Fenomeni dissociativi in un campione di pazienti ambulatoriali

Dissociative phenomena in a sample of outpatients

DANIELA CANTONE1, RAFFAELE SPERANDEO2, MAURO NELSON MALDONATO3,
PASQUALE COZZOLINO
1, FRANCESCO PERRIS2
E-mail: francescoperris @hotmail.com

1Dipartimento di Psicologia, Seconda Università di Napoli
2Dipartimento di Psichiatria, Seconda Università di Napoli
3Dipartimento di Scienze Storiche, Linguistiche e Antropologiche, Università della Basilicata


RIASSUNTO. Scopo. Lo studio descrive frequenza e qualità dei fenomeni dissociativi e la loro relazione con i disturbi di asse I e con la gravità psicopatologica, in pazienti ambulatoriali. Metodi. Il campione (N=383) è stato sottoposto all’intervista diagnostica MINI e alle scale di autovalutazione DES e SCL-90. I dati raccolti sono stati trattati con l’SPSS. Risultati. L’11,0% dei soggetti presenta un punteggio DES-TOT ≥20. Il 5,2% non presenta alcun sintomo dissociativo. L’assorbimento immaginativo è il fenomeno dissociativo più riscontrato; il meno diffuso è costituito dall’amnesia dissociativa. Emerge una relazione tra i fenomeni dissociativi e le condizioni disoccupazione, separazione coniugale e celibato/nubilato e una relazione inversa con l’età. I fenomeni dissociativi sono più frequenti nei soggetti cui è stata diagnosticata almeno una patologia di asse I e la loro gravità risulta positivamente correlata con il numero di patologie diagnosticate e con i punteggi al General Symptomatic Index dell’SCL-90. Discussione. I nostri risultati orientano verso l’esistenza di tre tipi di manifestazioni dissociative. Un primo tipo, rappresentato dal fattore assorbimento/coinvolgimento immaginativo, si esprime lungo un continuum che va dal normale al patologico; un secondo tipo, rappresentato dal fattore depersonalizzazione/derealizzazione, si manifesta in modo significativamente più intenso e specifico tra i soggetti con disturbi di asse I; l’ultima manifestazione dissociativa, descritta dall’amnesia dissociativa, sembra avere una caratteristica prevalentemente tipologica che non la qualifica come un’esperienza comunemente distribuita nella popolazione generale. Il riconoscimento di sintomi dissociativi ha importanti implicazioni per ciò che riguarda la valutazione e il trattamento.

PAROLE CHIAVE: dissociazione, sintomi dissociativi, psicopatologia di asse I, valutazione psicopatologica.


SUMMARY. Aim. The study describes the frequency and the quality of dissociative phenomena and their relationship with axis I disorders and the psychopathological severity in outpatients. Methods. The sample (N=383) was subjected to MINI diagnostic interview and self-assessment scales DES and SCL-90. The data were analysed using SPSS. Results. The 11,0% of subjects has a score ≥20 on DES. The 5,2% has no dissociative symptoms. The absorption images is the most frequent dissociative phenomenon, the less common is the dissociation amnesia. A relationship between dissociative phenomena and conditions unemployment, marital separation and single parties and an inverse relationship with age founded. Dissociative phenomena are more frequent in participants who have been diagnosed at least one axis I disorder and their severity is positively correlated with the number of diagnosed diseases and scores to the General Symptomatic Index. Discussion. Our results point towards the existence of three types of dissociative experiences. The first type, represented by the factor absorption/imaginative involvement, is expressed along a continuum from normal to pathological; a second type, represented by the factor depersonalization/derealization, occurs in a significantly more intense and specific among subjects with axis I disorders; the latest manifestation dissociative, described by the dissociation amnesia, seems to have a predominantly typological feature that qualifies it as an experience not commonly distributed in the general population. The identifying of dissociative symptoms is necessary for the psychopathologic evaluation and to improve the effectiveness of treatment programs.

KEY WORDS: dissociation, dissociative symptoms, axis I pathology, psychopathological assessment.

INTRODUZIONE
Le esperienze dissociative variano dai comuni episodi di fascinazione o assorbimento immaginativo a condizioni cliniche più rilevanti generalmente associate a esperienze traumatiche infantili come l’incuria genitoriale e l’abuso fisico o sessuale (1). La maggior parte delle persone sperimenta, nella vita quotidiana, sintomi dissociativi di lieve entità. Si tratta di episodi brevi, rari e con un effetto minimo sulle capacità sociali e lavorative. Episodi transitori di dissociazione possono verificarsi, per es., in presenza di livelli elevati di stress (2). Altre persone sperimentano sintomi di livello moderato che possono o meno essere associati a sofferenza o disfunzione, mentre i sintomi più gravi si ritrovano soprattutto in soggetti che soddisfano i criteri per un disturbo dissociativo dell’identità. Questi ultimi sintomi sono persistenti e frequenti e compromettono in maniera consistente l’adattamento sociale (3).
I dati epidemiologici sulla dissociazione patologica sono discordanti e suggeriscono una frequenza che varia dallo 0,3% al 10% nella popolazione generale, con percentuali più basse nelle popolazioni europee (0,3%) (4) rispetto a quelle statunitensi (5-7). I soggetti più giovani sembrano manifestare con maggiore frequenza i fenomeni più gravi. Nella popolazione clinica la frequenza di sintomi dissociativi varia tra il 5,4% e il 12,7% (4,8). L’ampia variabilità potrebbe essere spiegata dalle differenti metodologie e/o strumenti di valutazione utilizzati (4,5,8), ma potrebbe riflettere anche le diverse concezioni dei fenomeni dissociativi.
Sebbene dal punto di vista clinico non esistano dubbi sulla presenza dei fenomeni dissociativi, sussistono controversie circa la loro concettualizzazione. Per l’ICD-10 (9), i disturbi dissociativi sono caratterizzati da una perdita parziale o completa della normale integrazione tra memoria autobiografica, consapevolezza della propria identità, sensazioni corporee e controllo del movimento. Diversamente, per il DSM-IV-TR (10) questi disturbi comportano una distruzione delle funzioni integrate della coscienza, memoria, identità e percezione dell’ambiente. Dunque, mentre secondo l’ICD-10 viene coinvolto anche il sistema senso-motorio, il DSM-IV-TR restringe la dissociazione a livello delle funzioni e dei sistemi psichici. Entrambi i sistemi di classificazione concordano nel ritenere che la dissociazione riguardi il sistema della memoria autobiografica, la coscienza e l’identità personale (11).
Globalmente, le teorie sulla dissociazione si situano su due filoni principali, quello dimensionale (o del continuum) e quello categoriale (o tassonomico). Per molto tempo, il modello dimensionale è stato il paradigma dominante. Secondo tale modello, i fenomeni dissociativi si collocano lungo il continuum normalità-patologia: la dissociazione si distribuisce nella popolazione secondo la curva normale e assume caratteri patologici quando un individuo supera una certa soglia nel grado o nella durata della manifestazione dissociativa. È, dunque, l’entità della dissociazione a provocare menomazioni evidenziabili nel funzionamento sociale e/o lavorativo del soggetto. Il modello dimensionale si basa sul riscontro dell’ampia diffusione delle esperienze dissociative nelle popolazioni non cliniche. Tra questi soggetti sono frequenti i fenomeni dissociativi benigni (come l’assorbimento immaginativo) che si intensificano nelle forme dissociative più gravi (depersonalizzazione, derealizzazione e amnesia), fino ai disturbi dissociativi riportati nel DSM-IV-TR (12). La dissociazione, quindi, non sarebbe un fenomeno tutto-o-nulla, ma comprenderebbe sia esperienze quotidiane, normali, sia forme più gravi. Il modello del continuum ha ispirato uno degli strumenti maggiormente utilizzati per la misura della dissociazione, la Dissociative Experiences Scale (DES) di Bernstein e Putnam (13). Secondo gli autori, il punteggio ottenuto alla scala consente di ordinare gli individui lungo un continuum che va da bassi livelli di dissociazione (presenti nella popolazione non-clinica) ad alti livelli di dissociazione (presenti nei pazienti con disturbi dissociativi). Successivamente, alcuni autori hanno messo in discussione il modello del continuum. In particolare, Waller et al. (14) hanno proposto un modello tipologico della dissociazione secondo cui esistono due tipologie differenti di fenomeni dissociativi: quelli non patologici e quelli patologici. Secondo questo modello, è possibile differenziare qualitativamente i fenomeni dissociativi comunemente diffusi nella popolazione generale dalla dissociazione con caratteristiche patologiche di gravità e di compromissione del comportamento, che implica esperienze che non sono mai (o estremamente di rado) sperimentate dalle persone sane (15,16). Nei soggetti affetti da dissociazione patologica sarebbe evidente un’organizzazione cognitiva fondamentalmente diversa da quella degli individui sani. Waller et al. (14), applicando una serie di analisi statistiche tassonometriche ai dati raccolti per la validazione della DES, hanno dedotto che un modello tassonomico o tipologico era preferibile, particolarmente per i campioni clinici, al modello del continuum; uno dei contributi più importanti delle analisi di Waller è una sotto-scala a 8 item della DES, definita DES-T (DES Tassonomica), che si è dimostrata piuttosto affidabile nel discriminare fenomeni dissociativi patologici, sebbene non sia sufficiente per operare una diagnosi specifica di disturbo dissociativo. Spitzer et al. (4) hanno utilizzato la DES-T per correlare i fenomeni dissociativi con le caratteristiche socio-demografiche e cliniche in campioni di pazienti e non pazienti. Da questo studio è emerso che la DES-T, a differenza della DES, è in grado di evidenziare fenomeni dissociativi che non sono rilevati da altri strumenti psicometrici e riesce a discriminare i fenomeni patologici da quelli fisiologici legati al continuum. Allo stesso modo altri autori hanno utilizzato questo strumento considerandolo più discriminativo e più sensibile della DES (17-19). Nel complesso, questi autori sostengono che la dissociazione è una categoria spuria che comprende fenomeni qualitativamente differenti. L’assorbimento immaginativo e la fascinazione vengono considerati tratti distribuiti normalmente nella popolazione, che non correlano significativamente con la patologia e non sono qualificabili come processi psicopatologici. I fenomeni amnesici (amnesia dissociativa), la depersonalizzazione e la derealizzazione sono considerati stati psicopatologici differenziabili qualitativamente dalle esperienze dissociative normali. Il dibattito teorico è tutt’ora in corso e si arricchisce con il passare del tempo di ulteriori critiche e proposte. È probabile che il modello dimensionale e quello tipologico siano utili per spiegare aspetti differenti del fenomeno dissociativo ed è utile, a questo stadio delle conoscenze, accettare la coesistenza di paradigmi in apparente contraddizione (20,21).
Il presente lavoro si prefigge di valutare, all’interno di un campione di pazienti ambulatoriali, la frequenza e la qualità dei fenomeni dissociativi e la loro relazione con i disturbi di asse I e con la gravità psicopatologica. Si è scelto di effettuare questa valutazione utilizzando criteri diagnostici dimensionali in relazione all’attuale contrapposizione tra nosografie categoriali e nosografie dimensionali all’interno del dibattito psichiatrico. Mentre i costrutti categoriali dei disturbi mentali sono basati su sindromi consistenti nei raggruppamenti di sintomi, i modelli dimensionali indagano le relazioni tra i singoli sintomi prescindendo dai loro raggruppamenti sindromici e descrivono dimensioni di sintomi osservando le loro aggregazioni su ampi campioni statistici. Secondo il modello categoriale, coloro che hanno un numero di sintomi inferiore alla soglia richiesta per formulare la diagnosi vengono esclusi dalla diagnosi laddove invece le analisi dimensionali dei singoli sintomi colgono tutte le aggregazioni significative e appaiono in relazione più stretta con i processi biologici sottostanti ai disturbi psichici (22). Molti studi empirici indicano che gli approcci dimensionali hanno una maggiore validità rispetto alle categorie diagnostiche (23-26) anche se c’è ancora un diffuso disagio da parte dei clinici e dei ricercatori nell’adottare una classificazione dimensionale. La resistenza non è solamente di natura ideologica, ma nasce da una serie di questioni irrisolte relative ai rapporti tra diagnosi categoriale e dimensionale, alla rilevanza clinica dei criteri dimensionali e all’integrazione della messe di conoscenze, sviluppata intorno alle diagnosi categoriali nella cornice dimensionale (23).
MATERIALI E METODI
La ricerca è stata svolta presso un ambulatorio di salute mentale della Provincia di Napoli. Il campione, composto da 383 soggetti, è stato reclutato inserendo sequenzialmente tutti i soggetti che hanno avuto accesso al servizio per effettuare consulenze psichiatriche dall’ottobre 2007 al dicembre 2009. Una storia di trauma cranico, clinicamente significativo, è stata considerata criterio di esclusione, così come un’accertata insufficienza mentale e una condizione clinica di acuzie per patologie dell’area psicotica e affettiva. La valutazione clinica, finalizzata a individuare i criteri di esclusione, è stata effettuata attraverso un colloquio psichiatrico condotto da un clinico esperto. La ricerca è stata articolata in due fasi. In una prima fase, dopo il colloquio iniziale, è stato chiesto il consenso per la partecipazione a uno studio sperimentale. I soggetti che hanno accettato sono stati informati che sarebbero stati sottoposti a un’intervista diagnostica (MINI) e a due scale di autovalutazione (DES e SCL-90). Nella seconda fase i dati raccolti sono stati sottoposti a un’analisi statistica con l’ausilio del programma SPSS (Statistical Package for Social Science). Sono stati effettuati l’analisi descrittiva (per le frequenze, la media e la deviazione standard), il test di correlazione di Spearman, il Chi-quadrato di Pearson e il test per ranghi di Kruskal-Wallis.
Le valutazioni psicodiagnostiche sono state effettuate utilizzando i seguenti strumenti:
1. Mini International Neuropsychiatric Interview (MINI);
2. Dissociative Experiences Scale (DES);
3. Self-report Symptom Inventory (SCL 90).
Mini International Neuropsychiatric Interview (MINI)
La MINI (27) è una scala di valutazione diagnostica semistrutturata messa a punto congiuntamente dai gruppi di ricerca di Sheehan (USA) e di Lecrubier (Francia). È breve, semplice, chiara e facile da somministrare; è altamente sensibile, in grado di identificare la massima percentuale possibile di soggetti con un determinato disturbo; specifica, capace di escludere i soggetti senza disturbi; compatibile con i principali sistemi internazionali di classificazione diagnostica, l’ICD-10 e il DSM-IV; in grado di cogliere le più importanti varianti subsindromiche. Per evitare un eccesso di falsi negativi, gli autori progettarono la scala in modo che ogni disturbo indagato fosse lievemente iperinclusivo. Ogni disturbo indagato corrisponde a un modulo autonomo; la maggior parte dei moduli prevede una o due domande preliminari di screening, la cui negatività consente di omettere il completo excursus della sintomatologia relativa a quel disturbo e di passare direttamente al modulo successivo. Quando il paziente risponde positivamente alla/e domanda/e di screening, si passa, invece, alla rilevazione dei sintomi, che dovrebbe essere completata da domande sulla disabilità associata a quei sintomi, sull’eventuale concomitanza con patologie somatiche e/o uso di sostanze, su eventuali lutti recenti. I moduli comprendono 14 disturbi di asse I, un disturbo di asse II, il disturbo antisociale di personalità (incluso per la sua stabilità nel tempo, per la consistenza dimostrata nei vari disturbi di personalità e per il suo impatto sulla clinica e sulla prognosi) e un modulo relativo al rischio suicidario.
Dissociative Experience Scale (DES)
La DES (13,28) è uno strumento self-report di rapida compilazione ed elaborazione in grado di valutare la presenza, la quantità e il tipo di esperienze dissociative senza entrare nel merito della diagnosi. È composta da 28 item disposti su di una scala analogica e i punteggi variano da 0 a 100, per ciascun item e per il punteggio totale ottenuto dalla media dei punteggi. Il valore cut-off indicante la presenza di dissociazione patologica riguarda punteggi ≥20: punteggi superiori a 20 sono associati, in genere, a una diagnosi di disturbo dissociativo secondo il DSM-IV-TR, punteggi inferiori sono frequentemente riscontrati sia nei soggetti sani sia nei pazienti psichiatrici in generale. L’analisi fattoriale ha fornito una comprensione della struttura della DES: per la versione italiana il modello a tre fattori, confermato da Fabbri Bombi et al. (29), è quello più frequentemente impiegato (28,30). Secondo questo modello, la DES è composta dalle seguenti sottoscale:
1. amnesia dissociativa: riguarda azioni di cui il soggetto non ricorda (item: 3, 4, 5, 8, 11);
2. assorbimento e coinvolgimento immaginativo: l’essere immerso in una certa attività al punto di divenire completamente inconsapevole dell’ambiente circostante (item: 2, 14, 15, 17, 18, 20, 24);
3. depersonalizzazione-derealizzazione: ovvero percezioni alterate del Sé e dell’ambiente, come il sentirsi disconnessi dal proprio corpo, dai propri pensieri, dai propri sentimenti (item: 7, 12, 13, 21, 22, 23, 27, 28).
Successivamente, Waller et al. (14) hanno selezionato 8 item della DES (item: 3, 5, 7, 8, 12, 13, 22, 27) costruendo una nuova sottoscala in grado di identificare la tendenza alla dissociazione patologica, la DES-T. Questo breve questionario a 8 item è stato validato applicando un metodo in grado di distinguere i costrutti dimensionali da quelli tipologici (analisi tassometrica). La DES è uno strumento valido e affidabile per la misurazione delle esperienze dissociative sia in campioni clinici sia in gruppi di controllo (13,30,31), rivelando una struttura fattoriale simile in gruppi di pazienti psichiatrici e di soggetti normali (32). I punteggi alla DES-TOT e alla DES-T superiori a 20 sono considerati indicativi di una condizione patologica, ma non hanno valore diagnostico. La diagnosi deve essere effettuata con un’intervista clinica strutturata o semi-strutturata quale la Structured Clinical Interview for DSM-IV Dissociative Disorders (33), o la Dissociative Disorders Interview Schedule (34).
Self Report Symptom Inventory (SCL-90)
L’SCL-90 (35) è una scala autosomministrata per la valutazione della sintomatologia psichiatrica. La compilazione è facile e piuttosto veloce in quanto richiede circa 15 minuti. Il periodo valutato dalla scala è quello della settimana precedente alla somministrazione. È formata da 90 item rappresentanti le 9 dimensioni cliniche solitamente frequenti nei pazienti ambulatoriali:
– somatizzazione: indica la sofferenza derivante dalla percezione di disfunzionamento somatico;
– ossessività-compulsività: esprime i comportamenti presenti nel disturbo-ossessivo compulsivo;
– sensitività: riflette i sentimenti di inadeguatezza personale e di inferiorità;
– depressione: riflette un ampio spettro di disturbi caratteristici del disturbo depressivo;
– ansia: esprime sintomi e le esperienze che solitamente sono associati a una discreta ansia manifesta;
– collera-ostilità: indica pensieri e comportamenti ostili;
– ansia fobica: valuta i sintomi solitamente osservati nell’ansia fobica e nell’agorafobia;
– ideazione paranoide: esprime la modalità di pensiero paranoide, base presunta del comportamento paranoide;
– psicoticismo: esprime comportamenti psicotici attraverso degli indicatori indiretti.
Dall’analisi statistica si ricavano tre indici: il General Symptomatic Index (GSI), ossia il rapporto tra la somma di tutti gli item e il numero degli item valutati, è un indice che misura la gravità della sintomatologia del soggetto; il Positive Symptom Total (PST), corrispondente al numero di item segnati positivamente, ovvero quelli da 1 a 4; il Positive Symptom Distress Index (PSDI), corrispondente al rapporto tra la sommatoria di tutti gli item e il PST. Ciascun item può essere valutato su una scala che va da 0 a 4. Le 9 dimensioni sono state validate su una vasta popolazione di pazienti (36,37).
RISULTATI
Il campione è costituito da 383 soggetti con un’età compresa tra i 16 e i 67 anni (M=33,6 anni e DS=10,9). Di seguito sono riportate le caratteristiche del campione relative a sesso, stato civile, titolo di studio, condizione lavorativa e tipologia di lavoro (Tabella 1).
Il 18,3% del campione (n=68) non soddisfa i criteri del DSM-IV per la diagnosi di alcun disturbo di asse I; il 20,4% (n=76) soddisfa i criteri per almeno un disturbo di asse I; il 28% (n=104) soddisfa i criteri per almeno due disturbi; il 33,3% (n=124) per tre o più disturbi (Tabella 2). Il GSI dell’intero campione ha un valore minimo di 0,3 e un valore massimo 3,18 (M±1,2; DS=0,6).



Il punteggio medio della DES-TOT è risultato 8,8 (DS=9,3); l’11,0% dei soggetti (n=42) presenta punteggi ≥20; il 3,9% (n=15) punteggi ≥30. Alla DES-T, il punteggio medio dei nostri soggetti è 5,9 (DS=8,7); il 7,3% dei soggetti (n=28) presenta punteggi ≥20; il 3,1% dei soggetti (n=12) punteggi ≥30. Il 5,2% dei soggetti (n=20) non presenta alcun sintomo dissociativo.
Il campione in esame ottiene al fattore 1 della DES (amnesia dissociativa) un punteggio medio di 17,6 (DS=32,1); al fattore 2 (assorbimento e coinvolgimento immaginativo), un punteggio medio di 100,7 (DS=99,9); al fattore 3 (depersonalizzazione/derealizzazione), un punteggio medio di 69,8 (DS=88,8).
L’età correla negativamente con il punteggio alla DES-TOT (p=-0,26; p<,00), alla DES-T (p=-0,21; p<,00), al fattore 2 (p=-0,27; p<,00) e al fattore 3 (p=-0,22; p<,00) della DES. I soggetti separati presentano punteggi più elevati alla DES-TOT (χ²=11,3), alla DES-T (χ²=14,7) e ai fattori 2 (χ²=10,4) e 3 (χ²=12,2) della DES. I soggetti disoccupati presentano punteggi più alti alla DES-TOT (χ²=10,2) e al fattore 2 (χ²=12,1).
I fenomeni dissociativi sono risultati più frequenti nei soggetti cui è stata diagnosticata almeno una patologia di asse I (Tabella 3). Il numero di diagnosi di asse I è risultato positivamente correlato con i punteggi alla DES-TOT (p=0,25), alla DES-T (p=0,27), all’amnesia dissociativa (p=0,25), all’assorbimento e coinvolgimento immaginativo (p=0,21) e alla depersonalizzazione/derealizzazione (p=0,25). Una correlazione ancora maggiore è emersa tra il punteggio al GSI dell’SCL-90 e la DES-TOT (p=0,39), l’assorbimento e il coinvolgimento immaginativo (p=0,38) e la depersonalizzazione/derealizzazione (p=0,32).




DISCUSSIONE
L’analisi dei risultati del nostro studio mostra che le esperienze dissociative non sono influenzate dal genere, dal titolo di studio e dal tipo di professione svolta, come emerge in precedenti ricerche (5,29,38,39). È inoltre emersa una relazione inversa tra i fenomeni dissociativi e l’età dei soggetti; i soggetti più giovani del nostro campione vivono esperienze dissociative più frequenti e intense. Questo dato concorda con le conclusioni cui sono giunti Spitzer et al. (11) secondo cui i sintomi dissociativi possono diventare progressivamente meno evidenti durante l’età adulta come effetto della maturazione e di altri fattori di sviluppo. I nostri risultati mostrano, ancora, una correlazione positiva tra fenomeni dissociativi, stato civile e condizione lavorativa. I soggetti nubili/celibi, i separati e i disoccupati esperiscono fenomeni dissociativi più frequenti e intensi dei coniugati e di coloro che svolgono un’attività lavorativa. Possiamo ipotizzare che condizioni di vita stressanti come la mancanza di stabilità familiare e lavorativa costituiscano fattori di rischio per l’insorgenza di sintomi dissociativi.
Per quanto riguarda la descrizione degli specifici fenomeni dissociativi, l’analisi dei dati evidenzia che l’assorbimento immaginativo (fattore 2 DES) è il fenomeno più frequentemente riscontrato nel nostro campione; è presente nell’85,2% dei soggetti senza alcuna diagnosi di asse I e nel 92,4% dei soggetti con una o più diagnosi di asse I; appare influenzato nella frequenza e nell’intensità dell’espressione dal numero di diagnosi e dalla gravità psicopatologica ma non sembra specifico della presenza di patologie di asse I, caratterizzandosi come fenomeno dimensionale.
Il secondo fattore in ordine di frequenza è la depersonalizzazione/derealizzazione (fattore 3 DES), presente nel 75% dei soggetti senza alcuna diagnosi di asse I e nel 80,4% dei soggetti con una o più diagnosi di asse I. Questi valori potrebbero confermare l’opinione di Cummings (40) secondo cui i fenomeni di depersonalizzazione possono manifestarsi in svariate circostanze e trovarsi associati a quasi tutte le sindromi nevrotiche e psicotiche.
Il fattore amnesia dissociativa (fattore 1 DES) è il meno diffuso nel nostro campione, presente nel 29,4% dei soggetti senza alcuna diagnosi di asse I e nel 48,2% dei soggetti con una o più diagnosi di asse I. Il fatto che solo il 29,4% dei soggetti senza disturbi di asse I presenti amnesia dissociativa (a fronte di valori molto più alti relativi agli altri fattori della dissociazione), e l’assenza di correlazioni con l’età dei soggetti, lo stato civile e la condizione lavorativa, lasciano ipotizzare che questo tipo di fenomeno sia specifico della presenza di una condizione patologica.
Dai nostri risultati appare evidente che l’interpretazione più adeguata dei fenomeni dissociativi non possa essere limitata a un solo modello esplicativo. È coerente con i dati della letteratura proporre un modello misto nel quale alcuni fenomeni possono essere spiegati attraverso la teoria del continuum, altri sembrano soddisfare i criteri delle teorie tipologiche.
Una possibile interpretazione orienta verso l’esistenza di tre tipi di manifestazioni dissociative. Un primo tipo, rappresentato dal fattore 2 della DES assorbimento/coinvolgimento immaginativo, si esprime lungo un continuum che va dal normale al patologico. Per quanto la manifestazione di questi sintomi aumenti con la gravità della compromissione clinica, non c’è nessuna evidenza di un legame specifico tra la presenza di patologie di asse I e l’assorbimento immaginativo. È possibile ipotizzare che questo fenomeno esprima una risposta fisiologica del SNC allo stress, che aumenta quindi di intensità ma non cambia nella qualità in situazioni di maggiore pressione o sovraccarico emotivo.
Un secondo tipo di dissociazione è rappresentato dal fattore 3 della DES depersonalizzazione/derealizzazione, che si manifesta in modo significativamente più intenso e specifico tra i soggetti con disturbi di asse I. La discontinuità nell’espressione orienta per una differenza nella qualità del fenomeno quando si presenta nelle forme clinicamente rilevanti rispetto alle occasionali e lievi espressioni registrate nei soggetti sani. La depersonalizzazione/derealizzazione risulta essere un fenomeno clinicamente rilevante e può rappresentare una risposta disfunzionale indotta nei soggetti dalla patologia psichica genericamente intesa.
L’ultima manifestazione dissociativa, descritta dall’amnesia dissociativa (fattore 1 della DES), sembra avere una caratteristica prevalentemente tipologica che non la qualifica come un’esperienza comunemente distribuita nella popolazione generale. Di fatto, le esperienze di alterazione della memoria autobiografica (amnesia dissociativa) sono una frequente espressione di sindromi psicopatologiche severe e non si riscontrano tra gli adolescenti e i soggetti privi di disagi psichici anche se in situazioni esistenziali stressanti.
I nostri dati sembrano indicare che, a esclusione dell’assorbimento immaginativo, i fenomeni dissociativi gravi sono collegati alla gravità della sofferenza psichica e alla giovane età e quindi ad aspetti di maturazione psichica e cerebrale. Entrambe queste condizioni infatti possono predisporre a un’alterazione delle funzioni di memoria autobiografica, esperienze dell’identità e coscienza della percezione dell’ambiente.
Sotto il profilo della valutazione psicodiagnostica e del trattamento è importante evidenziare alcuni elementi sostanziali. I sintomi dissociativi moderati e gravi sono spesso indicatori di abusi e maltrattamenti o di esperienze di stress particolarmente rilevanti. La valutazione psicopatologica di base dovrebbe includere di routine l’esplorazione e la quantificazione dei fenomeni dissociativi. Ciò nonostante essi tendono generalmente a essere ignorati nelle consultazioni psicologiche e psichiatriche. Il clinico, a meno che non si trovi di fronte ai chiari e gravi sintomi del disturbo dissociativo dell’identità, tende a non monitorarli e il paziente stesso può escluderli dall’anamnesi perché, a causa della cronicità delle manifestazioni, non li vive più come interferenti nelle sue attività quotidiane.
È invece evidente che sia gli eventi di vita all’origine delle esperienze dissociative (abusi, maltrattamenti, stress) sia il loro significato psicodinamico devono essere tenuti in considerazione nei protocolli di trattamento psicofarmacologico e psicoterapeutico di questi pazienti, nei quali le sindromi ansiose e depressive possono essere secondarie all’alterazione dell’esperienza dell’Io (3).
Il presente studio mostra alcuni limiti metodologici. In primo luogo, il campione è poco rappresentativo della popolazione psichiatrica generale perché costituita da pazienti ambulatoriali che si sono rivolti autonomamente al servizio e presentano una condizione socio-economica medio-alta. Un secondo limite è inerente gli strumenti impiegati per le misurazioni psicopatologiche. L’intervista semi-strutturata MINI ha una sensibilità iperinclusiva ed è poco usata negli altri studi relativi alla dissociazione. La DES e l’SCL-90 in quanto strumenti self-report lasciano ampi margini di incertezza alle risposte dei soggetti. Infine, controversa appare la letteratura inerente la validità della DES-T per la misurazione della dissociazione patologica. Contrariamente ai primi studi che avevano fornito risultati promettenti circa l’impiego della DES-T nella diagnosi della forma patologica di dissociazione (6) ricerche più recenti suggeriscono che la dissociazione tassonomica non si mantiene stabile al retest (41,42) e che campioni diagnosticati come patologici e non patologici alla DES non vengono invece distinti da altri strumenti clinicamente validi come l’MMPI-2 (43).
La numerosità del campione, infine, non ci ha consentito di effettuare le valutazioni su sottogruppi di soggetti con manifestazione cliniche pure. Trattandosi di uno studio pilota, i risultati, pur non consentendo conclusioni definitive, aprono a una serie di ipotesi interessanti relative al polimorfismo dei fenomeni dissociativi rispetto alle loro caratteristiche dimensionali e categoriali.
L’ampliamento del campione potrà consentirci di valutare la continuità dell’esperienza dissociativa tra soggetti con e senza diagnosi di asse I e all’interno dei due gruppi. La nostra ipotesi prevede che l’assorbimento immaginativo e la depersonalizzazione-derealizzazione presentino una continuità tra i due gruppi mentre l’amnesia dissociativa si caratterizzi come un fenomeno discontinuo rilevabile solo nei soggetti con diagnosi di asse I.
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