La rappresentazione del corpo umano


A cura di Eleonora Del Riccio
Sapienza Università di Roma
E-mail: elo-dr@hotmail.it




La critica contemporanea si sta occupando sempre più di evidenziare il debito che le discipline scientifiche hanno nei confronti delle belle arti. Si tratta di un debito figurativo che mette in risalto la totale condivisione di convenzioni rappresentative in contesti scientifico-culturali apparentemente distanti. Le raffigurazioni anatomiche sono senza dubbio l’esempio più immediato di questa derivazione di modelli pittorici dalle opere d’arte e, allo stesso tempo, sono responsabili di aver influito direttamente sulla pratica e la ricerca artistica a partire dal XV secolo. Molto saggiamente James Elkins sostiene che: «Le raffigurazioni mediche rappresentano, in un certo senso, l’ombra delle raffigurazioni corporee delle belle arti, ne condividono molti significati e convenzioni, ma restano circoscritte all’interno di ciò che è dimostrabile scientificamente. Le convenzioni delle belle arti che sono state applicate all’illustrazione medica sono così tante che l’unica, grande differenza formale tra le due sfere è che agli illustratori medici era concesso ritrarre aspetti della morte, della sessualità e dell’interno del corpo vietati invece agli artisti».
Tuttavia, tali aspetti furono ritenuti non adeguati a una corretta rappresentazione artistica fino a un certo punto della storia dell’arte. Si pensi alle lezioni di anatomia di Rembrandt, già prese in considerazione in questa sede, ai resti umani immortalati in più casi da Géricault, per non parlare delle opere del XX secolo di artisti quali Joseph Beuys.
Ad ogni modo, attorno alla metà del Cinquecento, rappresentare il corpo umano in forma anatomica e con piena visione delle interiora era lecito solo in un trattato scientifico. Vesalio era un medico, ma van Calcar no. Al contrario, era a tutti gli effetti un artista, ricordato da Vasari per essere stato uno degli allievi di Tiziano. Questo spiega perché le xilografie dimostrano affinità con la pittura di paesaggio e la composizione figurativa italiana.
Questo montaggio permette il confronto simultaneo di sei incisioni e la speranza è quella di poter individuare dietro a ciascuna gestualità un richiamo a eventuali convenzioni pittoriche contemporanee al De Humani. Non si tratta di individuare delle corrispondenze per una pura vanità enciclopedica, che risponde alla logica superficiale individuabile nell’espressione “tutto è collegato!”, al contrario l’obiettivo è rendere merito a ciò che ha detto Elkins e cioè che le raffigurazioni mediche sono l’ombra di quelle pittoriche.
Escludendo la prima immagine, procediamo con l’analisi. In due casi, compare il gesto delle braccia aperte. Questo atteggiamento del corpo è una delle caratteristiche tipiche della gestualità di Cristo. Una posa che Mitchell ha definito «braccia aperte a ore quattro e a ore otto», che è comunemente ripetuta soprattutto nella raffigurazione della Passione, dall’Ecce Homo all’Uomo dei Dolori. La posa viene anche ripetuta nel San Francesco della Pala Pesaro di Tiziano (1519-26, Santa Maria Gloriosa dei Frari).
Gli altri tre casi mostrano il corpo umano in atto di levare la mano sinistra. Ora, anche questa posa richiama i continui atteggiamenti di Cristo, dei santi o degli angeli che indicano il cielo. Lo stesso Tiziano se ne è servito in un’opera che mostra Tobiolo e l’Angelo (1512-14, Gallerie dell’Accademia). Tuttavia, ciò che cambia continuamente in questi casi è la posizione della mano levata: in un caso indica verso il viso, in un altro è aperta e solo nel terzo caso indica effettivamente l’alto. Generalmente la mano aperta è il segno dell’ adlocutio, così come anche l’indice levato; il problema è che il più delle volte è la mano destra a essere levata e non la sinistra come in questo caso. Ma questa sottigliezza di fatto non compromette la comparazione perché non si tratta di una vera adlocutio, quanto di una scusa formale per riprendere quel dato atteggiamento in un altro contesto.
Il vero mistero è la terza mano, quella che indica il volto: sembra un atteggiamento molto più manierista, data la sinuosità del gesto che ricorda le figure che sorreggono lance o vessilli. Ma potrebbe anche trattarsi semplicemente di una variazione delle prime due pose formalmente significanti.
Risulta chiaro adesso perché Elkins avesse parlato di ombre. La raffigurazione medica si è servita dell’esperienza delle belle arti piegandola alla propria necessità di chiarezza figurativa e contemporaneamente le ha influenzate aprendo la gloriosa stagione delle raccolte dei disegni anatomici, come quelle di Leonardo.
Per approfondire
• Pinotti A, Somaini A (a cura di). Teorie dell’immagine. Il dibattito contemporaneo. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2009.
• Vasari G. Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri. Torino: Einaudi, 2015.
• Mitchell W, Cometa M (eds). Pictorial Turn. Saggi di cultura visuale. Palermo: Duepunti, 2009.