ADHD e comportamenti antigiuridici: un’indagine presso i Centri
di Giustizia Minorile della
Regione Puglia
ADHD and illegal conduct: a survey in Juvenile Justice Services in Puglia

FELICE CARABELLESE1, DONATELLA LA TEGOLA1, LUCIA MARGARI2, FRANCESCO CRAIG2,
Alessio OSTUNI1, ERMENEGILDA SCARDACCIONE3, FRANCESCA PERRINI4, FRANCESCO MARGARI5
E-mail: donatella.lategola@gmail.com

1Sezione di Criminologia e Psichiatria Forense, Dipartimento Interdisciplinare di Medicina, Università di Bari
2Unità di Neuropsichiatria Infantile, Dipartimento di Scienze Mediche di Base, Neuroscienze e Organi di Senso, Università di Bari
3Dipartimento di Scienze Giuridiche e Sociali, Università Gabriele d’Annunzio, Chieti-Pescara
4Centro per la Giustizia Minorile, Puglia
5Unità di Psichiatria, Dipartimento di Scienze Mediche di Base, Neuroscienze e Organi di Senso, Università di Bari


SUMMARY. Obiettivo. Obiettivo del nostro studio è stato quello di individuare possibili fattori psicopatologici correlati alla messa in atto di condotte antigiuridiche da parte di minori al loro primo reato, nonché eventuali altre variabili individuali, familiari, economiche e socio-culturali correlate al fenomeno indagato. Materiali e metodi. È stato condotto uno studio longitudinale su minori della Regione Puglia (Distretto della Corte di Appello di Bari e Lecce) al loro primo reato. Lo studio ha comportato l’acquisizione di una serie di informazioni anagrafiche, familiari, scolastiche, comportamentali e cliniche dei minori arruolati lungo un arco di tempo di oltre un anno e seguiti in follow-up per 18 mesi. Per le sue finalità lo studio prevedeva l’utilizzo di due scale cliniche standardizzate (Youth Self-Report e Conners Adolescent Self Report Scale). Risultati. L’indagine ha fatto emergere alcune variabili psicologiche e psicopatologiche correlate alle condotte antisociali di minori al loro primo contatto con l’Autorità Giudiziaria, nonché altre familiari, sociali e scolastiche. Conclusioni. I risultati ottenuti confermano la necessità di una prevenzione primaria e secondaria su minori a rischio, attraverso interventi multidisciplinari, precoci, selettivi.

PAROLE CHIAVE: minori autori di reato, fattori di rischio, fattori protettivi, variabili socio-culturali.


SUMMARY. Objective. The aim of our study was to identify possible risk factors related to carrying out of illegal conducts by minors on their first offense, and any individual variables, family, economic and socio-cultural related to phenomenon also investigated. Materials and methods. The longitudinal study involved the acquisition of a series of biographical information, family, school, behavioral and clinical characteristics of children on their first crime recruited over a year in Puglia Region. For its purpose the study involved the use two standardized clinical scales (Youth Self-Report and Conners Adolescent Self Report Scale). For over a year we proceeded to follow-up. Results. The survey revealed some variables family, social and school related to antisocial behavior of children in their first contact with the judicial authorities. Conclusions. The results confirm the need for primary and secondary prevention of children at risk through mutidisciplinary, early, selective interventions.

KEY WORDS: juvenile offenders, risk factors, protective factors, socio-cultural variables.

INTRODUZIONE
Numerose indagini1-4 indicano che vi sarebbero importanti correlazioni tra i disturbi della condotta in adolescenza – segnatamente il disturbo da deficit di attenzione/iperattività (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder-ADHD) – e il comportamento antisociale5,6. Ricerche condotte in Europa1,2,4,7-9 e negli USA10-12 indicano che più di due terzi dei giovani detenuti e la metà dei detenuti adulti13,14 rispondono ai criteri diagnostici per l’ADHD dell’infanzia e molti dei detenuti continuano a essere sintomatici anche da adulti (fino al 14% per gli uomini e al 10% tra le donne)4,15.
Negli studi condotti sui detenuti del Regno Unito sono emerse percentuali di soggetti con storia di ADHD pari al 43% tra i quattordicenni e al 24% tra i maschi adulti, con un’ampia percentuale di soggetti in remissione di sintomi solo parziale15,16. I soggetti che presentavano sintomatologia riconducibile all’ADHD evidenziavano storie con episodi di aggressione con frequenza fino a 8 volte superiore rispetto agli altri detenuti e 6 volte rispetto ai detenuti con disturbo antisociale di personalità. Altre indagini17 hanno dimostrato che soggetti con ADHD hanno un esordio nel mondo criminale anticipato di 2,5 anni rispetto alla popolazione generale e un significativo tasso di recidiva. Young et al.11 ritengono che l’ADHD costituisca il più importante predittore di rischio di recidiva criminale. Peraltro, quanto più sono precoci i contatti con le forze dell’ordine18, tanto più è probabile che le condotte antigiuridiche continuino anche in età adulta19,20.
L’importanza di individuare già in adolescenza le variabili predittive di una deriva criminale in età adulta consentirebbe pertanto di adottare interventi preventivi più efficaci21.
Detenuti con sintomi che soddisfano la diagnosi di ADHD sembrano avere del resto una maggiore tendenza alla recidiva penale3, anche perché il disturbo in parola si associa con disturbi da uso/abuso di sostanze e disturbi della personalità, fattori che a loro volta aumenterebbero il rischio di condotte antisociali22.
La prevalenza di malattia mentale negli adolescenti che commettono reati oscillerebbe tra il 20% (US Department of Health and Human Services, 2001) e oltre23. Fra gli “young offenders” i disturbi mentali più rappresentati sarebbero i disturbi della condotta, i disturbi dell’umore, uso/abuso di sostanze e disturbo da deficit di attenzione e iperattività24-26. In particolare, la prevalenza dei disturbi della condotta è stimata intorno all’87-91% nella “chronic juvenile offender population”16. Tra gli altri disturbi del comportamento diagnosticati tra gli “juvenile offenders”, ritroviamo il disturbo oppositivo-provocatorio (14,5% degli uomini e il 17,5% delle donne)17 e il disturbo bipolare (2,2% degli uomini e 1,8% delle donne)16. Fra le giovani donne che commettono reati, frequenti i disturbi dell’umore16.
Interessante l’indagine condotta da Barkley et al.24 sui minori con ADHD. Questi manifesterebbero frequentemente condotte aggressive, e una volta diventati adulti commetterebbero, in misura maggiore rispetto ai bambini del gruppo di controllo, reati contro il patrimonio e reati contro la persona.
Partendo dai dati di letteratura richiamati, abbiamo condotto la nostra indagine sui giovani autori di reato in Puglia alla loro prima esperienza antigiuridica. 
MATERIALI E METODI
L’indagine è stata condotta dall’Università “Aldo Moro” di Bari (Sezione di Criminologia e Psichiatria Forense e UOC di Neuropsichiatria Infantile), in collaborazione con i Centri per la Giustizia Minorile (CGM) del Ministero della Giustizia della Regione Puglia.
L’indagine ha richiesto una fase preliminare per la formazione di tutte le unità di ricerca coinvolte (10 unità formate da professionalità diverse: criminologiche, neuropsichiatriche e psicologiche) all’uso e alla somministrazione degli strumenti individuati. Durante la medesima fase si è provveduto inoltre all’informazione delle assistenti sociali degli USSM (Uffici Servizi Sociali Minorenni) della Regione su scopi, modalità, tempi e strumenti da utilizzare nel corso della ricerca, attraverso ripetuti incontri finalizzati allo scopo.
Dopo la fase formativo/informativa, si è proceduto con l’indagine vera e propria. A tal fine sono stati inclusi nello studio tutti i minori della Regione Puglia, di età compresa fra i 14 e i 17 anni al loro primo reato, nel corso di tutto il 2010 (fase di arruolamento), per i quali era stato richiesto il rinvio a giudizio presso il Tribunale per i Minorenni competente.
Al primo incontro con il minore (Tempo T0) l’assistente sociale del CGM provvedeva a informare il minore della ricerca in corso, a fornire tutti i chiarimenti necessari al fine di acquisirne il consenso alla partecipazione, coinvolgendo naturalmente anche i genitori. Tale procedura si è dimostrata molto affidabile per favorire una maggiore adesione alla ricerca da parte dei minori e delle famiglie che li hanno accompagnati. Soltanto i minori e le famiglie che hanno acconsentito espressamente a partecipare alla ricerca sono stati arruolati nel campione in forma anonima e nel rispetto delle norme etiche e deontologiche degli Enti coinvolti.
Una volta ottenuta l’adesione alla ricerca, l’assistente sociale provvedeva, in collaborazione con i servizi sociali del comune di provenienza del minore, ad acquisire, attraverso l’uso di due schede di raccolta appositamente predisposte, tutti i dati anagrafici, familiari, scolastici, comportamentali e clinico-anamnestici del minore stesso, nonché quelli inerenti l’aggiornamento dell’iter processuale e della gestione trattamentale del caso. L’assistente sociale del CGM provvedeva, inoltre, a programmare un successivo incontro col minore finalizzato alla somministrazione di due strumenti psicodiagnostici. Le due scale cliniche (Conners Adolescent Self Report Scale - CASS 27 - e Youth Self-Report - YSR28) erano somministrate dai ricercatori dopo un accurato scambio di informazioni con le assistenti sociali coinvolte nel progetto.
Costituivano criteri di esclusione l’età superiore ai 17 anni e, naturalmente, la mancata acquisizione del consenso informato.
Si è provveduto, poi, a seguire l’evoluzione trattamentale dei minori arruolati e a verificare la loro posizione giuridica per i 18 mesi successivi al loro primo contatto con i ricercatori. È stato previsto un primo follow-up (T1) a distanza di 6 mesi dall’arruolamento, individuando eventuali nuovi fatti delittuosi e/o condotte comunque sia antisociali, e un secondo follow-up a 12 mesi dal primo (T2), al fine di monitorare l’evoluzione del percorso trattamentale programmato per ciascun minore e di individuare eventuali fattori che potevano aver avuto un’influenza (negativa o positiva) sullo stesso. A tal fine si è fatto riferimento alle medesime schede di raccolta utilizzate al tempo T0 e alle informazioni raccolte dalle assistenti sociali e dagli altri servizi eventualmente coinvolti nel trattamento del minore.
I dati ottenuti sono stati oggetto di elaborazione statistica. In particolare, la valutazione di differenze significative tra le medie di variabili continue è stata effettuata mediante il test t, considerando significativi valori con p<0,05.
Per le variabili qualitative sono state impostate tabelle di contingenza a doppia entrata (2x2) ed è stato calcolato il valore del chi quadrato (χ2), considerando significativi valori di p<0,05.
Al fine di correlare i diversi punteggi della YSR e della CASS con l’età è stato effettuato il Test di correlazione di Spearman ed è stato riportato il valore del coefficiente di correlazione di Spearman (rs).
Assessment utilizzato
Ai fini della ricerca sono state utilizzate due scale cliniche standardizzate: la CASS e il YSR.
CASS
Con item mirati a rappresentare i comportamenti “internalizzati” ed “esternalizzati”, le CASS vengono principalmente impiegate per la valutazione dell’ADHD, ma possono avere un ambito di applicazione molto più ampio poiché contengono anche sottoscale per la valutazione di problemi di condotta, cognitivi, familiari, emotivi, di autocontrollo e d’ansia. L’abilità di valutare anche questi aspetti è di fondamentale importanza poiché l’ADHD si presenta spesso in comorbilità con questi problemi, in particolare con quelli d’ansia e di condotta. Le CASS trovano numerose applicazioni: nello screening, nel monitoraggio del trattamento, nella ricerca e quale strumento accessorio clinico-diagnostico diretto. Data l’età dei soggetti coinvolti nel progetto di ricerca, si è optato per la forma “Self-report per adolescenti” 12-17 che consente di valutare le seguenti aree: problemi familiari, problemi emotivi, problemi di condotta, problemi cognitivi/disattenzione, problemi di autocontrollo, iperattività, indice ADHD (consente di individuare bambini/adolescenti “a rischio” di ADHD).
YSR
La YSR è una delle scale di valutazione del comportamento infantile più diffuse e utilizzate a livello internazionale in ambito sia clinico sia di ricerca. La scala consente di indagare le competenze sociali e i problemi comportamentali dei bambini di età compresa fra i 4 e i 18 anni. È strutturata sotto forma di questionario che può essere compilato anche dai genitori; nella prima parte contiene item che indagano la qualità della partecipazione del bambino ad attività varie (sportive, domestiche e scolastiche) e la qualità delle sue relazioni con fratelli, genitori e coetanei; la seconda parte contiene 118 item valutati su una scala di risposta a tre livelli. Questi item sono stati raggruppati in 8 scale sindromiche relative a diversi quadri problematici: ritiro, lamentele somatiche, ansia/depressione, problemi sociali, problemi del pensiero, problemi attentivi, comportamento delinquenziale, comportamento aggressivo. Consentono di indagare un ampio spettro di caratteristiche dell’età evolutiva, sia in riferimento alle competenze e al coinvolgimento personale nelle attività proprie di quell’età, sia in relazione alla presenza di problematiche emotive e comportamentali.
RISULTATI
In premessa vi è da dire che l’aver adottato specifici criteri di inclusione per l’arruolamento del campione (minori di età compresa tra i 14 e i 17 anni, al loro primo reato, per i quali era stata già fissata l’udienza) ha portato alla non adesione alla ricerca da parte di molti minori per i quali, in previsione, si sarebbe avuta una rapida soluzione delle misure penali, componente numericamente più significativa della popolazione pugliese, nonché dei minori, altrettanto numerosi, che già avevano superato i 17 anni al momento del T0, a causa spesso dei lunghi tempi processuali fino allo stabilirsi della prima udienza e dell’età dei minori al momento della commissione del reato, che si attesta in prevalenza sui 17 anni.
Le necessità connesse al reperimento di un campione di soggetti corrispondente alle caratteristiche richieste dal progetto ha comportato, quindi, non poche difficoltà nel corso delle prime fasi della ricerca.
Nella regione Puglia, facendo riferimento all’anno 2010, tutti i presunti autori di reato che erano di età minore al momento della condotta delittuosa a loro attribuita, segnalati per la prima volta al CGM, sono stati 1430, di cui 1332 italiani e 98 stranieri (Fonte – Statistiche flussi utenza DGM). Quelli fra loro che rispondevano ai nostri requisiti (primo reato ed età compresa fra 14 e 17 anni con prima udienza già fissata) erano circa 400. Fatta questa premessa di ordine generale, veniamo ora ai dati del nostro campione costituito da 100 minori con le caratteristiche di inclusione di cui si è detto, arruolati al Tempo T0.
Caratteristiche socio-demografiche
La assoluta maggioranza del campione (90%) è costituita da autori di reato di sesso maschile; solo il 10% è rappresentato da minori di sesso femminile29.
Del totale del campione, il 48% risiedeva in Paesi con meno di 30.000 abitanti; nel 31% in una città con 30.000-90.000 abitanti, il 20% in una città con più di 90.000 abitanti.
Il 56% degli autori aveva una carriera scolastica irregolare, il 40% regolare.
Più della metà (59%) non lavorava, il 34% era occupato, per lo più in maniera occasionale e discontinua. Il 7% del campione totale percepiva indennità di frequenza.
In assoluta maggioranza si trattava di minori che entravano per la prima volta in contatto con la Giustizia e che non avevano precedenti psichiatrici.
Il 17% del campione aveva un’anamnesi positiva per comportamenti violenti, in gran parte nei confronti di altre persone.
Si conferma che l’età più a rischio è quella a ridosso della maggiore età (16-17 anni).
Peraltro, si trattava di minori che non avevano avuto precedenti contatti con i servizi sociali, a conferma che, nel complesso, erano minori appartenenti a nuclei familiari sani, integrati nel tessuto sociale di appartenenza, senza evidenti problematiche sociali, economiche e familiari.
Analizzando, infatti, la famiglia di appartenenza dei minori pugliesi emergeva come il 97% dei minori alla loro prima esperienza antigiuridica aveva una famiglia normo-composta (padre, madre, fratelli).
Nel 92% la famiglia partecipava alla situazione processuale del minore. Solo nel 2% dei casi erano documentati precedenti di trascuratezza o negligenza.
In sintesi, quindi, il contesto familiare dell’intero campione si caratterizza per essere costituito da una famiglia normo-composta, per lo più partecipe rispetto alla situazione del minore e senza apparenti problemi economici, dato che entrambi i genitori risultano essere occupati, con anamnesi familiare negativa sia per quanto attiene precedenti psichiatrici sia per atti antigiuridici e/o per condotte violente.
Reato
In merito al reato commesso, poco più di 1/3 del campione ha commesso un reato contro il patrimonio e nel 27% contro la persona (Tabella 1). In circa la metà dei casi (47%) il reato è stato commesso in correità con altri, soprattutto minorenni (47%) (Tabella 2). Quest’ultimo dato meglio descrive, a nostro parere, la specificità dei reati commessi dagli adolescenti, in cui la dinamica di gruppo sembra essere dirimente. La posizione giuridica del minore al momento dell’arruolamento del campione era rappresentata da persona indagata (45%), in attesa di giudizio (13%); abbastanza frequente il ricorso alla messa alla prova (MAP) già in fase di udienza preliminare (14%). Solo il 7% del campione è stato sottoposto a misure cautelari restrittive. Molto rappresentato l’uso di sostanze (64%).






Si tratta dunque di minori che delinquono per la prima volta per lo più in correità con altri, ma compiono contestualmente più reati e di una certa gravità.
Anche per questa ragione la posizione giuridica predominante al momento della presa in carico da parte degli USSM è quella di “indagato a piede libero” (45% del campione).
Profilo psicopatologico
Da un punto di vista psicopatologico (dati ottenuti dalla somministrazione della CASS e della YSR il campione comprende minori con problemi riconducibili alla dimensione del disturbo oppositivo-provocatorio (18%), al disturbo della condotta (11%) e alla dimensione ADHD di tipo iperattività-impulsività dominante (13%), anche associate fra loro. Si tratta di dati in linea con quanto segnalato in letteratura, il che, tra l’altro, conferma l’attendibilità degli strumenti psicodiagnostici utilizzati.
Il nostro campione segnala, dunque, in una percentuale non trascurabile di minori al primo reato, problematicità psicopatologiche riconducibili alla più ampia categoria diagnostica dei disturbi da deficit di attenzione e da comportamento dirompente, fattore di rischio noto nella messa in atto di comportamenti antisociali. L’analisi statistica (Tabella 3) conferma anche nel nostro campione la relazione segnalata in letteratura30 fra disturbi della condotta durante l’adolescenza e reati contro la persona.
Altra conferma ci viene dai risultati ottenuti alla CASS, che segnalano, infatti, una relazione statisticamente significativa tra problemi di iperattività e reati contro la persona (Tabella 4). Come peraltro emerso in precedenti indagini – tra le altre, quella condotta da Barkley et al.24 – che dimostrano appunto come adolescenti con iperattività commettano in misura maggiore proprio i reati contro la persona.






Confrontando, poi, minori con reati contro la persona e minori con altra tipologia di reato (Tabella 5), il nostro campione segnala nei primi una relazione statisticamente significativa con le problematiche psicopatologiche richiamate.
Dalla nostra indagine emerge, inoltre, come la carriera scolastica irregolare costituisca uno specchio fedele della condotta irregolare e antisociale del minore, in relazione con i reati contro la persona e i comportamenti violenti (p=0,0372) e con le problematiche psicopatologiche già richiamate.
La carriera scolastica, tuttavia, di per sé non costituisce un fattore di rischio specifico, quanto un epifenomeno di irregolarità comportamentale, tipico anche dell’ADHD e di altri disturbi della condotta, come testimoniato dal dato secondo cui coloro i quali hanno una carriera scolastica irregolare, presentano una varietà di problemi psichici, rilevati sia alla YSR (Tabelle 6-9) che alla CASS (Tabelle 10-11).
Si tratta evidentemente di elementi indicativi della presenza di ADHD o di altri disturbi della condotta (Tabella 12), sia nella sua variante con disattenzione prevalente (Tabella 13) sia in quella di tipo combinato con disattenzione e iperattività/iperattività (Tabella 14).
Sono, dunque, soprattutto i giovani di 15-16 anni con problematiche relative ai disturbi della condotta quelli più esposti al rischio di comportamenti antisociali e irregolari, sui quali, conseguentemente, è necessario agire prima possibile anche in termini terapici (Tabella 15).







All’aumentare dell’età, infatti, nei minori del nostro campione, sono meno rappresentati i problemi di condotta, in accordo con i dati di letteratura a riguardo27. È il caso di sottolineare che, fra i reati contro la persona, abbiamo tenuto separati i reati di violenza sessuale, assumendo che tale tipologia di reato presupponga nell’autore una capacità di programmazione e di previsione più fine di quanto non si possa attribuire ad altro reato contro la persona, in cui invece impulsività e avventatezza tipica anche dell’adolescenza, ovvero la presenza di patologia della condotta – alla luce almeno dei nostri dati – possono rappresentare una componente motivazionale importante.
In effetti i minori sex offender sono, mediamente, più grandi (17 anni) degli altri minori arruolati nel campione (Tabella 16), a conferma, dunque, di quanto ipotizzato.



Analisi dei dati nel corso del primo follow-up
Al tempo T1, a distanza cioè di sei mesi dalla prima rilevazione, dei 100 minori arruolati al tempo T0, hanno aderito al follow-up solo 27, che costituisce pertanto il numero dei minori del nostro campione al tempo T1. Molti dei minori arruolati in effetti erano già fuoriusciti dal circuito penale e non avevano interesse a rimanerci, in ossequio peraltro alle finalità del processo penale minorile.
Del campione al T1, 16 avevano ottenuto il provvedimento di MAP; per 4 minori si era proceduto all’estinzione del reato per esito positivo della MAP e 3 giovani autori di reato avevano beneficiato del perdono. Il resto del campione era costituito da minori che risultavano essere ancora in carico presso il CGM in quanto indagati per il medesimo reato (3) o per aver posto in essere una nuova condotta antigiuridica (1).
La ricerca rileva che in oltre la metà dei casi (55%) dei minori avviati al provvedimenti di MAP era coinvolta la famiglia. I casi in cui, viceversa, non era previsto il coinvolgimento della famiglia, coincidevano con problematiche intra-familiari (scarsa partecipazione o all’assenza della famiglia stessa). A questo riguardo la ricerca evidenzia l’importante ruolo svolto da variabili del contesto socio-familiare di appartenenza quali elementi capaci di influenzare il buon esito dell’intervento trattamentale e dei quali pertanto è necessario tenere conto nella fase di progettazione dello stesso in quanto su di essi è possibile intervenire fattivamente. Laddove si è di fronte a famiglie problematiche o poco o nulla collaborative, permangono da parte del minore le difficoltà iniziali di inserimento e di interiorizzazione di un modello comportamentale socialmente accettato. A conferma di ciò, il fatto che, nel solo caso di recidiva criminale giunto alla nostra osservazione al tempo T1, si è potuto rilevare come per il minore c’erano già state precedenti segnalazioni, vi era un’anamnesi positiva per abuso di sostanze da parte del padre e c’erano già stati componenti della sua famiglia coinvolti in azioni giudiziarie. Lo stesso minore, al momento della recidiva criminale, faceva uso di sostanze. Per tale motivo era seguito dal SerT.
È evidente che un solo caso non può motivare alcuna considerazione conclusiva, ma si tratta di un elemento in linea con i dati illustrati.
Analisi dei dati nel corso del secondo follow-up
Il secondo follow-up al tempo T2, effettuato a distanza di 12 mesi dal primo (T1), consisteva di 20 minori ancora in carico al CGM, per i quali si confermavano nella sostanza i dati rilevati nel precedente follow-up già descritti.
Non sono state rilevate altre recidive criminali nei minori al tempo T2.
All’esito dell’ultimo follow-up la maggior parte dei minori (45%) avviati a un progetto di MAP hanno visto chiudersi con esito positivo la loro situazione giuridica. In particolare, si ottengono esiti positivi della MAP laddove si registra una presenza e permanenza nel tempo dei fattori protettivi32, rilevati dalle schede di rilevazione utilizzate, che costituiscono, dunque, elementi fondamentali nella strutturazione del progetto, in particolare per quanto riguarda il coinvolgimento in attività socialmente utili, il forte supporto sociale e il buon impegno scolastico30.
Discussione
La nostra ricerca ha messo in evidenza come, nel campione analizzato, una percentuale significativa (18%) di minori presentava aree di problematicità psicopatologica riconducibili alle dimensioni cliniche del disturbo oppositivo-provocatorio (una percentuale pari all’11%), del disturbo della condotta e di ADHD di tipo iperattività-impulsività dominante (13%), anche associate fra loro.
Si evincono, dunque, problematicità psicopatologiche riconducibili alla più ampia categoria diagnostica dei disturbi da deficit di attenzione e da comportamento dirompente, notoriamente riconosciuti in letteratura come importanti fattori di rischio nella messa in atto di comportamenti antisociali. Si tratta di aspetti di natura psicopatologica sui quali è possibile e necessario intervenire precocemente con risposte terapeutiche e assistenziali specifiche, da parte, preferibilmente di servizi specialistici, interventi che rappresenterebbero a quel punto anche strategie a valenza preventiva criminologica primaria e secondaria 29. Si consideri del resto che tali aree di problematicità psicopatologica sono correlate in particolare con la messa in atto di reati contro la persona, come emerge con chiarezza dal nostro campione.
Una considerazione in particolare sollecita la nostra indagine: alla necessità di individuare precocemente variabili correlate con la messa in atto di comportamenti antisociali – psicopatologici e/o psicosociali che siano – con strumenti e competenze idonee, deve corrispondere una risposta terapeutico-trattamentale mirata, precoce e altrettanto specifica.
Proprio perché si tratta di soggetti ancora in fase di sviluppo, appare fondamentale, infatti, che si intervenga precocemente con interventi specialistici mirati, rispondenti alle esigenze e alle peculiarità del minore stesso.
Tale intervento di “intercettazione precoce del disagio” dovrebbe realizzarsi auspicabilmente prima dell’impatto col sistema penale minorile, a cura di servizi e istituzioni socio-assistenziali afferenti al contesto di riferimento del minore. Di fatto, invece, la tempestività dell’intervento, presupposto per una sua buona riuscita, non sempre si realizza a causa di una serie di motivi, fra cui – fra i più evidenti – i lunghi tempi di attesa dalla denuncia di reato alla prima udienza (mediamente circa 12 mesi), oltre che per la mancanza di procedure e professionalità specifiche nei servizi sociali coinvolti, procedure e competenze che, laddove presenti, sarebbero in grado invece di svelare quei fattori stessi – di rischio e/o protettivi – su cui intervenire. Paradossalmente, quindi, proprio per quei casi in cui vi sarebbe l’esigenza di interventi precoci e mirati, questi ultimi vengono attivati tardi e, ancora più paradossale, attivati nel contesto penale, in quanto non rilevati in età precedente da altre istituzioni primarie, quali per es. i servizi socio-sanitari territoriali e la scuola, con conseguenze negative in termini di efficacia non solo rispetto alle primarie, eventuali esigenze cliniche e sociali del minore, ma anche e più in generale rispetto all’occasione di crescita psicologica e al processo maturativo del minore che commette un reato, obiettivo fondamentale dell’Istituzione giudiziaria minorile che non si pone primariamente di fronte al minore come istanza punitiva, ma al contrario come supporto all’acquisizione di competenze sociali. Il rischio è che il ricorso a provvedimenti giudiziari (MAP, Perdono giudiziale) che pure sono stati pensati proprio per favorire questi obiettivi di crescita del minore, finiscano al contrario per divenire strumenti di rinforzo nel minore nell’adozione di “scorciatoie” di vita con tutt’altra valenza psico-sociale.
CONCLUSIONI
A partire dagli obiettivi da cui si è mossa, la nostra ricerca ci ha fornito dati di conferma, criticità, spunti di riflessione: alcuni di essi sono una conferma di indagini condotte in altri Paesi; altri sembrano più propriamente specifici della nostra realtà culturale e sociale.
La realtà minorile pugliese da noi analizzata descrive, infatti, un campione di minori autori di reato provenienti da centri urbani di piccola/media grandezza (48%), oltre che da grandi centri urbani. Si tratta per lo più di giovani maschi che entrano per la prima volta a contatto con la Giustizia e che appartengono a nuclei familiari, nel complesso sani, normo-strutturati, che non presentano particolari aree problematiche (78%), integrati nel tessuto sociale di appartenenza, partecipi (92%) delle vicende giudiziarie che coinvolgono i figli. Una figura di riferimento importante nel percorso penale tracciato, con cui collabora attivamente la famiglia, è l’assistente sociale del CGM e del Comune di residenza, a segnalare la grande importanza di questa figura di supporto e raccordo che tuttavia opera spesso in solitudine piuttosto che cooperare con altre agenzie (sanitarie in particolare).
In merito alla condotta reato, i minori pugliesi commettono per lo più reati contro il patrimonio (34%), spesso in correità con altri minorenni (47%); significativa è la percentuale relativa all’abuso di sostanze (64%).
I fattori socio-ambientali e familiari sembrano rappresentare una componente significativa in relazione alla messa in atto per la prima volta di comportamenti antisociali nei minori; ma anche i fattori psicopatologici rivestono un’importante rilevanza a riguardo. La componente psicopatologica si integra nella generalità dei casi con i fattori disfunzionali di carattere familiare, con l’inadempienza nelle carriere scolastiche, con l’influenza negativa dei contesti socio-ambientali e con l’adesione a gruppi di pari con chiara funzione di rinforzo.
Su tali fattori è possibile, e anzi necessario, intervenire, ma per farlo appare indispensabile una maggiore collaborazione fra le agenzie coinvolte e una migliore comunicazione fra le stesse di esigenze primarie eventualmente emerse, specie laddove queste siano di valenza clinica. Da questo punto di vista, la ricerca ha sottolineato l’importanza dell’impiego di strumenti diagnostici per una diagnosi precoce del disagio psicologico/psicopatologico minorile ai fini della programmazione e attuazione di programmi di prevenzione da parte delle istituzioni socio-sanitarie e giudiziarie competenti.
L’opportunità offerta dall’impiego di strumenti efficaci da parte di specifiche professionalità, peraltro facilmente trasferibili a competenze non necessariamente sanitarie, è risultata una risorsa utile ai fini dell’impostazione degli interventi soprattutto da parte dei servizi della giustizia minorile che, come si è visto, individua spesso nella figura dell’assistente sociale l’unico riferimento forte sia per il minore sia per la famiglia. L’impiego di strumenti standardizzati offrirebbe ai servizi sociali un riferimento strutturato più oggettivo e accurato nel lavoro di valutazione complessiva e la possibilità di coinvolgere più precocemente i servizi sanitari competenti.
I dati suggeriscono, inoltre, che un progetto di MAP risulta essere maggiormente efficace se strutturato sulla base delle peculiarità socio-familiari e psicologiche/psicopatologiche specifiche del minore, in maniera multiprofessionale.
La ricerca dimostra infine che, per un efficace intervento di prevenzione e trattamento clinico-criminologico, è necessario un approccio multidimensionale e multidisciplinare, che utilizzi strumenti strutturati di supporto ai processi di diagnosi e valutazione, altrimenti troppo empiriche e tali, talvolta, da risultare inefficaci. Ciò senza nulla togliere all’importanza che il sostegno affettivo e il supporto emotivo debbono ricoprire nell’impegno da parte delle istituzioni nell’affrontare il delicato compito di favorire il processo di socializzazione dei minori.

Conflitto di interessi: gli autori dichiarano l’assenza di conflitto di interessi.
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