettivi principali del trattamento è la prevenzione delle ricadute; risulta pertanto essenziale instaurare un trattamento di mantenimento a lungo termine (19-21). A tale proposito le linee-guida internazionali per il trattamento del DB raccomandano l’utilizzo di stabilizzatori dell’umore, sia in monoterapia sia in associazione (22-26).
Dalla pubblicazione dei primi trial clinici negli anni ’60 e ’70, il litio è stato il trattamento standard di mantenimento per più di quattro decadi, e rappresenta ancora oggi lo stabilizzatore dell’umore che dispone di maggiori evidenze di efficacia nel trattamento preventivo del DB (20,27-31).
A fronte di queste evidenze, il litio non si è dimostrato completamente efficace nel trattare l’intera gamma di manifestazioni cliniche appartenenti allo spettro dei disturbi bipolari. Queste limitazioni, oltre al fatto che il litio possiede uno stretto indice terapeutico e necessita di un attento monitoraggio dei livelli ematici, hanno stimolato la ricerca psicofarmacologica nell’individuare altri composti da impiegare nella profilassi delle recidive del DB. Sono stati quindi proposti, come alternativa o in associazione al litio, anticonvulsivanti e antipsicotici atipici, la cui sicurezza ed efficacia nel lungo termine è ancora oggi oggetto di studio (24,30,32,33).
A seguito della comparsa sul mercato di questi nuovi farmaci, indicati soprattutto per il trattamento delle manifestazioni non tipiche di malattia meno rispondenti al litio, come gli stati misti e la rapida ciclicità (34-36) o i casi con esordio precoce, abuso di sostanze e sintomi psicotici, intorno agli anni ’90 in alcuni Paesi, e in particolare negli USA, si è ridotto in modo significativo l’utilizzo del litio in monoterapia in pazienti ambulatoriali ed è aumentata notevolmente la prescrizione di valproato, sia in monoterapia sia in associazione al litio (37,38).
Tuttavia, sulla base di numerosi dati clinici (2,20, 28,33) il litio viene indicato tutt’oggi come farmaco di prima scelta per la prevenzione delle ricadute, soprattutto maniacali, e per la riduzione del rischio suicidario (39-41).
Effetti neuroprotettivi del trattamento a lungo termine con litio
Alcune questioni fondamentali riguardanti l’impiego del composto sono state recentemente oggetto di dibattito: per esempio, non è stato ancora completamente chiarito se il trattamento a lungo termine abbia come conseguenza effetti neuroprotettivi o neurotossici (30,42). In letteratura esistono evidenze contrastanti riguardo alla capacità di questo farmaco di aumentare (43) o ridurre il rischio di demenza (44,45); tuttavia, i lavori più recenti dimostrano gli effetti neurotrofici e neuroprotettivi del litio, ed è stato quindi proposto il suo possibile utilizzo anche in diverse malattie neurodegenerative, come l’ ictus ischemico, la malattia di Alzheimer, la malattia di Huntington, la sclerosi laterale amiotrofica, la demenza HIV-associata e l’atassia spinocerebellare (46).
Diversi studi di neuroimaging strutturale (MRI) hanno messo in evidenza la presenza di atrofia e di perdita neuronale e gliale in pazienti affetti da DB e la capacità del litio di invertire questo processo patologico; il trattamento a lungo termine con litio è stato infatti associato a un aumento del volume di materia grigia in diverse aree cerebrali direttamente coinvolte nella regolazione dei processi cognitivi ed emozionali, come la corteccia prefrontale, il giro cingolato anteriore, l’amigdala e l’ippocampo (47-49). Inoltre, in pazienti con DB è stata descritta una riduzione di N-acetil-aspartato (NAA) e un aumento dei livelli di colina e mioinositolo, specialmente nella corteccia prefrontale e cingolata anteriore, nell’ippocampo e nei gangli della base (50,51). Studi di neuroimaging funzionale (MRS) hanno dimostrato un aumento dei livelli di NAA (52,53) e una riduzione dei livelli di colina e mioinositolo (51,54) in soggetti bipolari dopo trattamento con litio.
Il litio esercita la sua azione anche su numerose cascate di trasduzione intracellulare del segnale coinvolte nella regolazione della sopravvivenza e della funzionalità neuronale e nella modulazione della trasmissione e della plasticità sinaptica (46). In particolare, in questi ultimi anni l’interesse dei ricercatori si è focalizzato sulla GSK-3 (glicogeno sintasi kinasi 3), una serina/treonina/kinasi che esercita un ruolo chiave nella regolazione di numerosi processi cellulari che sono stati implicati nella fisiopatologia dei disturbi dell’umore, quali la trascrizione genica, la plasticità sinaptica, il mantenimento della struttura cellulare e soprattutto l’apoptosi cellulare (55). Attraverso l’inibizione della GSK-3, che ha come diretta conseguenza l’induzione di effetti anti-apoptotici e un miglioramento della stabilità strutturale della cellula, il litio produrrebbe effetti neurotrofici conferendo protezione neuronale nei confronti di diversi insulti (56-58). È stato dimostrato inoltre come la GSK-3 sia coinvolta, direttamente o indirettamente, nel meccanismo d’azione anche di altri stabilizzatori dell’umore e come costituisca quindi un target molecolare promettente per il possibile sviluppo di nuovi farmaci indicati nel trattamento del DB (59).
Il litio determina, inoltre, una ridotta formazione di diacilglicerolo, con conseguente downregulation della proteina kinasi C e, in ultima analisi, una minore espressione del suo principale substrato, il substrato miristilato ricco di alanina della proteina kinasi C (MARCKS) (60); questo substrato è implicato nella stabilità di membrana, pertanto l’effetto finale prodotto dal litio sarà quello di stabilizzare la membrana neuronale (39). Infine, è stato associato al trattamento con litio anche l’aumento della trascrizione di fattori di neurogenesi e sopravvivenza cellulare, come il Bcl-2 e il BDNF (61,62).
Impiego del litio nella pratica clinica: aderenza
al trattamento, rischio di tossicità e monitoraggio
Nonostante il gran numero di prove a sostegno dell’efficacia del litio nel DB, questo farmaco presenta una serie di criticità e di problematiche di gestione che ne hanno spesso limitato il largo impiego nella pratica clinica (63).
Una questione ancora controversa riguarda la concentrazione plasmatica ottimale del composto che consenta di mantenerne l’efficacia terapeutica con il minor numero possibile di effetti collaterali (30,64). Numerosi studi che hanno indagato quale sia la minima concentrazione plasmatica richiesta per un’efficace azione profilattica del litio hanno riportato che basse concentrazioni plasmatiche (0,4-0,6 mEq/L) sono associate ad una percentuale più alta di ricadute, mentre a concentrazioni di 0,8-1,0 mEq/L questo rischio è significativamente più basso (65). Concentrazioni sieriche ai limiti più alti di questo intervallo terapeutico, tuttavia, possono essere associate a un maggior rischio di effetti collaterali e di tossicità (66). Nonostante questo argomento necessiti di ulteriori ricerche, le evidenze a disposizione sembrano quindi suggerire come il mantenimento dei valori di litiemia tra 0,6 e 0,8 mEq/L possa rappresentare un buon compromesso tra efficacia e tollerabilità (25,63).
Il monitoraggio periodico dei livelli ematici del litio risulta essenziale al fine di prevenirne la tossicità e minimizzare il rischio di comparsa di effetti collaterali (18,30,63). Se viene messa in atto una rigorosa sorveglianza dei pazienti in trattamento, anche la presenza di patologie mediche concomitanti o di anormalità negli indici di laboratorio non costituisce una controindicazione assoluta all’utilizzo del litio; sono necessarie peraltro una più attenta sorveglianza medica, più frequenti determinazioni della litiemia e talora l’utilizzo di dosi più basse del farmaco (18). Il rischio di tossicità e la necessità di un monitoraggio nel lungo termine non dovrebbero pertanto costituire una ragione per trascurare l’utilizzo di questo composto, in considerazione dei dati sull’efficacia e del fatto che la valutazione dei suoi livelli ematici è semplice, accurata e poco costosa (30).
È inoltre ampiamente documentato come lo stretto monitoraggio dei pazienti in trattamento con litio influisca favorevolmente sulla risposta terapeutica (67). In alcuni studi naturalistici (68,69) e nella pratica clinica, infatti, l’efficacia dei sali di litio nel lungo termine è risultata nettamente inferiore a quella evidenziata nei trial clinici controllati. Questa discrepanza tra l’efficacia potenziale del trattamento e quella reale è determinata in gran parte dall’aderenza alle cure e dalla qualità del servizio impiegato nel monitoraggio del paziente, oltre che dalla tipologia del campione selezionato, che nei trial clinici controllati è spesso diversa da quella riscontrata nella realtà clinica, in cui i pazienti mostrano caratteristiche atipiche di malattia ed elevata comorbilità, fattori predittivi di scarsa risposta al litio. La ridotta adesione al trattamento è comunque la causa principale del fallimento terapeutico; nella pratica clinica ambulatoriale, pertanto, un supporto psico­educazionale ai pazienti e ai familiari può contribuire a migliorare la compliance e, di conseguenza, l’efficacia profilattica di questo farmaco (20,67,70,71).
A questo scopo sono state create le Lithium Clinic (72), centri di riferimento specializzati nella gestione terapeutica e nel monitoraggio nel lungo termine dei pazienti in trattamento con sali di litio, la cui funzione principale è quella di facilitare la personalizzazione della terapia e di fornire un supporto psicoeducazionale. Diverse evidenze suggeriscono infatti come la personalizzazione del trattamento in base alle caratteristiche del paziente (età, sesso, comorbilità mediche), al concomitante utilizzo di altri farmaci (FANS, diuretici, ACE inibitori) e alle caratteristiche del disturbo (polarità di esordio, frequenza e polarità delle ricadute) contribuisca ad aumentarne l’efficacia profilattica minimizzando il rischio di recidive e di tossicità (63,73,74).
Con l’obiettivo di valutare le modalità con cui il litio viene impiegato nella comune pratica clinica e di individuare eventuali relazioni tra andamento nel tempo dei valori di litiemia e decorso del DB, nel maggio 2010 è stato avviato, presso la Clinica Psichiatrica di Pisa e in collaborazione con la sezione di Farmacologia del Dipartimento di Neuroscienze, uno studio di follow-up naturalistico prospettico tuttora in corso.
MATERIALI E METODI
Dal maggio 2010 al luglio 2011 sono stati reclutati 98 pazienti con diagnosi di DB I o II secondo i criteri del DSM-IV-TR (75), in trattamento di mantenimento da almeno 3 mesi con sali di litio in monoterapia o in associazione ad altri stabilizzatori dell’umore appartenenti alla classe degli antiepilettici (valproato, carbamazepina, lamotrigina). I pazienti reclutati afferivano presso il Day Hospital della Clinica Psichiatrica di Pisa, centro sovrazonale di riferimento per il trattamento dei disturbi psichiatrici, per effettuare periodici controlli della situazione clinica e della litiemia.
La raccolta dei dati al momento del reclutamento (valutazione basale) si è svolta durante un’intervista della durata di circa 2 ore, spesso alla presenza di un familiare o di un convivente, avvalendosi di strumenti di valutazione strutturati e semistrutturati. Le valutazioni sono state effettuate da medici interni della Clinica Psichiatrica di Pisa e della sezione di Farmacologia del Dipartimento di Neuroscienze, previo addestramento all’utilizzo della scale impiegate nello studio. La sezione di Farmacologia ha analizzato i campioni ematici dei pazienti per valutare i valori di litiemia.
I 98 pazienti inseriti nello studio sono stati seguiti in maniera naturalistica in un follow-up prospettico (tuttora in corso) e sottoposti nel tempo a una o più valutazioni standardizzate della sintomatologia. Le valutazioni standardizzate dell’andamento della sintomatologia venivano effettuate a ogni esecuzione della litiemia, la cui frequenza (così come la frequenza delle visite) veniva stabilita da psichiatri indipendenti ai quali erano affidate le decisioni riguardo alla gestione terapeutica dei pazienti; l’intervallo minimo di tempo tra due valutazioni standardizzate successive doveva essere di almeno 20 giorni.
I dati prospettici relativi al decorso del disturbo si riferiscono a 77 pazienti con almeno due valutazioni standardizzate della sintomatologia.
Tutti i soggetti, maggiorenni, sono stati informati sulla natura dello studio e hanno espresso un consenso informato scritto prima di partecipare. I pazienti sono stati selezionati indipendentemente dai precedenti ricoveri e/o da precedenti trattamenti con farmaci antidepressivi, antipsicotici e stabilizzatori dell’umore, indipendentemente dall’aver avuto uno o più episodi di malattia. Sono stati esclusi i pazienti che abbiano fatto abuso di sostanze psicoattive nei 3 mesi precedenti l’inserimento nello studio.
Le valutazioni diagnostiche e sintomatologiche hanno previsto l’utilizzo dei seguenti strumenti:
La SCID-I (Structured Clinical Interview for DSM-IV-TR Axis I Disorders) per stabilire le diagnosi di Asse I secondo i criteri del DSM-IV-TR (76). È stata valutata la presenza della diagnosi di DB (fase depressiva, maniacale, mista o in remissione), essenziale per l’inclusione nello studio, e di eventuali comorbilità di Asse I. Per completare l’inquadramento diagnostico sono state utilizzate informazioni ottenute da ogni fonte disponibile: il colloquio anamnestico, precedenti documentazioni mediche e informazioni dai parenti di primo grado.
La CGI-BP (CGI Bipolar Version), una versione modificata della Clinical Global Impression Scale creata appositamente per l’utilizzo nei pazienti con DB (77). La CGI (78) consente la formazione di un giudizio clinico globale in tre aree: la gravità della malattia (CGI-G), il miglioramento globale (CGI-M) e gli indici di efficacia terapeutica. La CGI-BP differisce dalla CGI in quanto consente di esprimere un giudizio sulla gravità dell’episodio in atto con un punteggio che va da 1 a 7, e sul grado di cambiamento dalla fase immediatamente precedente e dalla fase peggiore di malattia con un punteggio che va da 1 a 8.
Nel nostro studio abbiamo considerato come miglioramento del quadro clinico una condizione caratterizzata dal recupero dello stato di eutimia o da una riduzione di almeno 2 punti della gravità dell’episodio in atto; abbiamo considerato come peggioramento la perdita dello stato di eutimia (ricaduta affettiva) o un aumento di almeno 2 punti della gravità dell’episodio in atto; abbiamo infine definito come stabilità del quadro affettivo una condizione caratterizzata da nessun mutamento o da una variazione di 1 punto della gravità della sintomatologia in atto.
Analisi statistica dei dati
Per le analisi inerenti al confronto tra le variabili categoriali tra due gruppi è stato impiegato il test del χ²; per il confronto tra variabili dimensionali tra due gruppi è stato utilizzato il test ANOVA. Una probabilità (p) inferiore a 0,05 è stata considerata statisticamente significativa. Tutte le analisi sono state eseguite con il programma Statistical Package for the Social Science (SPSS), versione 16.0.
RISULTATI
Caratteristiche demografiche e cliniche
Dei 98 soggetti inseriti nello studio di follow-up naturalistico, 52 (53,1%) sono donne, 37 (38,5%) sono coniugati (55,2% celibi o nubili; 6,2% separati o divorziati) e 39 (41,5%) hanno un lavoro a tempo pieno (14,9% studenti; 11,7% pensionati; 31,9% disoccupati). L’età media del campione è di 40,65 anni (40,65±13,34) e gli anni di istruzione sono risultati in media 14,02 (14,02±3,42).
Per quanto riguarda le caratteristiche cliniche del campione, 86 (87,8%) pazienti soddisfano i criteri per la diagnosi di DB I e 12 (12,2%) per DB II.
L’età media di esordio del disturbo è di 25,74 anni (25,74±9,76). La polarità di esordio è stata di tipo depressivo nel 54,3% (n=38) dei soggetti, maniacale nell’8,6% (n=6) e misto nel 37,1% (n=26); dei rimanenti 28 pazienti non siamo riusciti ad acquisire notizie anamnestiche riguardanti la polarità dell’esordio. Nel campione dello studio, il numero di episodi depressivi in anamnesi è in media di 5,69 (5,69±2,82), quello degli episodi maniacali 3,52 (3,52±3,07) e gli episodi misti sono in media 5,90 (5,90±2,82). La percentuale di pazienti con rapida ciclicità è risultata essere dell’11,2% (n=11). Una sintomatologia psicotica lifetime è stata rilevata in 42 pazienti (42,9%).
Il 41,9% (n=41) dei pazienti ha effettuato almeno un ricovero; l’età media del primo ricovero è di 32,7 anni (32,77±12,67). Il 23,5% (n=23) dei soggetti ha compiuto almeno un tentativo di suicidio (TS), con un’età media del primo TS di 29,3 anni (29,32±10,01).
Per quanto riguarda la comorbilità psichiatrica di Asse I, il 45,9% (n=45) del campione presenta un disturbo di panico, il 33,7% (n=33) un disturbo ossessivo-compulsivo e il 13,3% (n=13) un pregresso uso di alcol e sostanze.
Al momento dell’inserimento nello studio, 26 soggetti (26,5%) presentavano un episodio depressivo in atto, 49 (50%) un episodio misto, 8 (8,2%) un episodio maniacale e i restanti 15 (15,3%) erano eutimici.
Per quanto riguarda il trattamento farmacologico in atto al momento del reclutamento nello studio, 36 pazienti assumevano litio in monoterapia (36,7%) e 62 pazienti in associazione a un altro stabilizzatore dell’umore della classe degli antiepilettici (63,2%) (valproato, carbamazepina o lamotrigina); nello specifico, 41 erano i pazienti in terapia con litio e valproato (41,8%), 16 con litio e carbamazepina (16,3%) e 5 con litio e lamotrigina (5,1%). Il dosaggio medio giornaliero è risultato di 622±193 mg per il litio, 865±331 mg per il valproato, 557±195 mg per la carbamazepina e 150±86 mg per la lamotrigina.
Non sono emerse differenze significative per quanto riguarda le caratteristiche cliniche e anamnestiche tra il gruppo di pazienti in trattamento con solo litio (n=36) e i pazienti con litio associato a un antiepilettico (n=62).
Livelli di litiemia: andamento nel tempo, rapporto
con le fasi di malattia e associazione con antiepilettici
I 98 pazienti reclutati nello studio hanno effettuato complessivamente, durante il periodo di osservazione, 274 litiemie. La litiemia media riscontrata sul totale delle litiemie è risultata di 0,49±0,20 mEq/L; l’intervallo di tempo medio tra due valutazioni successive della litiemia è risultato di 63 giorni.
Dai nostri dati è emerso come la litiemia media tenda ad aumentare nel tempo con l’aumento del numero di litiemie effettuate (litiemia media 0,45 mEq/L in pazienti che hanno una sola litiemia vs 0,54 mEq/L in pazienti con 5 litiemie effettuate) e come l’intervallo di tempo tra una litiemia e la successiva tenda invece a ridursi (frequenza media delle litiemie: 67 giorni tra la prima e la seconda litiemia vs 43 giorni tra la quarta e la quinta litiemia) (Figura 1).
Confrontando i valori di litiemia tra pazienti in differenti fasi di malattia è emerso come i pazienti eutimici abbiano valori di litiemia significativamente inferiori rispetto ai pazienti con episodio in atto (0,42 vs 0,51 mEq/L; F=7,297; p=0,007). Abbiamo inoltre osservato che in pazienti in fase depressiva i livelli di litiemia tendono a essere più bassi rispetto ai pazienti in fase maniacale o mista (0,49 vs 0,52 mEq/L; F=1,536; p=0,217) (Figura 2).



Confrontando i valori di litiemia tra pazienti in trattamento con differenti associazioni farmacologiche, abbiamo riscontrato che i pazienti con litio associato a un antiepilettico presentano valori di litiemia superiori ai pazienti in trattamento con solo litio (0,52 vs 0,45 mEq/L; p=0,007); in particolare, i soggetti in trattamento con litio associato a valproato hanno una litiemia di 0,52 mEq/L, quelli con litio associato a carbamazepina di 0,53 mEq/L, mentre i pazienti con litio associato a lamotrigina presentano valori di litiemia di 0,50 mEq/L ( Figura 2).
I soggetti in cui il litio non è associato ad antiepilettici presentano valori di litiemia inferiori sia in fase eutimica (0,36 vs 0,46 mEq/L; p=,039) sia durante un episodio in atto (0,53 vs 0,47 mEq/L; p=0,028).
Rapporto tra litiemia media dei pazienti
e caratteristiche cliniche del DB
Per indagare il possibile rapporto tra valori di litiemia e caratteristiche cliniche del disturbo abbiamo innanzitutto suddiviso il nostro campione in due gruppi in base al valore di litiemia media che ogni paziente ha presentato durante il periodo di osservazione. Dei 98 pazienti reclutati nello studio, 47 (48%) hanno una litiemia media ≥0,50 mEq/L, mentre 51 (52%) presentano una litiemia media inferiore al range terapeutico.
I due gruppi differiscono per alcune caratteristiche cliniche del DB. In particolare, possiamo osservare come nel gruppo di soggetti con litiemia media ≥0,50 mEq/L l’episodio d’esordio del disturbo sia stato più frequentemente di tipo maniacale o misto (χ²=5,579; p=0,017); inoltre, tale gruppo presenta caratteristiche di rapida ciclicità in percentuale significativamente superiore rispetto al gruppo di pazienti con litiemia media inferiore al range terapeutico (χ²=5,692; p=0,018), un numero maggiore di episodi lifetime di malattia (χ²=5,527; p=0,023) e un numero superiore sia di episodi maniacali/misti (χ²=7,477; p=0,009) che di episodi depressivi (χ²=7,075; p=0,013). Di converso i soggetti con valori di litiemia media < a 0,50 mEq/L mostrano più frequentemente una stagionalità del disturbo (χ²=4,143; p=0,045). Non sono state riscontrate differenze significative tra i due gruppi di pazienti per quanto riguarda le altri variabili demografiche e cliniche analizzate ( Tabella 1).
Rapporto tra litiemia media dei pazienti e decorso clinico del disturbo
Durante il periodo di osservazione abbiamo monitorato il decorso clinico dei pazienti al fine di individuare un eventuale rapporto tra valori di litiemia e andamento nel tempo del DB.
Dei 77 pazienti che possiedono almeno due valutazioni cliniche, 34 (44,2%) hanno una litiemia media ≥0,50 mEq/L e 43 (55,8%) presentano valori di litiemia media inferiore al range terapeutico. Durante il follow-up, 22 (28,6%) dei 77 pazienti sono andati incontro a un miglioramento del quadro clinico, 39 (50,6%) non hanno mostrato cambiamenti della sintomatologia in atto, 9 (11,7%) sono andati incontro a un peggioramento del quadro clinico e infine 7 (9,1%) pazienti, facenti parte dei 15 entrati nello studio in fase eutimica, hanno mantenuto lo stato di eutimia. I nostri dati evidenziano come i soggetti con litiemia media ≥0,50 mEq/L siano andati incontro a un miglioramento clinico in percentuale significativamente superiore rispetto ai soggetti con litiemia media inferiore al range terapeutico (45,5 vs 18,9%; χ²=5,699; p=0,016); inoltre, dei 9 pazienti che hanno presentato un peggioramento del quadro clinico, solo uno (3%) apparteneva al gruppo di soggetti con litiemia media ≥0,50 mEq/L (χ²=5,381; p=0,022) ( Tabella 2).
Dei 44 pazienti che hanno presentato un episodio maniacale o misto durante il periodo di osservazione, 41 si trovavano in tale fase di malattia all’ingresso nello studio, mentre 3 sono andati incontro a una ricaduta maniacale o mista dallo stato di eutimia. Di questi 44 pazienti, 14 (15%) hanno presentato un netto miglioramento del quadro clinico, 25 (41,7%) hanno mantenuto la stabilità della sintomatologia in atto e 5 (8,3%) sono andati incontro a un peggioramento del quadro clinico. Nel gruppo di pazienti con litiemia media ≥0,50 mEq/L abbiamo riscontrato una percentuale di miglioramento del quadro clinico maniacale o misto superiore rispetto al gruppo con litiemia media inferiore al range terapeutico (43,5 vs 19%; χ²=3,020; p=0,078) ( Tabella 2).
I pazienti che si trovavano in fase depressiva al momento del reclutamento nello studio sono 23, mentre 3 pazienti, inizialmente eutimici, hanno presentato un episodio depressivo maggiore durante il follow-up. Di questi 26 pazienti, 8 (30,8%) sono andati incontro a un miglioramento della sintomatologia depressiva, 14 (53,8%) non hanno presentato nessun mutamento del quadro clinico e infine 4 (15,4%) sono andati incontro a un peggioramento. Degli 8 pazienti che sono andati incontro a un miglioramento dell’episodio depressivo, 5 (50%) appartenevano al gruppo con valori di litiemia media ≥0,50 mEq/L (χ²=2,821; p=0,108) ( Tabella 2).






DISCUSSIONE
A partire dal maggio 2010 presso la Clinica Psichiatrica dell’Università di Pisa è stato avviato, in collaborazione con la sezione di Farmacologia del Dipartimento di Neuroscienze, questo studio di follow-up naturalistico prospettico con l’obiettivo di raccogliere informazioni relative all’impiego dei sali di litio nel trattamento del DB. Il progetto è stato avviato sulla base di numerose evidenze presenti in letteratura che da un lato dimostrano l’efficacia di questo trattamento per molti soggetti con DB (20,27-29,79) e, dall’altro, ne evidenziano le criticità e forniscono dati contrastanti su quali siano le sue condizioni ottimali di impiego nella pratica clinica (63-65); inoltre, numerosi studi dimostrano come un attento e continuo monitoraggio e un supporto psicoeducazionale ai soggetti in cura con litio favoriscano una maggiore aderenza al trattamento farmacologico e, di conseguenza, un aumento della sua efficacia e un significativo miglioramento del decorso clinico del disturbo (67,70-72). Pertanto, è stata creata un’équipe multidisciplinare, comprendente specialisti in campo psichiatrico e farmacologico, che ha seguito per più di un anno un campione di 98 pazienti bipolari in trattamento con sali di litio afferenti presso il Day Hospital della Clinica Psichiatrica di Pisa.
Il campione è rappresentato prevalentemente da soggetti con DB di tipo I (87,8%), con un alto tasso di comorbilità psichiatrica di Asse I (disturbo da attacchi di panico 45,9%, disturbo ossessivo-compulsivo 33,7%, pregresso uso di alcol e sostanze 13,3%), una durata media di malattia di circa 15 anni e un elevato numero di pregressi episodi di malattia, sia maniacali/misti sia depressivi. Una sintomatologia psicotica attuale o pregressa è stata rilevata in quasi la metà dei pazienti (42,9%), l’11% presenta rapida ciclicità e circa un quarto dei soggetti reclutati ha messo in atto almeno un pregresso tentativo di suicidio. Al momento del reclutamento nello studio la maggior parte dei pazienti (84,7%) si trovava in fase acuta di malattia, con una predominanza di fasi maniacali/miste su quelle depressive. Il nostro campione, pertanto, non appare rappresentativo dell’intero spettro di quadri bipolari quanto di forme a piena espressività clinica.
Verosimilmente, in considerazione dei potenziali benefici nel lungo termine dei sali di litio (80), la presenza di rapida ciclicità e di stati misti, forme classicamente considerate resistenti al trattamento con litio (35,36), non preclude l’impiego del composto nel nostro campione, seppure in associazione con un antiepilettico in più del 50% dei casi.
Il gruppo di lavoro ha monitorato l’andamento nel tempo dei valori di litiemia dei pazienti per approfondire le modalità con cui questo farmaco viene utilizzato nella comune pratica clinica. Dall’analisi dei dati è emerso che meno della metà del campione (48%) ha mantenuto durante il follow-up valori medi di litiemia compresi nel range terapeutico indicato dalle linee-guida internazionali (23,25,26); anche la media di tutte le litiemie effettuate dai 98 pazienti è risultata inferiore al range terapeutico ottimale (0,49 mEq/L).
I valori ematici di litio sono inoltre correlati alla fase di malattia in atto al momento della valutazione clinica e del controllo ematico: i pazienti in fase maniacale e mista presentano livelli di litiemia più elevati rispetto ai pazienti eutimici o depressi.
Questi dati suggeriscono come, nel nostro campione, il dosaggio di litio tenda a essere modulato in funzione della fase di malattia e come questo composto venga spesso utilizzato a dosaggi che determinano livelli ematici ai limiti inferiori del range terapeutico; questa tendenza è probabilmente finalizzata a ridurre il rischio di effetti avversi e di tossicità possibili nel trattamento a lungo termine. D’altro lato la tendenza a un incremento dei valori di litiemia media con l’aumento del numero dei controlli ematici potrebbe essere spiegata con una maggiore aderenza al trattamento da parte dei soggetti sottoposti nel tempo a controlli più frequenti. I risultati raggiunti sono in accordo con numerosi studi che hanno indagato la relazione tra livelli ematici di litio e polarità e numero delle ricorrenze, e con le numerose evidenze che suggeriscono come un approccio basato sulla personalizzazione del trattamento con litio possa aumentarne l’efficacia terapeutica minimizzando il rischio di tossicità (63,65,73,74).
I dati indicano, inoltre, come il precedente decorso e le caratteristiche sintomatologiche dei pazienti influenzino il dosaggio e i valori di litiemia; nel nostro campione, infatti, in accordo con quanto rilevato nella letteratura (81,82), i pazienti con valori più elevati di litiemia presentano prevalentemente una polarità di esordio del disturbo di tipo maniacale o misto, un maggior numero di episodi di malattia in anamnesi (sia maniacali/misti sia depressivi) e una percentuale più elevata di rapida ciclicità.
Dal momento che più della metà dei soggetti reclutati presenta una terapia in cui il litio viene associato a un farmaco antiepilettico (63,3%), abbiamo indagato il rapporto tra valori di litiemia e tale associazione terapeutica; dai dati emerge che questi soggetti presentano valori più elevati di litiemia, suggerendo ancora un volta come nel nostro campione a una maggiore gravità del disturbo, documentata dalla necessità di impiegare una polifarmacoterapia, corrisponda un dosaggio di litio più elevato.
Abbiamo infine cercato di approfondire le relazioni tra valori di litiemia e decorso del DB. In accordo con la letteratura (20,30,83), i risultati sembrano suggerire i benefici sull’andamento della sintomatologia prodotti dal litio, se i livelli ematici risultano entro il range terapeutico: i pazienti con valori medi di litiemia > 0,50 mEq/L hanno difatti presentato durante il follow-up un miglioramento del decorso clinico in percentuale significativamente superiore rispetto ai soggetti con litiemia media inferiore al range terapeutico; il miglioramento del decorso clinico è risultato particolarmente evidente nei pazienti che al momento del reclutamento presentavano una fase maniacale e mista. Questi dati preliminari, tuttavia, non ci permettono di trarre alcuna conclusione per quanto riguarda l’efficacia del litio nel lungo termine, in considerazione della breve durata del periodo di osservazione.
In conclusione, quindi, il nostro studio ha evidenziato come, nonostante le numerose alternative terapeutiche proposte negli ultimi anni, nella pratica clinica del nostro centro il litio sia un farmaco tutt’oggi usato prevalentemente in bipolari I con esordio precoce, con polarità di esordio espansiva, elevato numero di ricorrenze, alta percentuale di comorbilità. Inoltre, emerge la tendenza a impiegare il composto in associazione con antiepilettici, prevalentemente acido valproico, soprattutto in soggetti con fase maniacale o mista in atto. Infine, nel nostro campione, si rileva la tendenza a mantenerne i livelli ematici ai limiti inferiori dell’intervallo terapeutico consigliato: questa modalità di utilizzo, tuttavia, sembra correlare con una minore risposta terapeutica, almeno per quanto riguarda le ricadute con sintomatologia maniacale o mista. Infine, dobbiamo osservare che questi dati iniziali ci offrono solo uno piccolo spaccato di quello che è l’impiego del litio in un centro per il trattamento dei DB, che non è rappresentativo della pratica clinica nelle diverse realtà terapeutiche.
Obiettivo futuro dello studio sarà quello di individuare le migliori modalità di impiego del litio, in monoterapia o in associazione, al fine di mantenerne invariata l’efficacia nel lungo temine, ridurre il rischio di effetti collaterali e tossicità e aumentare la compliance del paziente. In questo modo si cerca di colmare il divario tra potenziale efficacia del trattamento e reale applicabilità nella pratica clinica.
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