L’approccio psicoterapeutico postrazionalista alle psicosi
Psychotherapeutic postrationalist approach to psychosis
GIOVANNI CUTOLO
Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica, Università di Siena, ASL 9 Grosseto (Massa Marittima-Follonica)

RIASSUNTO. Si descrivono gli apporti euristici del modello postrazionalista sulla psicosi, evidenziando la differenza con gli altri interventi psicoterapeutici nelle psicosi (fenomenologici, psicoanalitici, cognitivisti) dovuta a un cambiamento di prospettiva epistemologica, in particolare la distinzione di domini, quello dell’osservatore e quello dell’osservato, e la ricostruzione del percorso soggettivo con cui la persona organizza un tema psicotico. La psicoterapia mira a una contestualizzazione dell’esperienza attraverso la sequenzializzazione della trama narrativa per arrivare a una internalizzazione di queste esperienze, vissute nella crisi come esterne ed estranee al Sé.

PAROLE CHIAVE: psicoterapia della psicosi, postrazionalismo, soggettività, osservatore, sequenzializzazione.


SUMMARY. The article describes the heuristic contributions of the postrationalist psychosis model. It highlights the difference with other psychotherapeutic interventions in psychosis (phenomenological, psychoanalytic, cognitive) due to a change in epistemological perspective, in particular the distinction of domains, that of the observer and the observed, and the reconstruction of the subjective path that organizes a psychotic subject. The psychotherapy aims to contextualize the experience through the sequencing of the narrative to get an internalization of these experiences, lived in the crisis as external and alien to the self.

KEY WORDS: psichosys’ psychotherapy, postrationalism, subjectivity, observer, sequentialization.
LE PSICOTERAPIE DELLE PSICOSI
La psicoterapia della psicosi è praticata da tempo anche se non esistono un suo statuto fondativo e una omogeneità nei trattamenti. Già la psicopatologia fenomenologica (1-4) e la psicoanalisi (5-7) ci hanno fornito metodi e strumenti per permettere l’esplorazione del mondo psicotico. Il modello sistemico-relazionale ci ha aiutato a capire i contesti e lo scenario familiare dentro il quale si consuma questa trasformazione (8-12). Gli approcci cognitivisti sono entrati più dettagliatamente e con modalità più “scientifiche” nei processi mentali coinvolti cercando di valutare le funzioni cognitive o meta-cognitive interferite o ridotte nel processo psicotico (13-16). La caratteristica che hanno avuto questi approcci è stata quella di proporsi, nell’attuazione pratica, come “tecniche aggiuntive” alla modalità abituale, operativa, attuata nei Servizi, senza mettere in discussione o andare oltre la diagnosi di tipo descrittivo dei sistemi nosografici che prevede quasi automaticamente linee-guida di tipo esclusivamente farmacologico. Gli interventi psicoterapeutici nelle psicosi sono rimasti a latere della prassi concreta (approccio fenomenologico e psicoanalitico), sviluppando conoscenze raffinate ma poco influenti ai fini dell’intervento terapeutico, oppure hanno prodotto interventi più effettivi ed efficaci, riconosciuti a livello clinico-epidemiologico, ma considerati sempre secondari e integrativi rispetto a quelli farmacologici e istituzionali (terapia familiare, psicoeducazione, interventi meta-cognitivi). In ogni caso negli ultimi anni è aumentata l’attenzione alla soggettività e la focalizzazione sull’importanza dei fattori emotivi sia nella genesi e nella progressione del disturbo sia nell’efficacia della relazione terapeutica (17). Cercando di andare oltre, si delinea una modalità che si pone non come un’ulteriore tecnica psicoterapeutica ma come un modello epistemologico che può aprire nuove prospettive teoriche e di intervento.
IL PROBLEMA DELL’OSSERVATORE
E LA SUA RELAZIONE CON LA SOGGETTIVITÀ
Uno degli aspetti più frequenti quando si cerca di studiare la fenomenologia psicotica è la difficoltà a raccogliere informazioni sull’esperienza soggettiva in corso, cioè capire cosa sta succedendo dentro la persona, capire come sono fatti un delirio e un’allucinazione, quando sono emersi, capire la successione e il collegamento dei processi mentali (per es., tra immaginazione e percezione), ricostruire insieme alla persona i contesti all’interno dei quali ha preso forma l’esperienza delirante/allucinatoria/disorganizzata. Capire, insomma, come la persona abbia cercato di dare una configurazione coerente, una spiegazione a quanto sentiva accadere dentro di sé e come si sia gradualmente trasformata la sua visione del mondo e i suoi rapporti con gli altri. Questa ricostruzione dell’esperienza soggettiva dell’altro fa parte di quel faticoso e difficile processo di comprensione della psicosi, a lungo dibattuto nella psicopatologia classica e in quella fenomenologica, finalmente oggi ritenuto possibile a partire dalla distinzione del dominio dell’osservatore da quello dell’osservato. La dinamica interna del significato personale ha temi e modi diversi da quella delle relazioni con l’ambiente, che possono essere colte da un osservatore (18-20). La cosiddetta incomprensibilità, o inderivabilità, della psicosi (21) viene oggi considerata una caratteristica della posizione dell’osservatore più che una qualità dell’osservato, dovuta a una adesione naïf dell’osservatore al senso comune, con l’ignoranza dei dati contestuali riguardo all’emergenza dell’esperienza sintomatica e alla non considerazione dei passaggi storici, longitudinali, “dimensionali” attraverso i quali la persona è arrivata a quel punto di approdo, ovvero il suo percorso evolutivo, quelle che potremmo chiamare le fasi di una crisi psicotica, sia essa acuta o non.
Da questa prospettiva derivano alcune conseguenze. Se proviamo a osservare alcuni fenomeni che riguardano l’intervento nelle psicosi, l’epidemiologia ci dice che il contatto tra osservatore e psicotico avviene fino a due anni dopo che la sintomatologia è iniziata (Duration of Untrated Psychosis, DUP). Se poi consideriamo il cosiddetto periodo prodromico, ovvero quello precedente in cui il disturbo si manifesta con sintomi sfumati anche se già abbastanza specifici (ma che non necessariamente daranno luogo a una malattia conclamata), la media del ritardo di un contatto terapeutico può durare anche una decina d’anni. L’esperienza che fanno i terapeuti che cercano di ricostruire la progressione della psicopatologia è di scoprire che il disturbo era iniziato ben prima che producesse cambiamenti comportamentali e relazionali evidenti. Le dimensioni di questo “ritardo diagnostico” pongono il problema, già sollevato dalla psicopatologia fenomenologica, della necessità di distinguere il punto di vista oggettivo da quello soggettivo (22,23); problema ripreso dagli approcci costruttivisti e in particolare da quello postrazionalista, con la tematica della distinzione tra il punto di vista dell’osservatore e quello dell’osservato. Quelli che a una osservazione esclusivamente “oggettiva” sono dati verificabili e socialmente definibili in un linguaggio condivisibile e condiviso nella comunità scientifica (quel paziente presenta un “delirio di persecuzione”) per l’osservato, dal punto di vista soggettivo assumono un significato completamente diverso: rappresentano un tentativo, dapprima informe e “pre-verbale”, poi sempre più definito attraverso l’uso delle competenze narrative fornite dal linguaggio (sequenzializzazione), di dare ordine e di spiegare un qualcosa che appare confuso, indistinto e che faticosamente può essere detto e raccontato se assume una forma che abbia almeno un senso per lui. Naturalmente anche quest’ultima descrizione, pur cercando di cogliere l’aspetto intimo e idiosincrasico dell’esperienza personale, rimane una descrizione ancora “oggettiva” in quanto presume di descrivere dall’interno della persona qualcosa che è difficilmente traducibile in linguaggio; ma è un’oggettività, che attraverso un accurato processo di comprensione/spiegazione (24,25) costruisce la possibilità di un riconoscimento e non l’inizio di una frattura terapeutica, che può diventare definitiva e insanabile, e nella quale l’adesione al trattamento è una questione secondaria o formale, o addirittura “obbligata”. L’esperienza intersoggettiva dell’incontro permetterà poi, a seconda delle possibilità con cui essa si dispiega e della capacità dell’osservatore di approntare un setting idoneo, di costruire una relazione e un linguaggio comune ai due (o più) interlocutori e tale da permettere all’osservato una maggiore comprensione della sua esperienza.
NUOVE PROSPETTIVE
SULL’INTERVENTO PRECOCE NELLE PSICOSI
In ogni caso, per tornare al problema del ritardo con cui l’emergenza psicotica arriva all’osservazione, permane uno scarto tra l’emergenza soggettiva, cioè il processo soggettivo per cui nella persona avviene un mutamento più o meno consapevole, e l’emergenza oggettiva, sociale o urgenza clinica, che riguarda il momento e il modo con cui questo cambiamento soggettivo viene ufficializzato dal contatto con un osservatore, in primo luogo la famiglia e l’ambiente sociale circostante, poi eventualmente agenzie specifiche come il Servizio pubblico (26,27). Il riconoscimento dell’importanza di questa distinzione permette una comprensione dello “scarto temporale” che caratterizza i due momenti, ne permette anche una distinzione nelle modalità di espressività psicopatologica, e permette forse di aprire una modalità di approccio al fenomeno del cosiddetto intervento precoce nelle psicosi, più lungimirante e più cauta. Da questo punto di vista, la spiegazione di questo ritardo non è semplicemente dovuta alla paura (dell’osservato) dello stigma o alla poca accessibilità/inadeguatezza dei Servizi, ma investe quel processo individuale e sociale di ufficializzazione, a sé e agli altri, di un qualcosa che potrebbe restare nell’ambito privato anche per tutta la vita (vedi ad esempio le forme classiche di parafrenia, nelle quali tale “ufficializzazione” avviene raramente). Se riusciamo a vedere il percorso dell’emergenza psicotica dal punto di vista soggettivo, possiamo cogliere questa trasformazione nella persona: dapprima un tentativo privato di mantenere una coerenza col proprio modo abituale di sentirsi, pur nella stranezza e nella estraneità dell’emergenza di sensazioni/emozioni nuove, complesse e spesso contraddittorie; successivamente una modalità di presentarsi al mondo per mantenere un contatto con esso, o di ritirarsi da esso senza rompere del tutto, costruendo un’identità accettabile all’esterno; infine, il tentativo, spesso indiretto, di chiedere aiuto, quest’ultimo non sempre presente.
Proviamo a procedere con delicatezza e attenzione in questa interfaccia tra mondo oggettivo dei significati condivisi e il mondo soggettivo dei significati personali, informi e incomprensibili in prima battuta, all’osservatore. Cerchiamo poi di capire se c’è qualcosa che approfondisce questa non distinzione tra mondo soggettivo e mondo oggettivo e se c’è qualcos’altro che può ridurne la portata, permettere una maggiore comprensione del mondo soggettivo e a quest’ultimo di non perdere del tutto i contatti con quello intersoggettivo.
POSSIBILITÀ E LIMITI CONOSCITIVI DEI SERVIZI
Nella mia esperienza trentennale come “osservatore” in un piccolo Servizio di Salute mentale per questo lungo periodo di circa trent’anni, ho avuto la possibilità, privilegiata, di poter osservare nel tempo e in un territorio definito una piccola comunità nella quale era possibile cogliere movimenti e percorsi soggettivi utilizzando i collegamenti con le agenzie sanitarie e sociali del territorio, avendo a disposizione i tradizionali strumenti di intervento ma anche la possibilità di organizzare contesti di accoglienza meno soggetti a rigide procedure burocratiche. Di lavorare con colleghi e operatori, coi quali era possibile approntare diversi punti di osservazione collocati nei luoghi istituzionali del Servizio, dall’SPDC alle Residenze Comunitarie, dagli Ambulatori al Centro Diurno, e coi quali era possibile discutere i dati emersi dalle osservazioni prima di effettuare qualsiasi intervento.
Il Servizio Pubblico può rappresentare un’agenzia impareggiabile di osservazione etologica e antropologica dei fenomeni umani, specie in una situazione come quella italiana nella quale viene privilegiata una prassi territoriale. Al Servizio viene delegato un potere quasi totale di intervenire nella vita di una persona nei momenti di crisi psicotica, nel senso che, potendo limitarne legalmente il comportamento, può però in alternativa effettuare scelte difficilmente contestabili, e comunque modificare comportamenti consolidati, miti familiari, e anche proporre soluzioni impensabili per il soggetto, compresa la possibilità, prettamente tipica degli umani, di operare scelte sulla base della comprensione della sua esperienza vissuta. Questa possibilità è limitata dalla drammaticità sociale e familiare con cui spesso si manifesta la crisi psicotica, che genera reazioni emotive intense che investono anche gli operatori e facilmente li spingono a ricorrere ad automatismi burocratici di intervento, prassi tacitamente consolidate che mirano a ripristinare rapidamente nel soggetto l’equilibrio perduto. Comportamenti istituzionali di contenimento/controllo/contenzione che limitano le possibilità osservative e terapeutiche, senza cogliere, o meglio ignorando attivamente la complessità espressa nella crisi, che non è solo sintomi. Si tratta pertanto di vedere se è possibile fornire agli operatori strumenti conoscitivi ed emotivi che permettano questa esplorazione limitando gli effetti dirompenti della psicosi anche su di loro (28).
LA PROSPETTIVA POSTRAZIONALISTA
DELLE PSICOSI
Il modello postrazionalista delle psicosi è stato gradualmente sviluppato da Vittorio Guidano dall’inizio degli anni ’90 attraverso vari passaggi di cui gli ultimi non sono stati da lui formalizzati a causa della sua precoce scomparsa (24, 29-31).
Guidano considera la psicosi all’estremità di un continuum normalità-nevrosi-psicosi, nel quale il passaggio da un livello all’altro può avvenire anche nell’ambito dello stesso individuo, in periodi diversi del suo ciclo vitale, mentre possono coesistere dimensioni di normalità-nevrosi e psicosi anche in settori diversi della sua vita e della sua esperienza. Per es., Guidano rileva come Beethoven manifestasse il massimo della creatività e dell’astrazione nel settore della musica (normalità), fosse gravemente limitato nei suoi rapporti sentimentali (nevrosi) e avesse raggiunto in tarda età chiare manifestazioni deliranti nella convinzione che il nipote, figlio del fratello morto, fosse il proprio figlio (psicosi).
In questa concezione evolutiva, sistemico-processuale, il passaggio da un livello all’altro diventa comprensibile in base a criteri che possono essere studiati sia a livello dell’evoluzione filogenetica sia di quella ontogenetica. A livello filogenetico, nella storia evolutiva del primate parlante uomo, Guidano fa notare come con l’introduzione dell’alfabeto nel mondo greco, e quindi con la “visualizzazione” delle parole, si ha il passaggio da un mondo orale a un mondo scritturale. Nel momento in cui possono essere depositate in un testo, le parole acquistano una separazione dall’immediatezza dell’hic et nunc propria del linguaggio parlato, si staccano da questo e divengono pensiero, possibilità di riflessione sull’esperienza trascorsa, che può così essere riveduta, articolata e arricchita: il linguaggio perde il suo carattere “effimero” del suo essere legato al suono che si perde subito dopo essere stato emesso, e viene affidato a un aspetto sensoriale “visivo” che ne permette la stabilità, la separazione del contesto in cui è stato prodotto, fino a divenire appunto un “testo” che può essere rimaneggiato, oggetto di riflessione e di manipolazione. Il testo si separa dal contesto, e questa distanza è alla base della possibilità di codificare l’informazione in una forma più articolata: di qui l’incremento delle capacità riflessive e la conseguente formazione di un nuovo e molto più articolato “senso di sé”, di una nuova coscienza e consapevolezza che dà forma, a partire dall’invenzione della scrittura ma ancor di più dalla diffusione della conoscenza scritta attraverso l’invenzione della stampa, a nuove e più raffinate e complesse forme di auto-consapevolezza (24,29-31). Ci sono altri autori fondamentali che chiariscono questo concetto (32-40), mentre colleghi postrazionalisti hanno articolato questo lavoro lasciato aperto dalla scomparsa di Guidano (41-46).
Dal punto di vista ontogenetico, l’acquisizione di una capacità scritturale coincide con l’acquisizione graduale, nel rapporto interattivo dell’attaccamento, delle capacità cognitive e meta-cognitive, le quali vanno a configurare quello che Guidano chiama mentalismo e che sono costituite in particolare dalla capacità di comprensione della mente altrui e, parallelamente, dalla capacità di mentire agli altri e a sé stessi (auto-inganno).
Nella psicosi, le dimensioni che vengono “interferite” riguardano: la capacità di astrazione (rispetto alla pregnanza di un dato emotivo troppo “concreto”, difficile da processare narrativamente); la capacità di integrazione, che riguarda la possibilità di considerare appartenente al Sé un dato emotivo, o meglio una complessità di dati spesso contraddittori tra loro, che pertanto vengono ritenuti estranei o esterni al Sé; le capacità di sequenzializzazione, quelle più specifiche connesse all’acquisizione di una modalità “scritturale” nel dare un ordine temporale, logico e tematico all’esperienza perturbante, sia per dare loro un senso comprensibile e coerente col senso di Sé, sia contestualizzandole per far sì che siano in sintonia col gruppo di riferimento entro il quale il soggetto vive e si esprime (cultura). L’ultima dimensione, quella della flessibilità, permette la possibilità di maneggiare la propria esperienza in maniera più articolata, di essere “generativi” nel saper formulare diverse ipotesi e spiegazioni di esperienze particolarmente discrepanti e di conseguenza mettere in atto comportamenti variabili a seconda delle circostanze. Questa dimensione risente molto della capacità di costruire un rapporto intersoggettivo con gli altri, di sviluppare competenze sociali, che permettano di arricchire, articolare, modificare, almeno in parte, punti di vista, attitudini, disposizioni d’animo.
Un contenuto di esperienza non riconosciuto può quindi diventare un qualcosa di subìto e non decodificato che può essere tenuto fuori dalla coscienza mediante un’attività motoria che tende a escludere una qualsiasi narrativa, una iperattività (forme maniacali), ipoattività (catatonia), disorganizzazione del comportamento; oppure può essere non processato attivando una modalità prevalentemente sensoriale, come fosse una perturbazione esterna che parla alla persona indipendentemente da lei con una voce che gli dice quello che non riesce a dirsi da solo (allucinazione o percezione delirante); può, viceversa, essere processato con una modalità cognitiva non sequenzializzata in cui si tenta una riconfigurazione narrativa che può andare dal delirio più o meno strutturato alla disorganizzazione del discorso; da ultimo può essere processato con una modalità narrativamente discontinua e con una prevalente modalità relazionale, agìta emotivamente nella relazione con atteggiamenti oppositivo-provocatori, aggressivi, acting-out fino alla chiusura autistica (per es., borderline).
Le conseguenze di questo approccio alla psicopatologia delle psicosi sono:
1. mettere il fuoco dell’osservazione su aspetti del comportamento umano che esprimono emozioni fondamentali, come l’imbarazzo o la vergogna per timore del giudizio (organizzazioni tipo disturbi alimentari), la paura (organizzione fobica), temi che permettono all’osservatore un ingresso immediato nel mondo psicotico;
2. introdurre nella terapia la dimensione di una “progressione” nella gravità del tema presentato, mettendo in evidenza una gradazione di livelli su cui si può più agevolmente lavorare: per es., un tema di riferimento degli altri come giudicanti può avere gradazioni diverse, più o meno concrete, e pervasive, e che tra un timore del giudizio che provoca ansia e un delirio di riferimento strutturato, c’è un continuum che permette di articolare questa stessa tematica rendendola più sfumata e quindi gestibile. Con questa impostazione, l’opportunità o meno di intervenire farmacologicamente su una situazione iniziale che potrebbe evolvere in una forma psicotica, oppure no, viene superata dalla possibilità di modulare l’intervento seguendo attentamente il disturbo nella sua progressione;
3. segnalare e successivamente ridurre la distanza tra osservatore (operatore) e osservato (paziente), riconducendo lo scompenso psicopatologico all’attivazione di un tema di significato che può appartenere, in forma più astratta, anche all’osservatore cosiddetto “normale”. Favorire cioè la comprensione dei fenomeni psicotici che vengono visti come articolazioni estreme di una stessa “banda di significato”, condivisibile dall’osservatore, che ha seguito percorsi evolutivi e di attaccamento particolari. In questo senso permette anche all’osservatore di lavorare sul suo materiale personale utilizzando gli stessi criteri di base che usa per i “pazienti” (formazione e aggiornamento “particolari”);
4. permettere di lavorare con i familiari introducendo un tema di significato da loro riconoscibile in quanto può appartenere anche a loro e alla storia della famiglia. Riportare alla sua storia e al suo ambiente familiare i significati confusi e disorganizzati che lo psicotico manifesta nel comportamento e nel discorso permette inoltre di attenuare il senso di estraneità e i conseguenti atteggiamenti espulsivi o di iper-tolleranza/collusione favorendo quelli di comprensione.
Per quanto riguarda la terapia farmacologica, da questa prospettiva l’uso dei farmaci è inversamente proporzionale alle capacità riorganizzative della coscienza, ovvero alle possibilità per la persona di esplorare le situazioni affettive che stanno alla base dello scompenso. È evidente come in una fase iniziale, specialmente se acuta, le capacità di integrazione narrativa sono proprio quelle più compromesse, per cui mentre si costruiscono un ambiente e una relazione “base sicura”, si potrà modulare la terapia farmacologica non soltanto su parametri clinici o sulla necessità di contenimento o sedazione (generata da conflitti familiari e sociali connessi alla drammaticità dell’emergenza, sociale della crisi), ma anche sulla possibilità/capacità dell’Osservatore/Servizio di cogliere, nella persona, gli aspetti soggettivi di disponibilità alla comprensione di quanto sta, drammaticamente, accadendo.
BIBLIOGRAFIA
 1. Borgna E. Come se finisse il mondo. Il senso dell’esperienza schizofrenica. Milano: Feltrinelli, 1995.
 2. Blankenburg W. La perdita della evidenza naturale. Milano: Raffaello Cortina Editore, 1998.
 3. De Martino E. La fine del mondo. Contributo all’analisi delle apocalissi culturali. Torino: Einaudi, 1977.
 4. Rossi Monti M, Stanghellini G (a cura di). Psicopatologia della schizofrenia. Milano: Raffaello Cortina Editore, 1999.
 5. Bateson G, Jackson DD, Haley J, Weakland JH. Verso una teoria della schizofrenia. In: Cancrini L. Verso una teoria della schizofrenia. Torino: Bollati Boringhieri, 1977.
 6. Bowen M. Dalla famiglia all’individuo. Roma: Astrolabio Ubaldini, 1983.
 7. Boszormenyi-Nagi I, Spark GM. Lealtà invisibili. La reciprocità nella terapia familiare intergenerazionale. Roma: Astrolabio Ubaldini, 1988.
 8. Selvini M. Reinventare la psicoterapia. La scuola di Mara Selvini Palazzoli. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2004.
 9. Scheflen AE. I livelli della schizofrenia. Roma: Astrolabio Ubaldini, 1982.
10. Benedetti G. Alienazione e personazione nella psicoterapia della malattia mentale. Torino: Einaudi, 1980.
11. Arieti S. Interpretazione della schizofrenia. Milano: Feltrinelli, 1963.
12. Searles HF. Scritti sulla schizofrenia. Torino: Bollati Boringhieri, 1974.
13. Frith C. Neuropsicologia cognitiva della schizofrenia. Milano: Raffaello Cortina Editore, 1995.
14. Perris C. Terapia cognitiva con i pazienti schizofrenici. Torino: Bollati Boringhieri, 1996.
15. Brenner HD, Roder V, Hodel B, Kienzle N, Invernizzi G, Vita A. Terapia psicologica integrata. Programma strutturato per la riabilitazione del paziente schizofrenico. Milano: McGraw-Hill, 1997.
16. Semerari A (a cura di). Psicoterapia cognitiva del paziente grave. Milano: Raffaello Cortina Editore, 1999.
17. Lorenzini R, Coratti B. La dimensione delirante. Psicoterapia cognitiva della follia. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2008.
18. Maturana H, Varela F. L’albero della conoscenza. Milano: Garzanti, 1987.
19. Guidano VF. Il Sé nel suo divenire. Verso una terapia cognitiva post-razionalista. Torino: Bollati Boringhieri, 1992.
20. La Rosa M. La prospettiva post-razionalista come distinzione tra domini. www.scienzedellamente.it (v. Epistemologia, La prospettiva post-razionalista).
21. Jaspers K. Psicopatologia generale. Roma: Il Pensiero Scientifico Editore, 1964.
22. Gallagher S, Zahavi D. La mente fenomenologica. Filosofia della mente e scienze cognitive. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2008-2009.
23. Stanghellini G. Psicopatologia del senso comune. Milano: Raffaello Cortina Editore, 2006.
24. Guidano VF. Lezioni di training, 1999 (non pubblicate).
25. Von Wrigth GH. Spiegazione e comprensione. Bologna: Il Mulino, 1977.
26. Cutolo G. Soggettività e istituzioni: una sintonia possibile? Intervento istituzionale post-razionalista nelle psicosi. Atti del V Convegno di psicoterapia post-razionalista, Siena 28 maggio 2004, a cura di Mario Reda.
27. Cutolo G. Intervención institucional postracionalista en las psicosis. Hacia un Servicio de “base segura”. Revista de Psicoterapia 2008; 74/75: 43-72.
28. Cutolo G. Prendersi cura dell’osservatore. È possibile una formazione non razionalista nei Servizi Pubblici. Atti del XI Convegno di psicologia e psicopatologia post-razionalista, Siena 2010 (in corso stampa).
29. Guidano VF (a cura di Gherardo Mannino). Le dimensioni del Sé. Roma: Alpes, 2010.
30. GuidanoVF. La dinamica degli scompensi psicotici: processi e prospettive. Intervento al VI Congresso Internazionale sul Costruttivismo in Psicoterapia, Siena 1998. http://www.unisi.it/eventi/psicologia08/atti.pdf pp. 189-201.
31. Guidano VF (a cura di A. Quiñones). Psicoterapia cognitiva post-razionalista. Milano: Franco Angeli, 2007.
32. Bruner R. La mente a più dimensioni. Roma-Bari: Laterza, 1988.
33. Havelock EA. La Musa impara a scrivere. Roma-Bari: Laterza, 1995.
34. Olson DR, Torrance N (a cura di). Alfabetizzazione e oralità. Milano: Raffaello Cortina Editore, 1995.
35. Ong WJ. Oralità e scrittura. Bologna: Il Mulino, 1986.
36. Kermode F. Il senso della fine. Firenze: Sansoni, 2004.
37. Todorov T. La conquista dell’America. Il problema dell’altro. Torino: Einaudi, 1984.
38. Diamond J. Armi, acciaio e malattie. Torino: Einaudi, 1998.
39. Jaynes J. Il crollo della mente bicamerale e l’origine della coscienza. Milano: Adelphi, 1976.
40. Thomas Ph. The dialectics of schizophrenia. London: Free Association Books, 1998.
41. Cheli C. Metarappresentazione, mente bicamerale e psicosi. Psicobiettivo 2000; 2.
42. Cheli C. Approccio post-razionalista e psicosi: riflessioni ed esperienze cliniche. Quaderni di Psicoterapia Cognitiva 2000; 7: 56-73.
43. Cutolo G, Marsicovetere V, Foschi A, Lombardi G. Teoria della mente, psicosi, servizi di salute mentale. Psicobiettivo 2000; 3.
44. Mannino G, Maxia G. Psicopatologia e psicologia della schizofrenia: verso un approccio post-razionalista. Quaderni di Psicoterapia Cognitiva 2001; 8.
45. Parise P. Comprensione e significato delle psicosi. Atti del V Convegno di psicoterapia post-razionalista, Siena 28 maggio 2004, a cura di Mario Reda.
46. Maselli P. Comprensibilità e incomprensibilità delle psicosi. Quaderni di psicoterapia Cognitiva 2000; 6.
47. Guidano VF. La complessità del Sé. Torino: Bollati Boringhieri, 1988.
48. Guidano VF. Psicoterapia cognitiva sistemico-processuale e ciclo di vita individuale http://www.psicoterapia.name/ebook conferenza guidano.pdf
49. Guidano VF (a cura di Giovanni Cutolo). La psicoterapia tra arte e scienza. Vittorio Guidano insegna “come si fa” la psicoterapia cognitiva post-razionalista. Milano: Franco Angeli, 2008.