Farmaci plus psicoterapia nel trattamento dei disturbi dell’umore
in comorbilità con disturbi di personalità.
Una revisione della letteratura

Pharmacotherapy plus psychotherapy in patients with mood disorder
and Axis II codiagnosis. A
review

ANTONIO TUNDO, LUCA PROIETTI, PAOLA CAVALIERI
E-mail: tundo@istitutodipsicopatologia.it

Istituto di Psicopatologia, Roma


RIASSUNTO. Scopo. Le linee-guida dell’American Psychiatric Association suggeriscono, in caso di comorbilità tra disturbi dell’umore e di personalità, di ricorrere all’associazione di farmaci e psicoterapia. Obiettivo del presente lavoro è valutare, in base ai dati presenti in letteratura, l’efficacia di questa associazione e, secondariamente, verificare se la risposta è influenzata dal tipo di disturbo di personalità, dall’orientamento della psicoterapia seguita o dalla modalità di associazione dei due trattamenti. Materiali e metodi. Lo studio è basato su una revisione della letteratura rilevante in lingua inglese pubblicata fino a febbraio 2011, condotta con una ricerca elettronica attraverso PubMed. Le parole chiave utilizzate sono: “major depressive disorder”, “bipolar depression”, “personality disorder”, “comorbidity”, “epidemiology”, “combined therapy”, “sequential therapy”. Gli studi sono suddivisi in base alle modalità di associazione dei due trattamenti: simultanea, sequenziale di potenziamento (le due terapie sono associate in caso di fallimento della monoterapia) e sequenziale orientata alla fase (terapia farmacologica in fase acuta, psicoterapia in fase di mantenimento). Risultati. I sei studi individuati indicano che, nelle forme unipolari, l’associazione farmaci e psicoterapia non aumenta significativamente le percentuali di remissione dalla fase acuta ma è comunque superiore alla monoterapia con antidepressivi in termini di accelerazione dei tempi di risposta, di recupero del funzionamento sociale e di miglioramento delle dimensioni sensibilità interpersonale e aggressività. Sia nelle forme unipolari, sia in quelle bipolari l’associazione farmaci e psicoterapia è più efficace della sola terapia farmacologica nel ridurre il rischio di recidive. Discussione. Le evidenze presenti in letteratura, seppur limitate e non generalizzabili, suggeriscono l’utilità dell’associazione farmaci e psicoterapia nei pazienti con disturbi dell’umore in comorbilità con disturbi di personalità. In questi pazienti, al contrario di quanto accade in quelli senza comorbilità di asse II, la modalità di associazione di farmaci e psicoterapia non sembra influenzare la risposta.

Parole chiave: disturbo depressivo maggiore, depressione bipolare, disturbo di personalità, comorbilità, epidemiologia, terapia combinata, terapia sequenziale.


Summary. Aim. The main aim of this paper is to review data on the efficacy of combined therapy in patients with mood disorder and axis II codiagnosis. The secondary aim is to assess the impact of personality disorders, psychotherapies, and combination therapy approaches on the treatment outcome. Materials and methods. We searched the Medline database using the following syntax: “major depressive disorder”, “bipolar depression”, “personality disorder”, “comorbidity”, “epidemiology”, “combined therapy”, “sequential therapy”. The search included studies published up to february 2011. We divided the selected studies on the basis of the following pharmacotherapy and psychotherapy combination treatment approaches: concurrent treatment, sequential treatment and cross-over treatment. Results. We found six studies about this topic. They show that in patients with unipolar depression combined therapy does not increase significantly the remission rate of the acute phases. However, combined treatment has greater effects on social functioning, interpersonal sensitivity and aggressiveness than pharmacological treatment. The studies indicate also that in patients with either unipolar or bipolar disorder combined therapy is more effective than pharmacological therapy in reducing relapses. Discussion. The available limited data suggest that in patients with mood disorder and axis II codiagnosis pharmacological and psychological combined therapy is useful. In these patients the type of combination approach does not seem to influence the treatment outcome.

Key words: major depressive disorder, bipolar depression, personality disorder, comorbidity, epidemiology, combined therapy, sequential therapy.

INTRODUZIONE
La comorbilità tra disturbi di personalità (DP) e disturbi dell’umore è un fenomeno frequente. Recenti studi epidemiologici indicano una prevalenza che raggiunge il 51% per le forme unipolari (1) e che oscilla tra il 28,8% e il 40% per quelle bipolari (2,3) anche se, secondo alcuni autori, le prevalenze più alte sarebbero dei “falsi positivi” dovuti alla parziale sovrapposizione dei criteri diagnostici. La diagnosi di un disturbo di asse II dovrebbe essere quindi posta solo dopo la risoluzione del concomitante episodio depressivo, proprio in considerazione del fatto che i sintomi della depressione possono accentuare o mimare alcuni tratti di personalità (4). È stato osservato che nei pazienti con disturbo unipolare sono più frequenti i DP del cluster C, e in particolare quello evitante, mentre nei pazienti con disturbo bipolare sono più comuni i DP narcisistico e borderline (3,5). La copresenza di un disturbo dell’umore e di un DP rappresenta un fattore prognostico negativo in quanto si associa a un esordio precoce, a una particolare gravità della sintomatologia, a un alto rischio di suicidio e a una ridotta aderenza alle cure (6). Problematico è il trattamento della sintomatologia depressiva in questi pazienti: sia la terapia farmacologica sia la psicoterapia sono infatti meno efficaci di quanto non lo siano nei pazienti con disturbi dell’umore senza codiagnosi di asse II (7,8) e le linee-guida dell’American Psychiatric Association suggeriscono di ricorrere a un’associazione di farmaci e psicoterapia (4).
Obiettivo principale del presente studio è valutare, in base ai dati presenti in letteratura, l’efficacia dell’associazione farmaci e psicoterapia nei pazienti con disturbi dell’umore in comorbilità con DP. Obiettivo secondario è verificare se in questi pazienti la risposta è influenzata dal tipo di disturbo di personalità, dal tipo di psicoterapia seguita o dalla modalità di associazione dei due trattamenti.
METODO
Lo studio è basato su una revisione della letteratura rilevante pubblicata in lingua inglese fino a febbraio 2011, condotta con una ricerca elettronica attraverso PubMed. Le parole chiave utilizzate sono: “major depressive disorder”, “bipolar depression”, “personality disorder”, “comorbidity”, “epidemiology”, “combined therapy”, “sequential therapy”. Dalla bibliografia contenuta in questi studi sono stati identificati ulteriori articoli di interesse.
Abbiamo suddiviso gli studi così individuati in base alle modalità di associazione delle due terapie: simultanea, sequenziale di potenziamento e sequenziale orientata alla fase (9,10). Il primo modello, che è stato finora il più ampiamente utilizzato negli studi clinici, prevede l’inizio contemporaneo di farmaci e psicoterapia e presuppone che le due terapie svolgano la loro azione in modo sinergico. Nel secondo modello, in questo momento il più testato, l’associazione dei due trattamenti avviene solo dopo che uno dei due, farmaci o psicoterapia, è stato utilizzato in monoterapia e si è dimostrato solo parzialmente efficace. L’ipotesi è che le due modalità di cura abbiano un effetto complementare. Il terzo modello prevede l’utilizzo della terapia farmacologica in fase acuta, per il contenimento della sintomatologia florida, e della psicoterapia in fase di mantenimento per eliminare i sintomi residui, ridurre il rischio di recidive e consentire il raggiungimento di una condizione di “benessere”. Nel trattamento dei disturbi dell’umore senza comorbilità di asse II queste tre diverse modalità di associazione farmaci-psicoterapia hanno dimostrato una diversa efficacia (10).
RISULTATI
Abbiamo individuato 6 studi relativi all’efficacia dell’associazione farmaci e psicoterapia nei pazienti con disturbi dell’umore in comorbilità con DP: 4 impiegano l’associazione simultanea, 1 quella sequenziale di potenziamento e 1 quella sequenziale orientata alla fase. Gli studi risultano eterogenei per tipo di DP e dell’umore inclusi e per indirizzo psicoterapeutico seguito (Tabella 1).
Associazione simultanea
Kool et al. (11) conducono uno studio clinico randomizzato di sei mesi su 128 pazienti con diagnosi di disturbo depressivo maggiore con (n=85) o senza (n=43) comorbilità di asse II. Il campione è trattato in parte solo con farmaci antidepressivi (n=56), in parte con un’associazione di farmaci e psicoterapia supportiva dinamica (n=72). Alla valutazione finale, dopo 24 settimane, mentre i pazienti con disturbo depressivo maggiore e DP in comorbilità rispondono significativamente meglio alla terapia associata ( Tabella 2), per i pazienti senza comorbilità non si rileva una differenza di efficacia tra i due trattamenti (35% vs 30% di remissioni, p=n.s.). Gli autori concludono che, a breve termine, in presenza di una comorbilità tra disturbo depressivo maggiore e disturbi di asse II, l’associazione farmaci e psicoterapia è superiore al trattamento solo con antidepressivi. Lo studio di Kool et al. prevede una rivalutazione a 40 settimane dei soli pazienti con diagnosi di depressione unipolare e DP. Alla fine del periodo di follow-up emerge che: a) i disturbi di personalità migliorano sia nel gruppo trattato solo con farmaci (n=25), sia in quello trattato con farmaci e psicoterapia (n=47), anche se i risultati sono lievemente superiori nel secondo gruppo; b) i DP del cluster C rispondono meglio rispetto a quelli del cluster B; c) il cambiamento dei DP è correlato alla riduzione della depressione nei pazienti trattati solo con farmaci, mentre è indipendente dalle variazioni della sintomatologia depressiva nei pazienti che seguono la terapia combinata.



Bellino et al. (12) valutano l’effetto della fluoxetina (20-40 mg/die) in monoterapia o associata con la terapia interpersonale (IPT) (1 seduta per settimana) in un campione di 39 soggetti con diagnosi di disturbo borderline di personalità e soddisfacenti i criteri per un episodio depressivo maggiore unipolare. Dopo 24 settimane i due trattamenti risultano equivalenti in termini di percentuali di remissione (Tabella 2), di gravità della psicopatologia residua, per come misurata dalla Clinical Global Impression Scale-severity (CGI-s) (13), e di riduzione dei sintomi ansiosi, per come misurati dal punteggio totale dell’Hamilton Anxiety Rating Scale (HARS) (14) (10,2±3,1 vs 11±4,4, p=n.s.). La terapia associata è invece significativamente superiore nel ridurre i sintomi depressivi (Tabella 2) e nel migliorare il funzionamento sociale e la qualità di vita, per come misurati dalla Satisfaction Profile (SAT-P) social functioning (15) (68±12 vs 51±10; p=,02).
In uno studio successivo, gli stessi autori (16) effettuano un confronto tra due differenti associazioni, fluoxetina plus terapia interpersonale vs fluoxetina plus terapia cognitivo-comportamentale (CBT), su 26 pazienti con disturbo borderline di personalità in comorbilità con depressione unipolare. Alla valutazione finale, dopo 24 settimane di trattamento, le due terapie non si differenziano tra loro in quanto a percentuali di remissione, a riduzione della sintomatologia depressiva e a gravità della sintomatologia residua (Tabella 2). L’associazione fluoxetina plus CBT è superiore nel ridurre i sintomi d’ansia (HARS total score 12,5±1,1 vs 13,7±2,8; p=,007) e nel recupero del funzionamento psicologico (SAT-P psychological functioning 63±14 vs 56±15; p=,02), mentre l’associazione fluoxetina plus IPT è più utile nel migliorare il funzionamento sociale (SAT-P social functioning 70±12 vs 55±14; p=,02).
L’ultimo studio relativo all’associazione simultanea valuta l’efficacia di farmaci plus terapia interpersonale e dei ritmi sociali in un campione di pazienti affetti da disturbo bipolare I e reclutati durante un episodio affettivo acuto di qualsiasi polarità (17). Il campione è diviso in 2 gruppi in base alla presenza (n=12) o meno (n=58) di un disturbo borderline di personalità in comorbilità. In entrambi i gruppi si assiste a una globale riduzione della gravità della sintomatologia ma la presenza del DP in comorbilità si associa a una percentuale di stabilizzazione significativamente più bassa (25% vs 74%; p=,002), a un tempo richiesto per il raggiungimento di questa stabilizzazione circa 3 volte maggiore (95 vs 34 settimane; p=,005) e a una più frequente necessità di ricorrere ad antipsicotici atipici (0,9±1,4 vs 0,1±0,5; p=,0001).
Integrazione sequenziale di potenziamento
L’unico studio con questo disegno sperimentale è stato condotto da Lynch et al. nel 2007 (18). Sessantacinque pazienti ultra-sessantenni affetti da disturbo depressivo maggiore in comorbilità con un DP sono inizialmente trattati con paroxetina, sertralina o fluoxetina. I 35 pazienti che non ottengono una remissione dopo 8 settimane sono considerati “resistenti” e trattati con un nuovo antidepressivo in monoterapia o in associazione con 24 sedute di dialectical behaviour therapy. I risultati a 6 ( Tabella 2), 9 e 15 mesi dall’inizio dello studio indicano percentuali di remissione differenti tra i due gruppi, anche se la differenza non raggiunge la significatività statistica (71%, 60% e 64% per la terapia associata, 50%, 50% e 59% per la terapia farmacologica). I pazienti che seguono anche la psicoterapia ottengono la remissione in tempi più brevi (6 mesi vs 15 mesi) e un migliore controllo della sensibilità interpersonale (14,3 vs 21,3 p<,05) e dell’aggressività (2,9 vs 7,8 p<,05), per come valutate dalla Inventory of Interpersonal Problems-Personality Disorder (19).
Integrazione sequenziale orientata alla fase
Anche questo disegno sperimentale è seguito in un solo studio. Colom et al. (20) valutano l’efficacia dell’associazione farmaci plus psicoeducazione nella prevenzione delle ricadute in un gruppo di pazienti affetti da disturbo bipolare I in comorbilità con DP e in eutimia da almeno 6 mesi. In questo caso, trattandosi di pazienti bipolari, diversamente da quanto avviene in genere nei modelli di integrazione sequenziale orientata alla fase, la terapia farmacologia non viene sospesa. Durante la fase sperimentale, parte del campione (n=22) è trattato solo con farmaci, parte (n=15) con un’associazione di farmaci e psicoeducazione, quest’ultima della durata di 21 settimane. Nei successivi due anni, durante i quali tutti i pazienti proseguono il trattamento farmacologico, il gruppo farmaci plus psicoeducazione, rispetto al gruppo di controllo, ha un tempo di sopravvivenza in eutimia più lungo, un numero minore di recidive di qualsiasi polarità (66,7% vs 100%, p=,005), come pure di tipo depressivo (53,3% vs 86,4%, p=,02) e di tipo (ipo)maniacale (42,9% vs 86,4%, p=,005), e trascorre un tempo più breve in ospedale.
DISCUSSIONE
Sebbene le linee-guida suggeriscano come terapia di prima scelta per i pazienti con disturbi dell’umore in comorbilità con DP l’associazione di farmaci e psicoterapia, gli studi presenti in letteratura su questo tema sono pochi, alcuni di livello metodologico modesto e soprattutto condotti su campioni limitati (21). I risultati di questi studi sono inoltre difficilmente confrontabili a causa dell’eterogeneità del disegno sperimentale, delle popolazioni incluse e dei trattamenti praticati. I dati disponibili, pur non essendo sufficienti per dare una risposta definitiva ai quesiti che costituiscono gli obiettivi dello studio, consentono tuttavia di fare alcune considerazioni sul trattamento associato delle condizioni di comorbilità tra disturbi dell’umore e DP.
Per quanto riguarda l’efficacia, nelle forme unipolari la terapia associata non aumenta in modo significativo le percentuali di remissione dalla fase acuta (3 studi su 4), ma è comunque superiore alla monoterapia con antidepressivi in termini di accelerazione dei tempi di risposta (2 studi), di recupero del funzionamento sociale (2 studi) e di miglioramento delle dimensioni sensibilità interpersonale e aggressività (1 studio). La riduzione della sintomatologia di asse II sembrerebbe secondaria al miglioramento del disturbo dell’umore in caso di trattamento con antidepressivi, indipendente da questo, e quindi correlabile a un’azione diretta della psicoterapia, nel trattamento associato (1 studio). Sia nelle forme unipolari (1 studio), sia in quelle bipolari (1 studio) l’associazione farmaci e psicoterapia è più efficace della sola terapia farmacologica nel ridurre il rischio di recidive.
Per quanto riguarda l’influenza che i diversi cluster di personalità possono avere sulla risposta, l’unico studio che valuta questo outcome evidenzia un miglioramento più ampio nei pazienti con DP del cluster C rispetto a quelli con DP del cluster B.
Nell’unico confronto tra differenti forme di psicoterapia individuato emerge un’equivalenza tra terapia interpersonale e cognitivo-comportamentale in termini di riduzione della sintomatologia depressiva e di percentuali di remissione. Tuttavia, coerentemente con i diversi obiettivi delle due psicoterapie, la prima consente un migliore recupero del funzionamento sociale, la seconda una più ampia riduzione dei sintomi d’ansia e un migliore recupero del funzionamento psicologico. Questo dato, se confermato, prospetta la possibilità per il clinico di selezionare il tipo di psicoterapia e proporre un intervento personalizzato che tenga conto non solo del quadro psicopatologico, ma anche di eventuali specifiche aree disfunzionali di ciascun paziente.
Al contrario di quanto accade nel trattamento dei disturbi dell’umore senza comorbilità, la modalità di associazione di farmaci e psicoterapia non sembrerebbe influenzare la risposta quando è contemporaneamente presente un DP. Infatti, pur mancando un confronto diretto, negli studi disponibili i risultati sono equivalenti per i diversi protocolli, associazione simultanea o sequenziale di potenziamento per i disturbi unipolari, simultanea o sequenziale orientata alla fase per i disturbi bipolari. Anche questo dato lascerebbe intravedere la possibilità di personalizzare la cura per venire incontro alle preferenze del paziente. Benché sarebbe preferibile utilizzare fin dall’inizio una terapia associata, se il paziente rifiuta l’intervento psicologico è possibile avviare il trattamento solo con farmaci aggiungendo, se necessario, la psicoterapia in un secondo momento senza modificare le possibilità di successo.
In conclusione, le evidenze presenti in letteratura, seppur limitate e non generalizzabili, suggeriscono l’utilità di ricorrere a un’associazione farmaci e psicoterapia nei pazienti con disturbi dell’umore in comorbilità con DP. Sono tuttavia necessari ulteriori studi su campioni più estesi e con disegno sperimentale più sofisticato per confermare quanto rilevato nei trial pilota e per ottenere ulteriori informazioni (per esempio, le differenti patologie di asse II rispondono in modo specifico a differenti forme di psicoterapia?) utili per il clinico che quotidianamente si confronta con queste patologie complesse, gravi e difficili da trattare.

Questo studio è stato finanziato dalla Fondazione dell’Istituto di Psicopatologia Onlus di Roma.
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