Libri


Michael S. Gazzaniga
Human. Quel che ci rende unici
Raffaello Cortina Editore,
Milano 2009, pagine 569, € 36

“Fin tanto che il nostro cervello rimarrà un mistero, l’universo, riflesso dalla struttura del cervello, rimarrà – scrive Santiago Ramon y Cajal – anch’esso un mistero”. Da sempre, scienziati e filosofi hanno sostenuto che la mente umana è dedita all’immaginazione ed è creativa. Un tempo si pensava che solo gli esseri umani avessero la capacità di riflettere sui propri pensieri. Oggi, sappiamo che anche i ratti possiedono questa capacità e che studiando il misterioso meccanismo del sonno si è scoperto che anche le mosche effettivamente dormono, proprio come noi (Greenspan).
Invero, passando in rassegna i dati della ricerca neuroscientifica, che riguardano i nostri cervelli e le nostre menti, la nostra coscienza e la nostra creatività, emerge un fatto chiaro. Nonostante abbiamo le medesime reazioni fisiologiche e siamo caratterizzati dai medesimi componenti chimici, siamo molti diversi dagli altri animali.
A renderci diversi, per Rakic, non è la forza dei nostri muscoli o delle nostre ossa, è “il nostro cervello”. Che è l’organo che ci distingue dalle altre specie. Per anni, la questione del rapporto uomo-animale ha dato origine ad aspri conflitti e il tema non è stato ancora risolto. Alcuni autori considerano l’animale umano come parte di un continuum con gli altri animali, mentre altri riconoscono una “netta divisione” tra umani e animali. Gli studi finora riconoscono l’esistenza di enormi differenze presenti tra la mente e il cervello dell’uomo e la mente e il cervello degli altri esseri viventi.
Il cervello umano è unico. Gli esseri umani sono unici. Sono unici sia dal punto di vista fisico che per caratteristiche più complesse, come creare opere d’arte, comporre poesia o musica, immaginare, affrescare la Cappella Sistina, ragionare e formulare pensieri astratti.
Nel corso dell’evoluzione, il cervello ha sviluppato una propria specificità. L’emisfero sinistro parla, pensa e genera congetture. L’emisfero destro possiede capacità in cui eccelle rispetto a quello sinistro come la percezione visiva, il riconoscimento dei volti, l’attenzione.
Scoperte provenienti dal campo della genetica ci attestano che mentre non conosciamo tutte le funzioni dei geni, ci sono molti geni coinvolti nello sviluppo del cervello umano, che sono differenti da quelli di altri mammiferi. Le differenze così come le similitudini fisiche tra noi e i nostri cugini più prossimi, gli scimpanzé, sono evidenti. Abbiamo in comune con gli scimpanzé il 98,6% della sequenza genetica. Si pensa che tra i cinque e i sette milioni di anni fa avessimo un antenato in comune con gli scimpanzé, i nostri parenti viventi più prossimi. I discendenti di questo antenato comune nel corso dell’evoluzione hanno subito molti cambiamenti e si sono poi evoluti in Homo sapiens.
Gli studi hanno mostrato che gli esseri umani hanno una capacità innata di comprendere che i loro simili possiedono menti dotate di desideri, intenzioni, credenze e di stati mentali diversi. Questa capacità è stata chiamata per la prima volta “teoria della mente” (TOM) nel 1978 da David Premack. La capacità di osservare il comportamento altrui e di inferire gli stati mentali interiori è già presente nei bambini intorno ai quattro-cinque anni di età e ci sono indici della presenza della TOM persino prima dei due anni di età (Striedter). I soggetti con autismo hanno deficit legati alla teoria della mente e ai neuroni specchio.
Solo l’uomo possiede una teoria della mente? Finora, dopo anni di sperimentazione questa domanda deve trovare ancora una risposta soddisfacente. Alcuni studiosi ritengono che gli scimpanzé possiedano almeno alcuni aspetti della TOM (Tomasello), mentre altri autori hanno dimostrato che l’elaborazione di una strategia per ingannare l’altro è alquanto comune nelle scimmie (Byrne). Ulteriori studi hanno indicato che gli scimpanzé hanno “coscienza di cosa i loro compagni possono vedere oppure no e che si comportano di conseguenza”.
In comune con gli scimpanzé abbiamo alcune emozioni. Possiamo, per esempio, rintracciare le origini della violenza presente nell’uomo, risalendo – afferma Wrangham – alle nostre origini di scimmie. L’infanticidio è un comportamento tipico di molte specie: uccelli, pesci, roditori, insetti e primati.
Finora, la ricerca sperimentale si è concentrata soprattutto sulle capacità cognitive dell’essere umano. Non si è concentrata a sufficienza – rileva Gazzaniga – su “ciò che il cervello fa meglio: pensare socialmente”. Il nostro cervello sociale ha “basi biologiche” ed è il risultato della selezione naturale per poter sopravvivere e prosperare. Le forme di altruismo sono spiegate sia attraverso la selezione di parentela sia per il fatto che se un individuo fa un favore a un altro individuo ritiene che quel favore verrà restituito e questo comporterebbe un vantaggio rispetto alla sopravvivenza (Trives). Questo comportamento viene chiamato “altruismo reciproco” (Stevens).
Allo sviluppo della nostra mente sociale provvedono la selezione naturale; la selezione sessuale, cioè le dinamiche coinvolte nella selezione di un compagno e nella riproduzione (esempio: la coda del pavone o possedere una macchina costosa); e una quantità maggiore di cibo per nutrire i nostri cervelli in crescita. La mente è emersa come “adattamento” alle esigenze sociali, le quali hanno fornito il contesto evolutivo necessario per lo sviluppo dell’intelligenza (Humphrey).
Ogni decisione che prendiamo si riduce alla necessità di avvicinarsi o di allontanarsi. Se qualcosa è bene, ci avviciniamo; se è male, ci allontaniamo. E tuttavia, l’essere umano risponde più velocemente agli stimoli negativi, come per esempio ai volti con espressioni sfavorevoli o agli atti immorali. Essi catturano la nostra attenzione (tivù e giornali vivono di cattive notizie soprattutto a contenuto ansiogeno e morboso) e hanno effetti negativi sul nostro stato d’animo, sui nostri giudizi morali e sul nostro stato psichico e fisico attraverso l’aumento della pressione sanguigna, dell’attività del cuore e del ritmo cardiaco (Rozin).
Alcuni autori poi sostengono l’idea di un cervello con circuiti specializzati per la risoluzione di problemi specifici. Questa idea, chiamata teoria del cervello modulare, è stata descritta per la prima volta da Gazzaniga nel suo libro Il cervello sociale, in base alla considerazione che lesioni del cervello possono produrre deficit “ben delimitati e specifici” nei pazienti (linguaggio, pensiero, percezione, attenzione, ecc.).
In realtà, i moduli, definiti come “unità dedicate a svolgere processi mentali”, non sono “cubetti isolati”, ma circuiti ampiamente distribuiti, come dimostrano i moderni studi di brain imaging. Tra l’altro, esistono moduli etici universali innati (non uccidere, non rubare o ingannare, è giusto aiutare, essere onesti). Gli esseri umani sono gli unici animali che arrossiscono e piangono, a dimostrazione che possiedono sentimenti morali ed emozioni, i quali sono presenti fin dalla nascita.
Esseri umani senza morale come gli psicopatici non hanno emozioni morali di empatia, né senso di colpa o vergogna. Anche le religioni sono collegate alle intuizioni morali, a sottolineare sin dagli albori dell’umanità l’esigenza dell’uomo di trovare risposte alla sofferenza, alla malattia, all’ansia e alle paure, ai problemi morali e alla salvezza dell’anima.
Gli animali hanno un senso morale? Gli scimpanzé o i cani si arrabbiano come noi, di fronte alle violazioni di proprietà o agli attacchi al proprio gruppo. Quindi alcuni animali possiedono – precisa Gazzaniga – “una moralità intuitiva”.
Anche il comportamento imitativo, che è l’inizio dell’apprendimento e dell’interazione sociale, è una capacità “innata” (Meltzoff). Numerosi studi hanno mostrato che i neonati da 42 a 72 minuti dopo la nascita sono in grado di “imitare le espressioni facciali”, come per esempio tirare fuori la lingua, imitando così l’azione della madre. Studi condotti sui neonati hanno dimostrato che quando essi sono esposti al pianto di un altro neonato, viene indotta una risposta di dolore e dunque di pianto. La tendenza a imitare le espressioni facciali, le vocalizzazioni, le posture e i movimenti di un’altra persona si chiama “contagio emotivo” (Hatfield, et al.).
In una frazione di secondo, noi siamo in grado di assumere lo stato d’animo di un’altra persona, “provando” l’emozione della sua sofferenza o della sua gioia. Il neonato subisce l’influenza della madre ansiosa o depressa: è distratto, irritabile e meno attivo, ha reazioni di stress con un elevato battito cardiaco e livelli di cortisolo, nonché uno stato d’animo depresso (Field).
Perché e come ha luogo il contagio emotivo? Studi di neuroimaging mostrano che stati emotivi come il disgusto e il dolore attivano aree cerebrali sia quando vediamo espressioni facciali di disgusto o di dolore sia quando sperimentiamo noi stessi questa esperienza. Queste scoperte hanno implicazioni sull’emozione dell’empatia. La quale implica l’essere in grado di individuare l’emozione di un’altra persona, essere coscienti di essa e “prendersene cura” (comportamento altruistico). A ciascuna emozione – paura, rabbia, dolore – corrisponde una risposta fisiologica: sudorazione, aumento del battito cardiaco, sensazione di brivido, ecc.
La prima prova concreta dell’esistenza di un legame neurale tra l’osservazione e l’imitazione di un’azione o di un’emozione è stata la scoperta dei neuroni specchio. Questi si attivano sia quando un soggetto compie un’azione sia quando egli semplicemente “vede” un altro individuo mentre compie la medesima azione. Anche nelle scimmie, nei ratti e nei piccioni è stata dimostrata la presenza del contagio emotivo. I cani poi hanno alcune capacità innate simili a quelle degli umani come comprendere ciò che gli umani possono vedere; scovare il cibo nascosto in un punto indicato da un essere umano; non avvicinarsi al cibo proibito; spaventarsi di fronte ai serpenti e riconoscere i predatori.
L’uomo solo ora sta cominciando a comprendere quali siano le sue capacità. In verità, tutto parte dal cervello. È dal cervello, e solo dal cervello, che nasce – scriveva già Ippocrate nel 400 a.C. – “ogni nostro piacere, gioia, sorriso e scherzo, così come ogni nostra tristezza, dolore, preoccupazione e lacrima”.

Guido Brunetti