Psicoterapia cognitivo-comportamentale di gruppo per il disturbo
di panico con e senza agorafobia: uno studio di efficacia

Group cognitive-behavioral therapy for panic disorder with and without agoraphobia: an effectiveness study
CONCETTINA MASTROCINQUE1, DANIEL DE WET2, ANDREA FAGIOLINI3
E-mail: dewetdr@libero.it

1SPDC, Azienda USL 5 di Pisa
2Dipartimento di Scienze Biomediche e Neuromotorie, Università di Bologna
3Dipartimento di Medicina Molecolare, Università di Siena


RIASSUNTO. Scopo. Numerosi sono gli studi che dimostrano l’efficacia della psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT), ma molti autori hanno messo in discussione la trasponibilità di questi interventi nella pratica di routine nei servizi. Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare l’efficacia nella pratica clinica di una CBT di gruppo su pazienti con diagnosi di disturbo di panico. Metodi. Il disegno dello studio è basato sul confronto dei punteggi prima e dopo l’intervento. Lo studio ha interessato 96 soggetti con disturbo di panico, con o senza agorafobia, diagnosticato in base ai criteri del DSM-IV. Il trattamento ha previsto 10 sedute di psicoterapia nell’ASL 5 di Pisa. È stata utilizzata una batteria di strumenti psicometrici per valutare le variabili che includono sintomi psicologici, benessere soggettivo e funzionamento psicosociale. Oltre alle statistiche relative all’analisi dell’esito clinico del trattamento sono stati realizzati anche un paragone normativo e un benchmarking dei risultati con studi simili. Risultati. Quasi tutti i punteggi delle scale utilizzate si sono ridotti in modo significativo alla conclusione dell’intervento. Il 42% ha mostrato un cambiamento clinicamente significativo e il 20% risulta “guarito”. Nel campione complessivo i punteggi del CORE-OM alla conclusione non sono significativamente diversi dai valori che vengono osservati nella popolazione generale. Discussione. La CBT di gruppo risulta efficace nella pratica clinica di routine e i risultati ottenuti corrispondono a studi simili. Il fatto che richieda una piccola équipe e pochi strumenti la rende indicata all’applicazione in un servizio pubblico.

PAROLE CHIAVE: psicoterapia cognitivo-comportamentale, disturbo di panico, gruppo, efficacia.


SUMMARY. Objective. Although numerous studies have demonstrated the effectiveness of both individual and group cognitive-behavioral psychotherapy (CBT), many authors have questioned the translation of these interventions into routine clinical practice. The aim of this study was to assess the effectiveness of group CBT in patients diagnosed with panic disorder, with or without agoraphobia, in routine clinical practice. Methods. The study involved 96 patients diagnosed according to the DSM-IV criteria. Treatment consisted of 10 psychotherapy sessions of 2 hours each in a local health authority. A battery of psychometric instruments was used to assess variables including psychological symptoms, subjective well-being and psychosocial functioning before and after therapy. In addition to the evaluation of treatment outcome, final scores were compared to population norms and benchmarked against similar studies. Result. Almost all scores of the clinical scales used improved significantly. Only 42% of patients who were initially above the clinical cut-off on the CORE-OM showed clinically significant changes, and 20% of patients were below the clinical cut-off after treatment. Post-treatment CORE-OM scores were not significantly different from the values observed in the general population. These findings are consistent with those of comparable studies. Discussion. Group CBT is effective in routine clinical practice. In addition to reducing anxiety symptoms, treatment also results in an improvement of other related variables such as subjective well-being. Owing to its better patient-therapist ratio, group CBT should be considered as an alternative to individual CBT in routine clinical care in public services.

KEY WORDS: psychotherapy cognitive-behavioral therapy, panic disorder, group therapy, effectiveness.

INTRODUZIONE
I disturbi d’ansia sono disturbi cronici con un’alta prevalenza (1), che comportano una diminuzione del funzionamento e della qualità della vita (2). Negli ultimi anni è stata registrata una maggior attenzione ai disturbi d’ansia, incluso il disturbo di panico, come testimoniano i numerosi articoli pubblicati nella letteratura internazionale, così come l’accresciuto numero di trial clinici (3). I trial controllati e le meta-analisi riportano prove che sostengono l’efficacia ( efficacy) degli interventi cognitivo-comportamentali per i disturbi d’ansia e, in particolare, per il disturbo di panico (4), il disturbo da fobia specifica (5), il disturbo ossessivo-compulsivo (6), il disturbo da stress post-traumatico (7), la fobia sociale (8) e il disturbo d’ansia generalizzato (9). Il trattamento cognitivo-comportamentale per queste patologie risulta molto efficace rispetto ad altre forme di terapia come la psicofarmacologia (10). I risultati mostrano che i trattamenti che hanno utilizzato tecniche cognitivo-comportamentali hanno ottenuto un effect-size del trattamento significativamente maggiore rispetto all’assenza del trattamento o placebo per tutti i tipi di disturbi d’ansia (11).
Il trattamento cognitivo-comportamentale di gruppo per i disturbi d’ansia
Il trattamento cognitivo-comportamentale può essere definito come un insieme di interventi comportamentali e cognitivi guidati da principi di scienza applicata. Gli interventi comportamentali mirano a ridurre i comportamenti inadatti e ad aumentare quelli adatti, modificando i loro antecedenti e le loro conseguenze con pratiche comportamentali che inducono un nuovo apprendimento. Gli interventi cognitivi mirano a modificare le cognizioni, le auto-affermazioni e le credenze inadatte. Gli elementi che contraddistinguono questo tipo di psicoterapia sono interventi focalizzati al problema derivante da principi della teoria di apprendimento e della teoria cognitiva (12-14).
Le componenti tipiche del trattamento cognitivo-comportamentale per i disturbi d’ansia comprendono solitamente varie combinazioni, quali: la psico-educazione sulla natura della paura e dell’ansia, l’auto-monitoraggio dei sintomi, gli esercizi somatici, la ristrutturazione cognitiva, l’esposizione in vivo e immaginaria agli stimoli che inducono l’ansia e la prevenzione delle ricadute. Il peso che ha l’utilizzo di ognuna di queste tecniche viene determinato dal disturbo d’ansia specifico (12) e dal grado di gravità dello stesso.
L’uso della terapia cognitivo-comportamentale di gruppo ha mostrato la sua efficacia, come attestano studi controllati per i vari disturbi d’ansia (15,16). Gli interventi di gruppo offrono potenzialmente dei vantaggi rispetto alle psicoterapie individuali, quali un miglior rapporto costo-efficacia e un maggior accesso alle terapie psicologiche (17,18).
Nonostante le numerose prove d’efficacia degli interventi cognitivo-comportamentali sia individuali sia di gruppo, molti autori hanno messo in discussione la trasponibilità di questi interventi nella pratica di routine nei servizi (19,20).
Efficacy vs effectiveness
Lo scetticismo degli autori che hanno posto dei dubbi su tale intervento si fonda sull’idea per cui le procedure per massimizzare il controllo sperimentale in trial randomizzati controllati comprometterebbero la validità esterna dei risultati. In particolare, le questioni più importanti riguardano: 1) i pazienti; 2) i clinici; 3) i trattamenti usati nei setting di ricerca. Riassumendo si può sostenere che tali riserve mettono in discussione alcune caratteristiche dei trial clinici, la loro rappresentatività, l’appropriatezza e la rilevanza per la pratica clinica di routine.
1. Si afferma spesso che i trattamenti effettuati nei setting di ricerca non funzioneranno nella pratica clinica in quanto i pazienti nei setting di routine clinica sono più gravi o hanno con maggior frequenza condizioni di comorbilità rispetto ai pazienti trattati nei trial clinici. Rispettando questa posizione, per la ricerca sono stati reclutati i pazienti dei setting di ricerca mentre i pazienti che presentano comorbilità sono stati esclusi, per evitare risultati non omogenei (21). Per questo motivo si ritiene che la tesi dei gruppi selettivamente formati non possa diventare un modello rappresentativo per tutti i tipi di pazienti (22). Inoltre, è stato notato che l’assenso del paziente a randomizzare rappresenta un limite alla generalizzabilità del campione stesso (23). Le aspettative del paziente nei confronti del trattamento specialistico in un trial di ricerca, infatti, possono anche essere più alte rispetto a quelle di pazienti in setting clinico di trattamento in cui non si fa ricerca alcuna. Questo aspetto risulta rilevante in quanto l’aspettativa maggiore può influenzare la motivazione dei pazienti e condizionare positivamente il risultato dei setting di ricerca (24).
2. Normalmente gli operatori dei servizi al di fuori dagli ambienti di ricerca non hanno accesso ai training intensivi, al monitoraggio e alla supervisione (che è prerogativa degli psicoterapeuti nei setting di ricerca) (25). Nei setting di ricerca, i clinici sono, piuttosto, esperti nel somministrare i vari trattamenti e sono motivati a rispettare i protocolli e a misurare l’aderenza ai protocolli stessi. Inoltre, gli psicoterapeuti ricercatori hanno spesso il vantaggio di potersi focalizzare esclusivamente su un tipo di problematica o patologia, mentre i clinici nella pratica clinica hanno una quantità di casi così grande da coprire una serie molto ampia di problematiche. In breve, tali trattamenti possono essere meno rigorosi in termini di contenuto e qualità e questo aspetto può essere un limite per la trasponibilità dei risultati di trial controllati di ricerca alla pratica clinica attuale.
3. Un altro punto importante è costituito dai trattamenti stessi nella trasponibilità di interventi efficaci ai setting del mondo reale. I protocolli di trattamento in trial controllati randomizzati sono contenuti in manuali e monitorati rigorosamente soprattutto per quanto riguarda l’integrità del trattamento. I manuali delle terapie sono meno usati nella pratica clinica e la loro stessa rilevanza è stata messa in discussione (23).

Lo studio dell’efficacia clinica (effectiveness) del trattamento rappresenta una soluzione alla manchevolezza che si percepisce a livello delle condizioni, tradizionalmente controllate, della ricerca sull’efficacia (efficacy) (26). La ricerca sull’efficacia clinica esplora la trasponibilità di interventi, che si siano mostrati efficaci nei setting di ricerca, ai setting della routine clinica pratica per esaminare se tali trattamenti, una volta trasposti, diano effettivamente gli stessi o simili risultati nei setting naturali. Mentre gli studi sull’efficacia tentano di ridurre al minimo le minacce alla validità interna dello studio e di definire i fattori causali del cambiamento di terapia, gli studi di efficacia clinica tendono a massimizzare la validità esterna.
Gli studi di efficacia clinica si focalizzano sugli effetti della psicoterapia prodotti sul campo e possono includere pre-test e post-test, progetti semi-sperimentali o sperimentali. La validità esterna è raggiunta utilizzando uno o più delle seguenti qualità rappresentative: setting clinicamente rappresentativi (come, per es., trattamenti privati o effettuati in centri di salute mentale), pazienti che afferiscono a questi setting, terapisti clinicamente rappresentativi (come, per es., clinici che lavorano nei servizi pubblici o privati al di fuori della ricerca) e trattamenti standard erogati da questi servizi. Recentemente alcuni studiosi come Westbrook e Kirk (27) hanno affermato che la ricerca sull’efficacia clinica caratterizza una nuova era di ricerca psicoterapica valida e più ecologica.
Ma qual è la relazione tra questi due approcci? Tutti e due i tipi di ricerca hanno i loro punti di forza ed esiste un ampio dibattito nella letteratura su come essi debbano essere utilizzati nella valutazione degli interventi e nella formulazione delle politiche sanitarie. Alcuni studiosi considerano gli studi sperimentali rigorosi un elemento di primaria importanza in quanto è necessario valutare l’efficacia clinica di un intervento prima che la terapia possa essere considerata adatta e introdotta a pieno titolo nella pratica di routine. Una volta mostrato che un intervento ha un’efficacia clinica, le evidenze generate nella pratica di routine possono essere usate per cercare di “tarare” le evidenze cliniche nella pratica di routine stessa ( autofeedback e benchmarking). Per esempio, le evidenze generate dai dati di routine raccolti nei servizi possono essere usate per esplorare la varianza nei risultati ottenuti dai diversi servizi o dai diversi professionisti che offrono però lo stesso tipo di intervento. Da questo punto di vista gli studi che mostrano l’efficacia clinica e gli studi che mostrano l’efficacia degli interventi nella pratica clinica sono “soci”, ma non “soci alla pari”. Tuttavia altri studiosi li considerano complementari, ognuno con dei propri vantaggi e svantaggi.
Questo studio
Lo studio che viene qui riportato mira a proseguire la ricerca precedente (28) a favore di una generalizzabilità dell’efficacia di trattamento basata sulla ricerca nella pratica clinica di routine. Lo studio descrive il trattamento di un campione di pazienti ambulatoriali trattati usando la psicoterapia cognitivo-comportamentale (CBT) di gruppo per disturbi di panico con o senza agorafobia tra il 2009 e il 2011.
METODI
Partecipanti 
Lo studio ha interessato soggetti con disturbo di panico, con o senza agorafobia, diagnosticato in base ai criteri del DSM-IV. L’invio dei pazienti è stato effettuato dai medici di base, che erano stati informati di questa possibilità terapeutica durante un corso di formazione per la medicina di base dai colleghi psichiatri e attraverso un annuncio sul giornale locale preparato dall’ufficio stampa della ASL. La prima visita di screening, della durata di circa un’ora, è stata condotta da uno psichiatra attraverso un colloquio clinico. I criteri di esclusione sono stati la presenza di depressione maggiore grave, bipolarità di tipo I, psicosi, deficit cognitivi e la presenza di abuso o dipendenza da sostanze come alcol e stupefacenti, diagnosticati secondo i criteri del DSM-IV. Una comorbilità di altri disturbi psichiatrici, come per es. una depressione lieve e l’uso di psicofarmaci, non è stato un criterio di esclusione in quanto questo studio ha cercato di determinare l’efficacia pratica dell’intervento cognitivo-comportamentale in condizioni reali. I pazienti, previa firma del consenso informato, sono stati valutati al momento dell’ingresso nel gruppo terapeutico e dopo circa due mesi e mezzo (10 sedute di psicoterapia di gruppo) a conclusione della psicoterapia di gruppo.
Lo studio ha riguardato in totale 96 soggetti, 70 (82%) femmine e 27 (28%) maschi, di età compresa fra 20 e 75 anni (media=41,2; DS=11,72) e con diagnosi di disturbo di panico. Di questi, 6 (6%) hanno deciso di non partecipare più allo studio per motivi diversi, tra cui sopravvenute difficoltà di salute, problemi familiari o difficoltà a organizzarsi con il lavoro, 30 (33%) non hanno partecipato al follow-up. Il gruppo dei 36 soggetti non disponibili alla valutazione finale non differiva in modo statisticamente significativo da quello dei 60 soggetti che hanno ultimato lo studio sia per età sia per gravità iniziale, come viene riportato qui di seguito.
Lo studio ha utilizzato una batteria di strumenti psicometrici per valutare un ampio spettro di variabili che include sintomi psicologici, benessere soggettivo e funzionamento psicosociale.
La valutazione degli esiti clinici di routine
Per la valutazione degli esiti clinici è stato selezionato il sistema Clinical Outcome Routine Evaluation - Outcome Measure (CORE-OM).
Il sistema CORE-OM si compone di:
• un questionario per la valutazione dell’esito che indaga diverse aree (benessere soggettivo, problemi e sintomi, funzionamento, rischio), costituito da 34 item e in auto-compilazione direttamente da parte del paziente.
• due formulari (pre- e post-intervento) che vengono compilati dallo psicoterapeuta. I formulari contengono informazioni circa le caratteristiche del setting dell’intervento e i dati generali sul paziente.
Il tempo medio dell’autocompilazione del CORE-OM è di circa 10 minuti. Il tempo medio di compilazione del formulario pre- o post-intervento è di circa (5-10) minuti.
Il CORE-OM è largamente utilizzato nel Regno Unito per valutare l’esito delle psicoterapie nel Servizio Pubblico (29,30) ed è stato validato con uno studio multicentrico su un vasto campione clinico italiano (31).
Scale sintomatologiche
SCL-90
La scala sintomatologica SCL-90 (abbreviazione di Symptom Check List) è un questionario auto-somministrato (32). La scala è composta da 90 item di sintomi eventualmente provati nel corso dell’ultima settimana; il soggetto fornisce una valutazione da 0 (per niente) a 4 (moltissimo) su una Scala Likert. I risultati individuano 10 dimensioni sintomatologiche di diverso significato. Sono inoltre calcolati un indice globale (GSI - Global Score Index) e un punteggio medio di tutte le domande con risposta; taluni considerano infine il numero assoluto delle domande che segnalano la presenza di un sintomo, e cioè il numero degli item a cui il soggetto abbia attribuito punteggio di 1 o più (PST). Le 10 dimensioni sintomatologiche sono le seguenti:
1. somatizzazione (SOM): riflette disturbi che sorgono dalla percezione di disfunzioni corporee;
2. ossessione-compulsione (O-C): pensieri, impulsi e azioni sperimentate come incoercibili e non volute dal soggetto;
3. sensibilità interpersonale (INT): sentimenti di inadeguatezza e inferiorità nei confronti di altre persone;
4. depressione (DEP): riassume un ampio spettro di sintomi concomitanti a una sindrome depressiva;
5. ansia (ANX): insieme di sintomi e comportamenti correlati a un’alta ansia manifesta;
6. ostilità (HOS): pensieri, sentimenti e azioni caratteristici di uno stato di rabbia, irritabilità, risentimento;
7. ansia fobica (PHOB): persistente risposta di paura irrazionale e non proporzionata nei confronti di persone, luoghi e occasioni specifici che conduce a comportamenti di evitamento/fuga;
8. ideazione paranoide (PAR): disturbo del pensiero caratterizzato da sospetto, paura di perdita di autonomia misto a ostilità e idee di riferimento;
9. psicoticismo (PSY): pur includendo alcuni sintomi primari della schizofrenia (allucinazioni, estraneità del pensiero), è da intendersi come una dimensione continua dell’esperienza umana caratterizzata da ritiro, isolamento e stile di vita schizoide;
10. disturbi del sonno (SLEEP): insonnia, sonno disturbato, risveglio precoce.
Vari autori hanno usato la SCL-90 negli studi su ansia e depressione, come per esempio (33).
Hamilton A
La Hamilton Anxiety Scale (HAS o HAM-A), ideata da Hamilton nel 1959 per valutare il vissuto soggettivo del paziente adulto affetto da un disturbo d’ansia, è uno strumento specifico per la valutazione della sintomatologia ansiosa (34). Lo strumento è composto di 14 item con due fattori: Ansia somatica e Ansia psichica, con scale di risposta a 5 livelli (da 0 = assente a 4 = molto grave); un punteggio totale superiore a 18 è considerato patologico. La scala è di eterovalutazione ed è stata compilata dal terapeuta.
Procedure
La metodologia seguita durante i corsi è stata tratta dal manuale per i conduttori e pazienti di Andrews et al. (35). Il manuale per il paziente è stato tradotto in italiano da Morosini et al. (36) e ne è stato consigliato l’acquisto ai pazienti. La prima parte del corso riguardava le informazioni e la psico-educazione sul disturbo di panico, gli esercizi di respirazione lenta per il controllo dell’iperventilazione, il rilassamento muscolare progressivo e isometrico, l’esposizione graduale a stimoli evitati, l’utilizzo di tecniche di induzione dei sintomi con il loro successivo controllo, la ristrutturazione cognitiva con l’identificazione e la successiva confutazione dei pensieri disfunzionali. Al primo incontro il conduttore apriva la seduta presentando se stesso e invitando ciascun paziente a fare altrettanto. Il conduttore descriveva, quindi, in modo interattivo la prima sezione sulla psico-educazione del disturbo di panico, l’agorafobia e il comportamento di evitamento, soffermandosi in particolare sul problema dell’iperventilazione con esercizi sull’uso della tecnica della respirazione lenta diaframmatico-addominale come strumento di controllo. A conclusione dell’incontro veniva assegnato il compito a casa, consistente nel riportare su un diario la frequenza del respiro prima e dopo aver praticato l’esercizio di respirazione lenta. Al secondo incontro si verificavano gli argomenti del primo, soffermandosi soprattutto sugli aspetti legati allo svolgimento del compito a casa, e si proponeva la tecnica del rilassamento muscolare progressivo con esercizi esemplificativi, consistenti nell’imparare a riconoscere la tensione in varie parti del corpo e a eseguire il rilassamento. Anche su questo argomento veniva assegnato un compito a casa che consisteva nel ripetere l’esercizio appreso. Al terzo incontro si procedeva al perfezionamento di quanto appreso nei precedenti incontri e all’apprendimento della tecnica del rilassamento muscolare isometrico. Il compito a casa riguardava l’esecuzione delle tecniche di rilassamento apprese e l’identificazione delle situazioni evitate a causa del disturbo, ordinate in base al livello di gravità. Durante il quarto incontro venivano ripetuti tutti gli esercizi appresi nei precedenti incontri e veniva scelta, dall’elenco delle situazioni evitate, quella meno gravosa da affrontare nella settimana successiva con un’esposizione graduale e l’ausilio degli esercizi appresi reputati più congeniali alle situazioni evitate (ciascuno sa utilizzare meglio, o sente come più efficaci, certi esercizi piuttosto che altri). Al quinto incontro si ripetevano gli esercizi appresi e si raccoglievano le impressioni/osservazioni sull’esposizione praticata durante la settimana precedente, correggendo eventuali errori di applicazione causa di insuccessi, anche con il ricorso alla tecnica dell’esposizione immaginativa; quindi si programmavano le esposizioni più impegnative per la settimana successiva. Sempre in questo incontro, si iniziava a introdurre l’individuazione e il riconoscimento dei pensieri in base alla loro qualità di funzionalità. Il sesto incontro, oltre che sulla ripetizione e sulla progressiva ottimizzazione degli esercizi già appresi, verteva per l’appunto sui pensieri disfunzionali e sulla loro sostituzione con pensieri più funzionali. Il settimo incontro aveva una funzione per lo più “riepilogativa”. Utilizzando le varie tecniche di induzione dei sintomi (immaginative, iperventilazione, oscillazione della testa, ecc.) si verificava il grado di padronanza delle tecniche apprese. All’ottavo e al nono incontro si perfezionava la messa in atto delle tecniche apprese e se ne verificavano le applicazioni nelle varie situazioni temute ed evitate, compresa l’esposizione in immaginazione soprattutto per le situazioni definite “tutto o nulla”, come prendere l’aereo. Al decimo incontro si attuava un ripasso generale e ci si salutava. Ovviamente, un gruppo non è uguale all’altro e la cadenza degli esercizi può registrare accelerazioni o arresti a seconda delle esigenze del gruppo stesso.
Poiché sperimentare l’ansia è fondamentale per l’apprendimento delle tecniche necessarie a gestirla e per attivare poi quel circolo virtuoso che può consentire al paziente di sospendere l’eventuale uso di ansiolitici, a partire da qualche settimana prima e durante l’intervento veniva ridotta gradualmente la terapia farmacologica dove possibile, in base al quadro clinico, in particolare nel caso delle benzodiazepine, in quanto in grado di confondere l’effetto delle tecniche comportamentali messe in atto “mascherando” i sintomi ansiosi.
Dall’esperienza sono nati gruppi di auto-aiuto frequentati in prevalenza da coloro che avevano necessità di una qualche forma di aggregazione e coloro che avevano ancora difficoltà a gestire i sintomi ansiosi (quest’ultima situazione è più frequente in chi ha una struttura di personalità più rigida).
RISULTATI
L’equivalenza di coloro che hanno completato il corso e coloro che non lo hanno completato
Un partecipante viene considerato come qualcuno che ha completato il corso se ha portato a termine sia una valutazione pre-trattamento sia una post-trattamento. Per garantire la rappresentatività del campione complessivo di coloro che hanno completato il trattamento, i due gruppi sono stati confrontati sulle variabili demografiche e sui valori totali delle scale psicometriche somministrate in fase di pre-trattamento. I risultati del confronto sono riportati nella Tabella 1, in cui non è da rilevare alcuna differenza statisticamente significativa tra i due gruppi (p>0,05).
Esito del trattamento
Nella Tabella 2 per ogni scala sono riportati sia i valori del totale sia i valori delle dimensioni contenute in ogni scala oltre ai risultati dei test di significatività del confronto pre- post-trattamento e i loro effect size. I cambiamenti dei valori delle scale che misurano gli esiti sono stati tutti significativi, con l’esclusione della dimensione del “Funzionamento” del Core-OM, con effect size (d di Cohen) che varia da 0,26 a 0,86 per le scale che risultano significative.
Come in altri studi, viene riportato anche l’effect size (d di Cohen) calcolato (M_pre - M_post) ÷ SD_pre (27,37). Questo approccio presuppone che senza intervento non ci sarebbe stato un cambiamento nel punteggio della scala. È stato scelto di riportare questo valore per permettere un confronto con altri studi simili.
Vengono riportati anche i risultati di un sotto-campione di quegli utenti che mostravano un maggiore numero di sintomi di ansia sulla scala Hamilton A. Gli utenti con un punteggio totale maggiore di 23 sono stati presi in considerazione in quanto rappresentano il terzile con la sintomatologia di ansia più grave (Tabella 3).






Esito clinico del trattamento
Per misurare gli esiti clinici dell’intervento, il Core-OM è stato considerato la misura principale. È stata fatta una distinzione tra un cambiamento affidabile della condizione clinica del paziente e un cambiamento clinicamente significativo. Un cambiamento affidabile della condizione clinica (RCC) del paziente viene definito come un cambiamento di 5 punti o più sulla scala Core-OM (31). Un cambiamento clinicamente significativo (CSC) è un cambiamento in cui è presente un cambiamento affidabile come definito prima ma con la condizione che il punteggio iniziale sia sopra 10 e il punteggio finale sotto 10 punti. In breve si può affermare che per definire i pazienti “guariti”, essi devono presentare quattro caratteristiche: devono aver fatto sia la valutazione iniziale sia quella finale; il punteggio sul Core-OM iniziale deve essere maggiore o uguale a 10; la differenza nel punteggio iniziale e finale deve essere maggiore di 5 (per garantire una certezza di miglioramento); il punteggio finale del Core-OM del paziente deve essere meno di 10 (Figura 1). Questi criteri sono stati scelti in base alla descrizione dei criteri presentati da Jacobson et al. (38,39).
Il numero di pazienti che rientrano nei primi due criteri sono stati 45 (il 75% del numero totale dei pazienti per cui esiste una valutazione pre- e post-trattamento). Di questi 45 pazienti, il 42,2% (19 pazienti) ha mostrato un cambiamento affidabile positivo nella condizione clinica (un miglioramento maggiore di 5 punti), mentre 1 paziente ha mostrato un cambiamento affidabile negativo nella condizione clinica (un peggioramento maggiore di 5 punti). Il 20% (9 pazienti) ha mostrato un cambiamento clinicamente significativo (un miglioramento maggiore di 5 punti con il punteggio finale inferiore a 10).



Paragone normativo
Il paragone normativo valuta se i sintomi del gruppo trattato si sono ridotti, in modo tale che il gruppo trattato non sia più distinguibile dai livelli di sintomi della popolazione normale (40). Il paragone normativo per stabilire il significato clinico segue cinque passi, come descritto da Kendall et al. (40). È stato usato il Core-OM quale misura dell’esito principale che permette di prendere in considerazione non solo i sintomi ma anche il livello di funzionamento e benessere dei pazienti. I risultati dello studio attuale sono stati paragonati con i dati normativi riportati da Palmieri et al. (31). Solo i pazienti di cui erano disponibili valutazioni pre- e post-trattamento sono stati inclusi in quest’analisi. Seguendo la metodologia di Oei e Boschen (37) sono stati fatti due paragoni: 1) il campione complessivo per cui era disponibile una valutazione di pre- e post-trattamento (n=60); 2) un sottogruppo con sintomi di ansia più severa secondo l’Hamilton A (>23 punti sulla scala totale), come riportato sopra (n=19).
Per il campione complessivo la media del pre-trattamento risulta 14,23 (SD=5,92), mentre la media del post-trattamento risulta 11,01 (SD=5,59). Nel campione normativo di Palmieri et al. (31) la media in un campione non clinico di 212 risulta 8,6 (SD=5,0). Nel primo passo abbiamo seguito la convenzione in cui vengono definiti i totali fino a una deviazione standard sopra la media clinicamente equivalente alla media, fornendo una δ1 = -5,0 e una δ2 = 5,0. Nel secondo passo le differenze tra le medie del campione clinico e quelle del campione normativo sono state messe a confronto con il limite inferiore (δ1) dell’intervallo specificato nel primo passo. Questo paragone dimostra che la differenza tra le medie si trova nell’intervallo predefinito. Si può concludere quindi che i due gruppi sono clinicamente equivalenti: il campione trattato non si distingue in modo significativo dalla popolazione normale (tCE(59)=3,59; p<0,01). Nel terzo passo un tradizionale t-test è stato condotto sulla differenza tra la media del gruppo post-trattamento e la media del campione normativo. Il risultato mostra che la media del gruppo trattato rimane significativamente diversa da quello del gruppo normativo (t (59)=3,3 ; p<0,01). Sulla base di questi due test statistici possiamo categorizzare, in passo 4, i risultati nella Cella II della griglia di Kendall et al. (40) secondo cui il gruppo trattato è ritornato nell’intervallo normativo, ovvero, il paragone normativo sostiene il significato degli esiti clinici dell’esito. Nel quinto passo il risultato viene riportato in modo grafico (Figura 2).
Per il sotto gruppo dei pazienti con sintomi di ansia più gravi la media pre-trattamento risulta 18,87 (SD=4,47) mentre la media post-trattamento risulta 12,80 (SD=4,53). Questo sotto-campione non risulta dal punto di vista clinico (tCE(18)=0,77; p=0,223) né dal punto di vista statistico (t (18)=4,04; p<0,001) equivalente al campione normativo. Come tale possiamo categorizzare questo sottogruppo nella Cella III della griglia di Kendall et al. (40). Dal test per l’equivalenza clinica non c’è un’evidenza sufficiente per concludere che la differenza tra le medie si trova nell’intervallo predefinito. In questo caso la media post-trattamento e quella normativa non sono uguali. Si conclude che il trattamento non ha riportato il gruppo clinico nell’intervallo normativo.
I risultati dell’analisi di equivalenza clinica vengono riassunti nella Figura 2.
Benchmarking
Per stabilire l’efficacia della CBT di gruppo di questo studio, in relazione ad altri studi simili trovati nella letteratura, viene riportato un paragone dei risultati ottenuti. Sono stati scelti gli studi di Westbrook e Kirk (27), Mirabella et al. (28), Oei e Boschen (37), McEvoy e Nathan (41), Rosenberg e Hougaard (42), Leveni et al. (43), studi che riportano informazioni relative alla diagnosi che permette di fare un paragone diretto tra patologie specifiche (Tabella 4).



DISCUSSIONE
Questo studio contribuisce alla ricerca nel campo della CBT in vari modi. In primis, contribuisce al numero di studi che valuta l’effectiveness della CBT nella pratica clinica di routine. Inoltre, contribuisce alla ricerca di CBT di gruppo, che assume una sempre maggiore importanza nei servizi pubblici. Terzo, lo studio valuta l’efficacia usando non solo strumenti relativi alla sintomatologia, ma include anche strumenti che misurano sintomi correlati e altri aspetti della qualità della vita, quali il funzionamento e il benessere del paziente.
In base ai risultati ottenuti si può concludere che l’intervento qui descritto sia in grado di produrre miglioramenti notevoli e clinicamente rilevanti per gran parte della sintomatologia che caratterizza il disturbo di attacco di panico, inclusi gli aspetti della qualità della vita. Quasi tutti i punteggi delle scale sintomatologiche utilizzate si sono ridotte al post-test, in particolare l’ansia somatica e l’ansia psichica mostrando anche gli effect size grandi (secondo i criteri di Cohen) (44). Anche tutti i punteggi della scala CORE-OM, che riguardano non solo la sintomatologia, ma anche il benessere del paziente e il suo funzionamento, si sono ridotti, sebbene non tutti in modo significativo, mostrando effect size piccoli e moderati (44). I risultati valgono anche per il sotto-campione dei pazienti con sintomatologia più grave, dove su alcune dimensioni, e in particolare quelle per la sintomatologia sulla scala Hamilton, il miglioramento risulta ancora più marcato. Questo risultato non cade inaspettato, in quanto la letteratura relativa alle fasi di miglioramento durante la psicoterapia mette già in evidenza che determinati aspetti quali sintomatologia, benessere oggettivo del paziente e funzionamento non cambiano in modo sincronizzato e alcuni possono anche ritardare rispetto ad altri (45). I risultati ottenuti confermano l’efficacia della CBT di gruppo per il disturbo di panico in un contesto naturale e non sperimentale, dimostrando così di essere efficace anche nella pratica clinica, peraltro come era già emerso in altri studi (43).
Anche se i risultati sulle variabili di esito mostrano un cambiamento statisticamente significativo, un’analisi più approfondita dei risultati mette in evidenza qualche limite del trattamento. Nel campione, solo il 15% dei pazienti mostra un recupero completo alla fine del trattamento. Questo risultato suggerisce che ci sono tanti individui che registrano una diminuzione dei sintomi di panico, ma non in modo sufficiente da essere considerati guariti. I risultati ottenuti sono in linea con i risultati di Oei e Boschen (37) che riportano un tasso di remissione completo del 17%. In altri studi di effectiveness, come quelli riportati da Westbrook e Kirk (27), vengono riportati tassi di remissione del 25-30% per pazienti che ricevono psicoterapia individuale. I risultati suggeriscono quindi che, sebbene la psicoterapia di gruppo risulti efficace, può risultare tuttavia in una diminuzione del numero dei pazienti che raggiungono una remissione completa.
In questo studio, per valutare l’esito del trattamento nel campione, è stato effettuato anche un paragone tra il gruppo trattato e la popolazione generale usando il CORE-OM che prende in considerazione tre dimensioni, che comprendono la sintomatologia, la funzionalità e il benessere del paziente. Nello studio risulta che il trattamento è riuscito a riportare il campione trattato al livello della popolazione generale complessivamente anche se il campione si differenzia ancora in modo significativo dalla media della popolazione normale. Nell’interpretazione di questo risultato è necessario tenere conto del fatto che la misurazione post-trattamento registra il miglioramento nella sintomatologia e il miglioramento nel benessere dei pazienti, ma probabilmente è ancora prematuro registrare il miglioramento nel funzionamento dei pazienti. È ipotizzabile che i pazienti continuino a registrare un miglioramento anche dopo il trattamento, cosa che porterebbe a un avvicinamento tra la media del gruppo trattato e quello della popolazione. I dati dello studio attuale non ci consentono di verificare questa ipotesi.
Un altro risultato importante di questo studio mette in evidenza che una CBT di gruppo non è solo efficace per una riduzione della sintomatologia dei disturbi d’ansia, e in particolare quelli del disturbo di panico con o senza agorafobia, ma migliora anche la sensazione del benessere soggettivo del paziente. È stato registrato un effect size dello 0,41 per questa variabile. Questo risultato suggerisce che l’impatto del trattamento oltrepassa la riduzione della sintomatologia, arrivando a un miglioramento significativo nel benessere percepito.
Limiti dello studio
Nell’interpretazione dei risultati di questo studio è importante tenere presente vari aspetti che rappresentano un limite. In linea di massima si può dire che i limiti sono di tre tipi: limiti del database, limiti nel monitoraggio e nella valutazione degli esiti e nell’approccio di trattamento.
Il nostro database ha posto dei limiti. Nello studio ci sono stati vari pazienti che non hanno completato la valutazione finale. Non sono stati utilizzati metodi statistici, quali portare avanti l’ultima valutazione usando questa come dato di esito. Inoltre, alcune variabili potenziali di confondimento non erano disponibili per l’analisi. Le informazioni relative alla psicofarmacologia, utilizzate in altri servizi sanitari ed eventuali eventi esterni della vita, avrebbero arricchito il database significativamente.
Lo studio presenta anche i limiti relativi al monitoraggio e alla valutazione degli esiti. Non sono disponibili dati relativi al follow-up, che invece darebbero informazioni molto importanti relative alla persistenza e alla durata degli esiti nel medio e lungo periodo. Un altro limite è l’ampiezza del campione che è stato sottoposto a un monitoraggio continuo durante la CBT di gruppo. Un monitoraggio costante dei progressi degli utenti potrebbe permettere una misurazione individuale dell’utente e l’individuazione precoce degli utenti che non risponde al trattamento come tale potrebbe ridurre anche il numero di drop-out.
In ultimo, anche se il trattamento aderiva a un protocollo standard secondo il manuale di Morosini et al. (36) non è stata verificata la fedeltà all’adesione del protocollo, oltre alla supervisione clinica tra pari.
Indicazioni per studi futuri
Rimane molto spazio per la ricerca sull’efficacia della CBT per i disturbi di panico nelle condizioni che si incontrano nella pratica clinica di routine.
Ricerche future potranno indagare le differenze tra gli utenti che hanno raggiunto un esito positivo e coloro che non hanno ottenuto guarigione. Un fattore importante è la possibilità di identificare gli utenti che rispondono agli interventi e coloro che invece non rispondono.
Studi futuri possono approfondire fenomeni come “sudden gains” e “dose effect” nella psicoterapia di gruppo per il disturbo di panico. Ciò permetterebbe di monitorare meglio i pazienti individualmente e di fornire informazioni sulle variabili “attive” della terapia nonché ottimizzare gli interventi individuando più precisamente il numero ottimale di sedute.
Il disegno dello studio è caratterizzato da limiti di validità interna che non consentono di escludere il contributo di altri fattori esterni. Studi futuri potranno controllare più fattori presenti, quale, per es., il consumo di psicofarmaci.
Un forte limite dello studio è la mancanza di un follow-up. Futuri studi dovranno monitorare i pazienti per periodi più lunghi (12 o 24 mesi), cosa che permetterebbe di valutare in che misura gli esiti ottenuti permangano nel tempo.
Con un numero esiguo di pazienti che sono guariti e un sottogruppo (in particolare, i pazienti con un maggior numero di sintomi all’inizio del trattamento) che mostra ancora sintomi residui alla fine del trattamento, rimane ancora molto spazio per il miglioramento del trattamento cognitivo-comportamentale di gruppo per pazienti che soffrono del disturbo di panico con o senza agorafobia.
CONCLUSIONE
Lo studio aggiunge evidenze alla letteratura circa gli interventi cognitivo-comportamentali non solo per quanto riguarda l’effettività, ma anche per quanto concerne l’efficacia nella pratica clinica di routine. Inoltre, gli interventi cognitivo-comportamentali ottengono buoni risultati quando vengono somministrati in un gruppo. Lo studio mostra anche che l’intervento cognitivo-comportamentale non riduce soltanto i sintomi del panico, ma registra un miglioramento delle altre variabili, quali il benessere soggettivo. Il fatto che questo metodo sia improntato sulla medicina basata sulle evidenze e richieda solo una piccola équipe e pochi strumenti, rende questa terapia particolarmente indicata per una sua applicazione nel servizio pubblico (43). In particolare, la questione rilevante riguarda il rapporto costo-efficacia della terapia che risulta essere decisamente vantaggioso (46). I pazienti hanno il diritto di ricevere trattamenti la cui efficacia sia stata dimostrata (47). Tuttavia, finora, la CBT di gruppo per il disturbo di panico nei servizi pubblici risulta essere poco diffusa (47).
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