Documento di consenso: modello di gestione integrata del paziente con agitazione psicomotoria
Consensus document: a model of integrated management
of patients with psycomotor agitation

GRUPPO AIR
E-mail: mario.amore@unige.it


RIASSUNTO. L’agitazione psicomotoria (APM) rappresenta un quadro clinico eterogeneo, esito di una varietà di processi patologici differenti, sulla cui corretta valutazione e gestione la letteratura scientifica e le linee-guida attualmente disponibili presentano una notevole disomogeneità e mancanza di standardizzazione, in particolare riguardo alle terapie farmacologiche. Partendo da questa carenza, e dalla consapevolezza della necessità di un approccio multidisciplinare a questa condizione, che comprende aspetti comuni a diverse professionalità sanitarie così come fattori relativi a competenze di farmacoeconomia e di gestione del rischio, è stato intrapreso un progetto teso all’elaborazione di un modello condiviso di gestione integrata del paziente con APM. Tale modello, basato sul lavoro di un board scientifico e di un panel multidisciplinare di esperti, chiamato a raggiungere un consenso attraverso la metodologia Delphi-RAND, si propone come indicazione di buona pratica clinica nella gestione di questi pazienti. Il presente documento riporta i risultati di questo percorso di consenso, i cui principi fondamentali sono la centralità del paziente considerato come soggetto attivo e partecipante, la necessità di intervenire precocemente con azioni non contenitive in grado di evitare l’escalation sintomatologica e permettere il proseguimento dell’iter diagnostico-terapeutico, l’impiego di trattamenti farmacologici adeguati al grado di gravità della sintomatologia e l’importanza di integrare e armonizzare fra loro gli interventi delle diverse professionalità coinvolte.

Parole chiave: agitazione psicomotoria, valutazione dell’agitazione, trattamento farmacologico, emergenza psichiatrica, de-escalation.


SUMMARY. Psychomotor agitation (PMA) is a heterogeneous clinical syndrome associated with a widenumber of pathological conditions. The currently available recommendations and guidelines on PMA correct assessment and management are significantly dishomogeneous and suffer from a lack of standardization, especially regarding pharmacological interventions. Based on this deficiency, and on multidisciplinary nature of PMA, that includes factors shared by different health professionals other than pharmacoeconomic and risk management aspects, we started a project aimed to elaborate a shared model of integrated management for PMA patients. The model, developed by a scientific board and a multidisciplinary panel using the consensus Delphi-RAND method, aims to give indications of good clinical practice for the management of these patients. The present document reports the results of this consensus process, whose main principles are the centrality of the patient, as an active and collaborating subject, the importance of prompt and not coercive interventions able to block the escalation to violence and to allow a correct diagnostic and therapeutic workup, the appropriate use of pharmacological interventions based on the severity of symptoms and the importance of an integrated and harmonized approach by the different professionals involved in PMA management.

KEY WORDS: psychomotor agitation, agitation assessment, pharmacological treatment, psychiatric emergency, de-escalation.

INTRODUZIONE
L’agitazione psicomotoria (APM), definita nel DSM-5 come una «eccessiva attività motoria associata a una sensazione di tensione interna»1, è un quadro clinico (o sintomatologico) esito di una varietà di processi patologici differenti. Le caratteristiche principali descritte nei pazienti con agitazione includono, tra le altre, l’incapacità a restare fermi, con un eccesso di attività motoria non produttiva o afinalistica (camminare, sfregarsi le mani, tirare i vestiti), irritabilità, elevata responsività agli stimoli interni ed esterni e un decorso della sintomatologia instabile nel tempo 2. Sebbene l’aggressività e la violenza non rappresentino necessariamente elementi nucleari dell’agitazione, l’evoluzione della gravità della sintomatologia può sfociare in comportamenti aggressivi e violenti. Caratteristica importante della APM, qualunque ne sia la causa e qualunque sia la gravità della condizione soggiacente, è infatti che essa si colloca lungo un continuum che dalle situazioni di semplice attivazione ideativa e comportamentale può giungere fino agli episodi più acuti e violenti3-5.
In generale, nonostante le numerose definizioni prodotte al fine di caratterizzare la APM, questa rimane una sindrome multiforme e multifattoriale, potenzialmente associata a condizioni diverse, incluse patologie propriamente psichiatriche (schizofrenia e disturbo bipolare principalmente), numerose condizioni mediche e sindromi da intossicazione/astinenza6. A una simile multiforme eziopatogenesi corrisponde una molteplicità dei setting clinici potenzialmente coinvolti nella gestione dei pazienti con APM, i quali possono giungere all’osservazione medica non solo presso strutture sanitarie di competenza strettamente psichiatrica – come Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura (SPDC), Centri di Salute Mentale (CSM) e strutture territoriali – ma anche, spesso, in contesti diversi non specialistici – Pronto Soccorso (PS) generale, reparti di medicina e chirurgia, domicilio –, con il coinvolgimento, accanto agli psichiatri, di altre professionalità sanitarie, fra cui in particolare i medici e infermieri di PS 6.
I dati sull’epidemiologia della APM sono scarsi e derivano principalmente da studi effettuati in setting specifici e su campioni selezionati. Nei servizi di emergenza psichiatrici sono riportati tassi di prevalenza dell’agitazione compresi fra il 4 e il 10%7-9, mentre è stato calcolato che il 20-50% delle visite in tali servizi riguardano pazienti potenzialmente a rischio di agitazione, in quanto affetti da schizofrenia, disturbo bipolare o demenza10,11. Nell’ambito delle strutture non psichiatriche, un recente studio spagnolo condotto su oltre 355.000 schede di dimissione ospedaliera riporta una diagnosi di APM nell’1,5% di pazienti12.
A fronte della rilevanza clinica e dell’impatto epidemiologico di questa sindrome, la letteratura scientifica e le linee-guida attualmente disponibili per la corretta valutazione e gestione della APM presentano una notevole disomogeneità e una mancanza di standardizzazione, in particolare riguardo alle terapie farmacologiche da praticare in condizioni di emergenza13-16.
Le linee-guida della American Association for Emergency Psychiatry nell’ambito del Progetto BETA (2012) raccomandano l’uso preferenziale di farmaci per via orale rispetto alla via parenterale “se il paziente è collaborativo”17, le raccomandazioni NICE (2005) prediligono i trattamenti orali “nell’ambito del possibile”18. Il recentissimo documento di consenso della World Federation of Societies of Biological Psychiatry (WFSBP) (2016) sottolinea come una gestione inadeguata dell’agitazione possa comportare un uso eccessivo e non necessario di misure coercitive, una escalation verso la violenza con possibili danni per il personale sanitario e i pazienti, oltre che costi economici rilevanti per il sistema sanitario. Il documento propone una serie di raccomandazioni fondate su interventi non farmacologici, focalizzati a evitare l’escalation sintomatologica, e su trattamenti farmacologici (antipsicotici tipici e atipici e/o benzodiazepine), il cui primo obiettivo deve essere quello di calmare rapidamente il paziente agitato senza sedarlo eccessivamente 19. In assenza di una letteratura solida sull’argomento, rimangono sostanziali incertezze  circa le scale di valutazione utilizzabili per determinare la gravità dell’agitazione nei diversi setting clinici (nonostante la numerosità degli strumenti proposti)3, sull’impiego degli interventi non farmacologici e specialmente sulla scelta dei farmaci e delle vie di somministrazione ottimali nei diversi quadri clinici. In particolare, per quanto riguarda il tentativo di standardizzare e rendere più obiettiva la valutazione dei pazienti con APM, negli ultimi decenni sono state sviluppate numerose scale, applicabili in contesti clinici diversi, caratterizzate da maggiore o minore complessità. Sebbene l’effettiva applicabilità di questi strumenti nella pratica clinica reale sia molto variabile, le scale possono essere utili per indirizzare verso il trattamento appropriato del paziente, consentendo una distinzione orientativa tra APM lieve, moderata e grave 3.
Parte dell’attuale incertezza nella terapia farmacologica della APM deriva dalla consapevolezza, comunemente accettata, che un trattamento ideale per la gestione acuta di questi pazienti dovrebbe essere facile da somministrare e non traumatico, calmare rapidamente il paziente senza sedarlo eccessivamente e presentare un rapido inizio dell’effetto con una scarsa variabilità farmacocinetica, un basso rischio di eventi avversi significativi e interazioni farmacologiche3,19,20. Nella realtà, nell’impossibilità di conciliare la rapidità d’azione offerta dalle vie di somministrazione parenterali – intramuscolo (i.m.) ed endovenosa (e.v.) – con l’obiettivo di evitare il più possibile i trattamenti invasivi e potenzialmente traumatici per il paziente, l’approccio generale alla terapia farmacologica della APM è quello di preferire i farmaci per via orale nei pazienti con agitazione lieve e collaboranti, privilegiando la rapidità d’azione della somministrazione i.m. (o, in casi di estrema necessità, e.v.) nei pazienti con agitazione grave 19. È evidente tuttavia che nessuno degli approcci terapeutici attualmente disponibili risponde alla definizione di farmaco ideale sopra riportato, lasciando insoddisfatte numerose esigenze cliniche e sottolineando la necessità di ulteriori opzioni farmacologiche. In questo contesto, la formulazione inalatoria di un antipsicotico (loxapina) recentemente introdotta in alcuni paesi europei, caratterizzata da elevata rapidità d’azione, farmacocinetica sovrapponibile a quella di una somministrazione e.v. e non invasività della somministrazione 21-23, può rappresentare una valida opzione per il trattamento di pazienti con agitazione lieve-moderata19, di cui è importante definire il ruolo nell’ambito della gestione complessiva dei pazienti con APM nella pratica clinica.
Accanto al trattamento farmacologico ottimale, essenziali e poco esplorati nelle raccomandazioni esistenti sono gli aspetti legati alla definizione di un percorso multidisciplinare condiviso per la gestione dei pazienti con APM. Come sopra sottolineato, la possibilità di prevenire una escalation sintomatologica pericolosa per il paziente e per gli operatori e le strutture sanitarie si basa su una serie di azioni congiunte che non riguardano semplicemente la somministrazione di un farmaco appropriato, ma configurano un percorso integrato che va dall’accoglienza del paziente e dalla sua valutazione clinica e psichiatrica, alla predisposizione di ambienti adeguati, al coordinamento fra le diverse specialità cliniche e infermieristiche coinvolte, alla formazione dell’intero personale sanitario e dei farmacisti ospedalieri, alla valutazione e prevenzione dei rischi connessi alle emergenze, fino alla definizione degli aspetti farmacoeconomici legati alla gestione dell’agitazione e alla valutazione di un farmaco che si inserisce nel trattamento dell’APM. È importante quindi che un percorso ottimale per la gestione dei pazienti con APM venga definito e condiviso dalle diverse figure professionali coinvolte, al fine di identificare un modello unitario che consenta l’integrazione e l’armonizzazione dei diversi interventi e aspetti.
A questo scopo, è stato costituito un expert panel con competenze multidisciplinari, coordinato da un board di specialisti, con l’obiettivo di elaborare un modello condiviso di gestione integrata del paziente con APM, espressione del consenso di questo gruppo di lavoro. I risultati di questo percorso di consenso sono riportati nel presente documento.
METODI
Il percorso di consenso per stabilire l’adeguatezza delle procedure in ambito diagnostico/terapeutico e organizzativo per la gestione dei pazienti con APM è stato condotto utilizzando la metodologia Delphi-RAND, basata sulla definizione di un elenco di procedure delle quali valutare l’adeguatezza in ambito sia clinico sia organizzativo, al fine di redigere un modello gestionale integrato24. Sviluppato per combinare la migliore evidenza scientifica disponibile con il giudizio collettivo di esperti, il metodo RAND è stato ampiamente utilizzato e validato nella letteratura internazionale per lo sviluppo di criteri condivisi di appropriatezza in diversi ambiti clinici25,26.
Definizione dei contenuti del modello di gestione integrata
Allo scopo di identificare e definire i contenuti da inserire nel modello gestionale, è stato costituito un board multidisciplinare composto da 11 membri, espressione delle seguenti competenze, scelte in quanto rappresentative dello spettro di figure professionali potenzialmente coinvolte nella gestione dei pazienti con APM:

• Psichiatria (n=3)
• Medicina di emergenza (n=2)
• Case management (n=1)
• Farmacia ospedaliera (n=1)
• Risk management (n=2)
• Direzione sanitaria (n=1)
• Farmacoeconomia (n=1).

Compiti del board sono stati l’identificazione dei limiti e delle criticità dell’attuale gestione dei pazienti con APM e la definizione degli scenari clinici di applicazione del modello di gestione integrata, così come dei singoli elementi/procedure, da inserire nel modello sulla base delle evidenze scientifiche disponibili in letteratura. Il board si è riunito in due distinte occasioni e, quando necessario, ha scambiato opinioni e commenti per e-mail o tramite contatto telefonico, raggiungendo così il consenso sulle procedure seguite. Al termine di questo percorso, gli elementi del modello gestionale, suddivisi in ambiti di applicazione, sono stati inseriti in un’apposita “scheda raccolta pareri”, da sottoporre al parere dell’expert panel.
Ambiti ed elementi del modello di gestione integrata
La scheda “raccolta pareri”, espressione del lavoro del board, è stata composta da una serie di procedure (“elementi del modello”), suddivise in 6 ambiti di competenza (clinico, infermiere-case manager, farmacista ospedaliero, risk manager, farmacoeconomista e direttore sanitario) e inserite all’interno di diversi scenari clinici.
La scheda era suddivisa in due parti. Il capitolo I, organizzativo, conteneva gli elementi generali relativi all’organizzazione di una struttura sanitaria per la gestione del paziente con APM, per un totale di 48 elementi suddivisi in base alla specialità di competenza (psichiatra, medico di PS, infermiere-case manager, farmacista ospedaliero, risk manager, farmacoeconomista e direttore sanitario). Tali elementi coprivano i diversi aspetti organizzativi della gestione dell’APM, quali la definizione di percorsi diagnostico-terapeutici assistenziali aziendali e/o territoriali, l’inserimento dei farmaci nel prontuario ospedaliero/regionale, la definizione di procedure condivise per ridurre i rischi associati agli episodi di agitazione, la condivisione delle procedure gestionali fra le diverse professionalità cliniche mediche e infermieristiche e la necessità di raccogliere dati sugli aspetti farmacoeconomici legati alla gestione del paziente con APM, come i costi legati a danni/lesioni derivanti dalla gestione degli episodi di APM.
Il capitolo II, scenari clinici, che conteneva gli elementi clinici relativi alla gestione del paziente con APM da parte del clinico e/o dell’infermiere, era composta da 3 diversi scenari clinici che rappresentano i diversi setting in cui può presentarsi un paziente con APM (paziente con APM che si presenta in PS, paziente con APM ricoverato in SPDC e paziente con APM seguito presso CSM/centri diurni/strutture residenziali/REMS). Per ogni scenario, gli elementi erano suddivisi in base alle specialità di competenza (infermiere-case manager, medico di PS e psichiatra per il primo scenario di PS, infermiere-case manager e psichiatra per gli altri due), per un totale di 134 elementi. Gli elementi inseriti nei diversi scenari riguardavano la gestione del paziente (triage, gestione degli accompagnatori, gestione dei tempi di attesa) e le procedure diagnostiche/terapeutiche, inclusi i trattamenti farmacologici e l’uso di mezzi di contenzione fisica.
Costruzione del consenso secondo il metodo Delphi-RAND
Per la costruzione del consenso, è stato costituito un expert panel multidisciplinare composto da 57 membri, con le medesime competenze del board (infermiere-case manager, n=5; direttore sanitario, n=2; farmacista ospedaliero, n=7; farmacoeconomista, n=2; medico di ps, n=7; psichiatra, n=29; risk manager, n=6).
Ciascun membro del panel ha espresso il proprio giudizio riguardo all’adeguatezza degli elementi contenuti nella scheda raccolta pareri, utilizzando un’apposita piattaforma web. Il giudizio di adeguatezza è stato espresso su una scala da 1 a 9, dove 1 era il livello di adeguatezza minimo (“mai adeguato”) e 9 il livello di adeguatezza massimo (“sempre adeguato”). La definizione di adeguatezza utilizzata era la seguente: «Un elemento è giudicato adeguato se l’applicazione dello stesso, all’interno di un modello gestionale, insieme al giudizio clinico, supera le conseguenze negative attese di un margine sufficientemente ampio, per una specifica indicazione, tale per cui l’elemento è generalmente (in tutte le strutture sanitarie) considerato un intervento assistenziale accettabile e un approccio ragionevole». Presupposti teorici per il giudizio di adeguatezza erano l’assenza di controindicazioni individuali per l’elemento in oggetto, la disponibilità e l’accessibilità di tutti gli elementi e la loro applicabilità e interpretazione da parte di un esperto. I costi diretti o indiretti non erano da tenere in considerazione. I giudizi del panel multidisciplinare sono stati espressi da tutte le specialità coinvolte per quanto riguarda gli item del capitolo I (organizzativo) e solo dalle specialità coinvolte per gli item del capitolo II (scenari clinici) in cui il medico psichiatra e di PS hanno risposto a tutti gli elementi, l’infermiere-case manager solo a quelli di competenza).
L’expert panel ha espresso il proprio giudizio in due round di consultazione distinti: un 1° round in cui ogni rispondente non era a conoscenza dei giudizi espressi dagli altri (gennaio 2016) e un 2° round in cui ogni rispondente era a conoscenza del valore medio e del range fra il 30° e il 70° percentile dei giudizi espressi dagli altri (febbraio 2016), rimanendo libero di modificare il proprio parere. Inoltre, un “campo note” era disponibile per ogni elemento, per eventuali suggerimenti o commenti da parte dei componenti del panel.
Sulla base delle risposte complessive emerse dal 2° round, ogni singolo elemento del modello è stato classificato come “adeguato” (punteggio mediano: 7-9), “incerto” (punteggio mediano: 4-6) o “non adeguato” (punteggio mediano: 1-3). Inoltre, è stato registrato il grado di accordo o disaccordo all’interno dell’expert panel in merito a ciascun elemento del modello, secondo la seguente definizione di disaccordo: «Dispersione eccessiva dei giudizi individuali dalla mediana del gruppo dimostrata da un IPR (Interpercentile Range) maggiore dell’IPRAS (Interpercentile Range Adjusted for Simmetry)». Allo scopo di compensare la diversa numerosità delle varie competenze presenti nel panel, sono stati assegnati pesi diversi alle risposte, aggiustando per la numerosità degli esperti in quel campo presenti nel panel, limitatamente agli elementi di competenza.
RISULTATI: IPOTESI PER UN MODELLO DI GESTIONE INTEGRATA DEL PAZIENTE CON APM
Un totale di 182 elementi sono stati sottoposti al giudizio dei componenti dell’expert panel, dei quali 134 (74%), 31 (17%) e 17 (9%) sono stati considerati adeguati, incerti o non adeguati, rispettivamente. Il livello di accordo è risultato complessivamente molto alto, con un solo item su 182 per il quale è stato registrato un “disaccordo”. A conferma di ciò, un’analisi effettuata senza l’aggiustamento dei pesi delle diverse risposte ha dato risultati sostanzialmente sovrapponibili.
Vengono qui riassunte le caratteristiche di appropriatezza assegnate agli elementi clinici e organizzativi presentate nei diversi scenari, che formano la base per la strutturazione di un modello integrato per la gestione del paziente con APM.
Capitolo I organizzativo: scenario unico
Questo capitolo conteneva un totale di 48 elementi generali relativi all’organizzazione di una struttura sanitaria per la gestione del paziente con APM, suddivisi secondo le diverse competenze professionali interessate.
Direttore sanitario
Nell’ambito dei 15 item relativi a questa competenza, 14 sono stati giudicati adeguati e solo 1 incerto, senza presenza di “disaccordo”. Le procedure considerate adeguate, e da inserire nel modello gestionale, hanno concordato nell’insieme sulla necessità di definire e approvare a livello aziendale, e se possibile regionale/territoriale, percorsi condivisi (Percorso Diagnostico Terapeutico Assistenziale - PDTA) per la gestione del paziente con APM, privilegiando in particolare l’obiettivo di ridurre il ricorso alla contenzione fisica e la preferenza per terapie che tranquillizzino rapidamente il paziente senza sedarlo eccessivamente.
Accanto agli aspetti clinici, un secondo obiettivo altrettanto importante dovrebbe essere la definizione di procedure condivise che possano portare alla riduzione dei rischi per persone (pazienti, accompagnatori e personale sanitario) e cose, con conseguenti contenziosi legali, nell’ambito della gestione dei pazienti con APM. In quest’ottica, risulta adeguato anche l’inserimento della figura del risk manager nella struttura ospedaliera, laddove non fosse presente.
L’unico elemento rimasto incerto in questa sezione riguardava «la preferenza per terapie che riducano i tempi di osservazione successivi alla somministrazione». Tuttavia, pur non volendo suggerire una gestione frettolosa del paziente con APM, occorre sottolineare come, specie per i pazienti ricoverati in PS, esista la necessità di evitare un eccessivo stazionamento del paziente in un luogo non idoneo e dove non può essere garantita una adeguata osservazione, permettendo anche il proseguimento di un percorso diagnostico appropriato.
Farmacista ospedaliero
Tutti i 10 elementi proposti, che tendevano a proporre i criteri per una valutazione completa di un farmaco da inserire nella gestione terapeutica dei pazienti con APM, hanno ottenuto un giudizio di adeguatezza concorde dagli esperti.
In particolare, si è ottenuto un consenso relativamente agli elementi di cui ha bisogno un farmacista ospedaliero per valutare l’inserimento di un farmaco nuovo per la gestione dell’APM nel prontuario ospedaliero e regionale (quest’ultimo non presente in tutte le realtà italiane): valutazione della maneggevolezza del farmaco nell’impiego clinico, della disponibilità di preparati pronti all’uso, dell’incidenza del farmaco sul rischio clinico, degli studi di costo-efficacia presenti in letteratura e delle alternative terapeutiche disponibili.
L’implementazione della possibilità di richieste di dispensazione extra-prontuario e la formazione degli operatori sanitari prima dell’acquisto di un nuovo farmaco, specie nel caso di principi attivi o formulazioni innovative, rappresentano ulteriori elementi giudicati adeguati.
Risk manager
I 9 elementi di competenza del risk manager, tutti appropriati con un alto punteggio e alto grado di accordo, riprendevano, dal punto di vista di questa specifica competenza, il tema della necessità di ridurre il rischio di lesioni personali, di contenziosi legali relativi alla gestione del paziente con APM e di danni alle strutture, da ottenere attraverso il disegno di procedure gestionali condivise. Da inserire nel modello gestionale, anche la creazione di sistemi di segnalazione e di analisi degli eventi avversi, al fine di ottenere dati epidemiologici affidabili e implementare eventuali azioni correttive.
Infermiere-case manager
Dal giudizio espresso sui 4 elementi organizzativi di competenza infermieristica, tutti risultati adeguati, emerge l’opportunità di prevedere una figura infermieristica di case manager, già ampiamente operativa in alcuni setting terapeutici (per es., nei Centri di Salute Mentale), responsabile dell’effettiva continuità terapeutica all’interno del percorso individuale di cura, portatore di una formazione specifica sulla comunicazione con il paziente e sulle tecniche di de-escalation verbale e in grado di organizzare tempestivamente un piano di trattamento sulla crisi. Per quanto difficile in molte realtà italiane, specie nel setting del PS, una tale figura appare altamente auspicabile e a favore della continuità terapeutica, incluso il rapporto ospedale-territorio. Inoltre, l’ottimizzazione, la formazione e l’organizzazione dello staff infermieristico per la gestione del paziente prima che venga visitato dal medico dovrebbe far parte integrante di un modello gestionale organizzativo per la APM.
Farmacoeconomista
Tutti i 7 elementi relativi agli aspetti farmacoeconomici della gestione del paziente con APM sono stati giudicati adeguati con alto grado di accordo. In particolare, è stata giudicata adeguata la raccolta di dati sui costi indiretti e i costi diretti non sanitari relativi agli episodi di APM:
• conseguenze degli avvenimenti che determinano eventuali contenziosi legali ed esiti di questi contenziosi per l’azienda ospedaliera/ASL;
• richieste di indennizzo da parte degli operatori sanitari in seguito a danni/lesioni;
• tipo di contratti assicurativi stipulati dalle strutture sanitarie per tutelarsi in caso di contenziosi, giornate lavorative perse ed esiti permanenti a carico dei lavoratori.
Tali costi, infatti, vengono influenzati dalle scelte terapeutiche e dalla loro appropriatezza, e devono essere quindi adeguatamente conosciuti, quantizzati e presi in considerazione nella valutazione complessiva di nuovi trattamenti farmacologici da inserire in prontuario.
Medico di PS
Adeguata è anche stata giudicata la necessità di procedure condivise fra medici di PS e psichiatri nei PS dove non è sempre disponibile la consulenza psichiatrica. Il senso di tale raccomandazione è quello di predisporre indicazioni condivise con lo specialista psichiatra che possano essere utilizzate da tutti i medici presenti in PS, indipendentemente dalla loro specifica formazione, nella gestione dei pazienti con APM.
Volendo sintetizzare i risultati di questa parte organizzativa sulla gestione del paziente con APM, può essere utilizzato un elemento inserito in tutti i diversi ambiti di competenza e da tutti gli esperti giudicato adeguato, circa la partecipazione delle diverse figure professionali coinvolte alla definizione di procedure gestionali condivise e di PDTA ospedalieri. È evidente infatti che la gestione del paziente con APM coinvolge aspetti clinici, infermieristici, di organizzazione del personale sanitario, di gestione del rischio e di valutazione dei costi economici che possono essere affrontati in maniera appropriata solo tramite un approccio di collaborazione multidisciplinare.
La Figura 1a riassume la proposta di modello gestionale per il paziente con APM relativamente agli elementi generali organizzativi come emersa dal percorso di consenso.
Capitolo II: scenari clinici
Il capitolo II della scheda raccolta pareri era dedicato agli elementi clinici relativi alla gestione del paziente con APM in 3 diversi scenari: PS, SPDC e CSM/presidi territoriali. Gli elementi di ogni scenario erano suddivisi secondo le diverse competenze professionali interessate: infermiere-case manager, medico di ps e psichiatra per il primo scenario, infermiere-case manager e psichiatra per gli scenari 2 e 3. Questi ultimi due scenari (pazienti con APM ricoverati in un SPDC o seguiti presso le strutture territoriali) sono stati accorpati nella trattazione, sulla base della omogeneità della popolazione di pazienti interessata (di competenza psichiatrica) e della uniformità delle indicazioni fornite dal panel (le risposte sull’adeguatezza delle procedure diagnostiche/terapeutiche sono risultate sovrapponibili nei due scenari).
Paziente con APM che giunge in PS (scenario 1)
Infermiere-case manager: tutti i 7 elementi che riguardavano la competenza infermieristica nella gestione del paziente con APM che si presenta in PS sono stati giudicati adeguati con alto grado di accordo. Nel modello gestionale proposto rientra dunque nei compiti dell’infermiere l’esecuzione del triage, la valutazione iniziale del paziente attraverso il colloquio e l’osservazione, la prevenzione dell’escalation sintomatologica e la gestione dei tempi di attesa per il primo contatto con il medico di PS o per la consulenza specialistica e degli eventuali accompagnatori, configurando quindi anche in questo ambito una vera e propria figura di case manager, responsabile della corretta gestione clinica-organizzativa del paziente con APM. Inoltre, aspetto importante e non trascurabile è la raccolta e la comunicazione delle eventuali preferenze del paziente riguardo l’approccio terapeutico.

Medico di PS: dei 29 elementi diagnostico/terapeutici che comprendevano questa sezione clinica relativamente al medico di PS, 19 sono stati giudicati adeguati (1 con “disaccordo” all’interno del gruppo di esperti), 7 incerti e 3 non adeguati. Ne risulta che, dal punto di vista diagnostico, vanno implementate tutte le misure di valutazione diagnostica differenziale fra cause psichiatriche e non psichiatriche di APM e la valutazione del livello di gravità della APM mediante l’uso di scale apposite e in base all’esperienza clinica. La gestione terapeutica dovrebbe prevedere la massima precocità del trattamento (così da prevenire l’escalation sintomatologica), utilizzando la de-escalation verbale come primo approccio terapeutico. Il coinvolgimento dello specialista psichiatra da parte del medico di PS nella gestione dei pazienti con APM è stato giudicato adeguato nei casi con APM moderata o grave, incerto nei casi lievi.
Per quanto riguarda strettamente la terapia farmacologica, i giudizi di adeguatezza sono stati stratificati in base al livello di gravità della APM:
1. nei casi lievi, la preferenza va data a un trattamento orale o inalatorio (quest’ultimo con “disaccordo” all’interno del gruppo), mentre va evitata una terapia e.v. (rimane incerto il giudizio sulla terapia i.m.);
2. nei casi moderati, può anche essere considerata adeguata una terapia orale o inalatoria, mentre rimane incertezza su tutte le altre vie di somministrazione (i.m. ed e.v.);
3. nei casi gravi, adeguata è la preferenza per un trattamento i.m. o e.v. (incerto il giudizio su terapie orali o inalatorie).
Nel complesso, queste indicazioni riflettono quelle delle principali linee-guida, che privilegiano l’utilizzo di trattamenti non invasivi per i pazienti con APM lieve o moderata, al fine di salvaguardare la possibilità di un rapporto con il paziente, e di terapie parenterali nei casi gravi. Significativo può essere il giudizio espresso dal panel sull’adeguatezza, nei casi lievi-moderati, di una terapia inalatoria, potenzialmente in grado di conciliare la necessità di utilizzare trattamenti rapidamente efficaci così da prevenire l’escalation dell’agitazione con il rispetto dell’integrità fisica e psicologica del paziente.
Per quanto riguarda il ricorso alle procedure di contenzione fisica, questo dovrebbe essere minimizzato per quanto possibile: il loro utilizzo è giudicato non adeguato nei pazienti con APM lieve e moderata, incerto nei casi con APM grave.
Infine, a parere degli esperti, vanno inserite in un modello gestionale adeguato di un paziente con APM in PS, la preferenza per trattamenti che permettano la corretta prosecuzione del percorso diagnostico-terapeutico (evitando una eccessiva sedazione) e che riducano i tempi di osservazione successivi alla somministrazione e la necessità di monitoraggio, oltre all’opportunità di mantenere un costante rapporto di collaborazione con il paziente, prendendo in considerazione le sue preferenze riguardo all’approccio terapeutico e informandolo correttamente riguardo al percorso di trattamento dell’APM.






Psichiatra chiamato a consulto: sul totale dei 28 elementi che riguardavano l’adeguatezza dei procedimenti diagnostici/terapeutici relativamente allo psichiatra chiamato a consulto per un paziente con APM in PS, quelli giudicati adeguati sono stati 16, gli incerti 8 e 4 gli elementi considerati non adeguati.
Accanto all’adeguatezza di elementi già approvati nel quadro della competenza del medico di PS (valutazione del livello di gravità dell’APM e massima precocità del trattamento, iniziando con una de-escalation verbale), lo psichiatra ha ritenuto adeguato di farsi carico della diagnosi differenziale e dell’identificazione delle cause dell’agitazione, oltre che della gestione delle comorbilità medico-chirurgiche.
Gli elementi relativi alle preferenze generali sull’approccio farmacologico (tranquillizzante e non sedante, con minore necessità di osservazione e di monitoraggio) e sulla collaborazione medico-paziente risultano tutti adeguati come nel quadro precedente relativo alla competenza del medico di PS.
I giudizi di adeguatezza circa il trattamento farmacologico dei diversi livelli di gravità della APM anche dal punto di vista psichiatrico ricalcano quanto già descritto sopra, con una preferenza accordata per la terapia orale nei pazienti con APM lieve (nei quali viene giudicata non adeguata una terapia parenterale i.m. o e.v.) o moderata (incertezza per le altre vie di somministrazione), e per la terapia i.m. nelle forme gravi (incerte risultano le altre opzioni). Incertezza viene espressa, per tutti i livelli di gravità del quadro clinico, relativamente a una terapia inalatoria. Questo risultato di incertezza va inquadrato a fronte dell’esigenza precedentemente riportata di trattamenti per la gestione dell’APM rapidamente efficaci, così da prevenire l’escalation dell’agitazione, e in grado di rispettare l’integrità fisica e psicologica del paziente, caratteristiche peculiari della terapia inalatoria, e rappresenta la probabile espressione della carenza di esperienza clinica con questo tipo di somministrazione.
Infine, viene confermato il giudizio di non adeguatezza per l’utilizzo di mezzi di contenzione fisica nei pazienti con APM lieve o moderata e di incertezza nei pazienti con APM grave. La Figura 1b riassume la proposta di modello gestionale per il paziente con APM che si presenta in PS come emersa dal percorso di consenso.
Paziente con APM ricoverato in SPDC o seguito presso CSM/territorio (scenari 2 e 3)
Infermiere-case manager: dei 12 elementi totali di competenza infermieristica relativi alla gestione dei pazienti con APM ricoverati in un SPDC o seguiti presso i Centri di Salute Mentale (CSM), centri diurni, strutture residenziali e Residenze per l’Esecuzione di Misure di Sicurezza (REMS), di competenza quindi strettamente psichiatrica, 11 hanno ricevuto un giudizio di adeguatezza e 1 è risultato incerto.
Anche in ambito psichiatrico, l’infermiere ha ritenuto adeguato il riconoscimento della figura di case manager. Per tale figura risultano adeguati l’esecuzione del triage (nei pazienti non ricoverati), la valutazione iniziale tesa a cogliere i primi segnali di agitazione, la prevenzione dell’escalation sintomatologica, la gestione degli accompagnatori/visitatori e la raccolta e comunicazione di eventuali preferenze del paziente riguardo l’approccio terapeutico. Per i pazienti ricoverati in SPDC, un modello gestionale considerato adeguato dal panel prevede per l’infermiere-case manager anche il farsi garante della continuità terapeutica con i servizi territoriali (CSM o altro).
Dal punto di vista del trattamento, in questi pazienti è suo compito la somministrazione di farmaci, previa prescrizione medica, mentre rimane incerto, a giudizio degli esperti, l’uso di mezzi di contenzione fisica (anche questi su prescrizione del medico).

Psichiatra: sul totale dei 57 elementi proposti relativi alle procedure diagnostiche/terapeutiche di competenza dello psichiatra nella gestione dei pazienti con APM ricoverati in SPDC o seguiti presso CSM o strutture territoriali, 34 hanno ricevuto un giudizio di adeguatezza, mentre 14 sono risultati incerti e 10 non adeguati. Come nello scenario precedente (quello di PS), le maggiori incertezze hanno riguardato i trattamenti farmacologici e l’uso dei mezzi di contenzione fisica.
Anche in questo scenario, un modello gestionale ideale delle procedure da seguire da parte dello specialista psichiatra nei confronti dei pazienti con APM comprende gli stessi elementi diagnostici e di indirizzo generale di trattamento già delineati sopra (importanza della diagnosi differenziale e della valutazione del livello di gravità, importanza della de-escalation verbale come primo approccio terapeutico, salvaguardia della collaborazione medico-paziente e presa in considerazione delle preferenze di quest’ultimo, preferenza per trattamenti che permettano di calmare il paziente senza sedarlo eccessivamente).
Per i pazienti con APM lieve ricoverati o seguiti in un setting psichiatrico, la preferenza dovrebbe andare a trattamenti orali, mentre non adeguate sono le terapie parenterali (i.m. o e.v.). Nei casi con APM moderata, accanto alla terapia orale, giudicata adeguata, vi è un giudizio di incertezza sui trattamenti i.m., mentre non adeguata è la somministrazione e.v. Nei pazienti con APM grave, infine, adeguato è un trattamento i.m., mentre incerto rimane il ruolo della terapia orale o e.v. Il ruolo di quest’ultima via di somministrazione appare quindi molto ridotto nella gestione della APM in ambito psichiatrico, poiché non viene giudicata adeguata come via preferenziale nei casi lievi-moderati e incerta nei casi gravi, giudizio che appare confermare l’orientamento corrente verso trattamenti non invasivi per il paziente. La preferenza per una terapia inalatoria rimane incerta per tutte le categorie di pazienti anche in un setting psichiatrico, nonostante le favorevoli caratteristiche di non invasività e rapidità d’uso sopra sottolineate: sul giudizio, anche in questo caso, appare pesare la scarsità di esperienza clinica. Incerto il ricorso ai mezzi di contenzione fisica nei pazienti con APM grave in ambito psichiatrico (non adeguato negli altri casi).
Infine, da inserire fra i compiti dello psichiatra nella gestione dei pazienti ricoverati presso un SPDC vi è la continuità terapeutica con i servizi territoriali (CSM o altro). In aggiunta, riveste carattere di appropriatezza la pianificazione, da parte dello psichiatra, di un percorso terapeutico individuale (PTI) per i pazienti seguiti presso i CSM o altre strutture territoriali.
La Figura 1c riassume la proposta di modello gestionale per il paziente con APM ricoverato in SPDC o seguito presso CSM/centri territoriali come emersa dal percorso di consenso.
DISCUSSIONE
Nonostante costituisca un complesso sintomatologico di rilevante interesse clinico ed epidemiologico, la APM necessita tutt’oggi di un migliore inquadramento diagnostico/terapeutico e di una maggiore standardizzazione delle procedure cliniche ed organizzative per una sua gestione ottimale. Il modello gestionale proposto in questo documento, espressione del consenso di un panel multidisciplinare, intende offrire un’indicazione di buona pratica clinica e suggerire concetti fondamentali sui quali basare una gestione adeguata dei pazienti con APM nei diversi setting terapeutici, senza entrare nel merito di specifiche raccomandazioni o procedure. Il metodo scelto per il raggiungimento del consenso (Delphi-RAND) appare appropriato a questo obiettivo, essendo stato ampiamente utilizzato e validato in diversi campi della medicina e della psichiatria 20,25,26. Il coinvolgimento multidisciplinare di un panel di esperti qualificato e rappresentativo delle diverse professionalità implicate nella gestione di questa condizione e l’attenzione volta agli aspetti gestionali non strettamente clinici rappresentano un punto di forza del lavoro.
Nel suo complesso, il modello integrato per la gestione dei pazienti con APM sopradescritto è basato sulla centralità del paziente con agitazione psicomotoria, da non considerare un oggetto passivo di cure mirate a “contenerlo”, fisicamente e/o farmacologicamente, ma un soggetto attivo, da mettere al centro di un intervento coordinato di professionalità diverse che ha come scopo la rapida messa in campo di misure farmacologiche e non, per la prevenzione dell’escalation sintomatologica, così da permettere un percorso diagnostico e terapeutico personalizzato sulle necessità del singolo paziente. La specificità della APM, che se non adeguatamente gestita può presentare caratteri di pericolosità per il paziente stesso e per le persone e le cose che lo circondano, richiede che questo intervento integrato includa fattori diversi, dalla predisposizione di ambienti adatti alla formazione specifica del personale sanitario, alla definizione di percorsi gestionali condivisi, fino alla identificazione e prevenzione dei potenziali rischi. Il tutto adattato ai diversi setting clinici, di pertinenza psichiatrica e medica, in cui la presa in carico del paziente può verificarsi.
Inquadrato nel contesto dell’attuale gestione del paziente con APM nel nostro Paese, tale modello gestionale (alla pari dei protocolli relativi alla gestione strutturale, organizzativa e clinica della APM descritti nella letteratura internazionale) presenta numerosi elementi scarsamente applicati, e che possono essere giudicati in modo contraddittorio dai diversi professionisti della salute, sulla base di principi ispiratori differenti e rispondenti a modelli teorici di riferimento, e quindi anche di intervento, non omogenei.
Fra i punti critici, vi sono l’esecuzione di modifiche strutturali, che permettano di avere spazi e misure di sicurezza adeguati nei luoghi dove si opera un intervento (specialmente se operato in condizioni di emergenza o urgenza come nei PS), e la necessità di una interfaccia autentica fra internisti e psichiatri, affinché venga effettuato un triage internistico appropriato prima di qualunque altro intervento. Almeno nella realtà di più grandi dimensioni, risultano più conosciute e condivise le modalità dell’intervento farmacologico, sebbene spesso messe in atto senza l’applicazione di protocolli standard. Dati internazionali dimostrano come l’utilizzo di farmaci nel trattamento acuto della APM risulti differente secondo le specialità mediche interessate e spesso non conforme a quello delle linee-guida pubblicate 27,28. È quindi necessaria un’opera di formazione che permetta una adeguata conoscenza della letteratura scientifica e delle procedure standardizzate, specie nelle realtà periferiche e nei setting non strettamente psichiatrici.
Una opportunità per promuovere la conoscenza e la cultura all’interno dell’organizzazione sanitaria viene dall’implementazione di PDTA ospedalieri per la corretta presa in carico del paziente con APM. Sebbene non presenti in tutte le realtà italiane, questi strumenti appaiono indispensabili per ottenere uno sguardo comune e interdisciplinare al problema e individuare precocemente i fattori di rischio nonché i relativi interventi di cura appropriati ed efficienti. La proposta di modello gestionale qui riportato, in particolare per quanto attiene alle competenze della direzione sanitaria, include la definizione di tali PDTA, i quali dovrebbero partire in primo luogo dalla consapevolezza che la presenza di un disturbo psichico non esclude in nessun modo una concomitante patologia medica e chirurgica, per la ricerca della quale non dovrà essere trascurato il normale iter diagnostico su cause organiche, diagnosi differenziale e comorbilità 6. L’adozione di scale di valutazione per la determinazione del rischio, le indicazioni sugli approcci farmacologici di riferimento (vedi, per es., il concetto di “rapida tranquillizzazione”)16, la definizione dei presidi terapeutici farmacologici disponibili nella farmacie ospedaliere infine la stesura di direttive per l’uso della contenzione fisica sono altri aspetti che compongono un percorso aziendale condiviso. In questo ambito dovrebbe anche rientrare uno schema organizzativo per l’APM che tenga conto degli aspetti specifici di sicurezza dei pazienti e del personale medico sanitario, per il quale al momento non esistono però modelli predefiniti.
Sempre da inquadrare all’interno del Sistema Sanitario Nazionale (SSN) italiano nel modello gestionale di APM è il ruolo dei farmacisti ospedalieri e territoriali, che si estende, nel concetto di “pharmaceutical care”29, da quello di dispensatore del farmaco a parte integrante di un team dedicato alla cura del paziente. All’interno dei DSM, il farmacista può già attualmente intervenire su aspetti riguardanti le indicazioni d’uso dei farmaci, la scelta dei dosaggi e delle formulazioni più indicate e affiancare il medico nei problemi legati alla prescrivibilità nell’ambito del SSN, nelle questioni connesse alle reazioni avverse e anche fornendo supporto educazionale, garantendo un’informazione scientifica indipendente. È in quest’ottica che va visto il ruolo del farmacista ospedaliero nella cura dell’APM e le sue competenze specifiche nell’utilizzo di nuovi farmaci in ospedale (valutazione del profilo clinico e di costo-efficacia, confronto con i farmaci già in uso, formazione dei medici e operatori, predisposizione dei documenti necessari all’inserimento nel prontuario ospedaliero o regionale, valutazione della possibilità di richiederlo extra-prontuario nel caso di uso sporadico). Questa visione integrata del ruolo del farmacista ospedaliero potrebbe contribuire all’ottimizzazione della qualità delle cure e del percorso clinico del paziente con APM, soprattutto nel fornire informazioni sui farmaci disponibili, il loro consumo, gli aspetti normativi e la sicurezza.
Dal punto di vista prettamente clinico, invece, il modello gestionale proposto può fungere da stimolo in diversi ambiti della cura dell’APM, in particolare in quelli che presentano le maggiori criticità nel nostro Paese, quali la strutturazione degli ambienti della medicina di emergenza (reparti di PS), in modo adeguato all’intervento in urgenza per la sicurezza degli operatori e dei pazienti. Inoltre, l’accento posto sugli aspetti organizzativi multidisciplinari implica l’elaborazione di protocolli di intervento che, attraverso il training del personale e la creazione di un sistema di gruppo nel quale viene esplicitata la responsabilità e l’operatività dell’intervento delle diverse professionalità sanitarie, siano in grado di agire sulla prevenzione dell’emergenza oltre che sul suo attuarsi. Nella gestione clinica del paziente, l’esecuzione di una valutazione adeguata delle cause dell’agitazione, evitando un “contenimento” farmacologico prima che queste possano essere obiettivate, può favorire l’elaborazione delle problematiche presenti nelle varie fasi dell’agitazione stessa, compresa quella post-critica, che, nei pazienti conosciuti, facilita la prevenzione degli episodi successivi (estremamente frequenti nei pazienti con APM associata a schizofrenia o disturbo bipolare). Fondamentale quindi è la necessità di adottare modalità di interazione e controllo non farmacologiche (e non “fisiche”), a volte sufficienti nelle forme di APM lieve, e comunque da impiegare congiuntamente agli interventi farmacologici in tutti i gradi di APM. Infine, l’attenzione posta nel documento alla valutazione e valorizzazione dei diversi setting in cui il paziente con APM viene gestito (PS, CSM, strutture territoriali, ecc.) sottolinea le peculiarità organizzative del SSN italiano e dei CSM, che, attraverso un’azione capillare sul territorio, implicano una gestione dell’agitazione da cause psichiatriche spesso non ospedaliera. Deve essere tuttavia sottolineato, all’interno delle criticità, che la sempre maggiore scarsità di risorse determina un aumento della numerosità degli episodi critici.
Una grande attenzione riceve, nel modello gestionale proposto, il ruolo dell’infermiere-case manager, che oltre a rappresentare una figura centrale nella personalizzazione delle cure e nella relazione di aiuto con un paziente considerato soggetto attivo a cui richiedere un consenso sul percorso di cura intrapreso, assume su di sé, in un modello di buona pratica clinica, la responsabilità di garante del percorso terapeutico individuale del paziente. Questo modello rimane valido nonostante le difficoltà organizzative presenti in alcuni setting, quali per esempio gli SPDC, all’interno dei quali la continuità assistenziale infermieristica (come del resto quella medica) non è assicurata. Particolarmente importante appare l’opera della figura di case manager nel garantire la continuità terapeutica fra ospedale e territorio, all’interno della rete di servizi territoriali peculiari della realtà italiana, caratterizzata proprio da una capillarizzazione dell’assistenza psichiatrica a livello territoriale. In questo ambito, l’infermiere-case manager può anche strutturare un piano di intervento sulla crisi, concordato preventivamente con il paziente; ciò può consentire di ridurre significativamente le ospedalizzazioni, migliorando così il funzionamento sociale globale 30.
I concetti di centralità del paziente e di condivisione con esso dei percorsi terapeutici, della definizione di linee-guida organizzative e della formazione del personale assumono un rilievo critico anche in riferimento alla sicurezza delle cure. La gestione medica del paziente con agitazione comporta infatti un rischio significativo di escalation verso stadi più severi che possono arrivare fino alla violenza e l’aggressione, con potenziali pericoli verso il paziente stesso, gli operatori chiamati a intervenire e le altre persone presenti durante l’episodio. In uno studio italiano condotto su 1324 pazienti ricoverati presso strutture psichiatriche per il trattamento in acuto, è stato riportato che il 10% dei soggetti aveva avuto comportamenti ostili durante la degenza e il 3% aveva aggredito fisicamente altri pazienti o il personale sanitario 31. L’identificazione di fattori predittivi di comportamento violento nei pazienti psichiatrici risulta quindi particolarmente importante: una storia pregressa di comportamento aggressivo e le variabili psicopatologiche sono state indicate come i fattori più rilevanti nei pazienti ricoverati in reparti psichiatrici, mentre problematiche sociali, una più lunga storia clinica ed episodi di aggressione fisica durante l’ospedalizzazione appaiono correlare con un comportamento violento dopo la dimissione 32,33.
Episodi di aggressività e violenza sono particolarmente frequenti nella schizofrenia e nei pazienti con disturbo bipolare34. Nell’ottica specifica della gestione del rischio clinico, la APM costituisce un esempio per certi versi paradigmatico, poiché accanto alla necessità di cura, le caratteristiche proprie di questa condizione sono tali da dover prevedere tutele adeguate per tutti gli attori coinvolti, al cui fine non sono disponibili modelli organizzativi di riferimento. A questo scopo, è essenziale una formazione specifica del personale, attraverso percorsi documentati che ne attestino le competenze e le capacità in relazione alla condizione morbosa in esame, così come la definizione di linee-guida organizzative condivise da tutti gli operatori e la costruzione di un sistema di indicatori di sicurezza, finalizzato all’identificazione rapida delle criticità applicative. In definitiva, il percorso di gestione del rischio clinico è un percorso circolare, all’interno del quale le garanzie di sicurezza dei pazienti ottengono, quale epifenomeno, anche la sicurezza dei lavoratori e delle aziende, operando sulla quale si ottiene a sua volta un aumento delle garanzie per i pazienti.
Va anche sottolineato che i dati farmacoeconomici sulle conseguenze di tali episodi violenti, in termini di contenziosi legali, richieste di indennizzo da parte degli operatori sanitari a seguito di danni/lesioni derivanti dalla gestione di episodi di APM, contratti assicurativi stipulati dalle strutture sanitarie e giornate lavorative perse, sono estremamente scarsi. Mentre alcune indicazioni sono disponibili circa i costi ospedalieri associati alla gestione dell’agitazione, in termini di lunghezza del ricovero, probabilità di riammissione nella struttura ospedaliera e costi dei medicinali 35, i costi indiretti e diretti non sanitari associati ai comportamenti violenti non sono stati sistematicamente analizzati. Uno studio è stato condotto nelle unità di cura psichiatrica acuta nel Regno Unito nel 2005, che ha valutato i costi dei comportamenti aggressivi e del contenimento dei pazienti violenti, includendo voci quali l’aggressione verso persone e oggetti, i danni verso il paziente stesso e il tempo lavorativo perso, arrivando a un costo totale annuo per reparto pari a 182.616 euro, mentre il costo totale nazionale era pari a 91 milioni di euro 36. Il numero medio di giornate di malattia dello staff sanitario a seguito di atti di violenza da parte dei pazienti è stato riportato in uno studio randomizzato finlandese dedicato all’efficacia di un programma di prevenzione delle misure coercitive nei pazienti violenti con schizofrenia: la durata media dell’assenza per malattia, pari a 8,8 giorni/atto violento nel 2007, si era ridotto dell’80% fino a 1,8 giorni/atto violento nel 2009, a seguito dell’implementazione del programma 37. Da questa assenza di evidenze scientifiche deriva la necessità di inserire, quale parte integrante dell’approccio multidisciplinare alla gestione dell’agitazione, la raccolta dei dati farmacoeconomici sulle conseguenze dei comportamenti aggressivi e violenti dei pazienti con APM, su cui poter basare la razionalizzazione delle risorse economiche disponibili.
Come accennato inizialmente, per quanto poggiato su solide evidenze scientifiche e su concetti di buona pratica clinica, non può essere negato che il modello gestionale proposto può incontrare significative difficoltà nella sua applicazione pratica all’interno della realtà sanitaria italiana. Sebbene tali difficoltà non possano essere prese a giustificazione per una gestione non adeguata dei pazienti con APM, la loro valutazione critica è nondimeno essenziale per poter attuare un intervento ottimale.
La gestione psichiatrica dei pazienti con APM, ospedaliera e territoriale, può risentire per esempio della scarsità di risorse umane ed economiche, la scarsa flessibilità o informazione delle direzioni sanitarie nell’operare modifiche strutturali, la spesso non ottimale preparazione (e quindi sensibilità) del personale e il generale stigma nei confronti del paziente psichiatrico. Ulteriori e specifiche difficoltà possono insorgere nel setting del PS, nell’ambito del quale la fase di valutazione iniziale dei pazienti con APM (specie nei casi più gravi e non collaboranti) è ostacolata da una frequente carenza di informazione, anche per quanto riguarda la semplice differenziazione fra APM “psichiatrica” e “organica”, che può rendere più difficile l’applicazione del concetto di personalizzazione delle cure. Nell’ambito specifico del PS, l’approccio al paziente con APM deve necessariamente tenere conto non solo delle variabili cliniche, ma anche di quelle del contesto, che includono il carico assistenziale complessivo, le risorse umane disponibili e i tempi stimati di intervento dello specialista nei casi in cui ciò si renda necessario, tutti fattori spesso non ottimali. Anche il ricorso alla contenzione fisica, pur rimanendo nell’ottica di una sua riduzione al minimo, dovrà sempre considerare la specificità del quadro clinico generale del paziente e la necessità di prevenire eventuali pericoli per sé e per gli altri (basti pensare, per es., alla sempre maggiore prevalenza di forme di agitazione associate a sindromi di demenza in pazienti anziani, che possono comportare la necessità di proteggere un paziente fragile anche solo da una caduta dalla barella).
Infine, deve anche essere tenuto in considerazione il fatto che l’implementazione di protocolli gestionali che includano gli aspetti di presa in carico, valutazione multidisciplinare, continuità terapeutica e gestione del rischio per il paziente con APM comporta comunque un ulteriore carico di lavoro per il personale e un aumento delle incombenze amministrativo-burocratiche, tutti aspetti potenzialmente difficili da inserire in un quadro organizzativo che già spesso lavora al limite delle risorse disponibili. Sebbene il ruolo di case manager affidato a una figura infermieristica offra indubbi vantaggi economici, data la presenza ubiquitaria di questa figura professionale, questo modello implica scelte specifiche di politica sanitaria, peraltro facilmente realizzabili nei diversi setting, che privilegino investimenti iniziali di risorse economiche 38.
Integrando tutti i diversi aspetti multidisciplinari fin qui discussi implicati nella definizione di un modello gestionale adeguato per i pazienti con APM, emergono alcuni punti critici, il cui ulteriore approfondimento appare necessario. Fra questi, la diversificazione delle necessità nei diversi setting operativi (PS, CSM, ma anche domicilio o studio del MMG): i modelli organizzativi e clinici che ne risultano sono profondamente differenti sotto molti aspetti. Per esempio, la figura e le competenze del case manager risultano più facilmente definibili (per quanto non sempre facilmente attuabili) nel contesto territoriale39, rispetto alla situazione d’emergenza di un PS. Tuttavia, evidenze presenti in letteratura confermano che, sebbene in maniera piuttosto sporadica, il case management può essere ed è stato usato per trattare efficacemente pazienti affetti da patologie psichiatriche in PS, e che le strutture che hanno sviluppato percorsi specifici per questa popolazione di pazienti hanno ottenuto risultati positivi, grazie essenzialmente a una adeguata formazione del personale e all’analisi degli aspetti peculiari delle patologie psichiatriche 40. Rimane comunque da definire l’applicazione di questo concetto all’ambito specifico dell’APM. Sempre riguardo ai diversi setting operativi, va anche considerata la peculiarità organizzativa del SSN italiano in ambito psichiatrico e in generale la profonda diversità delle varie realtà regionali nel nostro Paese, sia sul piano della formazione pregressa sia su quello dell’organizzazione e delle risorse, oltre che per quanto riguarda la definizione dei prontuari ospedalieri e regionali 41,42. Queste considerazioni rendono ragione della difficoltà di definire modelli gestionali standardizzati da applicare sull’intero territorio nazionale. Infine, dal punto di vista strettamente clinico, alcuni aspetti emersi dal giudizio degli esperti necessiteranno di ulteriore definizione, come per esempio l’importanza di definire la gravità della sintomatologia nei pazienti con APM nel quadro di un percorso gestionale differenziato a fronte delle difficoltà attualmente presenti nella stadiazione dell’agitazione, nonostante la varietà delle scale cliniche proposte 3, o la necessità di considerare adeguatamente la diversa azione farmacodinamica dei farmaci utilizzati, in particolare dal punto di vista della tollerabilità e dell’efficacia in condizioni di urgenza. All’interno della stessa classe di farmaci (benzodiazepine, per es., o neurolettici), e a parità di via di somministrazione, infatti, gli effetti collaterali e il bilancio di effetti favorevoli e sfavorevoli possono divergere notevolmente fra i diversi principi attivi, punto non sempre adeguatamente conosciuto e pure necessario per un migliore e adeguato utilizzo dei farmaci impiegati, specie in condizioni di urgenza.
CONCLUSIONI
La APM rappresenta un quadro clinico trasversale comune a patologie di natura organica come psichiatrica, che rende necessario un intervento precoce e multidisciplinare per evitare fenomeni di escalation sintomatologica, che possono portare a livelli estremi di aggressività e violenza. Sono quindi necessari, nella gestione adeguata di questa patologia, una razionalizzazione complessiva della cura, fondata su una adeguata formazione a livello infermieristico e medico, sull’ottimizzazione del percorso seguito dal paziente e dai suoi accompagnatori e su un approccio terapeutico rapido che escluda l’invasività (e più ancora il ricorso a metodi di contenzione), mettendo in primo piano la sicurezza e preservando il rapporto medico-paziente. Il presente documento, espressione di un capillare lavoro di consenso di un panel di esperti, intende contribuire al miglioramento della consapevolezza e della conoscenza di questi bisogni clinici, a oggi in parte insoddisfatti, al fine di raggiungere un modello di gestione del paziente con APM condiviso nell’ambito delle diverse strutture sanitarie e professionalità coinvolte.

Conflitto di interessi: M. Amore ha svolto relazioni congressuali per Lundbeck, Pfizer e Otsuka; A. Dell’Erba ha svolto collaborazioni e partecipazioni a board scientifici con Italfarmaco, Novartis e Roche; P. Girardi ha collaborato a progetti di ricerca con Janssen, Angelini, Lundbeck, Fidia, Sanofi, Otsuka, Italfarmaco e ha partecipato ad advisory board per Otsuka, Lundbeck e Angelini; C. Mencacci ha partecipato in qualità di relatore per conferenze organizzate da Angelini, Lundbeck, Janssen e Valeas; I. Moriconi, occasionalmente, accetta di essere intervistata da aziende nell’ambito di ricerche di mercato; G. Muserra, occasionalmente, accetta di essere intervistata da aziende nell’ambito di ricerche di mercato e negli ultimi tre anni ha partecipato ad attività di advisory board; M.P. Ruggieri ha svolto attività di advisory board per Boehringer Ingelheim e AstraZeneca. I restanti autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.

Ringraziamenti: gli autori desiderano ringraziare tutti i partecipanti dell’Expert Panel multidisciplinare* che hanno contribuito alla costruzione del consenso. Questo lavoro è stato realizzato con il supporto editoriale di Edra S.p.A.

*Amato A. (ASP, Palermo); Bondi E. (ASST Ospedale Papa Giovanni, Bergamo); Borgherini G. (Casa di Cura Parco dei Tigli, Padova); Bruno GM. (SAVE - Studi Analisi Valutazioni Economiche S.r.l., Università di Pavia); Burato E. (ASST “Carlo Poma”, Mantova); Calò P. (ASL Lecce); Carbut G. (Azienda Ospedaliera S. Andrea, Sapienza Università di Roma); Carraro CF. (Azienda ULSS 15 Alta Padovana, Camposampiero, Padova); Casiglia A. (ASP Palermo); Cassin A. (AAS5 “Friuli Occidentale”, Pordenone); Ceravolo G. (ASL TO3); Cervella M. (Ospedale Santa Croce di Mondovì, ASL CN1); Cicchetti A. (Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma); Clerici M. (ASST Monza, Università di Milano-Bicocca, Milano); Clonfero GCM. (ULSS6, Vicenza); Coen D. (ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, Milano); Crosasso P. (Azienda Ospedaliero-Universitaria Città della Salute e della Scienza, Torino); Dal Fitto A. (ASL TO3); De Filippis S. (Sapienza Università di Roma; Ospedale Sant’Andrea di Roma, Villa Von Siebenthal, Genzano di Roma); Fichera G. (ASP Catania); Fisicaro EM. (ASP Catania); Fornero G. (Azienda Ospedaliera-Universitaria Città della Salute e della Scienza, Torino); Forte G. (ASL Roma G); Franceschi F. (Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli, Università Cattolica del Sacro Cuore); Fraticelli C. (ASST Lariana, Como); Fulceri L. (ASL Lecce); Gatti M. (Azienda Ospedaliero-Universitaria, Ospedali Riuniti Ancona); Giupponi G. (Bolzano); Greco AR. (ASL Brindisi); Intenzo D. (ASL Roma 1); Magnani PA. (ASST Mantova); Majorana C. (Ospedale Civico - Di Cristina - Benefratelli, ASP Palermo); Marinari P. (ASL NordOvest Zona Pisana, Pisa); Montemurro R. (Ospedale di Dolo, Azienda ULSS 13 Mirano, Venezia); Moretti P. (Azienda Ospedaliera di Perugia; Università di Perugia); Moro CG. (ASST Bergamo Ovest); Nerici L. (Maria Vittoria, ASL TO2, Torino); Nicolò G. (ASL Roma 5); Pastorello M. (ASP Palermo); Patelli C. (ASST Monza); Percudani M. (ASST Rhodense, Garbagnate Milanese); Pinelli G. (Ospedale NOCSAE, ASL Modena); Pompili E. (ASL Roma 5); Pompili M. (Azienda Ospedaliera Sant’Andrea, Sapienza Università di Roma); Pugliese FR. (Ospedale S. Pertini, Roma); Rossi Prodi P. (ASL Firenze); Salanitro MP. (ASP Catania); Santini M. (Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana, Pisa); Sbrana A. (ASL5 Pisa); Sciarretta A. (ASL RM 5 Tivoli, Roma); Sconci V. (ASL 1 Abruzzo, Avezzano-Sulmona-L’Aquila); Tortorella A. (ASL Lecce); Suma D. (ASL Brindisi); Valchera A. (Casa di Cura Villa San Giuseppe, Hermanas Hospitalarias, Ascoli Piceno; Polyedra, Teramo); Vampini C. (Ospedale Civile Maggiore Verona); Villari V. (Azienda Ospedaliero-Universitaria Città della Salute e della Scienza di Torino); Zanfini R. (AUSL Ravenna).
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