Simulazione di malattia mentale

Simulation of mental illness

VINCENZO MASTRONARDI1, ANTONIO DEL CASALE2
E-mail: vincenzo.mastronardi@uniroma1.it

1Cattedra di Psicopatologia Forense, Dipartimento di Neurologia e Psichiatria, Sapienza Università di Roma
2Psichiatra, Master Internazionale in Scienze Criminologico-forensi, Sapienza Università di Roma


RIASSUNTO. Il DSM-IV-TR definisce la simulazione una «produzione intenzionale di sintomi fisici o psicologici falsi o grossolanamente esagerati, motivata da incentivi esterni». Il primo punto da tenere in considerazione è che essa ha una prevalenza vicina allo zero nella popolazione media, presentandosi quasi esclusivamente in soggetti detenuti in carcere, trattati in Ospedale Psichiatrico Giudiziario, in individui sottoposti a giudizio, o in personalità in ogni caso deviate dal punto di vista criminologico. Vengono presi in considerazione sia i criteri per porre diagnosi di simulazione già esaminati da Foreal e Kaufman fin dal 1943 sia i relativi indicatori di sospetto, non disgiunti dai “motivi del comportamento simulatorio”. Il lavoro affronta anche gli altri diversi significati dei gesti autolesivi proposti da Bachler, nonché le teorie meccaniciste e associazioniste del modello dinamico classico e la diagnosi differenziale con altre condizioni di interesse psichiatrico e conclude con l’argomento della premeditazione.

PAROLE CHIAVE: malattia mentale, simulazione, psichiatria forense, autolesionismo, premeditazione.


SUMMARY. The DSM-IV-TR defines the simulation an “intentional production of physical or psychological symptoms false or grossly exaggerated, motivated by external incentives”. The first point to consider is that it has a near zero prevalence in the general population, occurring almost exclusively in people imprisoned, treated in Forensic Psychiatric Hospital, in individuals subjected to trial, or in personalities seen as deviated from a criminological point of view. Both the criteria to set diagnoses of simulation, previously examined by Foreal and Kaufman since 1943, and the relative suspicion indicators, not separated by ‘reasons of simulated behavior, are taken into account. The work also addresses several other meanings of self injurious actions appointed by Bachler, as well as the associationist/mechanistic theories of the classical dynamic model and the differential diagnosis with other conditions of Psychiatric Interest and concludes with the topic of “Premeditation”.

KEY WORDS: mental illness, simulation, forensic psychiatry, self harm, premeditation.

INTRODUZIONE
In parallelo al problema della valutazione dell’imputabilità negli individui fortemente caratterizzati da peculiarità personologiche (senza esser malati), in casi quali quello in esame, si pone immediatamente il problema della simulazione della malattia mentale. Infatti, benché non affetti da patologie, anche per imputati che ictu oculi appaiono sani persino agli occhi di un profano, è sempre premura del magistrato scrupoloso promuovere accertamenti dirimenti ogni qualsivoglia minimo dubbio.
Ma essere affetti da un disturbo di personalità grave al punto da configurarsi tale da determinare una condizione di infermità così come prevista dalla legge vigente (artt. 88 ed 89 c.p.) è cosa assai ben diversa dall’avere componenti del carattere, propriamente individuali, in una personalità comunque “fisiologica” pur nelle sue rispettabili specificità come accade in ogni essere umano. E quando la personalità, pur connotata dai suoi legittimi e variegati ingredienti, è una personalità comunque “fisiologica” resta tale anche nei momenti di espressività estremi del comportamento (come nel caso in esame).
DEFINIZIONE E PROBLEMA DELLA VALUTAZIONE DELLA SIMULAZIONE
Il DSM-IV-TR definisce la simulazione una «produzione intenzionale di sintomi fisici o psicologici falsi o grossolanamente esagerati, motivata da incentivi esterni» (1). Diagnosticare la simulazione di malattia mentale può essere non semplice in alcuni casi, poiché tale comportamento si colloca in stretto rapporto con diverse patologie: sindrome di Ganser, stati isterici, stati psicotici, disturbo fittizio, forme pseudo-demenziali, ipomaniacali e disturbi di personalità sono solo alcune delle entità nosologiche vicine alla simulazione.
Il primo punto da tenere in considerazione è che essa ha una prevalenza vicina allo zero nella popolazione media, presentandosi quasi esclusivamente in soggetti detenuti in carcere, trattati in Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG), in individui sottoposti a giudizio, o in personalità in ogni caso deviate dal punto di vista criminologico. Proprio a tal proposito, scrive Jung: «La simulazione di malattie mentali è un fenomeno rarissimo, che rimane quasi esclusivamente limitato a detenuti e carcerati. Per il pubblico abituale il timore del manicomio è troppo grande e questa forma di simulazione troppo scomoda perché valga la pena di cercare vantaggi illeciti per questa via» (2).
Nino Anselmi definisce tre caratteristiche fondamentali della simulazione, presenti in ogni caso:
1. la presentazione di singoli sintomi, slegati, privi di correlazione patologica;
2. tali sintomi sono prodotti, esibiti ed elencati;
3. i sintomi non sono mai compenetrati a livello emotivo, né vissuti.

I processi che avvengono e che risultano essere alla base del comportamento simulatorio sono ben definiti da Pancheri e Cassano (3), come riportato nella Tabella 1.



I criteri precisi per porre una diagnosi di simulazione sono:
1. non devono essere presenti ovvi segni di malattia o di disturbo di personalità;
2. l’individuo deve essere perfettamente consapevole di quello che sta facendo e della motivazione che determina il suo atteggiamento;
3. egli deve avere ben chiaro lo scopo da raggiungere, cioè un risultato prestabilito (4).

Tali criteri sono sicuramente validi, tuttavia, se li applicassimo alla lettera, la diagnosi di simulazione sarebbe rarissima, in quanto difficilmente si riscontrano in questi soggetti assenza totale di segni psicopatologici o perfetta consapevolezza di simulare.
A volte, anzi, come abbiamo visto in base alle caratteristiche di rievocazione, stabilizzazione, esagerazione e pretestazione, soggetti affetti da disturbi psichici simulano, accentuando sintomi che già manifestavano o producendone di nuovi.
Altre volte, stati simulativi possono evolvere in malattie di interesse psichiatrico, proprio perché sussiste un’innegabile commistione tra il simulato e il patologico. Possiamo affermare, con Klieneberger, e in seguito con Callieri e Semerari, che esistono due grandi classi di simulatori:
1. abnormi psichici, che simulano;
2. personalità normali, che simulano.

A entrambi i gruppi appartengono individui abitualmente dediti a simulare, che hanno cartelle cliniche molto ricche e dettagliate, lievitate nel corso di un lungo arco di tempo.
Secondo il DSM-IV-TR, la simulazione dovrebbe essere sospettata quando si rileva una combinazione delle seguenti condizioni:
– contesto medico-legale di presentazione dei sintomi (per es. il soggetto è inviato al clinico da un avvocato per una valutazione);
– marcata discrepanza tra lo stress o la compromissione lamentata dal soggetto e i reperti obiettivi;
– mancanza di collaborazione durante la valutazione diagnostica e nell’accettazione del regime terapeutico prescritto;
– presenza di disturbo antisociale di personalità.
SIMULAZIONE: INDICI DI SOSPETTO
– Individui posti in condizioni detentive, quali che siano (carcere, OPG, prigionieri di guerra, sequestri di persona);
– sospetti deviati (in particolare, secondo Jung, quelli abitualmente dediti al furto e alle truffe in genere; secondo altri autori, quelli particolarmente inclini al gioco e tendenti alla menzogna abituale);
– individui aventi un fondo di carattere isterico (suggestionabilità, passività, dipendenza);
– presenza di segni clinici: Vorbe Ireden o “parlare di traverso”; rilievo di sintomi grossolani o impossibili (per es., risposta all’evocazione del riflesso patellare a destra con abnorme movimento dell’arto inferiore sinistro);
– produzione di sintomi slegati, privi di correlazioni eziologiche, con volontà di esibirli ed elencarli;
– mancanza di compartecipazione emotiva e di vissuto nei riguardi dei sintomi esposti;
– esistenza di una ben precisa motivazione a mettere in atto il comportamento simulatorio (evitare il servizio militare, ottenere pensioni di invalidità, risarcimenti finanziari, evitare procedimenti penali, avere sconti di pena, ottenere farmaci, ecc.);
– soggetti affetti da disturbo antisociale di personalità (non rispetto della legge, tendenza a violare i diritti degli altri, non senso di colpa per i crimini commessi).

Fondamentale aggiungere che, in base alla non esistenza di un sintomo patognomonico (secondo Piperno non era tale neppure la confessione di aver simulato), alla possibile commistione e alla contiguità con altre patologie psichiatriche, alla ricchezza dei dati anamnestici a disposizione, ai fattori di bravura, scaltrezza e capacità di recitazione dei sospetti simulatori, è opportuno, nel colloquiare con tali personalità, adottare un metodo fenomenologico, procedere, per dirla con Husserl, all’Epochè, una sospensione del giudizio da parte dell’operatore.
A nostro modo di vedere, è più facile arrivare a una diagnosi di simulazione discostandosi dai pregiudizi, affidandosi all’intuito puro, alla pre-comprensione, piuttosto che rendendo conto a prefissati schemi diagnostici. Come si potrebbe altrimenti cogliere uno stato di simulazione accompagnato da disturbi dell’attenzione e da fenomeni crepuscolari?
Proprio a proposito di tali fenomeni, Jung ritiene quasi tutti gli stati simulatori delle semi-simulazioni, nelle quali esiste una modificazione del campo di coscienza, e uno stato di attenzione dissociata. Egli compì alcuni studi di simulazione sperimentale, usando il metodo di associazione verbale mentre distraeva l’attenzione del soggetto in osservazione con i battiti di un metronomo. Con questo metodo rilevò che all’aumentare del tempo battuto dal metronomo: aumentavano le associazioni di suono, diminuivano le associazioni interne, vi era incapacità di apprendere la parola-stimolo. Tale sperimentazione ci spinge a riflettere sui rapporti intercorrenti tra:
1. modificazioni dell’attenzione;
2. stato di coscienza;
3. fenomeni ipnotici e ipnotismo;
4. fenomeni crepuscolari e isterismo;
5. simulazione.

Questi cinque punti sono strettamente interconnessi: lo spostamento del campo attentivo è in grado di modificare lo stato di coscienza in un soggetto. Si pensi ai diversi tipi di trance che si possono raggiungere tramite la concentrazione: la trance che si genera in tutti noi, quando ci sembra di entrare “dentro il film” che stiamo guardando al cinema; la trance da cerimoniale religioso; la trance ipnotica profonda, non altro che un livello di trance più profondo rispetto alle altre (5,6).
Mastronardi comprende nella più vasta definizione di “stati alterati di coscienza” fenomeni come l’ipnosi, l’autoipnosi, la trance, la possessione, il “volo dell’anima” e altri. Con questa importante sintesi si ha a disposizione una modalità di classificazione di più ampio respiro, che può comprendere «anche altri eventuali nuovi modi di apparire degli ASC. Il comune substrato fisio-patologico giustifica altresì questo tipo di classificazione, proponendo un’interessante correlazione tra gli aspetti genetici e gli influssi ambientali, tale che i vari tipi di ASC non sono dunque altro che i diversi modi di apparire e di esprimersi, dovuti alle differenze socio-ambientali di una stessa predisposizione genetica di base» (7). Per cui la possibilità di entrare in stati alterati di coscienza è fisiologica in tutti, esprimendo una predisposizione naturale del sistema nervoso centrale.
Tale predisposizione diventa più evidente in specifiche classi di soggetti: individui con sfondi caratteriali isterici possono manifestare stati crepuscolari di coscienza e cadere molto facilmente in trance ipnotica, proprio come chi è affetto da sindrome di Ganser.
Possiamo quindi affermare con Jung che buona parte della diagnostica differenziale riguardante la simulazione, la sindrome di Ganser e la pseudodemenza isterica si gioca proprio su questo campo: lo stato di coscienza determinato dal livello attentivo.
Per alcuni autori, tra cui Bini e Bazzi (8), sindrome di Ganser e pseudodemenza si differenziano tra loro solo per l’intensità dello stato crepuscolare, rappresentando quindi nel loro insieme un continuum psicopatologico.
Come rilevato da Callieri e Semerari, «il rapporto con la simulazione costituisce una delle questioni psicopatologiche più discusse della sindrome di Ganser e della pseudodemenza. Queste ultime forme, infatti, costituiscono una specie di ponte tra il sintomo isterico (psicogeno) e il sintomo simulato» (4) (Figura 1).
Oltre a essere spesso interconnesse in letteratura e creare problemi di diagnostica differenziale, queste forme patologiche possono anche essere consequenziali nella storia naturale di una malattia.



È ben noto il fatto che si può passare dalla simulazione a una condizione psicopatologica vera e propria. Jung (2) descrive il caso clinico di J., nato nel 1867, filatore di professione, a cui la simulazione riesce “fin troppo bene” e va a insinuarsi nel subconscio.
«Quanto più elevato è il grado soggettivo di suggestionabilità», scrive Jung, «tanto più prossima è la possibilità che la parte dapprima rappresentata falsifichi a poco a poco la realtà, imprigioni il soggetto e soppianti la personalità originaria».
Penta (9) osservò il caso di V. L., il quale dapprima simulò uno stato di malattia mentale, «egli stesso ridendo del suo giuoco, e, dopo poco tempo, fu colto da una vera forma di frenosi acuta con allucinazioni ed impulsi, senso di angoscia, anoressia e delirio, la quale, per il suo ripetersi due o tre volte in un anno, ha dato a sospettare di essere di natura epilettica».
Lo stesso autore riporta due osservazioni molto interessanti fatte una da Campagne e l’altra da Morel. In esse, due simulatori «confessarono che avevano dovuto rapidamente smettere, perché il volontario ed il cosciente si andavano in loro confondendo coi prodotti che involontariamente venivano su dagli spechi reconditi della incoscienza, il reale si mescolava e si fondeva stranamente col fantastico, di talché essi, vedendosi quasi avvolti dalle spire della follia, n’ebbero spavento e chiesero sinanche soccorso ai medici che già li avevano smascherati e fatti condannare». Anche altri autori, tra Koster (10) e Allison (11), descrissero casi di simulatori di malattia mentale che esitarono in condizioni psicopatologiche ben determinate.
Inversamente, è possibile osservare soggetti che improvvisamente tornano da uno stato crepuscolare patologico a uno normale. Jung descrive pazienti in stato crepuscolare che «si destano improvvisamente dal loro stupore» e rientrano in condizioni di coscienza di perfetta normalità. La guarigione improvvisa è vista da alcuni studiosi come una caratteristica propria del simulatore che non “regge più il gioco”, per stanchezza o per mancata sussistenza del motivo che lo aveva spinto a dar luogo alla simulazione stessa.
Altri pensano che sia una caratteristica tipica della sindrome di Ganser o comunque di una forma di ganserismo. Tali eventualità sono entrambe possibili e la loro evenienza deve essere valutata di caso in caso, anche in base ai motivi che hanno portato il soggetto osservato a simulare.
Il tentativo di “smascherare” il simulatore potrebbe, oltre che essere fallimentare, anche fuorviare lo psicopatologo: è opportuno eliminare ogni sorta di pregiudizio – come già detto in precedenza – e rendersi conto globalmente di cosa ci sia intorno alla simulazione:
– i sintomi manifestati;
– lo stato di coscienza dell’individuo;
– lo stato d’animo dell’individuo;
– le eventuali patologie sottostanti;
– i motivi che hanno provocato quella condizione.

In conclusione, non esiste in realtà un individuo che si comporta come un simulatore-tipo, ma ognuno rappresenta un caso a sé, con i suoi sintomi, il suo stato di coscienza, i suoi tratti caratteriali e i suoi motivi.
MOTIVI DEL COMPORTAMENTO SIMULATORIO
Le motivazioni che spingono un individuo a simulare la malattia mentale hanno, nello studio clinico e forense, un’importanza fondamentale. È innegabile, per esempio, che i soggetti fortemente determinati a raggiungere un obiettivo sono i simulatori migliori, quelli più ingannevoli. Essi sono, tra l’altro, anche quelli che hanno maggiori probabilità di manifestare evoluzione verso una malattia mentale vera e propria.
La simulazione avviene in molti casi, secondo Jung, se il soggetto ha un motivo che lo porta a investire una carica affettiva molto elevata, la quale farebbe scattare degli automatismi negativi. Citiamo da un suo caso clinico: «[…] è infatti possibile che egli (il simulatore) si rendesse conto della confusione provocata dall’affetto e che l’abbia forse convertita nel desiderio d’essere matto, piuttosto che causare a sua madre la vergogna di una nuova condanna».
D’altro canto, è ben noto che alcuni detenuti e altri soggetti deviati simulano uno stato di malattia mentale per i motivi più diversi, che, all’occhio dell’osservatore esterno, possono sembrare, a volte, molto seri e perfino comprensibili, a volte ridicoli ed effimeri.
Nelle carceri napoletane dei primi del ’900 la follia era simulata anche per ottenere il vitto da malato, di poco migliore rispetto a quello dei detenuti ordinari. Nello stesso periodo, alcuni carcerati dovevano simulare, per motivi sconosciuti, sotto l’ordine dei capi della camorra, che suggerivano anche la forma della malattia da simulare e collaboravano per la buona riuscita della recita.
Altri detenuti potevano simulare la follia per evitare l’isolamento o la punizione conseguente a una grave mancanza; per evitare la compagnia di cella con persone non gradite; per il desiderio di cambiare sede per voglia di novità o per la possibilità di organizzare una fuga durante il trasferimento; per desiderio di fare dispetto agli agenti e di prendersi gioco di loro; per naturale tendenza all’inganno, in questo caso nei confronti di medici e magistrati.
Uno dei motivi di simulazione più frequenti è il non volersi presentare in aula di tribunale. «Nelle Carceri giudiziarie di Napoli si simula la pazzia», scrive Penta, «[…] tante volte, per non presentarsi quel dato giorno al dibattimento, perché il delinquente non si è ancora ben preparato il suo alibi, perché non si è messo di accordo completamente col suo avvocato, perché teme di quei dati giudici, di quel dato giorno, il quale, per la cifra che lo rappresenta, o per altri ricordi di condanne o di scacchi subiti, è un giorno per lui nefasto». «M. A., giovinetto ancora imberbe […], due giorni prima di andare a fare la causa, perché questa si sarebbe discussa un venerdì, 13, giorno sommamente nefasto e pericoloso quindi per lui, fa l’incoerente e lo scimunito nel Carcere del Carmine» (9).
Oltre ai motivi fin qui menzionati, bisogna aggiungere: evitare la pena di morte; ottenere l’incompatibilità con il regime carcerario o uno sconto di pena; ottenere una piena libertà; conseguire pensione di invalidità, a seguito di un sinistro o mediante amplificazione di patologie già esistenti; acquistare risonanza e notorietà sui mezzi di comunicazione di massa; giustificarsi per mancanza di lealtà nei confronti della criminalità organizzata (paura di ripercussioni).
È interessante notare come siano diversi i sintomi e i comportamenti simulati, in base al motivo che li ha scatenati: il detenuto in istruttoria e l’operaio infortunato, per esempio, ci forniscono dei quadri molto diversi tra loro. Per cui sono ben variabili le simulazioni che possiamo trovare nei seguenti ambiti:
– penale (lesioni personali, omicidi, delitti sessuali, ecc.);
– civile (risarcimenti, pratiche matrimoniali, ecc.);
– penitenziario (incompatibilità carceraria, sconti di pena, ecc.);
– medico-legale (pensioni di invalidità, ottenimenti di rendita, ecc.);
– militare (congedo, licenze varie, ecc.);
– bellico (sfuggire alla prigionia di guerra).

Secondo Callieri e Semerari, è proprio nella prigionia di guerra che «la simulazione vera può fiorire ed arrivare in porto, non solo per le condizioni esterne, ma anche per l’azione unitaria e convergente dei motivi determinanti, soprattutto offerti dalla particolare vita del campo di concentramento» (4).
Tenendo conto dei motivi del comportamento simulatorio elencati, e del fatto che possono esisterne innumerevoli altri, in base alle condizioni individuali e ambientali, non si può far altro che valutare ogni situazione caso per caso. Procedendo con una tale metodica, si evince spesso che il motivo primario, una volta inquadrato, è quello più superficiale alla coscienza, e rappresenta spesso il risultato terminale di una lunga catena di motivazioni consce e inconsce.
SIMULAZIONE E GESTI AUTOLESIVI
Nel corso di uno stato di simulazione di malattia mentale, il detenuto può compiere gesti molto gravi, autolesivi, per richiamare l’attenzione degli operatori penitenziari, dimostrando così la realtà della sua malattia, in modo da raggiungere forse più facilmente l’obiettivo prefissato.
Penta narra, per es., della condotta di R. M., un soggetto recidivo, con precedenti di simulazione di malattia mentale e conseguenti trattamenti manicomiali. Un giorno egli reagì alle derisioni e agli insulti di alcuni compagni inveendo contro se stesso, cercando di lanciarsi con la testa contro un muro, svestendosi e lacerando i suoi abiti, rompendo «in mezzo alla stanza il vaso fecale e, colle mani guazzando dentro alle materie uscitene, se ne cosparge tutto il corpo, rendendosi così orribile e schifoso a vedersi» (9).
Il gesto di tagliarsi è l’autolesione per eccellenza che si verifica nei soggetti detenuti e, come ogni gesto autolesivo, è determinato da svariati motivi (consci e inconsci), condizionato sia da fattori esterni, legati all’ambiente carcerario e familiare del soggetto, sia da fattori intrapsichici, legati alla natura e all’individualità dello stesso.
Secondo Baechler, esistono otto diversi significati dei gesti autolesivi:
1. fuga: il detenuto, limitato nella sua libertà, cerca di fuggire dall’insopportabile situazione. Da valutare, in questi pazienti, il rischio suicidario;
2. lutto: il gesto è compiuto in seguito a un evento di perdita, reale o fantasmatica. Fortemente indicativo di stato depressivo;
3. castigo: l’individuo si autopunisce, per espiare una colpa, anche in questo caso reale o fantasmatica. Significato depressivo;
4. delitto: colpendo se stesso, il detenuto fantastica di colpire o trascinare con sé nella morte un altro soggetto o un compagno. Da valutare i sintomi connessi a tale pensiero magico (ossessivi, isterici, psicotici, ecc.);
5. vendetta: l’obiettivo è provocare il rimorso in un’altra persona, e/o per scatenargli contro il resto della comunità. Fortemente indicativo di carattere isterico;
6. richiesta e ricatto: il gesto è ricattatorio nei confronti della comunità e viene compiuto per raggiungere scopi ben precisi. Frequente nei simulatori di malattia mentale, nei ganseriani e in soggetti con carattere isterico;
7. sacrificio e passaggio: si attenta alla propria vita per passare a una condizione giudicata superiore. Può rappresentare un meccanismo psicotico. Alto rischio suicidario;
8. gioco: l’individuo mette in gioco se stesso, autolesionandosi.

Il gesto autolesivo, nel suo complesso, si avvicina molto alla simulazione di malattia mentale, quando non ne entra nel quadro stesso. Come la simulazione, infatti, esso può essere compiuto per ottenere qualunque tipo di permesso, dalla semplice telefonata all’avvicinamento al nucleo familiare, dalla volontà di parlare con il direttore a quella di parlare con il magistrato, dal ricevere un lavoro all’interno del carcere all’ottenere un trattamento ritenuto più “equo”.
Similmente alla simulazione, esso può sottendere patologie vere e proprie. Interessante è la condizione di numerosi soggetti extracomunitari detenuti, che hanno il corpo pieno di tagli, soprattutto agli arti inferiori. Si è notato, in un buon numero di costoro, che il tagliarsi ha come significato il ricatto: la loro impellente necessità è quella di ottenere psicofarmaci. Molti, a causa delle vicissitudini subite nel corso della vita, subiscono un grave crollo psicologico quando entrano in carcere, e pensano – a torto o a ragione – di necessitare di psicofarmaci. Altri, invece, procedono a questa forma ricattatoria, udita voce che alcuni dei farmaci in questione hanno effetti simili o identici a sostanze stupefacenti.
Un ulteriore aspetto che accomuna la simulazione di malattia mentale con il gesto autolesivo è la maggiore incidenza di entrambi i disturbi in determinati tipi individuali, posti in condizioni detentive: soggetti con carattere isterico, o anche semplicemente fragili e indecisi, individui con disturbo antisociale di personalità, disturbo borderline di personalità, mitomani, bipolari, psicotici, soggetti con sindrome di Ganser o con pseudodemenza.
Teorie meccaniciste e associazioniste:
modello dinamico CLASSICO

Uno dei primi studiosi ad affrontare il problema della psicopatogenesi dei disturbi simulatori, da un punto di vista meccanicista e associazionista, è Janet, secondo cui i forti sentimenti esercitano un effetto dissociante sulla coscienza: poiché viene a galla quasi esclusivamente una rappresentazione (quella sentimentale in questione), la restante parte della vita psichica si sottrae al possesso dell’attenzione.
Abbiamo accennato in precedenza sull’ipotesi psicopatogenetica di C. G. Jung (1903), derivata dalle teorie di Janet, secondo cui l’investimento di una carica affettiva molto importante provoca uno stato di attenzione dissociata. In seguito, il soggetto trova un buon compenso con lo stato simulatorio, il quale scivola nel subcosciente e vi prende radice.
In tale interpretazione psicopatogenetica di tipo dinamico, come spiegato da Callieri e Semerari (4), si parte da una rappresentazione di malattia a forte carica emotiva e si passa per un distacco dal piano di consapevolezza, giungendo infine all’esordio vero e proprio di una sindrome che si automatizza per un periodo indefinibile, “indipendentemente da ogni aspetto cosciente e volitivo” (Figura 2).




Critiche al modello dinamico
Diverse critiche sono state rivolte al modello di interpretazione dinamica, in primis dalla psicopatologia fenomenologico-esistenziale.
Ogni tipo di esistenza è un “essere in situazione”, e, in particolare quella umana, un “esser-ci qui” in un preciso luogo, un “esser-ci ora” in un tempo stabilito, e un “esser-ci con”. Per cui, parlando del simulatore, del ganseriano o dello pseudodemente, il fulcro dell’indagine fenomenologica si sposta sul “modo-di-esserci”: tale modo o è autentico, tendente ad attuare la propria personalità, oppure è inautentico, finto o simulato in vista di uno scopo. «La differenza tra la vera simulazione e la simulazione inconscia non ha quindi né spiegazione psicopatogenetica né motivazione riferibili a una dialettica interna, ma solo inquadrabili in termini di fallimento della propria personalità» (4).
In tal senso, per la fenomenologia esistenziale le patologie caratterizzate da disturbi simulatori non sono accostabili ad altre patologie psichiatriche: «Lo psichiatra esistenzialista, dunque, pur cercando di comprendere il modo di esistenza ganseriano e pseudodemenziale, finisce per respingerlo totalmente dalla pienezza dell’uomo-malato, lo rifiuta e lo lascia ad altro giudizio».
La critica fenomenologica è la più valida tra quelle mosse all’impostazione dinamica classica: l’indagine psicopatogenetica su tali modi di esistenza non ha senso, ed è ridotta alla psicosemiogenesi, impostazione con cui si sposta lo studio sui sintomi e sui loro rapporti patogenetici di derivazione.
La psicosemiogenesi analizza soprattutto il Vorbeireden, considerato sintomo di primo piano semeiologicamente. Tuttavia, se esso derivasse da uno stato crepuscolare, come sostengono alcuni autori, diventerebbe un segno di secondo piano (Figura 3).



Per Kretschmer (12), l’isterico può disporre di meccanismi “ipobulici” e “iponoici” profondi, nel senso più neurologico dei termini, in base a cui usa registri di riflessi diversi da quelli dello stato normale, più superficiale, caratterizzato da impulsi diretti di scopo. Con le scelte coscienti della volontà non si possono raggiungere quei fenomeni isterici così vivaci come alcuni tremori, il vomito, l’impallidimento o l’arrossamento che si hanno nello stato ipobulico, e che l’isterico o il ganseriano sembra raggiungere con un’estrema facilità.
L’iponoico e l’ipobulico, secondo Callieri, possono essere descritti anche «come comportamenti infantili ricchi di espressione motoria, i cui pattern continuano ad albergare nell’uomo adulto e vengono prepotentemente ad affermarsi nel giuoco».
Scendere nell’iponoico potrebbe significare tornare al ludico, ossia disporre di attività psichiche che godono di se stesse. Tutto ciò, più che avere a che fare con lo stato di coscienza, implica considerazioni circa la maturità, e in ogni caso sposta la discussione sulla personalità del soggetto che presenta questo peculiare sintomo.
«È dal piano della personalità», diremo con Callieri, «e non da quello della coscienza che andrebbe quindi derivato (ma neanche di ciò siamo ben sicuri) il Vorbeireden (il che, clinicamente, era già stato prospettato da Hahn, nel ’20-’22)».
Con questa derivazione si possono spiegare alcune essenziali caratteristiche del “parlare di traverso”: la sua comparsa dopo determinati stimoli ambientali o psicologici (sociogenia e/o ideogenia) che agiscono sugli strati più profondi della personalità; la presenza anche in condizioni fisiologiche di coscienza; l’esistenza di meccanismi di mantenimento automatici basati sui registri dell’ipobulico e dell’iponoico; la sussistenza sugli stessi piani profondi iponoici di processi a intenso colorito affettivo .
La ricerca psicosemiogenetica si occupa anche della reazione isterica1 (reazione errata neurotica) e dei suoi rapporti con la sindrome di Ganser. Oltre a essere più intensa e durevole della norma, la reazione isterica e quella psiconevrotica in generale si differenziano dalle reazioni normali anche per la mancanza di spontaneità di scelta e di imprevedibilità nel soggetto che le manifesti. Tali reazioni si svolgono rigide, su piani preformati e più ancorati sul piano biologico: danno sempre un’impressione di artificioso o falso o improbabile. Anche per questo motivo la sindrome di Ganser viene spesso inscritta nell’argomento “isterismo”.
Sulla scorta del lavoro di Callieri e Semerari (4), consideriamo la sindrome di Ganser come una forma isterica particolare, in cui vi è prima una rappresentazione di scopo mnestica rivolta al futuro, poi il suo rievocarsi continuamente in modo sempre più emotivo. L’obiettivo viene focalizzato sulla differenza, che allo stesso tempo ne indica la stretta parentela, con le forme isteriche classiche, caratterizzate da una rappresentazione mnestica, prima (rivolta al passato), e da una sintomatologica, poi.
Altre critiche al modello di Jung sono state mosse dal behaviorismo watsoniano – il quale, riconducendo l’intera vita psichica a reazioni organiche, giustifica l’esistenza delle sindromi in questione in conformità a un errato rapporto dell’uomo con il suo habitat – dalla psicologia della comprensibilità – in cui vi è un interessante dibattito riguardante motivi, scopi e contenuti ganseriani – e dalla gestaltica.
Quest’ultima corrente evidenzia che: la forte carica emotiva scatenante non è dimostrata; la messa in moto di meccanismi psichici inconsci non è dimostrata; meccanismi inconsci dovrebbero agire con finalità inconsce, arrivando anche a sorprendere il paziente (come di frequente rilievo nella pratica analitica).
La psicopatogenesi analitica considera la sindrome di Ganser una patologia che si struttura per evitare la regressione dell’Io, ma che nel farlo ne indebolisce le strutture e l’organizzazione. Essa rappresenta il risultato di un duplice processo: dapprima sottrazione dell’investimento libidico dal mondo oggettuale, in seguito, arcaico tentativo di riprendervi contatto. Tale concezione spiegherebbe anche le sindromi ganseriane che insorgono in caso di psicosi, viste come tentativi di difesa precedenti la regressione al narcisismo primario.
Per quanto riguarda la simulazione di malattia mentale sensu stricto, in essa non c’è il rischio di perdere le relazioni oggettuali, e analiticamente l’Io non è minacciato da destrutturazioni, frammentazioni o catastrofi.
TEORIA DELLA CONVERSIONE
Esiste un lungo studio sui rapporti intercorrenti tra i disturbi simulatori, con particolare riferimento alla sindrome di Ganser, e la conversione isterica. Secondo Alexander, la sindrome di Ganser si può risolvere in una serie di sintomi di conversione isterici, omogenei e strutturali, tutti rivolti al mentale. Potrebbe quindi essere paragonata a una qualsiasi paralisi isterica, rappresentando essa stessa una “paralisi della mente” più o meno riuscita. Tale ipotesi non può essere respinta a priori, e rende ragione circa l’inserimento della sindrome di Ganser all’interno della psiconevrosi isterica. Per cui, la psicopatogenesi della prima coinciderebbe con la seconda.
TEORIA DELLA FACILITAZIONE
Prendendo in prestito dall’elettrofisiologia del nervo la nozione di “facilitazione”, Callieri e Di Biagio (13) impostano il problema psicopatogenetico su un piano neurobiologico. La facilitazione è una qualità biologica in base a cui, se una fibra nervosa è sottoposta a stimolo persistente, il mantenimento dell’attività prosegue grazie a potenziali sottosoglia, poiché in tali condizioni il potenziale di attivazione è spostato verso valori positivi. Ciò significa che il neurone è ipereccitabile, e la quantità di corrente necessaria affinché un impulso lo depolarizzi è ridotta (in poche parole, la trasmissione del segnale è facilitata). Conseguenze della facilitazione sono anche la capacità del neurone di rispondere con intensità maggiore rispetto all’intensità del segnale da un lato, e l’espansione del campo recettivo periferico dall’altro – ossia il neurone “coglie” segnali anche al di fuori del suo fisiologico territorio di competenza. Di solito essa si instaura in conseguenza di processi infiammatori o di danno ai nervi periferici, e riguarda in modo particolare la sensibilità nocicettiva.
“Coazione a ripetere” e “iterazione” sono, nella teoria della facilitazione, comportamenti dovuti a fenomeni neurobiologici di livello superiore corrispondenti alla qualità “facilitazione”.
Altri autori hanno adottato in passato simili impostazioni neurobiologiche, in particolare Kretschemr nella discussione sul problema biologico-riflesso dell’isteria (14).
Il prolungarsi indefinitamente del corteo sintomatologico di un ganseriano o lo scivolare da parte di un simulatore verso una patologia che non si aspettava possono essere dirette conseguenze sia della natura psicologica del comportamento sia di questa proprietà biologica generale.
Ciò spiega anche l’irrigidirsi di questi soggetti in pattern fissi di comportamento, in schemi di reazione scarsamente plastici e, quindi estremamente prevedibili. Fenomeno tipico di ogni psiconevrosi, a cui dovrebbero quindi essere ascritte la sindrome di Ganser e la pseudodemenza.
Interessante notare come le considerazioni riguardanti una certa prevedibilità, un’impressione di artificiosità e finzione riscontrabili nella sindrome di Ganser, nella pseudodemenza e nella simulazione siano il punto di arrivo di molte teorie psicogenetiche e psicosemiogenetiche: dalla ricerca di tipo fenomenologico-esistenziale alle impostazioni dinamiche classiche, fino a quelle neurobiologiche.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE
Dal punto di vista psichiatrico la voce “simulazione” non dovrebbe essere un termine diagnostico, poiché già in sé racchiude un significato di condanna morale, incidendo più sull’osservatore che sull’osservato. Già nel 1959 Callieri e Semerari (4) considerarono a proposito della diatriba sulla volontarietà che non si tratta tanto di «simulazione conscia o inconscia, quanto, invece, di una impostazione dell’osservatore nei riguardi di un comportamento, per il quale non si può fare a meno di un giudizio di valore».
Questo termine non ha nessun significato psicopatologico, anzi dovrebbe essere inquadrato per quello che in realtà esprime: un processo di cambiamento di qualità o comportamenti, non necessariamente tendente a negatività o sopraffazioni di sorta, anzi spesso usato dalla natura solo per la sopravvivenza di alcune specie. Nella psicologia, “simulazione” appartiene più che altro alla sfera sociale del gioco, indicando il gesto di chi imbroglia per vincere, se vi riesce.
Il problema diagnostico differenziale sorge in ambito criminologico, quando occorre in base “certa” stabilire se un soggetto stia realmente o no simulando.
Nella società odierna, il proliferare di società assicurative e organizzazioni sindacali miranti a risarcire anche il danno più piccolo è sicuramente un fattore scatenante molti comportamenti simulativi.
Questo rende maggiormente impellente distinguere l’imbroglione dall’isterico o dal ganseriano: il primo va smascherato e punito, i secondi devono essere curati.
In questo modo il fattore socioplastico negativo rappresentato dalle organizzazioni e/o dai servizi volti al risarcimento del danno verrebbe compensato da un fattore socioplastico positivo (la certezza della pena), troppe volte utopico.
La diagnosi di simulazione è differenziale rispetto a un gran numero di condizioni e di patologie, come riassunto nelle Figure 4 e 5.






Principali sindromi psichiatriche del Vorbeireden (sindrome di Ganser, pseudodemenza, isterismo)
Il Vorbeireden, o parlare di traverso, o sintomo di Ganser, è il sintomo fondamentale della sindrome di Ganser. Esso si presenta in un gran numero di patologie sia di ordine neurologico sia di ordine psichiatrico. Poiché riveste un ruolo cardinale nella simulazione reale, ed è anche di facile imitazione da parte di tutti, abbiamo voluto situarlo in un posto di primo piano nella diagnostica differenziale.
Le difficoltà maggiori di interpretazione si hanno nel distinguere il “parlare di traverso” del simulatore rispetto a quello del ganseriano e dello pseudodemente. La differenza fondamentale sta nello stato di coscienza: completamente – o quasi – lucido quello del simulatore, più verso il crepuscolare quello dei secondi. Se presente in stati isterici, tale sintomo è circondato da un alone crepuscolare ancora più coglibile. Di pari passo con la crepuscolarità di coscienza va la ipoprosessia, cioè la distraibilità e l’obnubilamento sognante (15): caratteristiche assenti o quasi nel simulatore, presenti nel ganseriano e nello pseudodemente, dominanti in alcuni quadri isterici. Altro elemento utile alla diagnostica differenziale è l’atteggiamento nei confronti della realtà: la simulazione resta statica, lo stato ganseriano evolve sempre in durata, tendenze e meccanismi intrinseci.
La diagnostica differenziale tra sindrome di Ganser e isterismo è per alcuni discutibile, in quanto la quasi totalità dei pazienti affetti presenta un carattere isterico di fondo (passività, dipendenza, suggestionabilità). Per questo motivo si possono iscrivere gli stati ganseriani nelle manifestazioni dell’isterismo. Difatti, stati di coscienza caratterizzati da maggiore crepuscolarità sono indice di stato isterico più profondo: pseudodemenza/sindrome ganseriana/isterismo potrebbero anche rap pre­sen­tare un continuum psicopatologico caratterizzato da livello di coscienza meno crepuscolare dal lato pseudodemenziale e più crepuscolare dal lato dell’isterismo. La simulazione resterebbe fuori da questo quadro, non avendo modificazioni del livello di coscienza, né di quello attentivo.
All’interno di questa classe diagnostica differenziale, possiamo inserire una sindrome descritta nel 1924 da Vondracek, osservata in un paziente ganseriano che sosteneva di avere amnesia globale riferita a un periodo determinato della sua vita. In seguito, Vondracek osservò che in realtà il ricordo era presente, e spiegò questa contraddizione con il concetto di repressione cosciente. Chiamò tale disturbo sindrome di Salamina, espressione che ci riporta alla memoria storica degli Ateniesi che, dopo aver perso l’isola di Salamina, evitarono di parlarne per un tempo molto lungo, fino a dimenticare gli avvenimenti che li condussero alla sconfitta.
L’autore considera questa patologia l’equivalente di una sindrome di Ganser che aveva osservato in un paziente affetto da paralisi progressiva.
DIAGNOSI DIFFERENZIALE CON ALTRE CONDIZIONI DI INTERESSE PSICHIATRICO
Stati alterati di coscienza (ASC)
Lo stato crepuscolare di coscienza limita il campo di consapevolezza, essendo un restringimento del mondo circostante. L’interno di questo campo presenta attività psichica più o meno normale, l’esterno non presenta nulla, nel senso che per il paziente è come inesistente. Rare volte uno stimolo esterno al campo di coscienza può essere colto, reinterpretato e incluso modificato nella tematica interna.
Anche il fenomeno “sonnambulismo” è espressione di uno stato crepuscolare.
La restrizione del campo di coscienza è alla base di un gran numero di fenomeni ipnotici, tutti resi possibili dalla capacità del soggetto ipnotizzato di divenire inconsapevole agli stimoli (5,6,16).
Esso va distinto da altri livelli di destrutturazione di coscienza:
– lo stato di torpore, posto a un livello meno alto di destrutturazione, chiamato dagli autori tedeschi Benommenheit, da Bini e Bazzi “alterazione ipnoide della coscienza” (8): i processi psichici sono rallentati, il paziente necessita di stimoli più vigorosi del solito, ma conserva l’orientamento e la capacità di giudizio. Corrisponde al dormiveglia;
– lo stato oniroide di Mayer-Gross, a livello più alto di destrutturazione rispetto allo sindrome crepuscolare: coesistono elementi provenienti dalla realtà esterna ed elementi intrapsichici produttivi (fantasie, allucinazioni); il paziente riconosce la realtà ed è orientato nel tempo e nello spazio, presenta tuttavia attività psichica di “sogno ad occhi aperti”, a natura di incubo o variabile;
– lo stato onirico e confuso onirico, costituente il livello più alto di destrutturazione, accompagnato spesso a confusione mentale: il soggetto manifesta allucinazioni, frequentemente di tipo visivo, aventi per tematica scene ed eventi della sua vita quotidiana. Tale tematica ha un forte colorito affettivo, in quanto – come nel sogno – le immagini si susseguono rapidissime e caotiche, e il paziente è partecipe attivamente. Nello stato confuso-onirico la percezione della realtà esterna è nulla o scarsa: l’unico contatto che l’operatore può raggiungere con il paziente è la provocazione di allucinazioni in seguito a suggestione. La destrutturazione di coscienza onirica/confuso-onirica è tipica delle psicosi deliranti acute.
Disturbi psicotici e simili
In diversi stati psicotici si può manifestare una sorta di “parlare di traverso”, fenomeno che ha spinto molti autori, soprattutto francesi, a considerare il Vorbeireden della sindrome di Ganser come estrinsecazione del negativismo catatonico, catalogando tale patologia più vicina al gruppo delle psicosi che delle psiconevrosi isteriche.
Rispetto alla simulazione, alla sindrome di Ganser, alla pseudodemenza e anche all’isterismo, il Vorbeireden dello psicotico presenta risposte che si susseguono rapide e automatiche, spesso prima che la domanda sia formulata al completo. Inoltre, la paralogia schizofrenica e la paralogia degli stati demeziali organici ha alla sua base una mancata comprensione delle domande, che potremmo definire con Pick (17) “comprendere di traverso”.
Alcuni autori, tra cui Callieri e Semerari, negano l’esistenza del parlare di traverso nello psicotico: «Se accanto ad una specie di Vorbeireden troviamo segni schizofrenici, rivedendo il Vorbeireden ci accorgeremo del suo essere spurio».
A ogni modo, il discorso dello psicotico è un discorso in-congruo che manifesta un disturbo del pensiero; quello del ganseriano e dello pseudodemente dà l’impressione di un deficit di attenzione; quello del simulatore di una artificiosità estrema senza alcuna ipoprosessia.
Disturbi fittizi (DSM) e altre condizioni
Il DSM pone la simulazione in diagnostica differenziale con:
1. il disturbo fittizio:
   • con segni e sintomi psichici predominanti;
   • con segni e sintomi fisici predominanti;
   • con segni e sintomi fisici e psichici combinati;
2. il disturbo fittizio per procura;
3. il disturbo fittizio non altrimenti specificato;
4. il disturbo di conversione;
5. i disturbi somatoformi.

Nei disturbi fittizi il motivo che spinge il soggetto ad assumere e mantenere il ruolo di malato è di tipo intrapsichico, mentre nella simulazione la motivazione è sempre un incentivo esterno. Il disturbo di conversione e altri disturbi somatoformi hanno una sintomatologia scatenata da motivazioni inconsce.
Il DSM reputa importante specificare come nel disturbo di conversione si ottengono spesso miglioramenti tramite suggestione o ipnosi, mentre nella simulazione tali procedure non producono modificazioni di sorta.
Disturbo fittizio e disturbo di conversione differiscono perché nel primo, a differenza del secondo, il soggetto produce intenzionalmente dei sintomi. Tuttavia, si fa notare pure che «nel disturbo fittizio il soggetto di solito non è consapevole della motivazione che sta dietro il comportamento fittizio, e vantaggi esterni sono assenti».
Anche nel DSM, quando si parla di queste patologie definite “fittizie”, si nota una certa difficoltà di impostazione, con velate contraddizioni. È innegabile che, se abbiamo definito come disturbo fittizio una patologia caratterizzata da produzione intenzionale di sintomi fisici e/o psichici scatenata da motivazioni intrapsichiche inconsapevoli, esso dovrebbe essere considerato un disturbo mentale a tutti gli effetti. E in effetti così risulta, nella trattazione di questo manuale, per lunghi tratti.
A volte, descrivendo manifestazioni e disturbi a esso associati, si ha l’impressione di aver a che fare con un isterismo («i soggetti possono ritrovarsi l’addome a griglia a causa di ripetuti interventi chirurgici»; «possono presentare abuso di sostanze, in particolare analgesici e sedativi prescritti»; ecc.) o con un disturbo borderline («incompatibile con la possibilità per l’individuo di mantenere un impiego fisso, legami familiari, relazioni interpersonali»; «disgregazione della famiglia o abuso emotivo o fisico nella fanciullezza»; ecc.).
Al tempo stesso, nella diagnostica differenziale, il DSM ritiene che un disturbo fittizio debba essere distinto da una vera condizione medica generale e da un vero disturbo mentale. Questa frase, a nostro modo di vedere, lo equipara implicitamente alla simulazione di malattia mentale, stando a significare che a tutt’oggi, nella trattazione manualistica del DSM, a proposito di simulazione e disturbi fittizi, alcuni equivoci e ambiguità sono ben lontani dall’essere superati.
Importante il rapporto tra le sindromi in questione e la personalità psicopatica, come già ampiamente descritto da Schneider (18). Soggetti con tale personalità, soprattutto se arricchita di esplosività, abulia, mitomania, fanatismo e necessità di valorizzazione, hanno un’estrema facilità a reagire in modo abnorme a particolari situazioni.
Disturbi somatoformi (DSM)
Le patologie comprese nel DSM sotto questo nome hanno come minimo comun denominatore «la presenza di sintomi fisici che fanno pensare a una condizione medica generale, da cui il termine somatoforme, e che non sono invece giustificati da una condizione medica generale, dagli effetti diretti di una sostanza, o da un altro disturbo mentale (per es., il disturbo di panico)».
Il DSM include in questa sezione:
– il disturbo di conversione;
– il disturbo di somatizzazione;
– il disturbo somatoforme indifferenziato;
– il disturbo algico;
– l’ipocondria;
– il disturbo di dismorfismo corporeo;
– il disturbo somatoforme NAS.

Rispetto ai disturbi fittizi e alla simulazione, «i sintomi fisici non sono intenzionali (cioè sotto il controllo della volontà)».
Impostando la classificazione in base al concetto “somatoforme”, il DSM si discosta dalle impostazioni classiche, riunendo nello stesso gruppo patologie di probabile derivazione isterica (somatizzazione, conversione, disturbo algico, ecc.), ipocondriaca (ipocondria), fobica (dismorfismo corporeo) o ansiosa (disturbo somatoforme indifferenziato).
DIAGNOSI DIFFERENZIALE CON PATOLOGIE ORGANICHE
Occorre sempre tenere presente che sintomi isterici, quindi anche sintomi ganseriani, possono presentarsi in alcune patologie organiche: sclerosi a placche in stadio avanzato (diagnosi differenziale con potenziali evocati, EMG, esame del liquor, RMN); ematomi sottodurali (imaging); morbo di Pick, morbo di Alzheimer (diagnosi clinica in entrambi) e altre forme di demenza. Lesioni organiche, in effetti, possono fungere da interruttore che accende più di un circuito di idee.
Stati simil-pseudodemenziali (pseudo-pseudodemenza) si possono manifestare come conseguenza di: atrofie cerebrali, ematomi, epilessia, meningite (Sittig, Ganser), intossicazione da CO, paralisi progressiva (Schuppius).
Nelle atrofie cerebrali la diagnosi differenziale si pone con l’imaging di risonanza magnetica o di TC, quando possibile; negli ematomi tramite l’eventuale presenza di segni neurologici e imaging; nell’epilessia è possibile una diagnosi differenziale con EEG; nella meningite è diagnostico l’esame del liquor.
Nell’intossicazione da CO potremo osservare variazione nel colore della cute e delle mucose con colorazione rosso ciliegia del viso e delle labbra, ipotermia, acidosi metabolica, iperglicemia e leucocitosi reattiva. La diagnosi di certezza si ha con il calcolo della concentrazione ematica di carbossiemoglobina.
Nella paralisi progressiva (sindrome di Steele-Richardson-Olszewski) si riscontra un quadro clinico ad andamento progressivo, con un esordio dopo i 40 anni, caratterizzato dalla presenza di un parkinsonismo associato a paralisi dello sguardo verticale (o rallentamento dei movimenti saccadici verticali) e marcata instabilità posturale con cadute nel primo anno di malattia.
Altre malattie organiche possono manifestare Vorbeireden, sitomi ganseriani o pseudodemenziali: un posto di rilievo è occupato dalle noxae patogene cerebrali, in particolare quelle dei lobi frontali. Da annoverare alcuni tipi di neoplasie cerebrali (19) sia frontali, manifestanti in alcuni casi puerilismo, che a sede basale, manifestanti moria di Jastrowitz.
La diagnosi differenziale tra sindrome di Ganser o pseudodemenza e sindrome prefrontale non è semplice a un primo colloquio, soprattutto se superficiale. Del resto, come noto, patologie neurologiche organiche possono scatenare sindromi di interesse psichiatrico, e non è raro neanche l’evoluzione di uno stato ganseriano verso forme paralitiche o epilettiche.
Sindromi simil-ganseriane, con parlare di traverso, si possono manifestare anche in conseguenza di traumi cranici (20) – per cui in casi sospetti occorre effettuare: indagine anamnestica, ricerca di segni neurologici, eventuali indagini di imaging diagnostico; in presenza di alcoolismo cronico (21), in cui è possibile la coesistenza con il carattere isterico; in concomitanza di processi infettivi luetici (22).
Da distinguere i momenti di silenzio e interdizione del soggetto presentante sintomo di Ganser da quelli del soggetto che sia afasico o che presenti qualsiasi asimbolia in conseguenza di danno neurologico.
Per quanto riguarda la diagnosi differenziale tra insufficienza mentale e pseudodemenza, occorre valutare attentamente:
– lo stato di salute: deficit neurologici, condizioni di deficienza costituzionale, malattie genetiche, recente assunzione di farmaci e/o droghe, ecc.
– l’ambiente socio-culturale: scolarità, località in cui si vive, amicizie, gruppi frequentati, sport, ecc.
– l’ambiente familiare.

Altra patologia che potrebbe entrare in questione valutando questi parametri è la oligofrenia, stato conseguente a un arresto congenito o precoce dello sviluppo, facilitante l’insorgere di turbe psichiche. L’oligofrenia si manifesta con un deficit intellettivo stabile, di solito dalla prima infanzia. Mentre il demente diventa un insufficiente mentale, l’oligofrenico è sempre stato in condizioni più o meno stabili. Ricordiamo anche che la demenza ha un andamento cronico progressivo irreversibile e in essa si riscontra alterazione di tutte le facoltà psichiche fondamentali:
– memoria di fissazione: indebolimento;
– attenzione: discontinua;
– ideazione: lenta;
– orientamento: compromesso nello spazio e nel tempo;
– intelligenza: incapacità di valutare e quindi affrontare nuove situazioni;
– comportamento: trascuratezza nel vestirsi, nel lavarsi, impulsività, aggressività, fuga, furto, diminuzione del pudore, disturbi della sessualità.

L’indebolimento mnestico può essere caratteristico, oltre che del demente, anche dello pseudodemente, del ganseriano e del simulatore.
Tali deficit mnestici entrano in diagnosi differenziale con le “amnesie di origine ippocampo-mammillare” (Barbizet) e con quelle di origine corticale.
Le patologie appartenenti al primo gruppo sono causate da danno neurologico del circuito della memoria di Papez e comprendono: alcoolismo cronico (diagnosi differenziale con alcoolemia, transaminasemia, amilasemia, ecografia epatica e pancreatica) e sindrome di Korsakoff; tumori della base del cranio (imaging); traumi cranici (imaging). In questo gruppo è conservato l’apprendimento immediato, sono dimenticati gli avvenimenti più recenti (nell’ordine di minuti, ore), mentre si mantengono fino agli stadi più evoluti alcuni ricordi di eventi lontani.
Le amnesie di origine corticale comprendono le sindromi afasiche, agnostiche e aprassiche che manifestano dimenticanza per i nomi di persone e/o di oggetti, e l’amnesia per il significato di alcuni gesti (amnesia di ritenzione). In queste forme non si conserva nemmeno l’apprendimento immediato.
Semplice la diagnosi differenziale con le amnesie globali (atrofia cerebrale), in cui non c’è memoria di nulla o quasi.
CONCLUSIONI
Nella simulazione di malattia mentale le acuzie che si possono osservare talvolta sono teatrali, clamorose, irrealistiche e/o soprattutto hanno una palese “finalizzazione”. Ne è un esempio evidente l’episodio del trasferimento verso il carcere di Monza, del quale si riporta quanto trascritto in una recente Perizia per il tribunale di Castrovillari: «Mentre mi trovavo all’aeroporto di Catania sentivo delle strane voci come se tante persone mi parlassero, praticamente mi stava scoppiando la testa dal dolore. Di conseguenza mi sono sentito malissimo e non sono voluto partire». E questa è la versione resa dal periziando alle ore 9,45 in data 11.01.2010 presso l’OPG di Barcellona Pozzo di Gotto. Invece, alle ore 13,45 dello stesso giorno il paziente medesimo afferma: «Faccio presente che mi trovo in questo istituto dal 19.12.2009 […] allo stato ritengo di non poter affrontare un viaggio per trasferimento da questo istituto per i seguenti motivi: soffro di forte mal di testa e sento delle voci che mi dicono delle cose cattive e dei pungitori in testa; ho timore per la incolumità personale perché nel mese di aprile 2009 sono stato testimone, come parte offesa, in un grosso processo di mafia presso l’aula bunker di Castrovillari, denominato “Omnia” per cui 80 persone si trovano recluse in diversi carceri d’Italia». Tale circostanza viene così commentata in Perizia (p. 47): «In specie nelle prime fasi successive al suo ingresso in carcere il periziando ha manifestato difficoltà di adattamento, comparsa di un’intensa reazione depressivo-ansiosa, alimentata anche da giustificati timori di poter essere oggetto di rappresaglie da parte di detenuti afferenti ad organizzazioni criminali contro cui egli aveva deposto poco tempo prima. Questi timori angosciosi, uniti a quelli legati alla personale vicenda giudiziaria, alla naturale crisi di adattamento a una realtà così difficile come quella carceraria, alle legittime preoccupazioni per il futuro hanno determinato nel S. un certo grado di acuzie sintomatologica che ha prodotto una intensa reazione depressiva con idee autolesive, un tentativo di suicidio, qualche disordine del comportamento (vedi l’episodio all’aeroporto di Catania), pian piano regrediti, di pari passo con un doloroso, ma inevitabile adattamento alla nuova situazione».
Si tratta di un episodio paradigmatico del comportamento e dello psichismo del paziente la cui caratterizzante, all’occorrenza “sintomatica”, è quella narcisistica. A scanso di equivoci è bene ricordare il significato tecnico di narcisismo: infatti, la letteratura psicodinamica (23) precisa che è necessario distinguere il narcisismo in “primario” e “secondario”. Con narcisismo primario si designa uno stato precoce nella costituzione dello psichismo del bambino in cui egli investe tutta la propria libido in se stesso. Con narcisismo secondario si intende quel ripiegamento della libido sull’Io che avviene in un’età successiva a quella “fisiologica” e che sottrae la libido ai suoi investimenti oggettuali. In altre parole, il narcisismo, nel suo immediato riferimento al mito di Narciso, è amore per la immagine di se stessi. E non a caso l’omicidio commesso si compie proprio perché divenuto di ostacolo alla preservazione dell’immagine del periziando.
Il paziente peraltro affermava in generale in merito alla atmosfera plumbea che viveva nelle 48 ore precedenti l’omicidio, e in particolare là dove parlava della frustrazione che il cognato gli inflisse proponendogli di salvarlo a patto di diventare un suo “sottoposto”. Anche in Perizia si legge (p. 37): «Racconta l’angoscia provata la sera prima del delitto, durante l’incontro con il cognato, l’ultimo disperato tentativo di avere credito da lui. Anche se tenta di nascondere parte dell’amarezza provata in quei momenti, ammette di essere rimasto «deluso, molto, dall’atteggiamento del cognato», di essersi inutilmente trattenuto sino a tardi quella sera per convincerlo a dargli una mano. «Aveva un diverso modo di pensare», commenta amaramente, voleva precise garanzie e non accettava di aiutarlo solo per venirgli incontro; anche se razionalmente tende a comprenderlo è evidente la delusione provata per l’esito negativo dell’incontro. Dolorosa poi la richiesta del cognato di collocarsi, dal punto di vista lavorativo, in una posizione quasi dipendente, molto lontana dal suo libero spirito imprenditoriale». E inoltre, «A domanda se si sia sentito mortificato, ha risposto: “peggio … perso … umiliato … in un angolo, spalle al muro … come se la stessero aspettando”» (sottinteso “la mia fine”, ndss).
Appare ben evidente che, per una persona abituata a cavalcare la cresta dell’onda e, a onor del vero, a risolvere e a risorgere sempre da indebitamenti e difficoltà di ogni genere, un epilogo di sconfitta non era sopportabile. Infatti, il danno alla propria immagine, tanto faticosamente costruita, e sempre più “arricchitasi” (soprattutto ai suoi stessi occhi) nel tempo, anche grazie alle suggestive conoscenze di personaggi noti divenuti frequentatori del villaggio turistico della società srl, non era per lui tollerabile. Va ricordato che, pur avendo ricevuto dal padre a soli 18 anni un’impresa gravata da debiti (per risolvere i quali si rivolse anche agli usurai), il paziente riesce (all’inizio degli anni ’90) a emanciparsi dall’usura e a tornare in grado di poter fruire di regolari prestiti bancari: sono soddisfazioni, in verità, assai rare per un così giovane imprenditore e che vanno ascritte al suo merito di lavoratore capace, creativo e audace.
In casi del genere, è pressoché inevitabile che il soggetto tenti dapprima “il tutto per tutto”, così come poi, fallita ogni speranza, trovi “normale” il principio “muoia Sansone con tutti i Filistei”. Dalla soggettiva percezione (ovviamente narcisistica perché centrata sul proprio punto di vista) di legittimità del proprio operato, nasce anche la altrettanto ovvia determinazione (auto-giustificata moralmente a se stesso come tante altre azioni comunque per lui “necessarie” anche quando non in regola con le leggi) a difendere la propria incolumità anche attraverso la simulazione di malattia mentale.
In tale prospettiva, è una reazione pressoché naturale procedere a suggestionare a proprio favore gli interlocutori, a tentativi di simulazione, ovvero di manipolazione, al fine di evitare la condanna. Nel corso delle operazioni peritali può persino succedere che gli imputati assumano transitoriamente una nuova identità, ma questa modalità non viene percorsa dai soggetti intellettualmente più dotati. È indispensabile che chi conduce le indagini sappia mantenere la massima neutralità e il massimo rigore, quando si tratta di riportare i fatti, affinché quanti successivamente saranno chiamati a valutare dal punto di vista psichiatrico la situazione dispongano di descrizioni fedeli e obiettive dell’accaduto, che permettano di distinguere nei comportamenti riferiti le caratteristiche di un alias genuino da quelle di una seconda identità costruita per nascondere le malefatte della prima.
Perché ci sia un quid patologico è necessario che la persona esaminata sia, o sia stato, un paziente psichiatrico: e nel periziando non c’è stato rilievo né presente, né remoto, di elementi di psicopatologia, neppure di tipo transitorio, a eccezione della fisiologica reazione di tipo depressivo, peraltro lieve, registrata nella fase di adattamento al regime carcerario. Questa fase di adattamento risulta tanto più dura per un soggetto che da sempre ha vissuto cercando di dare un’immagine di sé come uomo di successo e pertanto cercando di vivere anche al di sopra delle proprie reali possibilità. Ma questo, come noto, accade spesso tra gli imprenditori, e anche in Perizia è spiegato (p. 20): «Da un lato una facciata di benessere, dall’altro uno stato di cronica sofferenza economica aziendale, con le banche “che non davano credito”».
La certezza tecnico-clinica che ci si trovi al cospetto di una simulazione, e non a genuini sintomi di malattia mentale, viene dall’accertamento di elementi notoriamente necessari e sufficienti per l’individuazione di tale tipo di comportamenti: presentazione in un contesto medico-legale; notevole discrepanza tra il disturbo, o la disabilità, lamentati dalla persona e i reperti obiettivi; piccoli, ma significativi, momenti di ritiro della collaborazione durante la valutazione diagnostica (vedasi, per es., come tale comportamento venga evidenziato anche in Perizia, p. 38: «sull’argomento sostanzialmente glissa» come del resto fa ad hoc anche in altri passaggi delle operazioni peritali); presenza di una componente narcisistica che favorisca la tendenza a comportamenti anti-sociali.
Infatti, la simulazione è caratterizzata dalla produzione e presentazione volontaria di sintomi fisici e/o psichici falsi, oppure grossolanamente esagerati o miscelati impropriamente tra loro e/o maldestramente riferiti. Vi è sempre una motivazione esterna banalmente riconducibile alla speranza di ottenere vantaggi per se stessi nell’ambito di una determinata situazione. La presenza di uno scopo chiaramente individuabile è il fattore più importante che differenzia la simulazione di malattia da una patologia fittizia sinceramente temuta dall’interessato.
In proposito, anche i dati emersi dall’accertamento testologico confermano il riscontro clinico: in Perizia (p. 43) in MMPI-2 viene evidenziato che «il soggetto ha probabilmente posto in essere un tentativo di amplificare sintomi e problematiche».
Alla luce del suddetto comportamento manipolativo appare evidente che anche la descrizione della dinamica del reato è inattendibile in quanto, oltre che intrinsecamente poco credibile, scaturisce dall’esigenza giudiziaria di far passare l’azione mortale come esito di una sorta di “legittima difesa” nonostante sia stata perpetrata contro un uomo palesemente inerme. Non a caso anche in Perizia (p. 3) si legge: «La posizione del cadavere consentiva di desumere che tentasse in qualche modo di darsi alla fuga; aveva ancora nella mano sinistra la borsa professionale, all’interno della quale furono rinvenute 2 tazze di vetro ceramica perfettamente integre», mentre il paziente ha affermato (p. 5 in Perizia) che «la vittima avrebbe più volte tentato di colpire con la sua borsa il viso del periziando e poi, ad un certo punto avrebbe (addirittura!, ndss) intimorito lo stesso periziando, accompagnato alla frase “…. ti sparo, ti ammazzo”»: tali parole secondo il paziente sarebbero state a lui rivolte dalla vittima!
SULLA PREMEDITAZIONE
Un dato che sottolinea la premeditazione nell’agire del paziente è ricordato a p. 42 della Perizia: «Non ha fatto emergere rammarico o pentimento per la morte della vittima, e il dispiacere più volte manifestato viene in larga parte proiettato sulla sua persona e, in misura minore, su quella della famiglia». Tale mancanza di dolore, per una azione che fa comunque inorridire e ferisce l’umana sensibilità di chiunque sia dotato di un elementare senso civico, depone per una grave auto-approvazione per il proprio operato, auto-approvazione la cui gravità elimina ogni eventuale dubbio sia sulla “occasionalità”, sia sulla “imprevedibilità” del gesto, bensì conferma, semmai ce ne fosse bisogno (dato il conforto oggettivo della dinamica degli eventi), la premeditazione e la lucidità progettuale della volontà omicida. In proposito, si ricorda come sia nell’esperienza di ognuno sapere che, senza bisogno di conoscere la vittima, ogni essere umano si dispiace delle disgrazie altrui per una naturale solidarietà con chi soffre: a maggior ragione dovrebbe essere oltremodo amplificato il dolore per un dramma che ci vede (direttamente o solo indirettamente) protagonisti, dolore che nel paziente non è minimamente emerso, se non per se stesso.
La progettualità di cui si è visto capace il periziando emerge dalla capacità, dimostrata da sempre in più ambiti (e non solo nella volontà e nella previsione del delitto), di saper prefigurare tappe e scenari idonei a portare a termine un comportamento deliberato (elementare o complesso che sia) e all’immaginarsi attore «di una successione di azioni possibili in una cornice ambientale realisticamente determinata» (24). In particolare, il grado di realismo nella progettazione e il carattere di attività e iniziativa del soggetto separano il progetto propriamente inteso dalla generica fantasia o dal mero ambito mentale astratto.
In termini giuridici gli assunti hanno particolare valore in tema di determinazione del dolo specifico. Infatti, rappresentare o prefigurare significa mettere in moto un meccanismo della memoria che ha la funzione di “anticipare” scenari ed eventi (25). E nella memoria esistono conoscenze relative al possesso di competenze proprie del soggetto, nonché conoscenze relative alla descrizione delle proprie conoscenze. In proposito, in Perizia si legge (p. 59): «Nel caso di specie la reazione non ha comportato alcuna frattura nei confronti della realtà, non vi è stato disturbo della coscienza e di conseguenza della memoria; anche il comportamento post-delitto del paziente è testimonianza di consapevolezza dell’accaduto (dunque coscienza integra), di corretta valutazione della gravità del gesto e dei suoi riflessi (dunque corretta comprensione, analisi e previsione)». Anche a p. 51 della Perizia è possibile rilevare che: «È sempre apparso, nel corso dei lunghi colloqui, lucido, attento, determinato, esibendo una memoria a volte puntigliosa e precisa, a dimostrazione di una efficienza intellettiva non compromessa».
Un comportamento intenzionale è guidato dalla conoscenza delle proprie precedenti cognizioni, nonché dalle motivazioni personali. L’intenzionalità è sancita nel momento in cui l’agente ha conoscenza del “sapere come” ottenere un certo risultato. E a carico del periziando gravano almeno quattro fondamentali fattori che ne rivelano la progettuale intenzionalità del comportamento:
1. l’elevata specificità dell’azione;
2. la stabilità dell’intenzione;
3. la lucida volitività nel porre in atto l’intenzione;
4. l’aver perso, nelle 48 ore precedenti il delitto, vincoli di condizionamento (per lui e su di lui peraltro mai fortemente “condizionanti”) dai legami ambientali e interpersonali.

La concomitanza dei suddetti fattori rende predittibile la traduzione in comportamento dell’intenzione e della conseguente progettualità che ne deriva.
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